a cura di
Francesco Fiumalbi
Quando si sente pronunciare la data del 4 novembre,
la mente corre immediatamente alla grande alluvione che colpì la Toscana, ed in
particolare la città di Firenze, nell’anno 1966. Anche la zona del Valdarno
Inferiore fu inondata: l’area empolese, Fucecchio, Santa Croce. Probabilmente
il territorio di San Miniato fu interessato solo in modo marginale.
La cosa davvero curiosa è che 633 anni prima, nello
stesso identico giorno, la Toscana e la città di Firenze, vennero colpite da
una inondazione altrettanto devastante. Anche il territorio sanminiatese venne
colpito dalla calamità e non mancarono danni e disagi per la popolazione del
tempo. Di questo episodio rimane la straordinaria testimonianza offertaci dalla
cronaca del fiorentino Giovanni Villani che riproponiamo di seguito [Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le
migliori stampe e corredate di note filologiche e storiche, Vol. I, Trieste, 1857, pp. 374-375].
LA GRANDE
PIOGGIA – Il Villani fa iniziare il racconto dell’alluvione con la
grandissima pioggia che, incessantemente, cadde per quattro giorni e quattro
notti. Una perturbazione molto violenta, caratterizzata anche dalla caduta di
molti fulmini. Oggi, forse, si parlerebbe di “bomba d’acqua” o di “piccolo ciclone”.
«Nelli anni
di Cristo MCCCXXXIII, il dì di calen di novembre [il primo novembre,
n.d.r.], essendo la città di Firenze in
grande potenzia, e in felice e buono stato, più che fosse stata dalli anni MCCC
in qua, piacque a Dio, come disse per la bocca di Cristo nel suo Evangelio:
«Vigilate, che nnon sapete il dìe né l’ora del iudicio Dio», il quale volle
mandare sopra la nostra città; onde quello dì de la Tusanti cominciòe a piovere
diversamente in Firenze ed intorno al paese e ne l’alpi e montagne, e così
seguì al continuo IIII dì e IIII notti, crescendo la piova isformatamente e
oltre a modo usato, che pareano aperte le cataratte del cielo, e con la detta
pioggia continuando grandi e spessi e spaventevoli tuoni e baleni, e caggendo
folgori assai; onde tutta gente vivea in grande paura, sonando al continuo per
la città tutte le campane delle chiese, infino che non alzòe l’acqua; e in
ciascuna casa bacini o paiuoli, con grandi strida gridandosi a Dio:
«Misericordia, misericordia!» per le genti ch’erano in pericolo, fuggendo le
genti di casa in casa e di tetto in tetto, faccendo ponti da casa a casa,
ond’era sì grande il romore e ’l tumulto, ch’apena si potea udire il suono del
tuono.»
LA ROTTURA
DEGLI ARGINI – All’ora nona (le 15 del pomeriggio) del 4 novembre 1333, il
livello dell’Arno a Firenze aveva ormai quasi raggiunto il suo massimo. Dopo
aver sommerso ampie zone a monte della città, si prospettava il disastro, come
in effetti avvenne. Nelle prime ore notturne, verosimilmente intorno alle 20 di
quella sera, il fiume ruppe gli argini nella zona di Santa Croce e devastò
tutti i quartieri prossimi al corso d’acqua.
«Per la […]
quale cosa giuovedì a nona a dì IIII di
novembre l’Arno giunse sì grosso a la città di Firenze, ch’elli coperse tutto
il piano di San Salvi e di Bisarno fuori di suo corso, in altezza in più parti
sopra i campi ove braccia VI e dove VIII e dove più di X braccia; e fue sì
grande l’empito de l’acqua, non potendola lo spazio ove corre l’Arno per la
città ricevere, e […] nel primo sonno
di quella notte ruppe il muro del Comune di sopra al Corso de’ Tintori incontro
a la fronte del dormentorio de’ frati minori per ispazio di braccia CXXX; per
la quale rottura venne l’Arno più a pieno ne la città, e addusse tanta
abondanza d’acqua, che prima ruppe e guastò il luogo de’ frati minori, e poi
tutta la città di qua da l’Arno; generalmente le rughe coperse molto, e allagò
ove più e ove meno […].»
