SOMMARIO DEL LIBRO:
In
questa pagina è proposta la trascrizione del Capitolo II, paragrafi
I-XVII [Storia di San Miniato dalle origini] della pubblicazione
curata da Antonio Maria Vannucchi, dal titolo Ragionamento
storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese
sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia,
edito presso la stamperia fiorentina di Gaetano Albizzini, nel 1758.
AVVERTENZA: Il
carattere azzurro nelle parentesi quadre segnala il numero della
pagina.
§.II.
I.
Qual
si fosse cotesto Colle, sovra cui stendesi la Città vostra, o nel
fiorire, o sul cadere del Romano Imperio, malagevole cosa è il
dimostrarvi. Certo prima dell'ottavo secolo ei si chiamava Quarto,
[21]
come abbiamo dallo Strumento della fondazione della Chiesa di
Samminiato; ma donde, e come in tal guisa si denominasse, non saprei
ridirvelo sicuramente. I nomi, che quasi sempre sono più durevoli
delle cose da loro significate, niente qui ci manifestano per la
proposta materia. Anche il grande, e bene abitato Borgo di S.
Genesio, il quale con suo disfacimento accrebbe Samminiato, e ne fe
parte, ritrovasi per Istrumento di molta antichità chiamato Vico
Vallari: ma non perciò mi è avvenuto d'incontrar via, per cui
procedere avanti: se qualche sospetto non dessero per avventura, che
il vostro luogo fosse stato fino a tempo della Romana Repubblica
abitato da comodi, e ricchi uomini, quelle tante centinaja di
medaglie d'argento ritrovate anni sono, poco discosto in un campo
quali lungo la via, che per la collina si dirizza a mezzogiorno,
delle quali, comecché tutte io non vedessi, pure tra molte, e molte
niuna ne passò tra mano più moderna dei tempi delle Romane sociali,
e civili. E che i distruggitori Longobardi per contraria ventura
potessero avere o stabilito, o aggradito il Sommo Pontefice Celestino
III in una Bolla del MCXIV soscritta da XXV Cardinali, e serbata
originale nell'Archivio Capitolare, ov'ei fa menzione dei Longobardi
di Samminiato. Ma discendendo [22]
alle più sicure memorie, circa il 700 di nostra salute, sotto
Belsario Vescovo di Lucca, fu edificata in Quarto la Chiesa di
Samminiato, sommessa alla Prepositura di S. Genesio, siccome a più
antica; e questa fabbrica richiedeva bene, che già vi fosse
all'intorno qualche Borgata, ai comodi della quale essa servisse, e
questa diede senza dubbio nome, e popolazione a cotesta Patria. La
quale a tempo di Ottone il Grande, vale a dire prima del mille, sì
gran numero avea di abitanti, che per rendernela capace ei l'ampliò,
come parlano i vostri Storici, e stimò bene di fortificarla,
giudicandola posto opportuno a dominare l'Etruria.
II.
Ma
quello, con che di sua grandezza ei gettò quasi le fondamenta, e
dispose come il destino delle future sue vicende, sì fu l'aveva egli
lasciato un suo proprio Vicario, chiamato Arnolfo, con mero, e mosto
Imperio, e con amplissima podestà sopra la Toscana tutta, la qual
maniera fu poi dagli altri seguita: quantunque e' non sia abbastanza
chiaro, ed appresso i critici per comun consenso raffermato, quale, e
quanta sia stata l'autorità, e la giurisdizione concessa di mano in
mano dagli'Imperatori a que' loro Vicarj, che risiedono in
Samminiato. Poiché taluni la stimano una intiera plenipotenza sopra
la Toscana tutta quanta, dimameraché il Vicario tenesse luogo in
tutto, e per tutto [23]
della persona, e dignità, e ragioni del capo dell'Imperio, la qual
podestà per somigliante guisa conceduta non averia limiti. Altri poi
la ristringono al giudicio di poche cause, appartenenti agli affari
dell'Imperio, alla sopraintendenza delle riscossioni di dazj, e
gabelle, ed al governo di tutti gli Ofiziali delle medesime. Nella
qual contrarietà di sentenze io mi persuado, che tal giurisdizione
non sia sempre stata una, ed eguale in tutti i tempi, ed in ciascuna
occorrenza, ma grande stata essendo nei tempi remotissimi, e da
principio larghissima, quando le ragioni, che gl'Imperadori avevan da
far valere sopra questi popoli, a poco a poco si raccogliesse, o
perché venisse circoscritta meglio dall'arbitrio di chi la dava, o
per difetto dei popoli, che rifiutassero d'obbedire. Imperciocché
nell'istesso posto era il Cancelliere dell'Imperio Ridolfo, o quando
nel 1280 s'intitolava Tusciae
Vicarius Generalis,
parole molto illimitate, ed auterevoli, o quando l'anno susseguente
insieme col Vescovo Gurgense al Comune di S. Gemignano comandava il
dover loro mandare Ambasciadori, che prestassero omaggio, come il
fecero, e n'é registro nell'Archivio di detto Comune (al
lib. Bianco da fogl. 81 a fogl. 84)
e quelli, ai quali Federigo Imperadore, e Re di Sicili, in tre brevi
Strumenti conservati nell'Archivio della vostra Comunità dà sopra
Fucecchio, il Valdarno di [24]
sotto, la Valdinievole, la Valle d'Aniano, le Lame, e Villa Basilica
(questi tre ultimi luoghi ora sono della Repubblica di Lucca) la
giurisdizione spiegata nei seguenti termini: plenam
potestatem, & juriditionem super omnibus justitiis, &
rationibus Imperii in cunctis locis praedictis ponendi, &
ordinandi Judices, qui de quibusliber causis cognoscant; & etiam
exigat, atque requirat, & recipiat justitias, jura, rationes, &
omnes redditus Imperii, atque honores, quae ad Imperium pertinent, &
pertinere noscuntur in omnibus temporibus, & locis praedictis, &
tota jurisditione Castellani S. Miniatis, ut etiam liceat ei mutare
per omnia loca praedicta Vicecomites, Castaldices, ad utilitatem
Imperii, & nostram, & alios ponere, & locare, sicut
antiquitus Castellani S. Miniatis facere, & exercere
consueverunt. Sebbene
quel dovere in detti luoghi ordinar Giudici a intendere d'ogni lite,
e questione, non è certamente picciol potere: come ancora, che tal
Vicarj, giusta il Tronci, ed il vostro Lorenzo Buonincontri,
mantenessero una volta delle truppe al lor soldo per forzare
all'obbedienza i contrastanti; ma questo non si vede nei venienti
tempi adoperato.
