INTRODUZIONE
a
cura di Francesco Fiumalbi
Su
segnalazione degli amici di “Della Storia d'Empoli”,
a cui va il nostro più sentito ringraziamento, proponiamo l'estratto
di un interessante volumetto dei primi anni del '900. Si tratta del
testo redatto da Guido Carocci
(Firenze, 1851-1916), dal titolo “Il
Valdarno. Da Firenze al mare”,
edito a cura dell'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, nel
1906.
Guido Carocci, Il Valdarno. Da Firenze al mare,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1906, frontespizio
E'
interessante per vari aspetti. Prima di tutto per il tema del
viaggio, che riprende idealmente l'opera di Francesco Fontani,
Viaggio Pittorico della Toscana,
dato alle stampe un secolo prima e di cui abbiamo già avuto modo di
parlare. Tuttavia il testo di Carocci va oltre alla dissertazione
puramente storica del Fontani,
o storico-geografica del Repetti,
andando ad indagare anche, e soprattutto, la sfera artistica. In
questo senso Carocci riconosce all'Arte il ruolo di massima
testimonianza della cultura e della storia dei luoghi. Non a caso
egli fondò nel 1882, e diresse per tutta la durata della sua vita,
la rivista “Arte
e Storia”.
Il dichiarato intento del periodico era quello di “patrocinare
gli interessi dell'arte, tener vivo l'amore per gli interessi
storici”,
quindi di legare l'arte alla storia, che insieme formano un tutt'uno:
l'Arte quale espressione tangibile, lascito materiale di un'eredità
culturale, di cui siamo i depositari; un patrimonio che viene dal
passato, da chi ci ha preceduto, dalla nostra Storia e che fa parte
della nostra identità.
In
secondo luogo, il “Viaggio” di Carocci è assai interessante
perché arricchito da splendide illustrazioni fotografiche, a
differenza delle incisioni pubblicate dal Fontani. L'intero volume
conta 138 immagini, e quelle dedicate a San Miniato, alla Città, al
suo territorio e alle opere di interesse artistico, sono ben 14. Nove
di queste vengono indicate come di proprietà dell'Istituto Italiano
di Arti Grafiche, mentre le cinque rimanenti vennero fornite da
Vittorio Alinari (Firenze, 1859-1932), che proseguì il lavoro
iniziato dal padre e dagli zii. Quindi, grazie a questa
pubblicazione, abbiamo a disposizione un'importante documentazione
sulla San Miniato dell'epoca, sullo stato di conservazione degli
edifici monumentali e su molte delle opere artistiche che possiamo
ammirare ancora oggi, conservate in apposite strutture museali. Nelle
immagini, invece, molte di queste opere si trovano nella loro
collocazione originaria.
Tuttavia
è bene ricordare che questa non è la prima pubblicazione del genere
su San Miniato. Già tre anni prima, nel 1903, sempre per cura
dell'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, era stato dato
alle stampe il volume n. XVIII della rivista “Emporium”,
contenente un bell'articolo firmato da Guido Battelli. Certamente il
Carocci prende ampio spunto dal lavoro di Battelli, così come molte
delle illustrazioni, per le quali nella rivista vengono ringraziati
Bernard Berenson e Filippo Del Campana. Alcune immagini sono davvero le
stesse, ma ve ne sono anche di nuove.
Tornando
al “Viaggio” del Carocci, non staremo a sindacare sulle
attribuzioni, su alcune imprecisioni o su quelle notizie storiche che
si sono rivelate inesatte, trattandosi di un testo che ha più di un
secolo. Ci riserviamo tuttavia, in un secondo momento, di commentare
le singole immagini che in questo post trovate assieme al testo.
Per
chi desiderasse leggere o scaricare l'intero volume, dal momento che
i copyrights sono scaduti, è possibile farlo attraverso il sito
Archive.org.
Buona
lettura!
ESTRATTO
da
Guido Carocci, Il
Valdarno. Da Firenze al mare,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, 1906, pp. 83-99.
Immagine
tratta da G. Carocci, Il
Valdarno... cit.,
p. 83.
[pagina
84]
SAN
MINIATO.