FIRENZE
COMPLETAMENTE SOMMERSA – Per dare prova delle proporzioni raggiunte dall’inondazione,
il cronista si prodiga nel descrivere la situazione dalle acque misurando il
livello in rapporto alle chiese e ai luoghi pubblici, quali punti di
riferimento. La sua unità di misura è il braccio fiorentino, corrispondente a
circa 58 cm. A Palazzo Vecchio, ad esempio, il livello raggiunse 6 braccia,
ovvero più di 3 metri.
«Nella chiesa
e Duomo di San Giovanni salì l’acqua infino al piano di sopra de l’altare, più
alto che mezze le colonne del profferito dinanzi a la porta. E in Santa
Liperata infino a l’arcora de le volte vecchie di sotto al coro; e abbatté in
terra la colonna co la croce del segno di san Zanobi ch’era ne la piazza. E al
palagio del popolo ove stanno i priori salì il primo grado della scala ove
s’entra, incontro a la via di Vacchereccia, ch’è quasi il più alto luogo di
Firenze. E al palagio del Comune ove sta la podestà salì nella corte di sotto
dove si tiene la ragione braccia VI. Alla Badia di Firenze, infino a piè de
l’altare maggiore, e simile salì a Santa Croce al luogo de’ frati minori infino
a piè de l’altare maggiore; e in Orto San Michele e in Mercato Nuovo salì
braccia II; e in Mercato Vecchio braccia II, per tutta la terra. E Oltrarno
salìo ne le rughe lungo l’Arno in grande altezza, spezialmente da San Niccolò,
e in borgo Pidiglioso, e in borgo San Friano, e da Camaldoli, con grande
disertamento delle povere e minute genti ch’abitavano in terreni. In piazza
infino a la via traversa, e in via Maggio infino presso a San Felice. E il
detto giuovidì ne l’ora del vespro la forza e empito de l’acqua del corso
d’Arno ruppe la pescaia d’Ognesanti e gran parte del muro del Comune, ch’è a lo
’ncontro e dietro al borgo a San Friano, in due parti, per ispazio di braccia
più di Vc. E la torre de la guardia, ch’era in capo del detto muro, per due folgori
fu quasi tutta abattuta.»
IL CROLLO
DEI PONTI – Gravi danni alle abitazioni, agli edifici pubblici, ma anche
alle infrastrutture stradali. Ed in particolare ai ponti. Solamente Ponte
Vecchio rimase percorribile. I ponti alla Carraia e di Santa Trinita furono
spazzati via. Quello di Rubaconte rimase danneggiato alle sponde ed occorsero,
probabilmente, consistenti interventi di ripristino. Per dare un’idea
dell’importanza dei ponti in quell’epoca, a valle dei quattro attraversamenti
fiorentini c’era solamente quello che collegava le due sponde presso Fucecchio
(anche se spesso crollava o era impraticabile) e poi c’erano solo barcarole o
“navi” fino a Pisa. Quindi il crollo di un ponte era paragonabile alla
distruzione di un odierno viadotto autostradale.
«E rotta la
detta pescaia d’Ognesanti, incontanente rovinò e cadde il ponte alla Carraia,
salvo due archi dal lato di qua. E incontanente apresso per simile modo cadde
il ponte da Santa Trinita, salvo una pila e un arco verso la detta chiesa, e
poi il ponte Vecchio è stipato per la preda de l’Arno di molto legname, sì che
per istrettezza del corso l’Arno che v’è salì e valicò l’arcora del ponte, e
per le case e botteghe che v’erano suso, e per soperchio dell’acqua l’abatté e
rovinò tutto, che non vi rimase che due pile di mezzo. E al ponte Rubaconte
l’Arno valicò l’arcora dal lato, e ruppe le sponde in parte, e intamolò in più
luogora; e ruppe e mise in terra il palagio del castello Altafronte, e gran
parte de le case del Comune sopr’Arno dal detto castello al ponte Vecchio. E
cadde in Arno la statua di Mars, ch’era in sul pilastro a piè del detto ponte
Vecchio di qua. E nota di Mars che li antichi diceano e lasciarono in iscritta
che quando la statua di Mars cadesse o fosse mossa, la città di Firenze avrebbe
gran pericolo o mutazione. E non sanza cagione fu detto, che per isperienza s’è
provato, come in questa cronica farà menzione. E caduto Mars, e quante case
avea dal ponte Vecchio a quello da la Carraia, e infino alla gora lungo l’Arno
rovinato, e in borgo Sa Iacopo, eziandio tutte le vie lung’Arno di qua e di là
rovinaro, che a riguardare le dette rovine parea quasi uno caos; e simile
rovinaro molte case male fondate per la città in più parti.»