III.
E
forse, che sofferse le medesime vicende, quanto ai luoghi soggetti,
ed all'esercizio della facoltà, e usanza, che al Vicario di
Samminiato si devolvessero le cause di appello da quei Giudici (per
quanto pare) [25]
che erano per esso ordinati, o che riverivano l'Imperio. Che non
sappiamo, come quei, che paghi non erano della Sentenza data
dall'Ordinario Giudice, dicevano; me
ne appello a Samminiato al Tedesco,
cioè al Giudice Tedesco là residente, ad
quem appellationes deferebantur,
dice il lodato Buonincontri, e ne ripete il senso in più, e
differenti luoghi, ei che viveva a un tempo, nel quale fra' suoi
stessi domestici la fama di ciò doveva esser rimasa certa, ed
incorrotta, ei che molto bene conosceva gli affari della sua Patria,
che di tanto le Storie sue fannoci manifesta fede. E ciò eziandio
confermano i Fasti di S. Gemignano, pe' quali mostrasi, come nel 1312
era in Samminiato Giudice degli Appelli, o vogliamo dire Giudice
Assessore del Vicario Imperiale, un tal Primerano Ardinghelli di
detta Terra; e ne dà pure un qualche barlume Matteo Villani (cap.
36. lib. 5) la dove
conta, che l'Imperador Carlo IV volle, che i tre Cittadini
Fiorentini, accusati del delitto di lesa maestà, comecché gli
reputasse innocenti, non ostante fossero giudicati a Samminiato.
Somigliante autorità una Curia, o Camera richiedea, che fosse
colassù stabilita, e tale ella ritrovasi del 1281 (e si dia il
giusto valore a questa data) nella mentovata lettera di Gio. Vescovo
Gurgente, e di Ridolfo, Vicarj Cesarei, diretta sotto dì 23 Luglio
al Comune di S. Gemignano: Ex
Camera [26]
Palatii Domini Imperatoris
posita in Arce S. Miniatis.
E di tal Curia convenne ai vostri maggiori vantaggi, e l'esercizio
ricomprare collo sborso di 15000 scudi d'oro da Enrico II il quale
sdegnato, perché nel 1061 in una rissa per fortuito caso era rimaso
ucciso Gualberto Parigino suo Vicario, secondo che riporta il
Buonincontri, intimò loro, o di dover pagare sì grave multa, o di
dover perder la Curia, la quale accortamente ei sostese infino a
tanto, che la somma richiesta non fu pagata.
IV.
E
questa è maggior prova, che assai notabile, e pregevole fosse e
l'autorità dei Vicarj, e l'onoranza, che a cotesto luogo ne veniva.
Ma e' si dee conciuder lo stesso per la qualità dei personaggi, a
cui leggesi affidato questo carico. Io non intendo prendermi, o
altrui recar la noja di annoverargli ad uno ad uno. Undici ne nomina
il Buonincontri, altri s'incontrano sparsamente in varj Autori, altri
appariscono per Istrumenti autentici: in uno di questi è nominato
Vicario Cesareo Jacopo di Burrona. Chi avesse vaghezza di veder
l'equipaggio di un regio Tesoriere, che morì l'anno 1274 della cui
eredità ne fece minutissimo Inventario il Comune di Samminiato,
quale per pubblico Strumento consegnò al detto Jacopo, crederei, che
chi si dilettasse di simili antichità, ne pigliasse molto piacere.