All'estremità
occidentale del piano empolese, sopra il vertice ondulato di un
poggio che a guisa di sprone si protende verso la valle dell'Arno,
distende la lunga
Immagine
tratta da G. Carocci, Il
Valdarno... cit.,
p. 84.
linea
dei suoi edifizi la città di San Miniato, alternativamente chiamata
al Tedesco e al Fiorentino, capoluogo di un vasto circondario della
provincia di Firenze. La lunga e irregolare distesa delle sue case
biancheggianti, interrotta di tanto in tanto dalla massa grandiosa di
chiese e di palagi, coronata di torri e di campanili, segue le
sinuosità del monte ed a chi la guarda da lontano dà l'idea che San
Miniato sia una ampia e popolosa città. Invece, San Miniato, se
possiede una storia e tradizioni gloriose da fare invidia a centri
molto più importanti, non può considerarsi che come un lunghissimo
borgo che di tanto in tanto si allarga per costituire delle piazze e
che si dirama in piccole e brevi strade minori.
San
Miniato non ha che 3500 abitanti o giù di lì, ma, in compenso,
offre l'aspetto e l'importanza di una piccola capitale, di un centro
di movimento e di affari
[pagina
85]
tutt'altro
che insignificante, essendo sede di numerosi uffici pubblici. Ma
queste sue qualità, diremo così, officiali, sono di gran lunga
superate dalle attrattive che San Miniato offre per la sua
meravigliosa situazione, per la vaghezza dei giardini che
l'allietano, per la ricchezza infinita di edifizi e di opere d'arte
che la rendono una delle più simpatiche e delle più leggiadre fra
le città secondarie della Toscana.
L'origine
sua si perde nel mistero de' tempi lontani, e le vicende della sua
storia molteplici e fortunose mal si riassumerebbero in questa
modesta illustrazione. Forse fu qui un villaggio o vicoromano al
quale si sostituì nel basso medioevo un castello posseduto da nobili
Longobardi. Certo è che fin dal secolo IX, dopo una non breve
permanenza fattavi da Ottone I Imperatore, San Miniato, che dal
titolare d'un'antica chiesetta ebbe nome, divenne la residenza d'un
rappresentante o Vicario degl'Imperatori
Immagine
tratta da G. Carocci, Il
Valdarno... cit.,
p. 85.
di
Germania che in Toscana ne tutelava l'autorità e gl'interessi. Gli
abitanti però male si assoggettarono al dominio della signoria
straniera e per due volte, nel XII e nel XIII secolo, devastarono e
abbandonarono la loro terra, andando a popolare due sottostanti
borghi della pianura: Vico Wallauri che si chiamò poi San Genesio e
Santa Gonda. Ma irrequieti, desiderosi di libertà e d'indipendenza,
si rivolsero anche contro chi li aveva ospitati, e, distrutto San
Genesio, annientato il borgo di Santa Gonda, tornarono al loro dolce
colle, contendendo i diritti degl'Imperatori e de' loro Vicarî.
Riuscirono
così ad acquistarsi una certa autonomia, perchè gl'Imperatori, pur
di non perdere quella specie di vedetta che nel cuore della Toscana
rappresentava tuttora quell'autorità feudale che sfuggiva loro dalle
mani, cercarono di cattivarsi l'animo dei Sanminiatesi e permisero
loro di costituirsi in libero comune, il quale, proprio sotto gli
occhi del Vicario Imperiale, giunse fino a far parte della lega
guelfa.
Federigo
Barbarossa e poi Federico II dimorarono lungamente nella loro rocca,
esercitarono di lassù l'autorità loro, tentarono di raccogliere e
di animare le forze del partito ghibellino; ma la marea guelfa
incalzava senza tregua e nello stesso castello
[pagina
86]
di
San Miniato s'accendevano di continuo le contese più violente fra i
partigiani delle due opposte fazioni. Il potere imperiale scomparve
travolto dall'irruenza di parte guelfa ed i Fiorentini, profittando
delle discordie intestine che agitavano senza tregua l'ultimo
propugnacolo dell'autorità degl'Imperatori, strinsero d'assedio
Immagine
tratta da G. Carocci, Il
Valdarno... cit.,
p. 86
il
castello, lo espugnarono e nel 1369 lo aggregarono senz'altro al
territorio della loro potente Repubblica.
