di
Alberto Vincenti
Dai racconti dei giorni di guerra
UN GIORNO DEL 1944 A SAMMINIATO
Quella mattina l’aria, le cose e tutto intorno era permeato di un’attonito silenzio, mentre le mura delle case attanagliate lungo i pendii di Samminiato, riflettevano l’accecante bagliore del sole che splendeva alto nel cielo; solo il continuo e incessante canto delle cicale rompeva il silenzio su per i colli di antica memoria e la natura che abbondò di spighe e frutti come mai aveva fatto negli anni precedenti, anche essa si era ammutolita.
Quel giorno i soldati tedeschi si accingevano ad abbandonare San Miniato e, per assicurarsi una tranquilla ritirata, rastrellarono uomini e donne che poi furono portati sul prato del Duomo.
Il giorno prima i tedeschi avevano segnato con una croce alcune case per essere minate: questa volta l’angelo sterminatore sarebbe entrato attraverso le porte contraddistinte dal quel crittogramma, come era successo un tempo in Egitto per le case del popolo ebreo, e se questo passaggio aveva rappresentato in passato il passaggio verso la libertà, quest’anno l'angelo sterminatore sarebbe passato con il sacrificio di molti innocenti.
La mattina stessa, un gruppo di soldati nazisti era passato a prelevare dagli scantinati delle vecchie case tutti coloro che vi si erano rifugiati per fuggire agli ultimi orrori della guerra.
Intanto, una pattuglia tedesca arrivava guardinga strisciando lungo i muri con gli elmetti ricoperti di frasche, proveniente dal Pian delle Fornace nella piazza antistante l’Ospedale. Gli americani stavano per arrivare con dei tanks dalla strada del Sasso e il Comandante tedesco ordinò ad una giovane recluta di appostarsi da solo dietro la cisterna de piazza S. Caterina con un Panzerfaust (un lancia granate anticarro) per attendere il primo carro armato Pershing, colpirlo, bloccare l’avanzata degli altri carri e permettere la ritirata del manipolo di soldati tedeschi. In un primo momento il giovane si rifiutò di eseguire l’ordine, ma il Comandante gli puntò la sua pistola e con un ordine secco lo costrinse a rimanere nella sua postazione. I soldati si allontanarono e il giovane rimase in attesa sotto il sole e un po’ per l’elmetto in testa, un po’ per la paura cominciò a grondare di sudore. Visto che i carri americani tardavano ad arrivare, cercò di ingannare il tempo fortificando la sua postazione con delle pietre che si trovavano vicino la cisterna, ma era sempre più pallido pensando che quell’azione gli sarebbe costata la vita. Intanto delle Suore dell’Ospedale lo osservavano e gli facevano cenno di avvicinarsi; un po’ fu titubante poi, ripensando che forse un tank americano non sarebbe valsa la sua giovane vita, abbandonò la postazione, si avvicinò alle Suore che lo aiutarono a dileguarsi disarmato per la campagna, sperando magari di essere catturato dalle truppe alleate.
Intanto i primi soldati americani giunti in paese fecero un bivacco proprio nella piazza dell’Ospedale ai piedi dell'obelisco, aprendo scatolette di carne e cioccolata e gli uomini e le donne del paese, che fino a quel momento erano stati nascosti, cominciarono ad uscire allo scoperto e ad avvicinarsi a quei soldati attratti anche dal dimenticato profumo del cibo e delle sigarette. I tedeschi, portatori di morte e distruzione, ritornavano ora nelle gelide lande, lasciando i corpi della loro gioventù dimenticata venuta a morire in quest’angolo di terra. Allora come in passato, popoli e razze diverse sembravano essersi dati appuntamento in questo crocevia, meridiano di scontri violenti tra invasori e salvatori.
Fu mio padre stesso che assistette alla scena del giovane tedesco da dietro una finestra dell'ospedale dove era sfollato ed aiutante factotum in quel periodo.