Ma i Vicarj di merito [27]
segnalato, e di singolar ricordanza degni sono, ed un Filippo di
Svevia, che fu competitore nell'Imperio di Ottone IV secondo il
Buonincontri, e Ditelmo di Euctingen per istretta parentela congiunto
coll'Imperadore, e ce l'assicura un lungo Strumento del 1272 ed un
Rinaldo Duca di Spoleti, che teneva in moglie Beatrice nipote
d'Arrigo I quale non potendo ritrovarsi a Samminiato ad esercitarvi
in persona il Vicario Cesareo, vi delega, col consenso
dell'Imperadore, suo nipote Oberardo. E' egli da credere, che sì
fatta nazione d'Uomini, o s'inviasse qua per leggiera cosa ed
ordinaria, o si volesse confinare, ed ella star si volesse in un
luogo di picciol pregio, o tra vil gente abitatrice di una Borgata, e
non più tosto in cospicua sede, e reverita, e tra gentili, e prodi,
e nobili Cittadini?
V.
Ma
a che cerco io orrevolezza alla Patria vostra colla residenza, e
dignità de' Vicarj, quando noi potete vantar giustamente quella dei
Sovrani? Ex Camera Palatii
Domini Imperatoris, &c
leggemmo sopra, non dalla Camera del Palazzo del Vicario Imperiale. E
Matteo Villani racconta al lib.
4 che l'Imperdor Carlo IV
fece maggiori accoglienze agli Ambasciadori Samminiatesi, che agli
altri “e la cagione si
stimò, che fosse per affezione, che l'Imperio per antico avea a quel
luogo, che soleva essere la residenza degl' [28]
Imperadori”.
Adunque dopo Ottone I tanto benemerito di cotesta Città, quelli, che
vi dimorarono, è da dire, che non come in altre Città il facessero
per ventura, e di passaggio, ma come nella propria fede loro in
Toscana posandosi. E di Enrico I attestalo il Buonincontri: Federigo
I dimostralo un Diploma nell'Ughelli: di Arrigo suo figlio raccontalo
pure il Buonincontri, e ch'ei vi ritornasse raccogliensi da due suoi
Strumenti in data di Samminiato, prodotti dal Tommasino (lib.
3) e che si recasse
Ottone IV nel 1208 e nel 1209 e Federigo II nel 1226 convincelo il
Chiarissimo Sig. Lami nelle Delic.
Erudit.. Che dirò del
vostro amorevolissimo Protettore Carlo IV che lunga stanza fece in
cotesto suo regio Palazzo, che di favori, e di grazie vi ricolmò,
che vi amò sopra tutti i popoli della Toscana, e quelle singolari
accoglienze fece ai vostri Ambasciadori, che appena si crederiano, se
non le ricordassero gl'Istorici di quelle Città medesime, che a voi
forse n'ebbero invidia?
VI.
La
vostra dunque era devota dell'Imperio, e vicendevolmente dai Cesari
protetta ispeciale benevoglienza, ed impegno. Può essa reputarsi
l'asilo a quei tempi de' Cesari, e de' loro aderenti, nell'Italia. E
Gregorio V Sommo Pontefice, e congiunto pei vincoli del sangue
all'Imperatore Ottone II per salvarsi dalle sedizioni, ed insolenti
intraprese [29]
del popolo di Roma, non altrove penso doversi riparare, e cercar
sicurezza, che nella Patria vostra, come e' fece nel 996 per quanto
scrive il Cronista Buonincontri. Ed a fare eterna, e pubblica
testimonianza della vicendevole congiunzione, che tra l'Imperio e
Samminiato era, questa Città non è gran tempo, che vedeasi dipinta
nell'Imperial Palazzo di Vienna. Laonde è da congratularsi con esso
voi, che non la fortuna, ma la divina provvidenza abbia disposto
l'ordine delle cose in guisa, che dopo tanti anni siate ritornati
alla stessa devozione verso l'Augustissimo Cesare, della quale
averete volentieri voluto d'un genio, che era quasi ereditario nel
sangue vostro, ora farne un debito di soggezione, ed una felicità
per voi, e per la vostra discendenza.
VII.
Ed
ogni qual volta vi rimembrate della passata grandezza, dovete
rammentarvi, che in si alto grado saliste un giorno massime, perché
fedeli e cari foste agl'Imperadori. Di molte che mi si riducono alla
memoria, poche ne accennerò, ma queste onorevolissime, e grandi. Da
Federigo II per Diploma spedito in Ulma l'anno quinto del suo Imperio
aveste in dopo il Borgo di S. Genesio, ma propter
fidelitatem, & accepta beneficia, quae Miniatenses fideles nostri
Nobis, & Divis Augustis praedecessoribus exhibuerunt.