Il
castello di S. Miniato ebbe in origine modesta estensione e le sue
solide mura racchiudevano appena il cocuzzolo del poggio sul quale
sorgeva la rocca imperiale. Di questa rocca, che fu gettata al suolo
ed abbandonata, altro non resta oggi che l'alta e smantellata torre,
che, simbolo di una potenza e di una grandezza
[pagina
87]
tramontate,
domina una gran parte del Valdarno e le vicine valli dell'Elsa e
dell'Evola. Su quel prato deserto e silenzioso dove crescono e
prosperano i fiori, a formare uno strano contrasto collo squallore di
quel cupo rudere, fu la residenza degli orgogliosi Imperatori
tedeschi, fu la dimora dei loro Vicarî e fra quelle mura, oggi
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 87
rase
al suolo, si svolsero truci e misteriosi drammi. Di uno,
specialmente, è giunto fino a noi il ricordo, tramandato dagli
storici: la fine infelicissima di Pier della Vigna, il celebre
ministro di Federigo II, che caduto in disgrazia del suo signore, fu
qui tratto in catene nel marzo del 1249 e barbaramente acciecato,
sicché in un impeto di disperazione si uccise fracassandosi il
cranio contro le pareti del carcere.
Accanto
alla torre eccelsa, dall'alto della quale lo sguardo può errar
libera
[pagina
88]
mente
attraverso
a mezza Toscana, sono stati incisi a ricordo del caso pietoso i versi
di Dante:
«Io
son colui che tenni ambo le chiavi
del
cuor di Federigo e che le volsi,
serrando
e disserrando, sì soavi
che
dal segreto suo quasi ogni uom tolsi»
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 88.
Poco
al disotto della rovina della Rocca, è la Cattedrale dedicata a S.
Maria e a S. Genesio per rievocare il ricordo della chiesa di Vico
Wallauri e quasi ad espiazione dell'ingratitudine che i Sanminiatesi
addimostrarono per quel borgo ospitale. La facciata della chiesa, a
cortina di mattoni, serba le tracce delle trasformazioni e degli
ampliamenti succedutisi dal XII al XVII secolo. Degli ornamenti di
terracotta stampata, delle scodelle di majolica infisse nella cortina
sono i resti della primitiva facciata. Nell'interno la chiesa è
stata modernamente rifatta. Delle opere d'arte il corredo è
piuttosto scarso. Più interessanti d'ogni altra cosa sono tre parti
degli specchi del vecchio pergamo, scolpiti di bassorilievo colla
rappresentazione dell'Annunciazione ed uno stemma; interessanti per
antichità loro e perché sono illustrati da iscrizioni che ne
riassumono la storia. Le sculture sono di Giroldo di Jacopo da Como,
scultore lombardo che lavorò al Duomo di Milano, alla Certosa di
Pavia, al Duomo di Lucca, a Massa Marittima, alla Badia di Montepiano
ed in altre località della Toscana; furono eseguite nel 1274 a tempo
del Podestà Ugo de' Cancellieri da Pistoja. Una tavola dipinta nel
1463 da Neri di Bicci, il fonte battesimale di marmo che potrebbe
attribuirsi a Pagno Portigiani discepolo di Donatello, che si sa aver
lavorato a San Miniato, ed una piletta del XV secolo, completano il
patrimonio artistico del Duomo. Il campanile di mattoni era una delle
salde e gagliarde torri del vecchio castello, del quale facevano
parte i palazzi vicini, oggi del Vescovado e della Sottoprefettura.
Più
importante della Cattedrale è la chiesa di S. Francesco che maestosa
s'inalza dalle balze del monte, sostenuta da sproni e da arcate di
proporzioni gigantesche.
[pagine
89]
Cominciata
a costruire nel 1343 sul luogo di un antico oratorio, la chiesa di S.
Francesco restò compiuta nel 1480 e della costruzione sua originaria
serba tuttora in gran parte i caratteri. Non così sono giunti fino a
noi i molti oggetti d'arte e le decorazioni che, a similitudine di
tutte le altre chiese francescane, dovevano adornarla. Unico resto
delle sue dovizie artistiche sono de' frammenti di un bellissimo
affresco gaddiano (che decorava un giorno la sala del Capitolo), oggi
quasi nascosti in uno stambugio al disotto del campanile.
Ma
quello fra gli edifizi religiosi di San Miniato che presenta grande
importanza artistica, non tanto per i pregi architettonici, quanto
per la ricchezza infinita delle opere d'arte che vi sono raccolte, è
la chiesa dei Domenicani intitolata ai Ss. Jacopo e Lucia. Pur essa,
alla pari di quella di S. Francesco, sorge dalla balza del
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 89.
[pagina
90]
monte,
sostenuta da immensi piloni. In origine era a tre navate, oggi è ad
una sola ed ampia nave con cinque cappelle di carattere ogivale. Essa
fu cominciata a costruire nel 1330 dai frati Domenicani di Firenze e
le più illustri e potenti famiglie di San Miniato la corredarono di
cappelle, ricche di pregevolissimi affreschi che nei tempi della
decadenza artistica scomparvero sotto il bianco.
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 90.
Recentemente
però, importanti restauri sono stati eseguiti a questa chiesa,
restituendo all'aspetto originario le tre cappelle di prospetto e
rimettendo in luce non pochi affreschi interessantissimi. Quelli
della cappella degli Armaleoni, che rappresentano storie della
Madonna, sono della scuola dei Gaddi ed appartengono forse a Niccolò
di Piero Gerini. In fondo alla chiesa poi, dov'erano in origine due
cappelle, sono venuti in luce altri interessanti affreschi che
possono attribuirsi a qualche scolaro dell'Angelico che li eseguì
sotto la guida o l'ispirazione del maestro. Per dovizia
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
pp. 91-92.
[pagina
93]
di
opere d'arte la chiesa dei Domenicani può considerarsi come il museo
cittadino. Tolte dalla sagrestia e dalle altre parti del convento e
disposte convenientemente nella chiesa, esse sono ora oggetto della
giustificata ammirazione del visitatore. Vi sono tavole e frammenti
di ancone di scuola giottesca, altre de' primi del XV secolo
attribuite a Rossello di Jacopo Franchi, diverse della maniera di Fra
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 93.
Giovanni
Angelico. Ma l'opera più interessante è la tavola che è stata
posta a decorazione della cappella degli Armaleoni, nella quale le
figure della Vergine in trono col bambino Gesù e dei santi
Sebastiano, Rocco, Giovanni Battista e Martino vescovo mostrano tutta
la leggiadrìa dell'arte fiorentina del 400.
Interessante
è pure la tavola del XV secolo che adorna la vicina cappella, un
giorno dei Samminiati.
In
questa stessa cappella è il monumento funebre di Giovanni Chellini,
celebre medico fiorentino morto nel 1468. È un'opera incompleta,
perchè il frontespizio è
[pagina
94]
un'aggiunta
posteriore, il medaglione colla Vergine e il bambino è un calco di
stucco ed il fondo del vano è deturpato da goffe e volgari
decorazioni moderne che dovrebbero esser tolte. Tradizionalmente, il
cenotafio si attribuisce a Donatello e al discepolo suo Pagno
Portigiani che lavorarono insieme a San Miniato; ma l'attribuzione
regge difficilmente alla critica, perché, alla morte del Chellini,
Donatello era decrepito ed il Portigiani pure era già molto vecchio.
Altra
opera di pregio singolare è un tondo di terracotta invetriata
rappresentante
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 94.
l'Annunciazione,
leggiadrissimo lavoro di Andrea o, meglio, di Giovanni Della Robbia,
proveniente dalla soppressa chiesa monastica di S. Martino. Al
disotto del piano della chiesa è l'ampia cappella di S. Urbano,
tutta decorata di buoni affreschi del XVI secolo.
Grandiosi
palazzi di buona architettura sorgono sulle piazze e lungo le strade
pittoresche di questa quieta e caratteristica città.
Il
Palazzo Comunale, fondato nel XIV secolo per uso di residenza de'
magistrati cittadini, non ha esternamente interesse di sorta; ma
nell'interno conserva intatto il salone o l'Udienza del Consiglio,
salone che pochi anni addietro venne convenientemente ristaurato. In
una delle sue pareti è un affresco della maniera dei Gaddi dipinto
nel 1393 a tempo di un vicario di casa Guicciardini e rappresenta la
[pagina
95]
Vergine
in trono, circondata dalle Virtù Teologali. Tutte le altre pareti e
le vôlte sono adorne di stemmi e d'imprese dei Vicarî della
Repubblica Fiorentina.
Al
pianterreno, sotto la sala del Consiglio, è l'Oratorio della Madonna
di Loreto detto del Loretino, che serviva alle cerimonie religiose
pubbliche e private della
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 95.
magistratura
cittadina. La cappella è di forma graziosa e ricca di adornamenti
che un recente incendio espose ai più gravi rischi. Le pareti sono
adorne di affreschi assai deteriorati della prima metà del XV secolo
e l'altare di legname è di squisitissimo e delicato lavoro del XVI
secolo. Framezzo alle leggiadre decorazioni intagliate e dorate è un
gradino con piccole storie che sanno della maniera di Ridolfo
[pagina
96]
del
Ghirlandajo o del Sogliani. Il bel cancello di ferro battuto che
chiude la cappella porta il nome dell'artefice, Lello di Siena.
