di
Francesco Fiumalbi
Fino ad un paio di
secoli fa, ogni territorio aveva un'area appositamente attrezzata per
le esecuzioni. San Miniato era un centro giurisdizionalmente molto
importante: era sede di un vicariato fin dalla conquista fiorentina
del 1370. Senza entrare troppo nei dettagli, il vicario era il
rappresentante dello Stato - dapprima della Repubblica, poi del Ducato
e infine del Granducato - a cui erano delegate diverse funzioni,
seppur con molteplici varianti a livello locale. Grosso modo a tale
figura spettavano l'amministrazione della giustizia (con funzioni
anche politiche, informative ed esecutive) e la sovrintendenza
all'ordine pubblico (anche con mansioni militari, organizzative e
logistiche). Ovviamente non faceva tutto da solo: aveva diversi
uffici alle sue dipendenze e di cui era il responsabile. (1) (2).
Escludendo i reati di
giurisdizione ecclesiastica di cui non parleremo, per i cosiddetti
reati “minori” talvolta erano previste pene di tipo pecuniario,
cioè consistenti nel pagamento di una somma di denaro da
quantificarsi in base alla gravità dell'azione delittuosa, a titolo
di sanzione e di risarcimento del danno procurato. Tuttavia crimini
più gravi, come l'omicidio o il tradimento, erano puniti con molta
più severità ricorrendo ad azioni coercitive che spesso
terminavano con la “pena capitale”. L'uccisione del condannato
rispondeva da una parte alla necessità di punire il delitto
commesso e, dall'altra, doveva servire come monito, cioè come
strumento preventivo. Siamo in epoche per certi aspetti molto
lontane dalla nostra per la sensibilità verso certe tematiche. E' indubbio che l'abolizione della pena di
morte in moltissimi Stati del mondo, abbia rappresentato una
grandissima conquista di civiltà, ma fino a non molto tempo fa questa era considerata lo strumento più efficace per prevenire e
perseguire i delitti più efferati.
Angelo
Ardinghi, disegno tratto dall'originale
del
Sercambi, conservato all'Archivio di Stato di Lucca
Edito
in Salvatore Bongi (a cura di), Le
Croniche di
Giovanni
Sercambi,
Vol. 1, Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 236.
Salvo alcuni casi,
tutto sommato piuttosto rari, le esecuzioni avvenivano al di fuori
delle mura urbane. Questo per motivi puramente igienici ma anche di tipo ideologico. Infatti, ancor prima dell'uccisione la
comunità allontanava dal proprio ambiente, ovvero la città, coloro
che si erano macchiati di azioni delittuose. Era un'espulsione che da
una parte rivendicava il rigetto verso la personalità criminosa e dall'altra prendeva i contorni di un rito di purificazione
collettivo. La comunità puniva con il rigetto, con l'allontanamento
dall'ambiente domestico del colpevole e si riprendeva il controllo
sociale attraverso una dimostrazione di forza, cioè decidendo della
vita del reo. Tuttavia l'uccisione doveva essere
anche un momento di prevenzione e quindi era importante che avvenisse
alla luce del sole, in un luogo pubblico, facilmente raggiungibile.
Quindi lontano dalla città, ma non troppo.
Tipico patibolo per
l'impiccagione
A San Miniato la
tradizione ci riporta due località, anche se ad oggi mancano
completamente riscontri documentali, necessari per dare la cosa per
certa. La prima è la Valle di Gargozzi il cui nome deriverebbe da
“gargherozzoli”, alludendo alla gola, e quindi all'impiccagione.
L'altra è Fibbiastri, toponimo la cui origine andrebbe ricercata nel termine “fibbie”, ovvero quei lacci utilizzati per tenere i condannati
immobili, in attesa di essere decapitati (3). In realtà ne sappiamo
molto poco.
Certa, invece, è
l'area deputata alle esecuzioni nei pressi dell'allora Pinocchio,
ovvero l'odierno San Miniato Basso. Infatti, almeno fino ai primi
anni del XX secolo, un'ampia zona veniva indicata con un toponimo
abbastanza indicativo: “Le Forche”. Ovviamente per “forca” si
intende quel tipo di patibolo “a trilite” che richiamava
vagamente la forma del più conosciuto utensile ad uso agricolo (4).
Della
prima metà dell'800 è la carta del Catasto Generale della Toscana,
Sezione C, “Piano
del Castellonchio e della Catena”,
foglio n. 1 (5), grazie alla quale possiamo circoscrivere la zona con
maggiore precisione. Essa era delimitata a sud dalla via Tosco
Romagnola Est, a est dall'attuale viale Guglielmo Marconi, a nord
dall'odierna via Ernesto Codignola e ad ovest da via Giuseppina
Pizzigoni. Più in dettaglio, l'area deputata alle esecuzioni doveva
trovarsi grosso modo nei pressi dell'attuale Piazza delle Fiamme Gialle,
quindi nella parte meridionale della zona a verde adiacente alla Casa
Culturale di San Miniato Basso. Anche un vicino rivolo d'acqua, che
scorreva fra le attuali via Giuseppina Pizzigoni e via Martiri di
Belfiore, prendeva il nome di “Rio
delle Forche”,
segno evidente che il toponimo era ben radicato e indicava una zona
piuttosto estesa, anche perché, probabilmente, nei paraggi non vi
erano altri elementi particolarmente significativi.