Non vi brilla per la gioja il cuore in petto a queste belle parole,
che dichiarano e Federigo, e gli Augusti suoi [30]
predecessori obbligati a' vostri avoli per la fedeltà loro non solo,
ma eziandio per i benefizj ricevutine? Egli nel 1249 consegna ad essi
a custodire alcuni prigioni suoi di riguardo, come narra il
Bonincontri, e Ricordano Malespina, pergno manifesto di confidenza ed
amistà. Egli, molte altre cose sotto silenzio trapassando, al
Concilio di Lione elesse suo Oratore il famoso Ricupero da
Samminiato, indizio memorabile di stima, e di benevolenza. E di
questa erede fu il figlio suo Manfredi, siccome ei lo fu delle
paterne disgrazie, e conseguentemente della necessità di
procacciarsi amici, e difenditori. Ma ne' suoi Diplomi grandissimo è
l'onore, ch'ei rende ai vostri antenati. L'anno 1260 in memoria
degl'importanti servigj all'Augusto suo Genitore prestati, dona loro
alcuni beni, ed ispecialmente in
recompensationem damnorum, quiae pro servanda fide sunt perpessi,
e concede che, sine
pedagio ire & redire valeant per partes quaslibet suae ditioni
subiectas, tam per Imperium, quam per regnum cum mercimoniis, &
rebus, sicut consuerverunt tempore Domini Imperatoris Friderici rec.
mem. Patris nostri usque ad ejus obitum:
e nel 1263 tornando a fare onorato ricordo della pura e sincera fede
dei Samminiatesi, e dei benefizj, che ne aveva ricevuti, e de' buoni
ufficj impiegati verso la buona memoria dell'Imperador suo padre, e
di quei che prontamente esibiscono alla real sua persona, [31]
conferma loro alcune
particolari consuetudini, possessioni, ec.
VIII.
E
d'onde mai ricavò dunque il Colenuzio [si
tratta dell'episodio riportato nel “Compedio”
di Pandolfo Collenuccio, n.d.r.],
ciecamente seguitato dal Fulgosio negli strattagemmi militari, che
Federigo il vostro sì buono amico, e protettore avvedutamente vi
sorprendesse con simulazione, e con astuzia? Lasciamo stare, che
niuno Storico ne abbia parlato, niuno, fuori di costui, l'abbia
saputo. Ma accordate, io vi prego, questa calunnia con tanto amore,
con tanti donativi del Monarca padre, e figlio, e colla testimonianza
da essi resa palesemente alla vostra fedeltà, ai vostri benefizj.
Accordatela con quella condizione espressamente posta da voi nella
Lega, cui faceste coi Pisani, e con i Fiorentini, secondo il
Buonincontri, vale a dire, ne
ulli eorim contra Imperium Friderici molienti quidquam favois, aut
auxilli praeberent.
Sebbene cotesto Paese è soggetto a simili ciance, quanto è uso a
disprezzarle. Corre ancora per le bocche dell'ignorante, e basso
popolo, che l'assedio dai Fiorentini fatto alla vostra Città
terminasse con un ridicolo strattagemma, simile a quello, onde
Annibale scampò dalla Valle, e dalle mani di Fabio, nel quale in
vece di soldati, si presentò ad ingannarvi minuto esercito
animalesco. Ma queste voci non hanno per avventura più alta radice,
che l'invidia dei popoli confinanti, quale somma esser doveva,
mirando la Samminiatese [32]
Repubblica maravigliosamente fiorente all'ombra della Cesarea
protezione.
IX.
Del
rimanente non si vuol tacere, almeno di passaggio, i tanti privilegi,
dei quali vi decorò la benignità, e l'amorevolezza dell'Imperador
Carlo IV. Per lui fu confermata la vostra libertà, approvate le
vostre leggi, raffermato il possesso del vostro non piccolo
Territorio. Serbanti di tutto questo varj strumenti; ma uno
consideratene dell'anno 1355 nono del suo Imperio, sotto dì 13
Marzo, nel quale palesa la cagione di tanta, e si speciale
benevolenza, e queste parole adopera per la Patria vostra
luminosissime, e sempre memorabili: Sanc
vestrae fidelitatis immota constantia, aliaque virtuosa opera, quae
tota mentis sollicitudine, & labore continuo proreverentia, &
honore el. mem. divorum. Imperatorum, Regumque Romanorum
predecessorum nostrum, & Sacri Imperii Romani, atque nostro
notabiliter, & utiliter impendistis, personas & res vestras
frequenter periculis, & jacturis ad regalem nostram Clementiam
merito intercedunt & c. Ed
appresso così degno sentimenti di gratitudine venne il glorioso
privilegio, e da altri popoli non mai sperato, non che ottenuto, per
cui fregiò dell'eminente titolo di Vicarj Imperiali tutti i dodici
Governatori, che il supremo Magistrato erano della vostra Repubblica.
Il quale onore quanto lustro richiedesse già nei Personaggi, che ne
furono adorni, e nella loro [33]
Patria, e quanto merito in essi d'affezione sincera all'Imperio, e
quanto reciprocamente ne accrescesse lo splendore, e gli stimoli di
perpetua leale aderenza, è più agevole immaginare, che dire.
X.
Ma
quello che era stato la cagione di tanta grandezza, ed il principale
suo sostegno pel corso di più secoli, fu alla fine anco la cagione
della rovina, tanto sono da temersi le vicende nelle cose umane! I
vostri maggiori caddero in infelice fine per la loro fedeltà ai
Cesari, perderono le ragioni dell'Imperio, e la potenza, e la
libertà. Merita questo giustamente di esser ricordato ai giorni
nostri. Non è biasimo soccombere a maggior forza, e se non volle
esser commendata la fortuna in assistervi, la elezione vostra, e la
causa di tanti mali vi commenderà sempre, e forse ne avrete onore da
quelli, per cui allor combatteste. La dura servitù, in che vi
strinsero i vostri nemici, vi ha disposti a servire ora più
volentieri agli antichi vostri Protettori: e almeno la lode, che ora
ne avrete, compenserà i danni delle passate vostre sventure.
