di Giancarlo Pertici
CASA
VANNINI ... lo scorrere della vita a cavallo fra gli anni '50 e '60
Di
casa Vannini come era nei primi anni '50, anche ad occhi chiusi,
potrei farne una precisa mappa, arredamento e quadri compresi, fino
su in soffitta e giù in cantina. Quando si varca quella soglia, per
noi bambini, quella è la casa della "Signora". È così
che noi chiamiamo con rispetto e con affetto Corinna, lei che non si
dà arie e che per noi è quasi come una nonna. Signora che, in
quegli anni, appena passata la guerra, si trova a 'ospitare' famiglie
diverse e a condividere spazi e servizi, e mai cessa di farlo. Che è
una casa da signori lo si capisce dai gabinetti presenti, uno ogni
piano o quasi, e da quel lungo corridoio che rende esclusivo
l'ingresso in ogni stanza, io abituato da nonna Livia a stanze di
passaggio, oltre che buie. E così la prime due stanze, piano terra,
una di fronte all'altra, sono la casa di 'Beppe di Boghe', di cognome
Morelli. Appena dopo, un gabinetto, e di fronte l'andito con le scale
per salire al mezzanino, al primo piano e così via. Quindi quella
'vetrage', elegante, a colori, a suddividere il corridoio in due.
Corridoi e anditi incorniciati da una volta a tutto sesto, come pure
le rampe delle scale.
Oltre
la vetrage si entra dalla 'Signora'. Sulla sinistra la Sala, di
fronte un armadio a muro: la dispensa. Tratto questo del corridoio in
discesa quasi sempre al buio, uno scalino a metà, che termina con
un'apertura che dà in cucina, e sulla destra, la porta a toppa per
la cantina. Sala dalla quale è ricavata una stanza buia, a mo' di
ripostiglio con dentro 'di tutto' e due ritratti incorniciati: un
uomo e una donna... i vecchi di casa Vannini. Sala arredata, a
destra, con divano e, affisso al muro, un'orologio a pendolo; sulla
sinistra un pianoforte che ho strimpellato fin da grandicello;
tavolone al centro e un buffet alla parete opposta. È da una porta a
vetri che si esce, prima in una piccola veranda, poi in giardino. La
cucina stretta e lunga e una finestra che dà sull'orto; alla
sinistra una porticina con chiavistello, per uscire in giardino e in
fondo, l'acquaio di pietra. Alla destra, un'urna, ricavata nel muro a
terrapieno, con dentro la conca del bucato e il coperchio in legno.
Subito dopo, il focarile, tre fornelli a carbone, con sopra la cappa.
Accanto, una tavola, appoggiata al muro. Ci si mangia di giorno. La
sera, per cena, non basta. Quando torna babbo dal lavoro, si mangia
in sala. Io a tavola sono sempre accanto a nonno Nuti, ogni giorno,
finché sono diventato grande, a 'condividere' il pane: io la
corteccia e lui, oramai senza denti, la midolla. Nonno che col caffè,
ha una sua particolare liturgia in casa e al bar, anche se con
'Mandorlino' bisticcia sempre - Per trenta lire, dammene di più, di
caffè!! - La liturgia, quella legata allo zucchero che sembra non
sciogliersi mai, il cucchiaino quasi a mo' di campanello, quello che
in chiesa accompagna l'elevazione a consacrazione compiuta.
Elevazione che, col caffè, pare non arrivare mai.
Nei
giochi mi è compagna Giuliana, la figlia più grande di Beppe di
Boghe, mia stessa età. Già prima ancora che iniziassimo a
camminare, ci ritroviamo in giardino e in Piazza Santa Caterina a
giocare con le bambole, talvolta anche nella sua cucina. Con Elena,
la 'Puccetta', quando viene a San Miniato per le feste e in estate,
condivido le sue bambole di cartone, corredate di un infinito
guardaroba per l'inverno, per l'estate, per ogni occasione. Il resto
dell'anno, restano in una scatola, chiuse nel primo sportello a
destra del buffet. Bambole che, quando escono alla ribalta, in
passerella su quel divano rosso porpora, mi trovano modello, sarto,
cameriere secondo necessità e richieste. Qualche volta anche Anna
di' Ferlin a reclamare una parte. Fin quando arriva anche Maurizia,
mia sorella. Non so se per imbarazzo, che io mi escludo, anche se
solo momentaneamente, dal gioco - Da femmine – dichiaro, fin
quando, in estate, la Signora al mare, quelle bambole riemergono;
gioco esclusivo, io da solo, nei giorni che piove, quando fuori è
buio, libero di essere cameriere, modello o sarto.
Per
le feste di Natale poi, quando, oltre alla 'Cetta' e a tata Ines,
arriva anche 'Papalone'... 'One' per noi di casa, Actis Carlo per gli
altri... siamo tutti 'insieme' a tavola! Anche negli anni successivi
quando già abbiamo una cucina tutta nostra, quasi come famiglia
unica, tradizione che non si è mai interrotta, nonno Nuti e 'One' a
capotavola. Crostini con fegatini di pollo e tortellini in brodo,
quello della gallina più vecchia. Poi coniglio e patate arrosto. Per
finire il panettone, il Galup che ogni anno Ines porta da Torino.
Nell'angolo accanto al buffet l'albero di Natale, e sotto i regali.
Cucina
quella della Signora, la mia prima cucina, che durante l'anno quando
non è festa, è fatta di due piatti principali: polpette e
francesina. Impossibile dimenticarli. Polpette di sole patate, ma
così buone!! Quel sapore speciale che lei solo le sa dare! esaltato
da una dose generosa di noce moscata che si sente anche a distanza,
anche di anni, anche a polpette fredde. E la francesina! quella
magica trasmutazione di cui il lesso riesce a godere, sotto le mani
sapienti di Corinna, la 'Signora', anche se è solo spicchio di
petto, con conserva, quella fatta in casa, e cipolle dell'orto. Quasi
un capolavoro nel quale, mia sorella Maurizia, si guadagna il titolo
di 'Trogola', destinato a durare nei ricordi e nel tempo,
immergendovi generosamente, oltre che il viso, anche gli orecchi e i
capelli, senza contare le mani eternamente contaminate da qualsiasi
companatico "in umido". Nomignolo di cui si conquista i
galloni sul campo, in breve tempo ed inaspettatamente, col suo
ingurgitare in fretta ogni cosa, con fare circospetto, timorosa e
sulla difensiva, come se qualcuno potesse toglierle il pane di bocca.