L’ALLUVIONE
A VALLE DI FIRENZE. ALLAGATO ANCHE IL PIANO DI SAN MINIATO – Proseguendo con
la descrizione dell’inondazione, il Villani cita tutte quelle località e quei
territori che furono interessati dal sopraggiungere delle acque. Attraverso la
sua testimonianza apprendiamo che Empoli, Pontorme, Santa Croce e Castelfranco
finirono sommerse e, addirittura, gran parte delle mura che cingevano questi
centri abitati crollarono. Meglio andò a quei nuclei urbani collocati in
posizione di collina, come San Miniato, Fucecchio e Montopoli. Le acque
coprirono i campi e le infrastrutture stradali, ma gli abitati rimasero
praticamente intatti (al netto di frane e smottamenti).
«E seguendo
il detto diluvio apresso la città verso ponente, tutto il piano di Legnaia, e
d’Ertignano, e di Settimo, d’Ormannoro, Campi, Brozzi, Sammoro, Peretola, e
Micciole infino a Signa, e del contado di Prato, coperse l’Arno diversamente in
grande altezza, guastando i campi, vigne, menandone masserizie, e le case e
molina e molte genti e quasi tutte le bestie; e poi passato Montelupo e
Capraia, e per la giunta di più fiumi che di sotto a Firenze mettono in Arno, i
quali ciascuno venne rabbiosamente rovinando tutti i loro ponti. Per simile
modo e maggiormente coperse l’Arno e guastò il Valdarno di sotto, e Pontormo e
Empoli e Santa Croce e Castelfranco, e gran parte de le mura di quelle terre
rovinaro, e tutto il piano di San Miniato
e di Fucecchio e Montetopoli e di Marti al Ponte ad Era. E giugnendo a Pisa
sarebbe tutta sommersa, se non che l’Arno sboccò dal fosso Arnonico e dal borgo
a le Capanne nello stagno; il quale stagno poi fece un grande e profondo canale
infino in mare, che prima non v’era; e da l’altro lato di Pisa isgorgò ne li
Osori e mise nel fiume del Serchio; ma con tutto ciò molto allagò di Pisa, e
fecevi gran danno, e guastò tutto ’l piano di Valdiserchio e intorno a Pisa, ma
poi vi lasciò tanto terreno, che alzò in più parti due braccia con grande utile
del paese.»
LA MEMORIA
DELL’ALLUVIONE TRA FONTI SCRITTE E DATI ARCHEOLOGICI – Esattamente come l’alluvione
del 1966, anche quella del 1333 ha lasciato tracce di una certa rilevanza.
Concentrandosi solamente nel territorio sanminiatese e comprendendo anche la
porzione fucecchiese sulla sponda sinistra dell’Arno (San Pierino e Ventignano),
abbiamo a disposizione due tipi di testimonianze. Una è documentaria e l’altra
è archeologica. Partiamo da quest’ultima.
Nel corso degli ultimi due-tre decenni, per varie
ragioni, sono state effettuate alcune campagne archeologiche, nel territorio
del Comune di Fucecchio, sulla strada che mette in comunicazione gli attuali
centri abitati di San Miniato Basso e San Pierino. Si tratta del percorso,
realizzato a metà tra Fucecchiesi e Sanminiatesi, in un periodo compreso fra il
1288 e il 1294 per collegare le due comunità. Degli ultimi scavi, effettuati
2011, ce ne siamo occupati anche in questo post
ABUSO DI
FRANCIGENA?