Dei
palazzi privati, il più vasto e il più artisticamente pregevole è
quello Grifoni, oggi Catanti, di severa architettura toscana del XVI
secolo. Giuliano di Baccio d'Agnolo ne fece il disegno per Messer
Ugolino Grifoni monsignore d'Altopascio e il Vasari dice che «fu
cosa magnifica». Pur troppo il lungo abbandono ha ridotto
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 96.
oggi
la facciata in condizioni deplorevoli. Artisticamente importanti sono
anche il palazzo Formichini, già Morali, del XVI secolo, quello
Salvadori, già Franchini, Del Campana, già Roffia, e quelli che
furono un giorno dei Borromei e dei Buonaparte, celebri famiglie
sanminiatesi, posti sulla piazza del Tribunale.
Subito
fuori della città, dal lato di ponente, è il R. Conservatorio di S.
Chiara, dove fu un monastero eretto nel secolo XIV dalla famiglia
Portigiani. Sull'altar maggiore della chiesa è una bella tavola
dell'Empoli rappresentante la Concezione. Di eleganti forme ogivali è
l'attigua sagrestia, un giorno chiesa dedicata a S. Maria Maddalena,
fondata nel 1352 dai Bonincontri; sull'altare è una delle migliori
tavole di
[pagina
97]Lodovico
Cardi da Cigoli raffigurante Gesù Cristo che appare alla Maddalena
sotto le spoglie di un ortolano.
Proseguendo
la via, si trova la piccola chiesa di S. Maria del Fortino, leggiadra
costruzione del XIV secolo che era già annessa ad uno spedaletto,
oggi distrutto.
Immagine
tratta da G. Carocci, Il Valdarno... cit.,
p. 97.
Sull'altare
esiste l'antica tavola danneggiata assai dall'umidità e
dall'incuria. Nel centro della tavola, in una specie di tabernacolo
sostenuto da angeli volanti, è la Vergine col bambino Gesù; in
basso stanno S. Sebastiano, S. Bartolommeo, S. Cosimo, S. Damiano e
S. Caterina d'Alessandria; è opera assai importante di scuola del
Ghirlandajo.
[pagina
98]
Nei
dintorni di San Miniato, fra le valli dell'Arno, dell'Elsa,
dell'Evola e dell'Era, sorgono villaggi, castelli e casali che fecero
parte del territorio della piccola repubblica costituitasi dopo la
decadenza del dominio imperiale e molti di essi offrono tuttora un
interesse speciale per i resti di antiche rocche, per edifizi di
carattere medioevale, per le chiese di bella costruzione e non
sprovviste di qualche pregevole opera d'arte.
Fra
i castelli, quello che conserva maggiormente l'originario carattere,
colla vecchia cinta di mura e le torri di difesa, è Monte
Bicchieri, che per lungo corso di secoli appartenne ai Compagni, la
cospicua famiglia fiorentina dalla quale nacque Dino, il celebre
storico. Fra le chiese va ricordata la Pieve di S. Giovanni Battista
a Corazzano, severa costruzione di laterizio del XI secolo, nella
quale sono da ammirarsi un singolare affresco colla Vergine, opera
del XV secolo, ed un'interessante tavola della maniera di Alessio
Baldovinetti.
De'
castelli sanminiatesi uno dei più importanti è Cigoli,
in antico Ceuli, noto più specialmente sotto il nome di Fabbrica di
Cigoli. Nel luogo della rocca è oggi la splendida villa Sonnino, che
porta appunto il nome di Castelvecchio. L'ampia Pieve
[pagina
99]
di
S. Giovanni Battista, che nonostante le infinite trasformazioni,
serba ancora tracce della sua ricostruzione del XIII secolo, perché
l'origine sua data dall'VIII secolo, ebbe annesso un convento di
frati Umiliati che fu soppresso prima del XV secolo. Opera fatta
eseguire dagli Umiliati è lo stupendo tabernacolo di pietra che
racchiude un'antichissima immagine della Madonna. Squisiti lavori
ornamentali che evocano la maniera del fiorentino Neri di Fioravanti
ne adornano le singole parti, indegnamente ricoperte da una moderna
quanto vandalica verniciatura. Nell'imbotte di questo tabernacolo,
che venne eretto nel 1381 da sette frati Umiliati, sono i resti
d'interessanti affreschi della maniera di Agnolo Gaddi.