Indelebile
nella memoria quella volta, convinta dalla Signora ad assaggiare il
'paracore' (polmone e cuore in umido), che mai ha assaggiato e che da
sempre rifiuta di fare perché - "A me 'un mi garba!!" -
Volta che invece prova e assaggia. Dapprima una midolla, appena
intinta nell'umido, a seguire un frammento di polmone, almeno quello
che la Signora le porge sulla punta di una forchetta, ma che non
convince ancora la Trogola. La quale, forse per non deludere Corinna,
si attarda lì, a bordo tegame, a persistere nel suo assaggio, fino
in fondo, fino all'ora di cena, quando a noi non resta che
accontentarsi, a tegame ripulito, delle solite uova.
È
questa la mia prima casa, la cucina condivisa con la 'Signora' e
famiglia. La notte babbo e mamma che vanno all'ultimo piano, in una
camera che prende luce da una finestra a due metri da terra, sopra un
tetto laterale a confine con Primetta. Accanto, la camerina buia. Con
Maurizia, mia sorella appena nata, il mio posto è lì, accanto alla
culla, nel mio letto di bandoni, una mezza misura. Letto di ferro,
alto da terra, sul quale mi ci arrampico a fatica, aiutandomi alle
sbarre della culla. Sdraiato, finché è giorno o finché la luce
resta accesa, la vedo e la guardo la mia sorella, lei che sembra
avere occhi solo per me. Poi, quando si resta al buio, è solo il suo
respiro e i suoi richiami a farmi capire dov'è. Troppo forte la
tentazione! E su per le sbarre di quella culla, una gamba a
cavalcioni, mi lascio scivolare dentro. Atterraggio morbido sul
materasso e su Maurizia, fino a scivolare nel sonno abbracciati. È
così che ci ritrova mamma la mattina, ogni mattina, tutti pisciosi
ma visibilmente soddisfatti. Non ricordo che ci abbia mai brontolati
o abbia fatto nulla per impedirci di dormire insieme.
Con
la crescita di Maurizia, e coi problemi legati alla lussazione
congenita delle anche, veniamo separati. Io comincio a dormire in una
camera al primo piano con nonno Nuti, letto da una piazza e mezzo.
Non ricordo esattamente la prima volta, anche se ho presente mamma
che mi mette il pigiama, mi rincalza e mi lascia sveglio a luce
accesa. - Le preghiere le dici con nonno Nuti - È lui che mi insegna
a pregare prima di addormentarmi. Ed io l'aspetto ogni notte e quando
arriva c'è sempre almeno un cavalluccio, vinto a giocare a carte dal
Giorgi. La preghiera a San Giuseppe e i racconti di Tonino. A letto e
al buio sono altra cosa! Il silenzio e il buio, anche se il racconto
è appena sussurrato, mi fanno essere lì, con Tonino, ben più che
di giorno, sugli scalini dell'orto o in collo sull'uscio di casa.
Tonino quasi lo posso toccare, e sentirne anche il tono della voce.
Assomiglia tanto a quella di nonno Nuti. Continuo a sentirlo anche
dopo che mi sono addormentato. Mi accompagna per buona parte della
notte, fino anche alla mattina. Questa è la nostra prima camera, mia
e di Nonno Nuti. Storie, ricordi legati anche al primo mal di denti,
alla prima Otite, alla prima influenza, alla prima volta di qualsiasi
cosa.
È
al primo piano che la Signora tiene un gabinetto esclusivo, una
grande camera con ripostiglio ed una sala, grandissima, arredata in
stile coloniale. Divani e poltrone in giunchi e bambù, ricoperti da
cuscini di pelli di cammello, un grande tappeto, una piccola veranda
con scrittoio, foto incorniciate in bella posa alla luce del deserto
in costumi coloniali dell'epoca, canterale e una enorme finestra che
occupa tutta la parete affacciata sul giardino e sull'orto. È la
casa della Signora. L'arredamento, quello portatosi dietro dalla
Tripolitania, quando negli anni 30, suo marito carabiniere era di
stanza in Africa.
Al
mezzanino la casa di Irma coi tre figli e Giovanni, il marito, che fa
il manovale e torna solo la sera. Casa fatta di camera e cameretta
buie, oltre a una cucina che prende luce da una porta a vetri che dà
sul terrazzo, rivolto al sole di Gargozzi. La Camera grande per Irma
e Giovanni, di lato un lettino per Anna. In camerina, nel lettino
bastardo, dormono Berto e Giancarlone insieme. Il gabinetto è al
piano terra, a mezzo con la Signora.
All'ultimo
piano c'è Tetta col marito, il Micheli, oramai vicini alla pensione,
mentre la figlia sta a Roma da anni, dove si è trasferita dopo
sposata. Tetta, che ha un gabinetto tutto per se e sul fronte strada
due grandi camere, ne tiene una sempre vuota che si anima, quando in
estate, al termine della scuola, arrivano da Roma i nipoti, Piera,
Piero e Franca.
In
quelle due stanze a piano terra, ben me lo ricordo Boghe col suo
linguaggio colorito. - È una sagoma! - Sottolinea Corinna. Non ho
mai capito cosa volesse dire. Forse perché lui... quando a
bischereggiare, quando a bisticciare in tono animato con la moglie
Isola, fino al giorno, ma non saprei dire di che anno, che trova casa
in Via Maioli e trasloca.