Estratto dal Catasto
Generale della Toscana,
Sezione
C, “Piano
del Castellonchio e della Catena”,
foglio n. 1
Archivio di Stato di
Pisa, Catasto Terreni, Mappe, San Miniato, n. 8
Immagine tratta dal
sito web del “Progetto CASTORE”
Regione Toscana e
Archivi di Stato Toscani
Un'interessante
notizia, relativa ad una condanna a morte comminata alla fine del
'600 e svoltasi proprio alle Forche del Pinocchio, ci viene fornita
dal Canonico Ercole Vittorio Figlinesi, già decano del Capitolo
della Collegiata di Sant'Andrea di Empoli nella prima metà del '700
(6).
“Ricordo
come il di 26 aprile 1682, o agosto salvo errore, un tale Salvadore
di Gio. Francesco Fensi da Castelfiorentino, di età di anni sedici
in circa, fu trovato essere stato ammazzato con numero diciassette
ferite, in luogo detto alla Cataratta delle Volpe, in un'albereta,
Popolo di Marcignana, a ore 22 del sopra detto dì 26 detto 1682, e
non ebbe alcuno de' SS. Sacramenti per non aver avuto spazio di
penitenza. Fu sepolto in detta chiesa dì Marcignana, nella sepoltura
del popolo, colle solite essequie prescritte nel rituale; ed era
curato di detta chiesa di Marcignana prete Paolo Saccenti da Cerreto
Guidi; 26 aprile 1682.
Ricordo
come il dì otto 8 luglio 1684, Santi di Pasquale Fensi da
Marcignana, detto Cìale, livellario e contadino in detto Popolo di
Marcignana del Capitolo e Canonici di S. Miniato, fu impiccato e
squartato il di 8 luglio suddetto, in luogo detto il Pinocchio, lungo
la via maestra pisana, da Francesco Maria Breschi maestro di
giustizia, o sia boia, di Firenze, condannato alla forca e squarto
dal Tribunale del
Vicario di S. Miniato, per aver egli ammazzato a tradimento il
sopradetto Salvadore di Gio. Francesco Fensi, ragazzo da
Castelfiorentino, suo parente; e fu accompagnato al patibolo da
Antonio Sorelli, allora Bargello della Corte di S. Miniato. Il detto
impiccato era cognominato Ciale”.
(7)
San
Miniato Basso e la zona de “Le Forche”
Foto
di Francesco Fiumalbi
L'omicidio
era avvenuto alla
Cataratta della Volpe,
ovvero nei pressi di quello che un tempo era il Mulino delle Volpi,
sulla sponda destra dell'Elsa, che si trovava giurisdizionalmente nel
Popolo
di Marcignana.
Quella zona, così come altre aree della sponda orientale del fiume,
appartenevano da tempi remoti al territorio plebano di San Genesio
prima, e del Comune di San Miniato poi. Solo alla fine del '700 con
la cosiddetta Riforma Comunitativa voluta dal Granduca Pietro
Leopoldo di Lorena, tutte le aree sanminiatesi della sponda destra
dell'Elsa confluirono nel Comune di Empoli. Quindi, nel triennio
1682-1684, epoca in cui si svolsero i fatti, la giurisdizione
amministrativa di competenza era quella del tribunale vicariale di
San Miniato.
Non
sappiamo come arrivò la condanna, se vi furono indagini o meno, ma
conosciamo il luogo dove si svolse l'esecuzione: al Pinocchio, lungo
la via
pisana,
con molta probabilità proprio dove abbiamo visto essere presente il
toponimo “Le Forche”. Per l'occasione fu chiamato come boia
Francesco Maria Breschi, che veniva da Firenze, verosimilmente per
evitare che tale figura divenisse bersaglio di eventuali azioni
vendicative. Il condannato fu condotto al patibolo da Antonio
Sorelli, che ricopriva la carica di “bargello” (ovvero il
Capitano di Giustizia o Capitano del Popolo, con funzioni specifiche
riguardo la sovrintendenza all'ordine pubblico (8)).
Oltre
all'uccisione vera e propria, come riporta il Figlinesi, si consumò
anche lo squarto. I presenti quindi dovettero assistere ad una scena
davvero orrida e raccapricciante.
FONTI
BIBLIOGRAFICHE
(1)
Zorzi Andrea, La
formazione e il governo del dominio territoriale fiorentino:
pratiche, uffici, “costituzione materiale”,
in Zorzi Andrea e Connel J. William (a cura di), Lo
Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi,
confronti,
Atti del Seminario Internazionale di Studi, San Miniato 7-8 giugno
1996, Fondazione Centro Studi della Civiltà del Tardo Medioevo di
San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, 189-221.
(2)
De Angelis Laura, Ufficiali
e uffici della Repubblica Fiorentina tra la fine del secolo XIV e la
prima metà del XV,
in Zorzi Andrea e Connel J. William (a cura di), Lo
Stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi,
confronti,
Atti del Seminario Internazionale di Studi, San Miniato 7-8 giugno
1996, Fondazione Centro Studi della Civiltà del Tardo Medioevo di
San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 83.
(3)
Piombanti Giuseppe, Guida
della Città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e
moderne, Tipografia
Ristori, San Miniato, 1894, pp. 10-11, 140-141.
(4) Archivio di Stato
di Pisa, Catasto Terreni, Mappe, San Miniato, n. 8.
(5)
Bini Mario (a cura di), Rerum
Emporiensium scriptores - Notizie di famiglie empolesi: Ercole
Vittorio Figlinesi,
in Bullettino Storico Empolese, Volume Terzo, fascicoli 2-4, Empoli,
1963-1965.
(6)
Bini Mario (a cura di), Rerum
Emporiensium scriptores - Notizie di famiglie empolesi: Ercole
Vittorio Figlinesi,
in Bullettino Storico Empolese, Volume Terzo, fascicolo 3, 1964, n.
1036, p. 192.