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↖ VITA DEL SEMINARISTA - 2 PARTE
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di Giancarlo Pertici
LA VITA DEL SEMINARISTA
Dal
1650 la Diocesi di San Miniato ricava dalle mura perimetrali della
cittadella alcune aule da destinare a Seminario, spazi già
utilizzati per botteghe artigiane.
La
mia non vuole essere una ricerca storica... rappresenta solo
un'esperienza vissuta in un determinato momento, dal '58 al '63, con
un personalissimo punto di vista. Si tratta di piccoli ricordi,
alcuni flash o aneddoti rimasti nella memoria ... questi ... più di
altri ... con affetto e riconoscimento per un'esperienza spirituale e
umana che mi ha accompagnato fino ad oggi. L'auspicio è che altri,
"preti" o "preti mancati" portino i loro ricordi
con foto e storie. La vita del Seminario è stata nel tempo
strettamente legata allo sviluppo sociale e civile della nostra Città
per i personaggi che ne sono usciti, preti o no, per l'impronta che
nel tempo ci ha consegnato a noi la San Miniato che viviamo.
San
Miniato vissuta tra le mura del Seminario - PRIMA PARTE
Può
sembrare strano come certi ricordi restino impressi nella mente
mentre di altri non ne rimanga traccia alcuna. Credo si tratti di un
meccanismo simile o assimilabile all’istinto di sopravvivenza che
ti fa ignorare o accantonare certi episodi mentre altri te li riporta
alla mente … mondati … rivisti.. purgati. Tra questi un sabato
pomeriggio di tanti anni fa: 23 marzo del ’63 …ore 15 del
pomeriggio. Appena uscito dalla porta principale del Seminario per
non tornarvi più dopo una permanenza di cinque anni… mia madre sa
già che ho rinunciato a farmi prete .. in attesa della reazione di
mio padre …. ora che si era abituato all’idea di venirmi a
suonare le campane!
La
cosa più buffa, sì! …strana! E’ che non riesco più …a
camminare da solo per la strada, abituato come sono ad uscire in
gruppo, sempre in fila indiana. O cammino troppo piano o troppo
veloce. Oltre il Comune davanti alle scuole, …. prima al centro
della strada ….poi a rasentare il muro. In lontananza odo delle
grida … sono quelle di gioia di mia sorella Maurizia e delle mie
cugine.
Ma,
come una storia che tale vuole essere, cominciamo da capo, da
quell’agosto del 1958 quando tutto ebbe inizio! Ed iniziò come una
vacanza.. anzi! Con una vacanza … in montagna col seminario ..
potevano partecipare anche i nuovi iscritti. Fu proprio da Prataccio,
nella colonia di Cecafumo che iniziai la nuova vita da seminarista in
San Miniato insieme all’amico Alberto, noi che in San Miniato
vivevamo già. Alberto nella parrocchia di Santo Stefano io in quella
di Santa Caterina.
Esperienza
in colonia gradevole ma non priva di impegni …. la messa ogni
mattina… il rosario nel pomeriggio … momenti di preghiera lungo
l’arco dell’intera giornata. Con il vantaggio, il mio,
dell’esempio e dello stimolo costante del mi’ nonno Nuti; nonno
di Stoppa come si definiva lui. Mi aveva abituato alle mie
“devozioni”, lui uomo di altri tempi (nato nel 1871), sia prima
di dormire che al momento di alzarsi. Tra queste una preghiera a San
Giuseppe del quale era particolarmente devoto … e che ancora
ricordo e canto.
Giuseppe
rimirate la povera anima mia, nella diletta via fate ch’io ponga in
piè, e quando sarà l’ora del mio fatal periglio, chiedete al caro
figlio amor pietà e mercé”
A
mia madre chiedeva, quasi un comando “Cambiami il puttero che lo
porto alla messa”. E mi portava alla messa ogni domenica nelle
prime panche, qualche volta anche al “Pontificale” delle 11 in
Domo. Non mancavamo mai alla novena di Natale nella Chiesa di San
Paolo o al maggio in Santa Caterina.
L’inizio
dell’anno fu traumatico. I primi giorni …. niente scuola …solo
silenzio… impossibile la conoscenza reciproca di ragazzi del tutto
nuovi: era la settimana di “ESERCIZI SPIRITUALI” Overdose di
..Preghiere, … meditazioni, …di omelie… nessuna pausa. Silenzio
assoluto, anche durante il pranzo e la cena, … atmosfera quasi
irreale, e… colonna sonora… la lettura a turno della vita dei
santi e del “Martirologio”. Settimana lunghissima che ci trovò
pronti tutti, eravamo una camerata di 25, ad esplodere ….. quando
ci venne consegnato il primo pallone … erano finiti gli esercizi
spirituali. Potevamo correre liberi anche di gridare nonostante un
misero campetto in terra battuta tutto cosparso di pietre e macerie..
Ricordo
ancora alcuni nomi e alcuni volti, mentre altri si sono dissolti nel
tempo. Eugenio veniva da Fabbrica di Peccioli e aveva il letto
accanto al mio, che conservò pur nelle diverse camerate negli anni
successivi. La camerata mi sembrava una reggia… per luminosità
…rispetto a casa mia dalle camere buie. Solo la camera che
condividevo con Nonno Nuti aveva una finestra. Finestra che prendeva
luce ed aria, lassù a due metri di altezza, da un tetto laterale.