È
così che andiamo a 'vivere da soli'. Quella stanza a sinistra
diventa la nostra prima cucina. Un acquaio in pietra con lo scarico
che va diretto nel tombino in strada. Per l'acqua, ci arrangiamo con
la cisterna di casa e con la fontina di piazza. Ben ricordo quella
tavola, i miei primi compiti, e quelle trapunte che mamma cuce per
una confezione di Empoli. La sera a cena siamo solo noi quattro, se
babbo torna presto; altrimenti noi bambini ceniamo alla nostra ora e
dopo a letto! È quasi sempre così. Qualche volta invece la sera,
appena cenato si esce. Si va a veglia. Si va da Nonna Livia, la porta
accanto, se ci sono le canzoni alla radio. Quando arriva la prima
Televisione da Pietro, è solo dopo Carosello che filiamo a letto noi
bambini, anche se è la volta di "Lascia o Raddoppia" del
giovedì. Una sera, che è sabato, babbo arriva con una sorpresa. Se
la porta da Empoli con la corriera della "Danti & Biagioni",
autista zio Magnino. È il primo fornello a Gas. Tre fuochi marca
Flamma; la scritta in rosso. - Sono già stato da Pietro, viene a
metterci la bombola del gas! - E infatti, armato di chiave inglese,
arriva proprio Pietro, bombola in una mano e gomma nell'altra. È
così che mia mamma può lavorare a macchina, il 'fuoco' sotto la
pentola che va da solo senza bisogno di ventaglio.
Anno
intenso quello principiato con la cucina nuova e con tante novità
nell'aria, sospirate e immaginate. Ora che ha trovato anche da cucire
cappellini per impermeabili, mamma insieme a babbo, un giorno parte
per Empoli. Vanno dal 'Morino' a comprare una macchina da cucire
vera, macchina industriale dal costo importante. Col 'Morino', che ha
bisogno di farsi conoscere e di fare promozione su San Miniato, e col
lavoro che cresce, c'è subito l'accordo. Pagamento a rate. Con
piccole cambiali, arriva la Pfaff: una macchina da cucire a pedale.
Lavoro faticoso anche, e babbo, la sera, di ritorno dal suo lavoro,
anche se è tardi, si siede di fronte a mamma e pedala anche lui.
Impossibile capire una sola parola per il rumore della ruota, il
cigolio del pedale, il frinire della cinghia, senza contare il
battito dell'ago sulle trapunte e sulla gabardina, mentre la prima
Radio, marca 'Geloso', ripete le canzoni dell'ultimo Festival di San
Remo. Con quello che guadagna anche mamma, la casa si arricchisce
presto di pentole nuove, di qualche tovaglia, mentre si comincia ad
usare anche i detersivi confezionati al posto della 'lisciva' e della
cenere.
Mi ricordo ancora quel sabato e mamma radiosa di
ritorno da bottega, dalla bottega di Nello a chiudere il conto del
mese, con quel libretto in doppia copia sul quale si segna, giorno
per giorno, la spesa fatta. Quel mese per la prima volta i soldi
riscossi sono di più di quelli da pagare e il libretto viene chiuso
definitivamente. - Da domani non si segna più! Si paga tutto
subito.- Dalla contentezza di mamma e babbo, deve essere qualcosa di
veramente importante!! anche se non posso più passare a prendere un
fruttino per merenda e dire - 'poi passa mamma a segnare'! -
È
sempre tempo di cambiamenti in Casa Vannini. Sono le famiglie che
crescono a chiedere spazio, con la 'Signora' sempre disponibile. È
tempo di Traslochi, tutti dentro Casa Vannini: nessuno che va via, è
solo la 'Signora' che cede stanze e spazio agli altri, lei "Signora"
di nome e di fatto.
I primi a godere di queste inattese novità
siamo io e Nonno Nuti. Lasciamo la nostra camera al primo piano e
traslochiamo in quella che era stata la camera dei miei. Ultimo
piano, finestra piazzata lassù in alto ad aprirsi sul tetto
laterale. A confine con la camera, la cucina di Tetta che ha sempre
qualcosa da borbottare. Il Nuti non l'ascolta nemmeno, così non
litigano mai. Il letto in ferro, testate di bandone, è
particolarmente alto. Il comodino, con in basso l'orinale estraibile,
diventa un trampolino per arrivare sul letto. Con il tempo imparo,
montando sul comodino, ad arrampicarmi fin sul davanzale della
finestra, per montare sul tetto, teatro di caccia ai nidi di
passerotti che nel tempo saranno una delle passioni di Berto.
Irma
prende possesso di tutto il primo piano. Porta a vetri per accedere
direttamente alla sala, e da lì, alle due camere di passaggio,
ripostiglio compreso. La cucina corrispondente alla veranda della
Signora con grande vetrage sul giardino e sull'orto. Gabinetto e due
antibagni in esclusiva, con 'vate' al posto della buca. Noi, io,
babbo, mamma e Maurizia saliamo al mezzanino. Cucina con terrazzo.
Camera e camerina buie, io che già dormo con Nonno Nuti. Il
Gabinetto a piano terra a mezzo con la Signora, ma ancora per pochi
anni. Arriva presto un gabinetto, ampliamento sopra il giardino,
tutto nostro. Solo negli anni 60 anche la doccia nell'antibagno.
Con
i bambini che crescono, cambiano anche le abitudini, ma non sempre.