Sdegnati oltre modo i Fiorentini per l'obbedienza dai Samminiatesi
prestata a Carlo IV la quale, secondo il loro Storico Villani, più
per lor gravò, che quella di Siena, colsero il tempo, che
l'Imperadore era già ripassato in Alemagna. Allora fatto pace e lega
con quasi tutti i Popoli d'Italia, come afferma il Tronci, e gettato
in [34]
Samminiato medesimo il pomo della discordia, e chiesto gli ajuti alle
loro amistadi, con poderosa oste vennero all'assedio della vostra
Città. Quivi statisi il corso di parecchi mesi, e non trovando via
di venire a capo dei loro disegni, cominciarono ad intendersela con
alcuno di quei di dentro, e per questo mezzo finalmente alli 9 di
Gennajo dell'anno 1369 vi furono introdotti. Di simil tradimento
chiaro argomento è, che dentro si viveva tranquillamente, e si
pensava solo a provveder de' viveri, per tenere il popolo abbondante,
e gajo. Per tali provvisioni l'Imperadore rimesse a Filippo di
Giovanni Armaleoni vostro cittadino 800 fiorini d'oro, soccorrendovi
siccome poteva, poiché non aveva luogo di venirci colle truppe. E
non essendosi l'Armaleoni trovato in istato di farne l'intiero
sborso, eglino ne presero in prestanza dal Vicario Imperiale, e
Patriarca di Aquileja Marguardo; e dell'accennata somma, e della
distribuzione di essa a tre Canovai apparisce Strumento rogato Andrea
di Guidone Arnaldi di Arezzo il dì 28 Dicembre, vale a dire, pochi
giorni prima del vostro fatale eccidio. Nel quale i vincitori ebbero
campo di sfogare il mal talento da tanti anni conceputo, e nutrito, e
fomentato a dismisura. La loro crudeltà fe correre le strade di
sangue. Né di ciò contenti, quattordici de' maggiori Cittadini
trassero a Firenze, ove agl'insulti d'insolente popolaccio [35]
esposti furono, e decapitati. Più degli altri tutti venne
oltraggiato, e consegnato alli scherni dei ragazzi, e per le vie
strascinato, come bestia, Filippo di Lazzerino Borromei. Intedea la
villana plebaglia di vendicare in lui, che parentela avea con i
Milanesi, l'onta, e lo scorno, che riceverono dal lor valore i vostri
assediatori, quando per essi, e sotto la condotta di Giovanni Acuto,
battuti furono alla Fossa Arnonica.
XI.
Né
si ristette la distruggitrice politica dei vincitori per fino a
tanto, ch'e' non ebbero insieme colla potenza, e colla libertà
oppressi quasi, ed estinti i generosi spiriti impazienti di giogo
servile, e la speranza, e il desiderio di risorgere, quando che
fosse, valorosamente. Si mosse contro di loro, come un'arme tacita,
ma funesta, la sempre odiosa legge Agraria, dispogliandoli di una
gran parte del Territorio, e formandone quattro Podesterie; del che
abbiamo Strumento dei 29 Aprile 1370 rog. Piero di ser Grifo. E
conciossiaché i vostri magnanimi progenitori per ristorarsi di tanta
perdita introducessero trattato per la compra di Castelfalfi colla
Repubblica Pisana, che nelle passate guerre occupatolo il ritenea, e
'l conchiudessero per opera di ser Vanni di ser Ferrino sindaco a ciò
eletto e deputato, collo sborso di 1100 fiorini, essi con manifesta
ingiuria se lo usurparono, e così si goderono l'acquisto altrui.
[36]
Poiché dal giorno della compra appena passato un anno, eglino
ascoltarono le istanze di quei di Castelfalfi, che allegavano la
troppa lontananza da Samminiato, per sottrarsi alla vostra
giurisdizione, e con tal pretesto il Castello togliendovi, lo unirono
alla Podesteria di Montajone, che una era della quattro nel nuovo
loro, ad antico vostro Territorio poc'anzi erette. Con simile arte i
medesimi strapparono a voi le armi di mano giustamente prese a
gastigare i popoli di Valdelsa, e massime quel di Colle, da cui vi
tenevate offesi. Temerono essi, che al fulgor di quelle, ed allo
strepito di guerra risvegliatosi il valore, e 'l genio nobile di
libertà, e viepiù forse infiammato per le guadagnate vittorie, dai
nemici domati ed abbattuti non si rivolgesse contro gli oppressori, e
ponesse in iscompiglio la Repubblica loro. E non parendo allora tempo
opportuno ad usar comandi, adoperarono le soavi maniere della
persuasione, confortando e l'una parte, e l'altra a porre le loro
ragioni in mano di tre valentuomini, Giorgio Scali, Leonardo
Cariccioli, e Niccolò Tornaquinci, e starsi alla loro final
sentenza, succome fu fatto.