Ognuno aveva un piccolo armadietto che fungeva anche da comodino, a
segnare lo spazio tra un letto e un altro. I letti lungo le pareti ed
un ampio corridoio centrale. La Camerata, quella dei “Piccoli”,
intitolata a San Luigi era posta al primo piano della parte a destra
del complesso stesso. Quella costituita da due soli piani fuori terra
con, di lato, lo scalone di accesso alla terrazza che si erge sopra
la porta Toppariorum. In dotazione alla camerata due grandi armadi:
uno per le scarpe e un altro per le merende. Da un lato la stanza dei
WC (tre bagni con turca) e dall’altro lato il reparto docce e
lavandini. Il clima apparentemente sereno, si fece pesante nella
giornata del 9 ottobre, quando non avevamo ancora preso confidenza
con gli spazi, e nemmeno con le regole. Era morto Papa Pacelli: Pio
XII. Mi venne a mente che solo alcuni mesi prima le suore di San
Paolo mi avevano fatto scrivere di pugno una lettera al Papa con la
richiesta di una macchina da scrivere. Macchina che era arrivata
giusto pochi giorni prima del mio ingresso in seminario.
Di
lì a pochi giorni mi buscai una bella bronchite, come sentenziò il
Dott. Bellini, dottore del Seminario. Ero ancora a letto quando il 28
arrivò la fumata bianca quindi l’annuncio “Abemus Papam”.
Mons. Roncalli da Sotto il Monte diventava Papa con il nome di
Giovanni XXIII.
Era
così cominciata la nuova vita, ricca di sorprese, ma anche di
disagi, di sacrifici, come di regole nuove: tante regole diverse per
stabilire.. cosa… quando… dove… come… perché … di ogni
momento della giornata. Nessuna possibilità di libera scelta, anche
per i bisogni essenziali come quelli elementari .. senza il
“permesso” non si poteva andare neppure al cesso. Come
dimenticare durante un’ora di latino, nel secondo anno, sotto
interrogazione alla lavagna, … quando me la feci addosso per merito
del prof. Busdraghi (se ricordo bene il nome) parroco di San Quintino
e prof. di matematica.
Una
campana scandiva la giornata iniziando già alle 6 a far sentire i
suoi rintocchi, accompagnata da una scampanellata infinita …..fine
del sonno e dei sogni. Potevamo aprire gli scurini delle finestre
esposte verso Gargozzi, ma guai ad affacciarsi alle altre che davano
sulla piazza del Seminario! Ogni mancanza poteva essere segnata e
punita con ..“il silenzio”…o… “il senza gioco”: Il primo
vietava sia di parlare con chicchessia, eccetto che a scuola se
interrogato, sia di partecipare a qualsiasi gioco o svago di gruppo.
Il “Senza gioco” era una punizione… ridotta … ti consentiva
comunque di parlare. La prima mattina mi chiesi … anzi chiesi ad
alta voce “dove c’è da andare?”. La risposta era ovvia: da
nessuna parte! Dovevamo comunque prepararci per andare a scuola
distanza 50 metri …. alle 8,30. Con un canovaccio consolidato nel
tempo, forse vecchio anche di qualche secolo, la giornata cominciava
con il riordino del proprio letto, l’igiene personale, del viso,
dei denti. Alle 6,30 in doppia fila, costeggiando i lunghi corridoi
attraversavamo tutta l’ala centrale del seminario per giungere al
lato estremo della Piazza …la Cappella e le sue panche di legno.
Momento della meditazione!!! … occhi segnati dal sonno e momento
personale di riflessione con l’aiuto di libretti e/o pubblicazioni.
Durante l’inverno, avvolti nella mantella di lana pesante,
restavamo combattuti tra sonno e freddo. Tra le camerate girava il
canovaccio di una rivista musicale mai messa in scena “La Vita del
Seminarista” in chiave tragicomica e con una forte connotazione di
autoironia … su regole e abitudini. Questo dovrebbe essere, vado a
memoria, il canto che accompagnava l’ingresso in Cappella: “Quando
si va a far la meditatio, qualcuno pensa anco ad Orazio, qualcuno va
su una costellatio e così se ne va meditatio. Ma perché far così?
Sarebbe meglio stare a dormir! Tra “preludi” “colloqui” ed
“affetti” chiudiamo i libretti e schiacciamo un bel pisolin”
Si
giungeva così al momento della Messa, in latino, “introibo ad
altare dei” etc.. che durava una mezz’ora quale liturgia feriale,
senza omelia. Subito dopo la Prima Colazione avara in quantità e
qualità!! Eravamo tutti vittime della febbre di cui soffriva la
Diocesi, febbre alimentata dall’economo Don Cheti, tutta presa come
era dalla costruzione della Stella Maris. Se risorse c’erano
venivano usate sempre e soltanto per Calambrone, mentre mancavano
quando c’era da approvvigionare la dispensa del Seminario. I
risultati si vedevano già al momento della colazione del mattino.
Anche in questo caso non c’è bisogno di sforzi di fantasia per
descrivere o dare un’idea … basta trascrivere, se ben ricordo, il
brano musicale della rivista anzi detta: “ Si va al refettorio..
fettorio, ti danno la colazione.. lazione, un bricco di CaffeLatte un
altro di CaffeNero che quando le senti dici è Pozzonero, .. è vero…
è vero…”
FINE
PRIMA PARTE.Il primo dietro a sx Giancarlo Pertici
Collezione di Giancarlo Pertici
Ottobre 1958 - Gruppo della camerata dei piccoli
ritratti nel "cortile" che serviva anche da campetto per il calcio
In piedi al centro Giancarlo Pertici.
Con Norberto Pandolfi e Alberto Cheti
Collezione di Giancarlo Pertici
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