C'è infatti chi dà piena conferma del nomignolo affibbiatole
d'istinto, la 'Trogola', che non sembra avere limiti quando si tratta
di mangiare e si adatta subito a questa nuova disposizione in Casa
Vannini. La Signora a piano terra, noi al mezzanino, Irma al primo
piano e nonna Livia, solito posto, la porta accanto. Quasi una mappa
disegnata nella mente e nel suo stomaco, quasi fosse una corsa a
tappe, direi quasi a cronometro per rispettare tempi e percorsi, mai
oltre il tempo massimo. E Maurizia sempre presente all'ora di cena in
quelle case, porta sempre aperta, con la chiave sempre infissa
nell'uscio, se non addirittura senza. Orario di partenza - quello
serale dedicato alla Cena - dalle ore 7, da casa Ferlin. È l'ora che
Irma esce dall'ospedale, la cena quasi sempre preparata il giorno, da
scaldare la sera, per Giovanni che, minuto più minuto meno, arriva a
quell'ora e vuole cenare subito. I figlioli a ruota. Mentre io scendo
prima di quell'ora per andare da Nonno Nuti e anche in casa da mamma,
Maurizia si intrattiene. Quello di Irma - Vuoi cenare con noi? - è
quasi un invito, irrinunciabile per la Trogola che prontamente si
siede, ingurgita primo, secondo e contorno, di fronte a Irma convinta
che dove si mangia in cinque si può mangiare anche in sei e anche
che quella sarà la cena della Trogola, che prontamente risponde a
mamma, quando sente la sua voce dalla tromba delle scale - È pronto,
vieni Maurizia!! - E lei ubbidiente, arriva a tavola, si siede
accanto a babbo come al solito e si mangia tranquillamente la 'sua
cena', consumata velocemente sempre, presa dalla smania di correre
subito da Nonna Livia, appena cenato, senza perdere un minuto. Io mi
sono fatto l'idea che si sia fissata con la Radio di nonna Livia, da
quando è arrivata quella nuova. Da Nonna Livia si cena sempre tardi,
mai prima delle 8 e mezzo. È sempre dopo quell'ora che tornano dal
lavoro sia Rodolfo che Alberto, il primo da Firenze, l'altro da
Empoli; il primo autista e il secondo trombaio. La scena sembra la
stessa davanti a quella tavola così affollata, tra zii e nipoti,
dopo che anche Berta con figlie è tornata alla casa madre dopo la
separazione.- Ma hai cenato? - La domanda spontanea di Nonna. Un No
forse appena accennato. Oppure un Sì se la domanda è invece - Hai
fame? - che lei si rimette a tavola senza tanta furia. Se e quando
arriva mamma a prenderla per metterla a letto, lei è già accanto
alla radio o a giocare in disparte con Daniela. Solo dopo alcuni mesi
e dopo alcune indigestioni, diversamente diagnosticate dal dottore,
la scoperta in flagranza delle cene impunemente consumate da tutti,
che ne fissano indelebile il nomignolo: Trogola.
Poiché
il lupo perde il pelo ma non il vizio, memorabile il ricordo di un
giorno, con salsicce rifatte all'uccelleta con fagioli, per cena. Una
salsiccia a testa, e una per il tegame, come si suol dire. Ma solo un
modo di dire "per il tegame", come quella sera che mamma,
dopo che tutti abbiamo mangiato la nostra salsiccia, dopo un primo di
pasta e fagioli, fà - C'è una salsiccia, chi la vuole? -
Istintivamente penso a babbo, al suo lavoro, lui che la mattina parte
alle cinque per tornare alle 10 della sera e che fa un lavoro
faticoso, al freddo. Invece è la Trogola che batte tutti sul tempo -
Io - ben scandito, dito alzato a scanso di equivoci, per quella
salsiccia evidentemente tanto agognata. Appena un attimo, appena un
gesto quello col quale Maurizia, la 'Trogola', infila la salsiccia
con la forchetta e tutta intera se la infila in bocca, ovvero tenta
di farlo spingendola anche di lato con il pollicione della destra, ma
con scarsi risultati. Le salsicce di Falasco sono sempre piuttosto
grosse. Manovre che non passano inosservate a babbo, evidentemente
con ancora della fame da soddisfare e con, nella mente, le ripetute
cene di cui la 'Trogola' si è resa rea, a danno dell'immagine della
nostra famiglia. Manovre che non riesce a dissimulare perché, nel
momento in cui sembra subire un'inizio di soffocamento, babbo le
viene in soccorso, più per rabbia, con una sberla tale, tra capo e
collo, ché la salsiccia, disincagliata da quella bocca spalancata,
quasi fosse un siluro, ne esce attraversando tutta la cucina,
scansando miracolosamente mamma, andando a rifinire pari pari dentro
l'acquaio. Il tutto in un silenzio surreale, prima dell'esplosione di
una risata, mia e di mamma, poi anche di babbo, dopo che ha
recuperato la salsiccia quasi intera dall'acquaio.
In
quegli anni 50, appena affrancati dalla spesa fatta col 'libretto',
bottega sotto casa, arriva la voglia di una sorta di dispensa
alimentare, come quella dei signori, che inizia dal vino, preso
finora a litri da Olimpia o da Pietro, quasi ogni giorno. A
damigiane, lo si può comprare da Cesare, fratello di nonno Lillo,
che ha il podere dietro il sanatorio. Costa meno che a bottega. Ci
vuole posto! ma noi abbiamo la cantina della Signora e tutte le
bottiglie vuote che vogliamo. Unico inconveniente il Dazio. Bisogna
andare 'di là', accanto a 'Baldo' l'appaltino c'è l'ufficio del
Dazio che apre ogni mattina alle 9. La prima volta ci va mamma e ne
torna anche arrabbiata. - Hanno voluto sapere quanti litri è la
damigiana, quale è il suo peso, quanti gradi fa il vino, l'indirizzo
e i dati di zio Cesare, il nostro indirizzo, l'orario di partenza e
quello di arrivo ed anche il percorso con le vie. Addirittura se si
passava anche da altri Comuni. Per fortuna c'era uno che conosce bene
nonno Lillo e anche zio Cesare e ha fornito lui tutti i dati che non
sapevo. Poi la sorpresa finale: il costo, centocinquanta lire.( se
ricordo bene) Un vero furto. - ...tutta d'un fiato, mentre babbo
ascolta in silenzio. Capisce solo quante lire si sono tenuti quelli
del Dazio. - Tra poco costa più del vino! - L'espressione, quasi a
voler giurare vendetta. - Godetevi questi... per me sono gli ultimi
che vi prendete! - Minaccia dal tono di una promessa, quella di
babbo, che viene mantenuta appena finita quella prima damigiana,
appena svuotato l'ultimo fiasco. Questa volta non viene Cesare a
portarci la damigiana. Ci dobbiamo pensare noi! Dopo cena, già
tardi, forse le dieci, arriva nonno Lillo. Assieme a babbo, escono di
casa. - Si incamminano verso Cesare. - penso io! Invece no!