XII.
Ma
quello, di che temerono, scoppiò nel 1397 ed al primo avviso che
Samminiato avea scosso il giogo, e si era rimesso in libertà, tale
fu lo smarrimento, ed il timore dei Fiorentini, che sbigottiti si
credevano alla [37]
vigilia della loro
servitù, mentre allora appunto si ritrovavano circondati da fieri, e
valorosi, ed ostinati nemici. Udite le parole dell'Istorico vostro
Lorenzo: Florentiae media
fere nocte nunciatum est Mangiadorium Praefectum ipsorum occidisse,
Palatiumque cum armatis hominibus occupasse; eo perterriti nuncio
Magistratus trepide in curiam media nocte advocati; oppido
munitissimo deperdito, & equitum capacissimo, in quo idoneam
belli sedem esse non erat ambiguum, actum de libertate putabatur.
Actum de libertate di
quei medesimi, che generosi, e costanti non si avvilirono per
gl'infausti successi né di Monte Catini, né dell'Altopascio, né
della Zagonara, né del Serchio? Adunque se la ribellione fosse stata
condotta con altrettanto senno, ed avvedutezza, con quanto coraggio,
e prosperità, fu ella cominciata, e se il promesso soccorso giunto
fosse in tempo, e fedeli, e pronti si fossero mostrati gli alleati,
troppo era da temere pei Fiorentini, e da sperare pei vostri. Piacque
al cielo altrimenti. Né miglior fortuna fu conceduta all'ultimo moto
della moribonda libertà nel 1431 quando i maggiori vostri ad
impetrare ajuto mandarono Ambasciadori all'Imperador Sigismondo.
Gradì la clemenza di Cesare, e l'usata divozione all'Imperio, e la
fiducia in lui riposta: furono amorevoli le accoglienze, ma incerta
diedesi la speranza dello avvenire: essere ancora necessaria [38]
la tolleranza non potersi allora inviare truppe in Toscana, non
comportarlo il presente stato dell'Alemagna. Del rimanente, quando
licenziolli, incaricò i medesimi di riferire ai loro Concittadini,
che verrebbe tempo, in cui proveriano quanto dispiaciuta fosse
all'Imperio la loro servitù. Intanto scopertosi quest'ultimo
tentativo costò ben caro ai Samminiatesi. Chi era di esso
consapevole fu giudicato ribelle, e i beni ne furono confiscati. Il
vostro Archivio conserva un Libro col funesto titolo Beni
dei Ribelli del 1431. La
terza confiscazione fu questa, onde l'afflitta Città si vide vuota
quasi, e povera, e le pubbliche faccende, furono abbandonate, ed
appena rimase un'ombra del governo, ed uno scheletro dello stato
primiero.
XIII.
Benché
tra i fieri e dolorosi oggetti, come tra i lieti e magnifici, che io
vi ho presentato, dovete egualmente aver veduto, qual sia stata la
virtù, e l'eccellenza dei Samminiatesi, che più sovente riconoscesi
nelle avversità, che nella buona ventura; quale amore però alla
patria non dimostra quello della libertà, vivo sempre, benché
tenuto ripresso per quasi un secolo fino all'estremo universale
sfinimento? Quale magnanimità non discoprono gli sforzi per essa
fatti, i consigli presi, i beni disprezzati, il sangue versato? E
nella costante affezione all'Imperio forse picciol pregio, e da non
curarsene si manifesta? [39]
Ella non era quale in altre Città Toscane, un impegno tolto a
sostenere per capriccio, o per ambizione d'opprimere una parte dei
Cittadini, o di vendicarsene con un pretesto; né era ciò
l'introdurre in casa propria stranieri nemici a darci legge, o una
furia di animo mutabile, e quanto incauto nello intraprendere, tanto
mal fermo nel mantenere. Ma era sì stabile, che dal principio
dell'aggrandimento fino alla grave sua rovina, fu il carattere della
Città vostra; e non era Cesare così certo del reale suo patrumonio,
com'egli era certo della benevolenza dei Samminiatesi. Era sì
giusta, anzi necessaria, che potea dirsi una medesima cosa, che
l'amor della Patria, difesa, aumentata, ed onorata per la protezione
dell'Imperio, per cui tenne gran tempo sue leggi, e libero governo, e
distinto posto nella Toscana. Era sì commendevole, che difficil
sarebbe a degnamente lodarla, quella fidanza, che ebbero in lei tanti
Augusti Personaggi, manifesta dichiarazione, come vedemmo, della fede
e lealtà incommutabile, e della fortezza, e del valore dei suoi
Cittadini. Le quali cose io dico, perché si abbia meglio a
confessare, che tanta congiunzione di animi, e tanta virtù meritava
miglior ventura, e che adesso massimamente ella si merita premio
almeno di lode, e di speciale considerazione; e perché ancora non
paja, che io accatti gloria alla vostra Patria coll'altrui [40]
buon volere solamente, e con de' pregj quasi esterni; ed anzi
s'intenda, che quelli provenivano da interne qualità de' vostri
Antenati, e dalle loro illustri opere, e dalla loro laudabil natura.