UN GIORNO DEL 1944 A SAMMINIATO
Quella mattina l’aria, le cose e tutto intorno era permeato di un’attonito silenzio, mentre le mura delle case attanagliate lungo i pendii di Samminiato, riflettevano l’accecante bagliore del sole che splendeva alto nel cielo; solo il continuo e incessante canto delle cicale rompeva il silenzio su per i colli di antica memoria e la natura che abbondò di spighe e frutti come mai aveva fatto negli anni precedenti, anche essa si era ammutolita.
Quel giorno i soldati tedeschi si accingevano ad abbandonare San Miniato e, per assicurarsi una tranquilla ritirata, rastrellarono uomini e donne che poi furono portati sul prato del Duomo.
Il giorno prima i tedeschi avevano segnato con una croce alcune case per essere minate: questa volta l’angelo sterminatore sarebbe entrato attraverso le porte contraddistinte dal quel crittogramma, come era successo un tempo in Egitto per le case del popolo ebreo, e se questo passaggio aveva rappresentato in passato il passaggio verso la libertà, quest’anno l'angelo sterminatore sarebbe passato con il sacrificio di molti innocenti.
La mattina stessa, un gruppo di soldati nazisti era passato a prelevare dagli scantinati delle vecchie case tutti coloro che vi si erano rifugiati per fuggire agli ultimi orrori della guerra.
Intanto, una pattuglia tedesca arrivava guardinga strisciando lungo i muri con gli elmetti ricoperti di frasche, proveniente dal Pian delle Fornace nella piazza antistante l’Ospedale. Gli americani stavano per arrivare con dei tanks dalla strada del Sasso e il Comandante tedesco ordinò ad una giovane recluta di appostarsi da solo dietro la cisterna de piazza S. Caterina con un Panzerfaust (un lancia granate anticarro) per attendere il primo carro armato Pershing, colpirlo, bloccare l’avanzata degli altri carri e permettere la ritirata del manipolo di soldati tedeschi. In un primo momento il giovane si rifiutò di eseguire l’ordine, ma il Comandante gli puntò la sua pistola e con un ordine secco lo costrinse a rimanere nella sua postazione. I soldati si allontanarono e il giovane rimase in attesa sotto il sole e un po’ per l’elmetto in testa, un po’ per la paura cominciò a grondare di sudore. Visto che i carri americani tardavano ad arrivare, cercò di ingannare il tempo fortificando la sua postazione con delle pietre che si trovavano vicino la cisterna, ma era sempre più pallido pensando che quell’azione gli sarebbe costata la vita. Intanto delle Suore dell’Ospedale lo osservavano e gli facevano cenno di avvicinarsi; un po’ fu titubante poi, ripensando che forse un tank americano non sarebbe valsa la sua giovane vita, abbandonò la postazione, si avvicinò alle Suore che lo aiutarono a dileguarsi disarmato per la campagna, sperando magari di essere catturato dalle truppe alleate.
Intanto i primi soldati americani giunti in paese fecero un bivacco proprio nella piazza dell’Ospedale ai piedi dell'obelisco, aprendo scatolette di carne e cioccolata e gli uomini e le donne del paese, che fino a quel momento erano stati nascosti, cominciarono ad uscire allo scoperto e ad avvicinarsi a quei soldati attratti anche dal dimenticato profumo del cibo e delle sigarette. I tedeschi, portatori di morte e distruzione, ritornavano ora nelle gelide lande, lasciando i corpi della loro gioventù dimenticata venuta a morire in quest’angolo di terra. Allora come in passato, popoli e razze diverse sembravano essersi dati appuntamento in questo crocevia, meridiano di scontri violenti tra invasori e salvatori.
Fu mio padre stesso che assistette alla scena del giovane tedesco da dietro una finestra dell'ospedale dove era sfollato ed aiutante factotum in quel periodo.
San Miniato, Piazza XX Settembre, il pozzo-cisterna
prima dei lavori di riqualificazione (2013-2014)
Foto di Francesco Fiumalbi