Le indagini archeologiche hanno permesso di
studiare le varie stratigrafie, giungendo fino alla pavimentazione stradale primigenia.
Uno degli aspetti interessanti evidenziati dagli scavi è proprio l’aver
individuato uno strato, dello spessore di circa 30 cm, immediatamente sopra il
selciato tardo duecentesco. Si tratta di un consistente deposito alluvionale, dovuto
evidentemente ad un’inondazione davvero considerevole, che dovette interessare
tutto il piano più prossimo all’Arno, da Isola fino a San Donato. Forse proprio
a quell’alluvione del 1333. Una bella fetta di territorio sommersa sotto uno
strato limaccioso alto alcuni decimetri. Campi e fosse da ritracciare, strade
da rifare o da rendere nuovamente percorribili. Insomma, un vero e proprio
disastro.
Per chi desidera approfondire questo aspetto si
segnalano le seguenti pubblicazioni:
A. Vanni Desideri, Saggi archeologici ed osservazioni storiche su manufatti stradali
presso Fucecchio (Fi), in «Archeologia Medievale», n. XXI, 1994, pp.
469-486.
L. Alderighi, A. Vanni Desideri, V. Cabiale, M.
Filippi, S. Leporatti, Fucecchio (Fi).
Strade d’età medievale e moderna nel Valdarno Inferiore. Le indagini
archeologiche del 2011, in «Notiziario della Soprintendenza per i Beni
Archeologici della Toscana», n. 7, All’Insegna del Giglio, 2011, pp. 21-35.
La fonte documentaria è rappresentata dagli Statuti
trecenteschi del Comune di San Miniato, datati 1337 (1336) [Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco
(1337), a cura di F. Salvestrini, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, Pisa,
1994]. Nel libro IV, alla rubrica 80 <83> [p. 372 della pubblicazione],
si parla del ponte de Marcignana, […]
super flumine Else, che doveva essere
rifatto, ricostruito.
Secondo Paolo Morelli, un tale richiamo statutario
al ponte fra Isola e Marcignana, può significare un riferimento ad una tradizione remota, mantenuta viva, però, da rovine
ancora ben visibili nel letto del fiume [P. Morelli, Borgo San Genesio, la Strata Pisana e la Via Francigena, in Vico Wallari – San Genesio. Ricerca storica
e indagini archeologiche su una comunità del Medio Valdarno Inferiore fra Alto
e Pieno Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Centro Studi sulla
Civiltà del Tardo Medioevo San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010,
p. 134]
Tuttavia, alla luce di quanto già detto, come non
associare il grave danneggiamento, forse addirittura la distruzione del ponte,
all’alluvione del 1333?
Si tratta davvero del riferimento ad una memoria
remota o, rispetto alla stesura degli Statuti,
di una circostanza più recente?
Di fatto il ponte non fu mai ricostruito. Il
collegamento fra Isola e Marcignana fu garantito solamente attraverso una
barcarola, fino agli anni ’50 del ‘900. Ma di questo abbiamo già parlato nel
post
L’ULTIMO
TRAGHETTO A ISOLA.
La storia ci insegna che con i corsi d’acqua c’è
poco da scherzare. Che si pensi all’alluvione del 1966 o a quella del 1333,
anche il territorio sanminiatese è stato interessato da inondazioni di una
certa rilevanza. Senza dimenticare le più recenti esondazioni dell’Egola (l’ultima
nel 1993).
Non tutto il territorio pianeggiante è a rischio,
ma lo è buona parte di esso. Efficiente regimazione delle acque e politiche
urbanistiche intelligenti sono le uniche strategie possibili, quanto meno per
ridurre l’impatto (in termini economici e di vite umane) che possono arrecare eventi
naturali come questi. Calamità che ci sono state in passato e che ci saranno
anche in futuro.
L’Arno in piena alcuni anni fa, nei
pressi di Santa Croce sull’Arno
Foto di Francesco Fiumalbi