E ciò senza fallo si può comprovare con altre cose molte, delle
quali meglio confermare la proposizione mai piacemi d'alcuna
brevemente accennarvene.
XIV.
Dallo
Strumento, che il Territorio vostro dismembrò veder potete, che
augusto non era egli, né spregevole, a paragone di quello delle
altre Cattadi a voi vicine, e che trentaquattro piccioli Popoli egli
comprendeva. Ma una singolar lode distinguelo, e lo rende eguale al
dominio di remote Provincie colla violenza dell'armi,
coll'ingiustizia delle ragioni, con la frode, con la tirannia
conquistate e dome. Ed è questa la libera, e volontaria
sottomissione di alcuni di loro, della quale serba il vostro Archivio
le testimonainze, che lo sono ancora della bontà delle vostre Leggi,
della saviezza del governo, e della dolcezza ed equità degli
Amministratori di esso. Uno di questi preziosi monumenti riguarda
quella di Campovena nel 1231 il qual Castello, per la misura presane
d'ordine de' vostri Signori l'anno 1330 settemila canne lontano dalla
Città era collocato; le altre sono quella del Vignale del 1235,
quella di Castelfalfi nel 1238, e quella di Tonda del 1267. Le quali
Castella, come le altre dell'istesso [41]
dominio, non dovete immaginarvele, quali alcune vedonsi adesso
appena, rovinate e spopolate; poiché il tempo ha cangiato in tutto
non solo le mura, ma il numero degli abitatori, assai maggiore per
tutto questo paese a quei tempi, che e' non è in questi. Allora o la
libertà, cui or veggiamo dalla miglior parte del mondo sbandita,
ispirava una segreta affezione al terreno natìo, ed alla famiglia,
che muoveva a desiderare, e volentieri alimentar figlioli, o la
necessità di convenevoli forze a difendersi dai confinanti, sovente
nemici, e l'emulazione della potenza ristretta in piccoli Stati,
essendone in tanti divise le nostre contrade, attende faceva a
procurar popolazione, ed averla cara, quanto ad impedirla si adoperò
in molti luoghi la crudele politica dei secoli posteriori. Duemila
soldati furono un soccorso prestatamente ad un cenno raccolto, e
spedito ai Fiorentini contra il Duca di Atene dai vostri
Samminiatesi. Nel che notate la militar disciplina di allora. Ciò
poteasi eseguire, poiché eglino teneano le milizie a cerne, e con
campana a storno, e con un falò dal cassero, ne radunavano giusta
l'occorrenza.
XV.
Diede
questo ai vostri la maniera di sostenere ostinate, e sanguinose
guerre contro potenti, e fortunati avversarj, come Uguccione della
Faggiuola tiranno di Pisa, e di Lucca, e Castruccio Castracani terror
della Toscana, [42]
i quali aspirando all’intiera Signoria della medesima, fecero in
vano ogni sforzo per impadronirsi della vostra fortezza, d’onde
poteano quasi dal mezzo della Provincia scagliarsi a danno degli
altri popoli. Nel che per voi non solamente diedesi prova di alto ed
incredibil valore, ma si meritò, a bene, e discretamente giudicare,
il nobilissimo titolo di Protettori, e Conservadori dell’altrui
salute, e libertà. Quali sariano stati i travagli, e quale
l’oppressione di tante Repubbliche, quale alterezza, e la possanza
del Faggiuola, o di Castruccio, se avesse potuto a suo talento dispor
di voi, del vostro Stato, delle vostre truppe, e massime dopo i
trionfi di Monte Catini, e dell’Altopascio? Chi nelle storie di
que’ tempi a mediocrità versato havvi, che nol conosca? Voi
all’ingorde ambizione voglie dei Tiranni vi opponeste con petto
franco, voi faceste argine al corso superbo di loro vittorio, voi
(non deesi defraudarvi della dovuta gloria) voi foste i fedeli, i
coraggiosi Guardiani della Libertà Toscana. Odanlo i Fiorentini,
odano i loro Storici Giovanni Villani, e l’Ammirato. Nelle guerre
Castrucciane cotanto a loro funeste, e piene di non usati perigli, da
niuno ebbero essi più pronto e diligente ajuto, che dai
Samminiatesi; quantunque anch’eglino si vedessero il nemico alle
porte, che ora stringeali con assedj, ora colle scorrerie il
Territorio guastava, ed abbruciava. [43]
Che se taluno voi
ascoltaste di quei, che pensano aver Castruccio sorpreso la vostra
Città, perché nella sua vita leggono, che arrivò a sorprendere
Samminiato, non date loro credenza, e siate avvisato, che questo
luogo, non cotesto è, ma Samminiato al Monte, che guarda Firenze,
del quale s'impadronì l'anno 1324 come spiegano i buoni Scrittori,
quando egli, ad Azzo Visconti condussero trionfante l'esercito, e
molti stettero di quei dì fin presso le mura di Firenze. Ma non è
sola questa l'occasione, in cui abbiano avuto ricorso i Fiorentini a
voi, e debbano commendare il valor vostro, la potenza, e la lealtà.