Attraversano la via, passano di casa di Natale, escono nell'orto al
buio, c'è la luna, e scendono fin nel vicolo carbonaio che costeggia
i muri perimetrali dei giardini dell'ospedale. Appena lì sotto...
l'aia di Cesare. Con l'aiuto di Natale e di suo cognato, una maniglia
per ciascuno, salgono su per quegli scalini scavati nel ciglione e
per quelli dell'orto di Natale, fino in casa. Giunti nell'andito,
sono le donne a fare la loro parte. Da un lato mamma, dall'altro la
moglie di Natale, sulla strada, davanti ai rispettivi usci. Si
aspetta il momento opportuno, nessun sguardo curioso in giro, neppure
in lontananza, che possa destare sospetti, fino all'avviso sussurrato
- Tutto libero, via! Svelti! - In silenzio, in punta di piedi, quasi
in apnea trattenendo anche il respiro, fin dentro l'andito della
Signora, fin giù in cantina, sul retro, dove fiaschi e bottiglie
risciacquate sono pronte in fila a nascondere il corpo del reato, in
quella liturgia contagiosa dell'infiascamento di quella damigiana che
'pari pari' senza scossoni ha superato scalini e dislivelli per
lasciare inalterato sapore ed aspetto. Silenzio che viene rotto solo
dopo l'ultimo fiasco, nel viaggio di ritorno di quella damigiana
vuota, verso valle e verso la cantina di Cesare. La misura d'avanzo
tracannata e festeggiata tra risate e sberleffi all'indirizzo del
Dazio.
E
sempre da Cesare, appena pochi mesi dopo, prima che comincino i primi
freddi prende forma l'ipotesi Maiale. Un maiale da scannare e
lavorare tutto per noi. In parte insaccati, salsicchie e salami, e in
parte salati interi tra rigatino, gote, spalle e prosciutto.
Tentazione, da 'contadino smesso', alla quale babbo, anche istigato a
dovere da Lillo, non riesce a resistere; a buona ragione! Le risorse
questa volta ci sono! Per la lavorazione del maiale, nessun problema:
tutto 'in casa' affidandosi alle mani esperte di Lillo. Unico
problema e neo, il DAZIO, per il quale cambia lo stratagemma e la via
a percorrere. È nel tardo pomeriggio, approfittando di un giorno di
lavoro e di un cantiere aperto nel giardino dell'Ospedale, che si
consuma il primo atto, anche se non in perfetto silenzio. Il maiale
sembra non aver voglia di collaborare e sbraita più del dovuto. 'Da
Mandorlino', pur intenti e presi dalla solita partita a ramino,
Giancarlone e Tarcisio ben avvertono le proteste del maiale anche se
non possono sapere con chi può avercela. - Cesare è alle prese col
maiale! Oh che mi pareva che l'avesse già ammazzato la settimana
avanti! - È solo una riflessione ad alta voce, quella di
Giancarlone, appena un'attimo. Attirato dalla 'calata' improvvisa di
Tarcisio, ha occhi ed orecchi solo per le carte. Intanto il maiale
mette fine alla sua forma di protesta. Di sotto, in cantina, Cesare e
Lillo, dopo un attimo di imbarazzato silenzio, portano a
completamento l'opera e issano, con le taglie, fino alla trave del
soffitto, il maiale, diviso in due. Sangue e interiora in una tinozza
da consumare al fresco. Quella sera in casa di Cesare, da Lillo e
Norma per cena c'è il fegato. Anche da noi e da Livia, per primo
minestra in brodo e per secondo fegato di maiale.
È
l'inizio di una liturgia che, dazio o non dazio, ci accompagna ogni
anno ad inizio inverno. Diversa la strada, sempre di notte, con la
luna piena o quasi. Mezzo di trasporto una carretta di legno, rotino
ingrassato contro cigolii sospetti, con sopra legato il maiale,
ripiegato in due tronconi. La partenza fissata a buio. La notte
quella appena dopo il 'trapasso'. Il percorso più rischioso è
quello da casa fino alla via maestra, accanto al Sanatorio, in
salita. Poi la parte facile, in discesa, che è il tratto però più
scoperto, fino al Pian delle Fornaci. Di lì a destra nello stradello
che porta dal Giusti e da Frillo, con deviazione subito a sinistra
verso Gargozzi, ancora in discesa. Fin sotto gli orti. Il primo con
muro a chiudere, quello di casa Vannini. Una porticina a toppa che il
Nuti, a giorno, ha liberato dalla nottola e dal corrente puntellato
alle scale, per la parte più difficile e faticosa. Cento e oltre gli
scalini, con sul groppone mezzo maiale ciascuno, Lillo e Manlio. Una
sosta a mezzo e il difficile passaggio finale quando le pareti a
stringere costringono Lillo e Manlio a chiedere aiuto a Corinna e
Eda, per superare a barella quello stretto passaggio e il cancello
che chiude il giardino, e per deporre il maiale sulla tavola di
cantina. Cantina vestita a festa, riordinata per l'occasione, rimessa
a pulito. Segatura passata in terra e 'diressola' passata ai correnti
del soffitto. Sembra anche più grande, più luminosa con i vetri
puliti e la lampada nuova. Niente damigiane vuote in giro; fiaschi e
bottiglie insieme nella cantina di sotto, quella ricavata nel tufo
sotto la strada. La legna per la stufa rimessa a stiva sotto scala.
Il deschetto di nonno Nuti e i suoi attrezzi in un angolo, di lato
alla finestra, accanto alla vetrina degli attrezzi.
Il
marmo della tavola lavato e risciacquato da Corinna per l'occasione,
per il maiale già pronto a trasmutare in salami e salsicce. Rito al
quale mi appresto ad assistere, assieme a nonno Nuti, dal suo cantone
per non dare noia, e che comincia non prima di un'occhiata fuori, per
capire che tutto sia calmo. Prima si affaccia Corinna e con una scusa
attraversa la strada fin sull'uscio di Mandorlino, a sbirciare verso
Pancole e verso Santa Caterina. Poi è la volta di Eda, di mamma. Lei
entra direttamente all'appalto e prende una scatola di fiammiferi e
una di svedesi, per il fuoco, ma anche due candele; non si sa mai..
andasse via la luce! Il suo è un passaggio discreto a capire chi c'è
e sopratutto chi non c'è che potrebbe fare la spia al Dazio.
Un'occhiata attenta anche dentro allo stanzino della TV, un saluto a
Italia e di nuovo in casa. Se qualcuno chiede di Manlio, e c'è chi
lo fa per abitudine, lei risponde. - È così stanco che si è
addormentato a tavola. Ora va a letto. - Senza far rumore, per non
far capire come mai manca anche Lillo, inizia quella liturgia in
grado di trasformare ogni parte del maiale in un bene prezioso. Mamma
e Corinna a tenere accesa la cucina economica che ha sostituito il
fornello a carbone, per cuocere 'Mallegato', fegatelli, cotenne per
la soppressata, e grasso che diventa strutto. Quella sera, a cena,
ciccioli caldi caldi per tutti.
È
solo l'inizio di un periodo che sembra annunciare novità ogni
momento, alcune sognate, altre impreviste, talune perseguite, quasi a
gara con il vicino di casa, a chi ci arriva per primo. Clima
competitivo privo di acredine, ma alimentato dalla voglia di
meravigliarsi e di meravigliare che sembra capace di lavare, anche
sudore e fatica, dopo intense giornate di lavoro.
Con i primi
fornelli a gas, in tutta Casa Vannini arrivano anche le prime cucine
economiche a legna. La prima è quella di Nonna Livia. In casa mia
arriva quando ci trasferiamo al Mezzanino. Cucina che in inverno
scalda tutta la casa. Il fornello a Gas 'Flamma' va a rifinire su una
mensola di marmo accanto alla stufa. È nello stesso periodo che
anche Irma e Giovanni riescono a mettere insieme i soldi per farsi la
cucina economica.
È
nello stesso anno, con una primavera generosa ad annunciare un'estate
anticipata, che maturano altre voglie. Tutte insieme. La prima è
del Comune, che sta facendo una campagna di promozione per mettere
l'Acqua in Casa a tutti. Ed è proprio ad inizio di quella primavera
che Manlio e Giovanni preparano tracce, zio Alberto mette i tubi per
l'acqua. Acqua che arriva così in casa, in ogni cucina. In quella
primavera, anticipo dell'estate, ad alimentare anche la voglia di
Frigorifero, alla televisione sono mesi che nel Carosello ne parlano.
In
missione dal 'Rosi', in San Martino, mamma e babbo tornano con le
misura del frigorifero: un Telefunken, il più grosso. C'entra appena
in quell'angolo. Sporge ma non dà noia. Nei giorni successivi, si va
a riempire, anche di cubetti del ghiaccio. Frigorifero che diventa il
fiore all'occhiello di mamma, da sfoggiare ad ogni occasione, ad ogni
visita. Offre da bere a tutti. Un pomeriggio di inizio estate,
proprio quella prima estate, babbo arriva accompagnato da un
rappresentante che gli vuol vendere una motocicletta: l'Aermacchi.
Tutta presa nella sua parte di padrona di casa, segue alla lettera
gli ordini di babbo - Offri da bere a... (non ricordo il nome) -
Bòccia grande della Generosa in tavola, sciroppi Fabbri che fanno la
loro comparsa nei gusti Orzata, Menta, Limone e Tamarindo... a
scelta. Non ricordo il gusto, ma l'acqua gassata ad emulsionare lo
sciroppo che si fa bibita. - Ci vuole del ghiaccio ? Quanti? - Con
accortezza deposita tanti cubetti quanti richiesti, senza accorgersi
della parte di plastica. Pochi attimi dopo, vedo impallidire mamma.
Ne seguo lo sguardo sgomento, fisso sul bicchiere dell'ospite, dove
galleggiano i resti. Quasi un lampo nei suoi occhi. Soluzione a
portata di mano? Quasi! Con destrezza, facendo il giro del tavolo,
dando le spalle all'ospite... quest'ultimo attratto da babbo che sta
per cedere alle proposte... con fare da borsaiola consumata, facendo
uso di quelle unghie lunghissime laccate in rosso, con un solo colpo
le pesca tutte e due assieme. Appena un'increspamento della
superficie, dovuto più all'istintivo movimento dell'ospite ignaro,
nel gesto di portarsi il bicchiere alla bocca - Eccellente!
Freschissimo. Grazie! - Aneddoto quello dei cubetti di ghiaccio che
in famiglia, anche quella allargata, ha trovato sempre più versioni,
a seconda di chi nel momento ne fa memoria, la sua o quella
raccontata da altri.
C'è
stato un periodo, di ritorno da veglia dal Circolino dello Scioa,
quelle poche volte che mi ci portava babbo, che infilandomi nel letto
in attesa di nonno Nuti, dopo aver assistito in TV a "L'Amico
degli Animali" con Angelo Lombardi, mi lasciavo andare a
fantasticare ad occhi aperti, ad immaginare l'impossibile.
Impossibile che prendeva le sembianze di una Televisione sul
cassettone, nella parete a fondo letto, e che durava solo qualche
fotogramma, che comunque prendeva forma tanto da restarmi impresso
anche nei ricordi, di bambino di allora. Fantasticheria che
improvvisamente pare tramutarsi in realtà, quella sera che babbo di
ritorno dal lavoro sentenzia - Domani arriva la Televisione, 21
pollici, Telefunken - Babbo ancor prima di cena comincia a lavorare
di scalpello. - Pochi minuti – sembra voler dire, appena comincia a
scalpellare su quel muro, intonaco vecchio, muro a mattoni pieni.
Pochi colpi, ed ecco pronto il posto per la prima mensola. Una
controllatina al piano con la livella, e comincia a praticare il
secondo foro. Un colpo, un secondo, forse sferrato troppo forte, lo
scalpello scompare, come d'incanto, senza far rumore, di là dal
muro. - È andato a rifinire in camera di Iole – è il commento
quasi divertito di babbo, che inforca le scale e va a suonare il
campanello di Iole per recuperare scalpello e verificare i danni.
Torna dopo appena cinque minuti, meravigliato e divertito. - Lo
scalpello non è da Iole! - Cosa può essere successo? La verità è
ben più semplice. Lo scalpello è dentro il muro, che non è un
semplice muro ma un terrapieno che, alla prova dei fatti, è di oltre
un metro. Continuando a scalpellare fino a ritrovarlo, viene alla
luce un'urna larga e profonda quanto la mensola di marmo, per la
televisione a 2 metri da terra.
Poi
arriva il sabato ed iniziano le grandi manovre. Tutte quelle seggiole
che da pian terra, in parte dalla cantina, arrivano fino in cucina e
di lì in terrazza. Cucina che viene sgombrata di tutti gli arredi
inutili, iniziando dalla tavola che pari-pari va a rifinire in
terrazza, assieme alla cesta dei panni da stirare, al ferro da stiro;
la cesta dei 'cappellini' finisce in camera sul lettone. Insomma
tutto sgombro. La macchina da cucire appoggiata al muro sotto la
televisione incastonata a due metri da terra, mentre sulla mensola
accanto all'acquaio trovano posto gli Sciroppi Fabbri, bicchieri,
Acqua Generosa, il Vin Santo di Cesare assieme ai cantucini preparati
da Corinna e quelli biscottati di Irma. E davanti alla televisione,
iniziando dalla poltrona in prima fila riservata a Livia, file di
sedie che dalla terrazza trovano posto in cucina, mentre viene acceso
lo stabilizzatore che si annuncia con suo ronzio inconfondibile e che
sparisce solo perché sovrastato dal volume della televisione, appena
pochi minuti giusto il tempo che si riscaldino le valvole. Siamo in
onda! Volume a tutta che c'è ancora il telegiornale al quale Livia,
sorda come una campana, non vuole mai mancare e che inaugura la
serata: c'è IL MUSICHIERE.
Serata
nella quale tutto sembra fermarsi e che fa il tutto esaurito sia da
Pietro che al Circolino dove da pochi mesi è arrivata la Televisione
a 22 pollici. Per me e Maurizia quasi sempre posti in piedi, poi
arriva Irma e Giovanni assieme a Berto e Anna, mentre Giancarlone
esce con gli amici. Arriva la Signora, mentre nonno Nuti esce per la
sua partita a carte. Tetta resta confinata nella sua 'mansarda' a
suonare la solita musica, percussioni e gran cassa. Appena finito il
telegiornale e mentre va in onda Carosello inizia la sequela degli
'arrivi' dei vicini e di quelli che lo sono meno. Natale e Famiglia,
Marisa la Cecconi, Gina e Primetta, zia Pia, la Giannoni, Giovanna e
Giorgio di' Giolli, Marino con moglie e Rosaria al seguito, Cento
Lire e famiglia, Medoro, mi sembra il Latini, qualche volta Beppe
l'arrotino, se non ha altro da fare Gino e Adelina da sotto il Ponte.
Non tutti sempre ma quasi, ad occupare nell'ordine partendo dal più
lontano, tutti i posti a sedere disponibili; mentre qualcuno resta
anche in piedi accostato al muro che dà in terrazza, qualcuno anche
nel corridoio anche se la televisione la vede di 'sguincio'. Ma tutti
o quasi, prima che la trasmissione principi. Quando la 'Signorina
Buonasera' si annuncia... si spegne quella circolina a neon che dà
luce alla cucina e si accende la luce dietro la Televisione che il
Rosi ha consigliato. Silenzio assoluto e inizio del MUSICHIERE,
mentre circolano cantuccini e vin santo, bicchieri generosi di menta,
orzata, limonata a volontà sotto gli occhi inorgogliti di mamma,
combattuta tra il godere del Musichiere che va in onda e dei sorrisi
soddisfatti di amici e ospiti. Serata che si consuma velocemente e
che termina, Livia permettendo, solo quando sale al cielo quella
antenna senza fine a sentenziare che le trasmissioni sono terminate.
Solo allora Livia libera il posto e, dando la buona notte, decreta la
fine della serata. Tutti a letto, si mette a posto la mattina dopo:
tanto è domenica! "Domenica è sempre domenica", come la
sigla finale che mi accompagna gradevolmente mentre me ne vado a
letto ad incorniciare il clima appena respirato, fino alla mattina
successiva dove non si va a scuola.
È
questa l'atmosfera che fa da sfondo all'avvento quasi simultaneo del
telefono e della prima lavatrice, e negli anni successivi del
gabinetto in casa e della prima doccia, delle mattonelle in cucina e
delle prime cucine componibili 'Salvarani', dei motori che cambiano
fino alle prime automobili, quasi tutte rigorosamente usate, che
rendono unici quegli ultimi anni 50 e tutti o quasi i successivi anni
60.
Il
telefono, infisso nel muro, di color nero, arriva dopo una attesa di
qualche mese ed un costo non a portata di tutte le tasche. Telefono
quale strumento insostituibile di contatto con i clienti, ma non
solo. Alla vigilia delle feste, dopo aver prenotato ora, numero
telefonico, prefisso e, volendo, anche il nome della persona con la
quale parlare, basta fare il numero del centralino della Sip di
Empoli (se non ricordo male il 12) che una signorina ti mette in
contatto con il numero richiesto. È quasi sempre a Torino, dove Ines
si è trasferita da Domodossola, la chiamata per gli auguri ed alla
fine della conversazione è possibile anche conoscere il costo della
chiamata che sarà addebitata poi in bolletta. Possibilità che apre
le porte di casa a quanti sentono il bisogno di mettersi in contatto,
con figli, parenti, amici o fidanzate e che trasformano casa Pertici
in una sorte di centralino dello Scioa, sempre in funzione. A volte
basta affacciarsi sul terrazzo, per annuciare a gran voce
-"Giorgiooo! Alle 8 e mezzo ti chiama la tua fidanzata"-
uno dei tanti comunicati di cui rammento grosso modo il contenuto, e
che fa stazionare lì nel corridoio, seduti sulla cassapanca a mo' di
sedile, quando tizio qualche volta caio, nessuno escluso secondo
bisogno.
Nel
frattempo noi bambini cresciamo, prima ragazzi, poi giovinetti e poi
adulti ma comunque abituati a vivere a porta aperta o con la chiave
nell'uscio in quella Casa che ci ha consentito di crescere e
diventare quelli che oggi siamo. Insieme agli altri, fuori casa alla
ricerca dei nostri spazi per giocare, a scuola con gli altri bambini
dello Scioa o dei paraggi, le nostre prime vacanze, quelle al mare e
quelle in Colonia. Ognuno con una propria storia, nata all'ombra di
quella casa.
Giancarlo,
chiamato per comodità Giancarlone perchè più grande di me, come si
usava allora , appena dopo le elementari, viene mandato ad imparare
un mestiere. Gli tocca quello di calzolaio. Non lo sceglie lui, ma
gli viene scelto in casa. Diventerà un ottimo Montatore di scarpe,
sandali e stivali. Nel corso della vita ci incroceremo, lui
apprezzato montatore in un calzaturificio del mio stesso gruppo e io
ragionierie in un altro. Ci ritroviamo a sposarci a distanza di pochi
mesi, prima io e poi lui. Lui sposa una ragazza de La Ginestra, come
altri di quel gruppo, che il sabato e la domenica frequentavano
quella sala da ballo. Dopo sposato si mette a fare quello che non gli
era stato concesso da ragazzo: studiare. Diventa così Infermiere
Professionale e come tale lavora fino alla pensione.
Io,
Giancarlino per tutti, dopo un periodo in Seminario divento
ragioniere e come tale lavoro fino alla pensione nel comparto
calzaturiero, dopo essermi trasferito a Marina di Pisa dove conosco
la donna della mia vita e dalla quale ho due splendidi figli. Ora che
sono in pensione ormai da 7 anni, mi scopro anche scrittore.
Anna
Ferlin dopo la scuola elementare va a imparare il mestiere di
parrucchiera dalla signora Pucci in Via Paolo Maioli. Quella che in
casa Vannini era stata la prima camera di Boghe, diventa il suo
negozio di parrucchiera, finché non si sposa col suo Riccardo e si
trasferisce a Fucecchio, dove ora vive da pensionata.
Maurizia,
mia sorella, stanca della scuola preferisce imparare un mestiere. Va
prima dalla Turini in San Miniato e poi da Mirella Matteucci a Cigoli
per imparare ad aggiuntare. Sarà il lavoro della sua vita da
ragazza. Dopo aver conosciuto e sposato a Marina di Pisa il suo
Roberto, si metterà con lui a vendere scarpe al mercato fino alla
data del suo pensionamento. È morta inaspettatamente due anni fa per
le conseguenze dell'artrite reumatoide, di cui era affetta da
anni.
Elena vive tra Domodossola e Torino per tutto il periodo
della scuola elementare e media, ma durante le feste natalizie e
sopratutto in estate è sempre a San Miniato da sua nonna Corinna, La
Signora. Per noi è una del gruppo anche se non c'è sempre. Finite
le 'medie', i ripetuti cambi di scuola la portano a restare quasi
fissa in San Miniato da nonna Corinna, fino a diventare una
apprezzata Ostetrica e non solo. Vittima di una gravissimo incidente
sul lavoro, in ospedale, con ustioni devastanti in tutto il corpo,
viene colpita negli anni successivi da un male incurabile e morirà
nella sua San Miniato a soli 40 anni.
Berto
al termine delle elementari va a fare il lavoro che desiderava, il
meccanico. Barani e Giannini l'autofficina dove in San Martino impara
il mestiere, che abbandona per quello di venditore di accessori per
auto. Ereditato il soprannome Patitta, che fu di suo padre, come tale
è conosciuto un po' da tutti in San Miniato, dove vive da
pensionato.
Questa
la storia di casa Vannini e di noi bambini cresciuti alla sua ombra,
in strada con gli altri, in piazza, su e giù per lo Scioa, a
contatto con "dilaisti" e "diquaisti". Storie
impresse negli angoli delle case, negli anditi, negli archi di "sotto
il ponte", scolpite sulle lastre di piazza dell'Ospedale. Storie
della cui eco, tra risa e grida, tra sapori e odori, sono intrisi i
muri delle case, dell'asilo, delle botteghe, della scuola. Storie
uniche e irripetibili, che meriterebbero tutte di essere raccontate.
Ines Vannini nipote di nonno Nuti, Corinna Vannini, Elena Actis bisnipote di nonno Nuti, Brucci Eda nei Pertici, Manlio Pertici.
Foto Collezione Giancarlo Pertici