Chi tagliò loro il laccio dal collo, per cui gli strascinava il Duca
di Atene, se non l'ajuto, di cui parlammo, spedito loro a tempo da
questo ora sì negletto paese? Chi guadagnò ad essi la battaglia di
Campaldino? Leggete l'Ammirato, il Buoninsegni, e le Cronache di Dino
Compagni, e intenderete a voi tal lode unicamente appartenersi.
XVI.
E
quante volte dalla Patria vostra i Capitani eglino chiamarono a
comandare le loro truppe? Nel 1256 le confidarono a Gio. Mangiadori;
nel 1351 a Lamberto dei Conti di Collegalli; nel 1360 a Piero
Ciccioni; nel 1404 a Ruberto Collegalli. E gl'Imperadori medesimi non
ebbono a grado di prevalersi di Generali Samminiatesi? Il più famoso
di essi è Ceo da Samminiato, che perdé la [44]
giornata di Barigliano, ma, siccome la fama fu, la vita salvò
dell'Imperadore già pianto per morto. Ma vedetene di grazia il
giudicio non d'un uomo solo, o di una sola Città, ma di molti
popoli, e di Città nobilissime. Chi fu nel 1297 che difese in
qualità di Capitano Generale le Città comprese, e descritte allora
nel giro dell'Etruria contro le molestie, le ruberie, le violenze
recate loro dalle avare, e crudeli compagnie, che mettevano a rovina
le Provincie, e taglieggiavano tutti i Popoli? Fu la saggia, e
valorosa condotta di Bertoldo Malpigli Samminiatese. E qual fu
l'altro Generale da tutti i Comuni eletto per somigliante faccenda,
quando eglino nel 1310 concorsero tutti con buon numero di
soldatesche a formar un giusto esercito, cui si dava il nome di
Taglia? Non altri, che il Cittadino Samminiatese Barone dei
Mangiadori. Considerate quali uomini, e quali famiglie produceva
l'abbandonata vostra Patria, poiché non solamente il soccorso loro
si prezzava tanto, ma al comando eglino soli venivano invitati a
concorrenza di Città sì ragguardevoli, e non delle sole del Gran
Ducato, ma di quelle tutte, che componevano l'Etruria antica.
XVII.
Le
quali prerogative non furono oscure agli antichi Fiorentini, né
della loro stima, e rispetto anno a dolersi i Samminiatesi. Racconta
l'Ammirato, ed appare ciò eziandio per pubblico Strumento, che nel
1345 [45]
si fece in Firenze una riformagione, che i Grandi di Firenze fossero
di Samminiato e reciprocamente i Grandi di Samminiato fossero di
Firenze. Se bene io dico, che a riguardare il fine, e le maniere di
questa legge, ella non era in difetto piuttosto onoranza, che pena.
Quando la potenza di un Cittadino era troppo temuta, dichiarandolo
dei Grandi, o dei Magnati, ei veniva rimosso da ogni Magistratura, e
da ogni amministrazione della Repubblica, onde s'intendeva d'impedire
a lui il potersi abusare di sua grandezza a danno della Patria. Avea
Firenze, che reggevasi con governo popolare, imitato, ed anzi
raddolcito per una parte la famosa costumanza, che avevano gli
Ateniesi di sbandire per alcuni anni dalla Città, che divenuto era
troppo potente, la quale essi chiamavano Ostracismo. Ma che perciò!
L'essere tra i Grandi posto, siccome l'essere d'Atene cacciato, era
una pena, ma pena della troppa grandezza, e talvolta ancora della
virtù, e perciò sempre gloriosa, benché spiacevole. Ed in questo
Decreto, che nei Capitoli della sommissione di Samminiato si ridusse
a patto vicendevole, ben si ravvisa una certa uguaglianza di timore,
e conseguentemente di potere negli uomini di ambedue le Repubbliche,
una somiglianza di titoli, e per conseguenza di grado, in somma un
trattarsi dell'uno, e dell'altro popolo alla pari. E ciò meglio si
vede nell'altro Capitolo, il quale [46]
porta, che abitando un Samminiatese per sei mesi in Firenze (e molte
delle vostre famiglie annolo fatto, e della vostra medesima il
vedrete poi) dovesse egli godere di tutti gli Ufizj, e di tutte le
Magistrature della Città. Aggiungete che i vostri, quantunque
divenuti sudditi d'altra Repubblica, non però perderono così tosto
quella distinta considerazione, che radicata era negli animi dei
popoli, e dei medesimi vincitori. Nella pace conchiusa in Bologna ai
10 di Novembre 1370 (anno susseguente a quel primo, che fu per voi
fatale) tra la S. Sede, e Bernabò Visconti, e di vicendevoli
confederati d'ambe le parti, anche i vostri convenne, che creassero
Sindaci ad acconsentire alle condizioni, accettarle, e fermarle, come
se ancor'essi fossero stati liberi ed assoluti Signori.
Antonio
Maria Vannucchi, Ragionamento
storico al nobil giovane Gio. Battista Gucci gentiluomo samminiatese
sopra la nobiltà della sua patria e della sua famiglia,
Stamperia Gaetano Albizzini, Firenze 1758, frontespizio.
SOMMARIO DEL LIBRO: