martedì 22 maggio 2018

LE RADIOSE GIORNATE DI MAGGIO

a cura di Francesco Fiumalbi

Sommario del post
LE RADIOSE GIORNATE DI MAGGIO
IL PATTO DI LONDRA
NEUTRALISTI...
...E INTERVENTISTI
L'USCITA DALLA TRIPLICE ALLEANZA
LA MAGGIORANZA NEUTRALISTA E IL CLIMA DI TENSIONE
L'ITALIA DICHIARA GUERRA ALL'AUSTRIA
IL CLIMA DI QUEI GIORNI FRA VALDARNO E VALDELSA

LE RADIOSE GIORNATE DI MAGGIO. I giorni che vanno dal “Patto di Londra” al 24 maggio 1915, quando l'esercito italiano oltrepassò il confine austriaco, furono chiamate retoricamente “le radiose giornate di maggio”. Non sappiamo chi abbia coniato tale espressione, unitamente a quella di “maggio radioso”. Tuttavia fu uno slogan di grande successo, specialmente nel Dopoguerra per indicare il tempo in cui l'Italia, destandosi dal suo atavico torpore, decise di impugnare le armi contro l'Austria. Tuttavia la successione di eventi non fu propriamente “radiosa” e nemmeno così semplicistica. Siamo di fronte alla costruzione di una narrazione nazionale priva di complessità e ambiguità, prodotta per affermare valori identitari indiscutibili e obbligatori, rimuovendo al contempo quei punti di tensione e conflittualità che pure erano presenti. Nel Dopoguerra, con l'Italia schiacciata tra fortissime tensioni sociali, c'era di bisogno di evitare rese dei conti e di ripartire. Ormai la guerra era stata fatta ed era stata vinta, anche se al prezzo di perdite, sacrifici e sofferenze enormi. I caduti (600mila) divennero “martiri” ed “eroi”. E così quei giorni che precedettero l'ingresso in guerra, caratterizzati da tensioni e tumulti, divennero “radiosi”. Un mese in cui l'Italia passò dalla neutralità all'interventismo, in cui il Paese si trovò diviso fra manifestazioni interventiste e scioperi neutralisti, culminate con il voto della Camera del 20 maggio e la dichiarazione di guerra all'Austria. Cosa successe in Toscana e più precisamente fra il Valdarno e la Valdelsa? Quale clima si respirava? Cosa pensava la gente all'eventualità della guerra? Nel post cercheremo di rispondere a tutte queste domande. Ma andiamo con ordine.

La «Domenica del Corriere», anno XVII, n. 21, 23-30 maggio 1915.
D'Annunzio parla al popolo di Roma nel teatro Costanzi.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

IL PATTO DI LONDRA. Il 26 aprile 1915 il Governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa (Inghilterra, Francia e Russia) stipulano un accordo segreto, il cosiddetto “Patto di Londra”. L'Italia, che fino a quel momento si era mantenuta neutrale, si impegnava ad entrare in guerra a fianco dell'Intesa entro un mese. In cambio e in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il Trentino, il Tirolo Meridionale (Alto Adige), la Venezia Giulia, gli altipiani carsici e isontini, l'Istria (eccetto Fiume), un terzo della Dalmazia, parte dell'Albania e la conferma della sovranità sulla Tripolitania, sulla Cirenaica e sul Dodecaneso. Assegnare tutti i “meriti” – o tutte le “colpe”, a seconda del punto di vista – del Patto di Londra al Presidente del Consiglio Antonio Salandra e al Ministro degli Esteri Sidney Sonnino sarebbe troppo semplicistico. Sull'accordo internazionale, che costrinse alle trincee il Regno d'Italia nei quattro anni successivi, pesa il ruolo di Vittoria Emanuele III, pur rimasto attentamente in zona d'ombra. Gli italiani, tuttavia, rimasero all'oscuro di ciò, divisi fra interventisti e neutralisti, due schieramenti tutt'altro che compatti, bensì estremamente eterogenei e variegati.

NEUTRALISTI... L'ex Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, massimo esponente liberale, era fermamente contrario alla guerra: non per principi pacifisti, ma semplicemente perché riteneva l'Italia impreparata a sostenere gli sforzi che il conflitto avrebbe comportato. Era favorevole alle trattative con Austria e Germania al fine di ottenere alcune concessioni territoriali per mantenere la neutralità italiana ed evitare di imbarcarsi in una guerra i cui esiti erano tutt'altro che scontati. Anche la maggior parte dei Cattolici, aderendo alle posizioni di Benedetto XV, erano contrari alla guerra: d'altra parte l'Austria era cattolica e poteva rappresentare un valido sostegno contro la laicità moderna incarnata dalla Francia anticlericale e repubblicana. E poi c'erano i Socialisti, il cui pacifismo era dettato dall'amara consapevolezza che a morire al fronte sarebbero stati inviati i figli dei contadini e degli operai. Senza dimenticare che i socialisti non ragionavano in termini “nazionali”, bensì “internazionali”: i proletari erano tutti “compagni”, indipendentemente dal loro stato o regno di appartenenza. E la guerra era solo borghese, imperialista e dinastica, concepita solamente per creare nuovi mercati, come ebbe a dire Lenin nel 1914.

...E INTERVENTISTI. Il partito interventista rappresentava, inizialmente, una netta minoranza nel Paese. Le principali motivazioni di un approccio favorevole alla guerra risiedevano nel fatto che l'Austria era il nemico storico, contro cui l'Italia aveva dovuto combattere per la propria indipendenza. Anche molti socialisti avevano dichiarato la propria avversione all'Austria: da Cesare Battisti a Benito Mussolini, ma anche Leonida Bissolati e Gaetano Salvemini che si rifacevano alla tradizione mazziniana. Non mancavano i socialisti rivoluzionari che vedevano nella guerra l'occasione per emancipare le classi proletarie. Agli ideali risorgimentali si rifacevano i liberali conservatori, come il Presidente del Consiglio Antonio Salandra, il Ministro degli Esteri Sidney Sonnino e il Direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini esponente della borghesia industriale milanese. E poi c'erano gli intellettuali avanguardisti, i futuristi e personalità del calibro di Gabriele D'Annunzio, ma anche lo stesso Vittorio Emanuele III: se il nonno Vittorio Emanuele II aveva fatto l'Italia, il nipote voleva renderla grande.

Una cartolina di propaganda interventista e antineutralista
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

L'USCITA DALLA TRIPLICE ALLEANZA. La prima mossa formale dopo il “Patto di Londra” avvenne il 4 maggio 1915, quando l'Italia dichiarò la propria uscita dalla Triplice Allenza, l'accordo sottoscritto con la Germania e l'Impero Austro-Ungarico un trentennio prima. Da quel momento partì la mobilitazione e la campagna interventista si fece sempre più accesa. Nel frattempo, il 5 maggio, a Quarto presso Genova, si inaugurava il monumento a Garibaldi e ai Mille che proprio da quel porto avevano dato avvio alla spedizione nel 1860. La memoria dell'impresa garibaldina offrì a D'Annunzio l'occasione per esortare gli italiani a scegliere la guerra, naturale seguito ed esito del Risorgimento. «Oggi sta su la patria un giorno di porpora; e questo è un ritorno per una nova dipartita, o gente d’Italia. Se mai le pietre gridarono nei sogni dei profeti, ecco, in verità, nella nostra vigilia questo bronzo comanda. […] [Garibaldi] Disse: “Qui si fa l’Italia o si muore”. A lui che sta nel futuro “Qui si rinasce e si fa un’Italia più grande” oggi dice la fede d’Italia. O primavera angosciosa di dubbio e di patimento, di speranza e di corruccio! » Seguirono poi “le beatitudini” riscritte dal “vate”.

Una foto del momento del discorso di Gabriele D'Annunzio a Quarto
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

LA MAGGIORANZA NEUTRALISTA E IL CLIMA DI TENSIONE. Dopo lo scioglimento della Triplice Alleanza e il discorso di Quarto, la situazione che andava profilandosi era ormai chiara. Giolitti, tuttavia, dalla sua casa in Piemonte raggiunse la Capitale per sollecitare il Governo a riprendere le trattative con l'Austria e la Germania. Dopo essere stato a colloquio con il Re e con Salandra, capì che il Governo si era impegnato con le potenze dell'Intesa, e solo il Parlamento poteva sciogliere gli accordi e rinnovare l'indirizzo neutrale. 300 deputati e 100 senatori lasciano il proprio biglietto da visita nella cassetta della posta dell'appartamento romano di Giolitti, in segno di solidarietà e concordanza di vedute. La maggioranza parlamentare era ancora “neutralista” e ciò indusse Salandra a presentare le dimissioni nelle mani di Vittorio Emanuele III, il quale le respinse. A questo punto a Roma scoppiarono molteplici disordini, specialmente contro Giolitti e la maggioranza dei parlamentari. Alcuni gruppi, diventati sempre più violenti, diedero l'assalto al Palazzo di Montecitorio.

Giornata di fermento dopo l'atteggiamento di Giolitti
Salandra e Sonnino fermi nel loro programma
«Corriere della Sera», anno 40, n. 130, 12 maggio 1915
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

L'agitazione nel Paese pel tentativo giolittiano di sconvolgere la situazione.
Il Governo non muta linea di condotta e si presenterà al Parlamento
«Corriere della Sera», anno 40, n. 131, 13 maggio 1915
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

Intanto Mussolini, dalle colonne de Il Popolo d'Italia tuonava contro i neutralisti e contro lo stesso Parlamento, ritenuto corrotto e da estirpare. Nel clima rovente di quei giorni, in fervida attesa per le decisioni che sarebbero state prese dalla Camera convocata per il 20 maggio 1915, fece nuovamente il suo ingresso sulla scena Gabriele D'Annunzio. Il poeta, in diverse occasioni, incitò la folla ad usare anche la violenza, se necessario, per punire i traditori della Patria: «Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane. Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei: né mi parrebbe di averne rimordimento. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale ad impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca ad imbrattare e a perdere l'Italia». Non mancarono tensioni in tutta Italia: gli interventisti si scagliarono contro Giolitti, mentre i neutralisti manifestavano contro il governo, attraverso scioperi e tumulti.

Tutta una giornata di dimostrazioni a Roma
Montecitorio invaso – Un impressionante discorso di Gabriele d'Annunzio
«Corriere della Sera», anno 40, n. 133, 15 maggio 1915
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

L'ITALIA DICHIARA GUERRA ALL'AUSTRIA. Nella seduta della Camera del 20 maggio 1915 Salandra, dopo la crisi dei giorni precedenti, chiese i “pieni poteri”, ovvero i poteri di dichiarare guerra, come si evince dal resoconto stenografico consultabile on-line: «Mi onoro di presentare alla Camera un disegno di legge per il conferimento al Governo del Re di poteri straordinari in caso di guerra. (Approvazioni). E poiché chiedo che esso sia dichiarato di massima urgenza, darò lettura alla Camera della relazione nella quale sono comprese le comunicazioni del Governo. Onorevoli colleghi! […] In questo stato di cose, considerata la gravità della situazione internazionale, il Governo deve essere anche politicamente preparato ad affrontare ogni maggiore cimento e col presente disegno di legge vi chiede i poteri straordinari, che gli occorrono. Tale provvedimento non solo è, in sé, del tutto giustificato da precedenti nostri e di altri Stati, quale che sia la forma di Governo onde son retti; ma rappresenta una migliore coordinazione, se non pure una attenuazione, di quelle facoltà che lo stesso nostro diritto vigente conferisce d'altronde al Governo, allorché preme quella suprema legge che è la salute dello Stato. (Vivissimi generali applausi)».
Come osservato acutamente da Indro Montanelli: «solo Turati si alzò a fare opposizione. I 300 giolittiani tacquero, e al momento del voto si schierarono col governo dandogli una maggioranza di 407 contro 74. Era l'abdicazione alla volontà della piazza, che a sua volta aveva abdicato alla volontà di una minoranza, come del resto in Italia era sempre successo» [I. Montanelli, L'Italia di Giolitti, Rizzoli Editore, Milano, 1974, p. 238].

I pieni poteri al Governo per la guerra
Due memorabili sedute del Parlamento – Le dichiarazioni di Salandra
I deputati cantano l'inno di Mameli – Tutto il Senato inneggia
alla più grande Italia – La presentazione del “Libro Verde”
«Corriere della Sera», anno 40, n. 139, 21 maggio 1915
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

Il 24 maggio l'Italia varcò i confini austriaci. Era iniziata la guerra. «A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri». Con queste parole Vittorio Emanuele III concluse il proclama all'esercito e salutò l'inizio delle operazioni belliche.

IL CLIMA DI QUEI GIORNI FRA VALDARNO E VALDELSA
Fra la fine di aprile e la fine di maggio 1915, quando l'ingresso dell'Italia in guerra si faceva ogni giorno più imminente, la situazione fra Valdelsa e Valdarno era particolarmente tesa. Di questo abbiamo notizie grazie a quotidiani nazionali come il Corriere della Sera, La Stampa e L'Avanti. Dal 24 maggio entrarono in vigore le disposizioni urgenti in materia di pubblica sicurezza, emanate dal re Vittorio Emanuele III. Da quel momento non si ha più notizia di proteste, tumulti e dimostrazioni contro la guerra. Finalmente il clima si era tranquillizzato? Tutt'altro... ma quelle furono le “radiose giornate di maggio”, dove, tuttavia, le ombre furono ben più lunghe dei raggi luminosi.
La politica si era piegata alla “piazza”, la cui risonanza era stata debitamente amplificata dagli organi di stampa e da personalità intellettuali di rilievo. C'è chi dice che questo “maggio radioso” non sia stato altro che un'anticipazione della marcia su Roma. Lo stesso Benito Mussolini, qualche anno più tardi, ebbe a sostenere che il fascismo non fosse nato nel 1919, bensì proprio il 24 maggio 1915. E tutti i torti, forse, non ce l'aveva.

La vignetta di Giuseppe Scalarini su «L'Avanti» del 15 maggio 1915
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633

Di seguito l'articolo del «Corriere della Sera» del 14 febbraio 1915, p. 6:

Tumulti ad un comizio a Pisa. Un infortunio, vari ferimenti e cinque arresti
Da questo Fascio interventista era stato indetto al Politeama Pisano un comizio privato a favore della guerra, oratore l'on. Eugenio Chiesa. I gruppi anarchici hanno pubblicato allora un vivace manifesto contro la guerra e contro i propagandisti per l'intervento. Oggi alle 16, circa 1500 persone si trovavano nel teatro, allorché sono sorte discussioni fra interventisti e neutralisti, questi in maggioranza anarchici e socialisti ufficiali, seguite da vive colluttazioni. Si sono emesse grida di abbasso e viva la guerra e si sono lanciati manifestini inneggianti l'intervento. Nella seconda galleria intanto avveniva un vero tumulto. Un operaio per una spinta troppo forte contro la ringhiera cui era appoggiato, ha perduto l'equilibri ed è caduto sopra la sottostante scalinata di legno della platea, che si è spezzata. Dopo un momento di ansia nel pubblico l'infelice è stato trasportato all'Ospedale in gravi, sebbene non disperate, condizioni. L'on. Chiesa, presentatosi al proscenio accolto dagli applausi degli interventisti e da grida e fischi e invettive dei neutralisti, non è riuscito a parlare. Si è svolta, un'altra mischia nella platea con scambio di pugni e legnate. Molti operai hanno riportato ferite di provenienza sconosciuta: uno è ferito gravemente di coltello alla regione renale e un altro di bastone alla fronte. Allora, chiamata, è entrata in platea la forza pubblica, mentre una compagnia con baionetta in canna occupava il giardino del Politeama. Questo si è in breve sfollato. Si sono operati cinque arresti, tra i più accesi tumultuanti, ma gli arrestati dopo interrogati sono stati posti in libertà.

Lunedì 19 aprile 1915 a Santa Croce sull'Arno si svolse il primo sciopero generale della zona, organizzato dai Socialisti, anche se avversato dalla “censura” che tentava di ostacolare le agitazioni e i moti di protesta che andavano diffondendosi in quei giorni. Di seguito l'articolo pubblicato su «L'Avanti» del 21 aprile 1915:

Sciopero generale a S. Croce. S. CROCE SULL'ARNO, 19. La Sezione socialista, udito il parere delle Organizzazioni locali, d'accordo con esse ha proclamato lo sciopero per tutta la giornata: nessuna defezione è avvenuta e la massa operaia ancora una volta ha dimostrato la sua avversione all'infame guerra. Nel pomeriggio tutti gli esercizi pubblici sono stati chiusi con la scritta: «Chiuso per protesta contro la guerra!». Il comizio che doveva essere tenuto alla Casa del socialisti, è stato sospeso per mancanza d'oratore, avendo la censura fermato il telegramma diretto all'avv. Salvatori.Le associazioni locali, Sezione Socialista, Cooperativa consumo, Cooperativa operaia, Lega pellettieri, Lega raffinatori, hanno inviato telegrammi al deputato del collegio on. Guicciardini perché informi il suo voto alla volontà del proletariato santacrocese, che non vuole la guerra.

Il giorno seguente, martedì 20 aprile 1915 le proteste più significative avvennero nella zona empolese. Centinaia di donne, provenienti dal Montalbano, da Vinci e da Cerreto Guidi mossero verso Empoli per manifestare contro la guerra. Qui la folla, ingrossata da uomini e donne provenienti dai paesi vicini e dalla stessa Empoli, invasero la stazione ferroviaria che era occupata dall'8° Compagnia dell'87° Reggimento Fanteria, da numerosi Carabinieri e autorità di pubblica sicurezza. Scoppiò un grave parapiglia, la linea ferroviaria fu interrotta e vi furono diversi feriti. Di seguito l'articolo de «L'Avanti» del 21 aprile 1915:

Contro la guerra. Violente dimostrazioni a Empoli. FIRENZE, 20 notte. Da Empoli si hanno le seguenti notizie: Stamane sono scesi da Montalbano, da Vinci e da Cerreto Guidi circa 300 donne. A queste si sono aggiunti parecchi uomini ed altre donne dei villaggi vicini. I dimostranti hanno transitato per le vie principali della città gridando: abbasso la guerra! Una imponente dimostrazione è stata fatta a mezzogiorno in vicinanza del municipio. E' stata ottenuta anche la chiusura dei negozi. La folla si è poi riversata in piazza e si è recata alla stazione ferroviaria, che era occupata militarmente da soldati e da numerose guardie di P.S. E carabinieri. Il delegato [il delegato alla Pubblica Sicurezza sig. Adorni, n.d.r.] del paese ha arringato la folla cercando di persuaderla a non andare alla stazione, ma la folla non ha dato ascolto alle parole del delegato e si è recata in massa alla stazione ove si sono date a tumultuare. Sono avvenute gravi colluttazioni, durante le quali sono state rotte le cancellate della stazione. L'ira popolare si è scatenata su un carabiniere aggiunto il quale aveva dato una piattenata [un colpo di spada dato di piatto, n.d.r.] ad una donna. Il carabiniere si è potuto salvare a tempo sorretto dai suoi compagni. Sono avvenute altre colluttazioni con la forza pubblica e finalmente la folla numerosissima invase la stazione impedendo la partenza del treno merci 1650 proveniente da Firenze alle ore 1,31. La macchina venne staccata ed è stata messa attraverso al binario per ostacolare il procedimento del treno 1649 che da Livorno si reca a Firenze. I dimostranti hanno continuato per molto tempo a tumultuare. Durante un tafferuglio assai serio sono stati feriti mediante colpi di pietra il tenente dei Carabinieri. Alcuni monarchici si sono adoperati per invitare la folla a sciogliersi, ma sono stati percossi.

Sul medesimo episodio l'articolo del «Corriere della Sera» del 21 aprile 1915, p. 4:

La stazione di Empoli invasa dalla folla. Colluttazioni e feriti. Firenze, 20 aprile, notte. Il Nuovo Giornale di stasera pubblica il seguente fonogramma da Empoli: Stamane sono scese da Montalbano, da Vinci, da Cerreto Guidi circa 300 donne. Alle donne si sono aggiunti parecchi uomini e altre donne dei villaggi vicini. I dimostranti hanno transitato per le vie principali della città gridando «abbasso la guerra”». Una dimostrazione è stata fatta alle ore 12 dinanzi al Municipio ed è stata imposta la chiusura dei negozi. La folla si è riversata in piazza e si è recata poi alla stazione ferroviaria, che era occupata dall'ottava compagnia dell'87° fanteria qui in distaccamento e da numerose guardie di P.S. e carabinieri. Il delegato Adorni ha arringato la folla esortandola a non eccedere. Infine ha dichiarato che a nessun costo avrebbe permesso che la stazione fosse invasa. Ma le sue esortazioni sono state vane, poiché in vicinanza della stazione erano oltre duemila persone che si sono date a tumultuare e a commettere disordini. Sono avvenute gravi colluttazioni, durante le quali fu rotta la cancellata della stazione. L'ira popolare allora si è scatenata su un carabiniere che aveva dato una piattonata a una donna. Il povero carabiniere è stato salvato a stento dai commilitoni. Sono avvenute altre collutazioni colla forza pubblica e finalmente la folla numerosissima ha invaso la stazione impedendo la partenza del treno merci 1650 proveniente da Firenze alle ore 13,40. La macchina è stata staccata e è stata messa attraverso i binari per ostacolare il proseguimento del treno 1649, che da Livorno si reca a Firenze. I dimostranti continuarono a tumultuare. Durante un tafferuglio assai serio sono rimasti feriti da colpi di pietra il tenente dei carabinieri di S. Miniato e un milite. Alcuni cittadini si sono adoperati affinché ritornasse la calma. Ma ebbero la peggio perché due di costo e cioè Ilio Panzani e Ferdinando Liserani sono stati percossi e feriti.

E l'articolo de «La Stampa» del 21 aprile 1915, p. 6:

Gravi disordini ad Empoli. La stazione ferroviaria invasa dai dimostranti. Un tenente, un carabiniere e due cittadini feriti. Firenze, 20, notte. Il «Nuovo Giornale» ha da Empoli: Stamane, sono scese da Monte Albano, da Vinci, da Cerreto circa trecento donne alle quali si sono uniti parecchi uomini e altre donne dei villaggi vicini. I dimostranti hanno transitato per le vie principali della città gridando «Abbasso la guerra». Una dimostrazione è stata fatta alle ore 12 dinanzi al municipio. E' stata imposta la chiusura dei negozi. La folla si è riversata in piazza e poi si è raccolta alla stazione ferroviaria che era stata occupata militarmente da una compagnia di fanteria, da numerose guardie di pubblica sicurezza e da carabinieri. Il delegato ha arringato la folla esortandola a non eccedere ed ha dichiarato infine che a nessun costo avrebbe permesso che la stazione fosse invasa. Ma le sue esortazioni sono state inutili, poiché le vicinanze della stazione erano vigilate da oltre duemila persone, che si sono date a tumultuare e a commettere disordini. Sono avvenute gravi colluttazioni durante le quali è stata rotta la cancellata della stazione. L'ira popolare si rovesciò su di un carabiniere aggiunto, il quale aveva dato una piattonata a una donna. Il povero carabiniere è stato salvato a stento dai commilitoni. Sono avvenute altre colluttazioni con la forza pubblica e finalmente la folla ha invaso la stazione impedendo la partenza del treno merci 1650 proveniente da Firenze alle ore 15,4. La macchina è stata staccata e messa attraverso i binari per ostacolare il proseguimento del treno 1649, che da Livorno va a Firenze. I dimostranti, che erano oltremodo inferociti, hanno continuato a tumultuare per tutta la serata. Durante i tafferugli sono rimasti feriti da colpi di pietra il tenente dei carabinieri di San Miniato e un milite. Alcuni monarchici si sono adoprati per far ritornare la calma, ma hanno avuto la peggio, perché due di essi sono stati percossi e feriti.

Ancora sul tumulto empolese l'articolo de «La Stampa» del 22 aprile 1915, p. 4:

I disordini di Empoli. Firenze, 21, sera. Da Empoli si hanno le seguenti notizie: E' giunto il sotto-prefetto di San Miniato, che si è subito adoperato per pacificare gli animi. E' pure arrivato l'on. Modigliani, il quale ha cercato di persuadere la folla, ed ha ottenuto la liberazione di un arrestato reclamato dalla folla. Un nucleo considerevole di cittadini ha stazionato per tutta la notte fuori della stazione. La pioggia ha però riportata la calma e non sono avvenuti altri incidenti. Nella notte sono stati fatti vari arresti. Temendosi tumulti, sono stati inviati rinforzi di truppa da Siena e da Pisa. Stamane Empoli ha ripreso il suo aspetto normale e la calma è ritornata negli animi. Intanto pattuglie di carabinieri e di militari transitano per le vie principali della città, che pare quasi in stato d'assedio. I carabinieri ed altre persone che avevano riportato ferite sono stati medicati all'ospedale.

Interessanti alcune sfumature dei due articoli apparentemente identici. «L'Avanti» era l'organo di informazione del Partito Socialista e dunque era apertamente schierato contro la guerra, mentre il «Corriere della Sera» era diretto dall'interventista Luigi Albertini. L'episodio del carabiniere che colpisce la donna con la spada e la successiva reazione della folla è descritto in modi sottilmente diversi. Mentre su «L'Avanti» le parole riportano i fatti senza aggiungere alcunché, sulle colonne del «Corriere della Sera» viene aggiunto l'aggettivo “povero” al Carabiniere, “salvato” dai suoi commilitoni, sottintendendo il fatto che quella donna si fosse resa colpevole di qualcosa di riprovevole e che il carabiniere avesse fatto solamente il proprio dovere.

Di seguito l'articolo de «La Stampa» del 23 aprile 1915, p. 4:

Un centinaio di dimostranti arrestati ad Empoli. Empoli, 22, notte. La giornata è passata tranquilla. Il mercato di oggi si è svolto normalmente. Sono stati operati un centinaio di arresti, che sono stati condotti parte a San Miniato e parte a Firenze. E' stato arrestato il consigliere comunale socialista Ferruccio Paci. L'on. Masini, deputato del collegio, si è interessato per il rilascio, ma inutilmente. L'on. Masini si è recato a San Miniato per le relative pratiche presso quelle autorità giudiziarie, perché gli arrestati vengano giudicati per direttissima. La stazione ferroviaria è sempre occupata militarmente. Sulla piazza della stazione la cavalleria fa sempre le sue evoluzioni.

Ai fatti di Empoli seguirono condanne e assoluzioni, come riportato nell'articolo de «La Stampa» del 9 maggio 1915, p. 7:

23 condannati ed 11 assolti per i fatti di Empoli. Firenze, 8, notte. Questa sera al Tribunale di San Miniato è terminato il processo contro i 34 dimostranti arrestati pei fatti di Empoli. Solo 11 vennero assolti: gli altri vennero condannati a pene varianti da 17 mesi a 8 mesi di reclusione.

Ed ancora su «L'Avanti» del 10 maggio 1915:

Il processone per i fatti di Empoli. Empoli, 9. Dopo due giorni di faticoso lavoro, ebbe termine al Tribunale di S. Miniato il grande processo dei 34 arrestati per la protesta contro la guerra del 20 aprile. Impossibile descrivere la grande montatura che portava, per i suoi vari capi di accusa, la condanna da un minimo di anni due ad un massimo di sette anni. L'accusa fu sostenuta barbaramente da una ventina di poliziotti con a capo il delegato Adorni. Oltre 40 furono i testimoni a difesa valendo poco o niente l'opera loro. Dopo una lunga e mordace requisitoria, il P.M. ritirava l'accusa per soli sette, e per gli altri 27 chiedeva una pena che saliva a quattro anni, quattro mesi e 600 lire di multa. Difesero gli imputati disinteressatamente i bravi compagni Salvadori di Empoli, Pacchi di Fucecchio, Salvatori di Viareggio e l'on. Pescetti, ai quali vada a nome di tutti il nostro sentito ringraziamento. Terminate le splendide quanto emozionanti difese, il Tribunale si ritira in Camera di consiglio, e dopo tre lunghe ore rientra pronunziando sentenza di assoluzione per 12 e condannando altri 22 da un minimo di due mesi a un massimo di 10. E così con questo il grande pallone ci sembra in parte sgonfiato, e finirà di sgonfiarsi in Corte d'appello.

Nei medesimi giorni gli studenti universitari di Pisa si mossero verso l'interventismo. Di seguito l'articolo del «Corriere della Sera» del 24 aprile 1915, p. 5:

Lo sciopero anche a Pisa (Per telefono al Corriere della Sera)
Patriottiche parole d'un senatore. Pisa, 23 aprile, notte. Anche a Pisa è stato accolto l'appello degli studenti del Politecnico di Milano. Un centinaio di nostri goliardi deliberava ieri sera l'astensione dalle lezioni, ma le prime lezioni ebbero principio stamane ugualmente. Verso le ore 10 però, le aule sono state invase dalla studentesca tumultuante che ha ottenuta la solidarietà dei colleghi per la cessazione delle lezioni. Dopo qualche incidente fra professori e studenti, il rettore ha deciso di chiudere l'Università fino a lunedì. La studentesca, prima della chiusura, teneva però un comizio in un'aula dell'Ateneo votando un ordine del giorno, riaffermante la solidarietà con gli studenti milanesi e invitando il Governo a prendere seri provvedimenti contro i propagandisti stranieri. Usciti dall'Università, al grido di «Viva l'Italia! Fuori i nemici d'Italia!» gli studenti si sono imbattuti nel venerando prof. sen. Buonamici, il quale, acclamato e invitato a parlare, ha detto con voce commossa: «Gioventù italiana! Ormai è passata l'ora delle discussioni per da luogo a quella dei fatti. E' l'ora di agire ed io, con sicura coscienza, vi dico che l'Italia sta per ridestarsi ed affermarsi».
Le parole del venerando senatore suscitarono un applauso caloroso, cui rispose il grido di «Viva l'Italia!». Quindi gli studenti seguirono il professore al canto dell'Inno di Mameli, pure intonato dal prof. Bonamici, a capo scoperto. Giunto presso la segreteria dell'Università egli fu nuovamente acclamato, al grido di: «Guerra al nemico eterno!». Il prof. Buonamici a questo punto, commosso, abbracciò e baciò gli studenti vicini. Gli studenti in corteo si sono poi recati ai vari Istituti secondari ottenendo la cessazione delle lezioni. Si è verificato un lieve incidente: un gruppo di studenti ha rotto i vetri delle finestre del seminario in piazza Santa Caterina. E' intervenuta una compagnia di fanteria a tutelare il seminario e la folla si è dispersa.

Sulle agitazioni pisane, di seguito anche l'articolo de «La Stampa» del 24 aprile 1915, p. 7:

A Pisa. Una sassaiola contro un Seminario. Pisa, 23, notte. Ieri ed oggi gli studenti dell'Università hanno proseguito nell'agitazione. Al palazzo Universitario comparve un manifestino, a firma di alcuni studenti, col quale si invitano tutti i compagni indistintamente a cessare le lezioni. Stamane il cortile maggiore della Sapienza era popolato di studenti, la maggior parte di Ingegneria, e così hanno avuto luogo i primi tumulti. La studentesca, gridando, invase alcune aule, in cui si faceva lezione, e si ottenne che cessassero. In qualche aula nacquero contestazioni tra studenti, dei vetri vennero frantumati e volarono dei pugni. Finalmente gli scioperanti hanno avuto il sopravvento. Giunse intanto la notizia che il rettore dell'Università ha dichiarato di sospendere le lezioni fino al prossimo lunedì. A questa notizia gli studenti si riuniscono in un'aula, dove tengono un breve comizio. Hanno parlato due goliardi, che hanno concluso invocando la solidarietà coi colleghi di Milano. Dopo ciò, venne approvato un ordine del giorno, col quale, mentre si afferma la solidarietà ai colleghi di Milano, si protesta contro i tedeschi d'Italia, e si invita il Governo a prendere i provvedimenti del caso. Terminato il comizio, gli studenti si sono quindi recati a varii istituti secondari, chiedendone la chiusura. Un increscioso incidente è avvenuto al Seminario di Santa Caterina, Qui circa un centinaio di studenti delle secondarie inferiori ha fatto contro l'Istituto una fatta sassaiola frantumando tutti i vetri. E' rimasto ferito un servente dell'Istituto. Nessun altro incidente.

Dopo il 1 maggio le proteste anti-interventiste ripresero vigore in tutto il Valdarno Inferiore. Così su «L'Avanti» del 3 maggio 1915, pp. 1-2:

CASTELFIORENTINO Manifestazione imponente. Corteo interminabile, con donne e bimbi: le Associazioni coi vessilli, musiche. Davanti al marmo che ricorda Andrea Costa, il compagno Innocenti ha parlato fra vivo entusiasmo.

EMPOLI Astensione dal lavoro completa. All'Arena Nuova ha parlato il compagno on. Giulio Masini, davanti ad oltre duemila persone. Non si è verificato nessun incidente, malgrado l'enorme e provocatore sfoggio di forza pubblica.

S. CROCE SULL'ARNO Astensione generale dal lavoro. Nel comizio pubblico, oratore il candidato politico avvocato Luigi Salvadori, si è votato un ordine del giorno contro la guerra. Numeroso uditorio.

CERTALDO Il popolo certaldese si è affermato solennemente contro la guerra. Il deputato Masini e l'avv. Pacchi hanno parlato applauditissimi davanti ad un uditorio imponente.

«L'Avanti» del 4 maggio 1915, p. 2:

PISA Astensione sul lavoro. Nella mattinata si è tenuto un comizio ben riuscito nella pastra di S. Giovannino, per iniziativa dei socialisti, degli anarchici e della Camera del Lavoro. Non è intervenuto l'on. Merloni, delegato dalla Direzione del Partito. Hanno parlato Montanari pei socialisti e Castrucci per gli anarchici. Nessun incidente.

MONTECALVOLI Le organizzazioni politiche ed economiche riunite in solenne comizio nel giorno del Primo Maggio nei locali della Società Cooperativa hanno votato un ordine del giorno riaffermando la propria avversione alla guerra.

«L'Avanti» del 5 maggio 1915, p. 2:

CASTELFIORENTINO Corteo di Associazioni. Interminabile. Comizio nell'Arena del Circolo operaio. Oratore l'avv. Gaetano Pacchi, davanti ad una folla enorme, imprecante alla guerra.

MONTESPERTOLI Nei locali sociali hanno parlato Bini e Verdiani. Sono state fatte manifestazioni per le vie al grido di abbasso la guerra e viva il socialismo.

Il processone pei fatti d'Empoli EMPOLI, 4. Domani s'inizia il processone per i fatti d'Empoli. Il collegio di difesa è composto dagli onorevoli Pescetti e Modigliani, e degli avv. Salvadori e Pacchi.

«L'Avanti» del 6 maggio 1915, p. 2:

Poggibonsi. Comizio contro la guerra alla Casa del Popolo; oratore il compagno avv. G. Sbaraglini.

«L'Avanti» dell'8 maggio 1915, p. 2:

Montaione. Comizio. Oratori Chiti e Orfato, e corteo con musiche.

«L'Avanti» del 12 maggio 1915, p. 2:

Gli arrestati di Castelfiorentino Castelfiorentino, 11. Gli arrestati sono stati trasportati al carcere di S. Miniato a disposizione dell'autorità giudiziaria. Si è recato a S. Miniato l'on. Masini, per ottenere la scarcerazione della ragazza Lombardi Pierina e degli altri due. Non sono valse le esortazioni di nessuno a persuadere la locale autorità di P.S. a venire a più miti riflessioni e rilasciare gli arrestati, ma tenta invece di impressionare maggiormente la nostra popolazione col far venire continuamente truppe e carabinieri. L'autorità di P.S. vuol far passare queste dimostrazioni per la partenza dei richiamati (dimostrazioni calme e pacifiche, che non hanno dato luogo neppure ad un minimo incidente) per dimostrazioni di malviventi e di teppisti! Il Primo Maggio migliaia e migliaia di persone convennero alla nostra manifestazione, e, poiché truppa e carabinieri erano consegnati, non successe nulla e la giornata passò tranquilla. Continuando di questo passo, col perseguitare e tenere il nostro paese in un continuo stato d'assedio, si avrà che la popolazione perderà la calma, e se non si prenderanno, da chi sta in alto seri provvedimenti per levare le cause si avranno le naturali conseguenze! Intanto si sta montando un processo per il 20 maggio contro gli innocenti arrestati, ed il processo è montato da quell'autorità di P.S. che è l'unica sola responsabile!

La censura sulla stampa in azione! Pisa, 10. La legge marziale non è ancora proclamata. Ma c'è odore di stato d'assedio in Italia! L'Unione socialista pisana ha voluto pubblicare un altro «numero unico» dedicato agli avvenimenti di questa vigilia; e l'aveva intitolato: “Abbasso la guerra!”. Il titolo ha dato noia al questore, che ha vietato l'uscita del giornale. Si è dovuto correre alle trattative, e il giornaletto è potuto uscire col titolo di “Scintilla”. Ma Scintilla ha dovuto subire la usa brava castrazione, ed ha veduto la luce col suo “pezzo in bianco” censurato come ai tempi che sembravano ormai superati. Eccovi il trafiletto incriminato: “Sono morti in Libia nell'ultima carneficina più di 1500 uomini (pensate che le nostre scuole superiori non ne contano tanti) e nessuno, né il Governo, né D'Annunzio presente, né il re... assente, ha avuto una parola per ricordare l'inutile sacrificio. C'è una bestiale noncuranza nel paese per gli italiani mandati a morire in Tripolitania e in Cirenaica. Indifferenza che rivela tutta la criminosità degli incoscienti e dei degenerati che vogliono una più grande guerra. Delinquenti!”.

«L'Avanti» del 14 maggio 1915, p. 2:

Ai lavoratori fiorentini. FIRENZE, 23. Da qualche giorno, nella nostra neutralissima città, un gruppetto di sfaccendati e di “viveurs” cerca di inscenare dimostrazioni a favore dell'intervento. E' doveroso che il proletariato socialista e tutti i compagni si trovino dopo le 21 in piazza Vittorio Emanuele, per impedire che quei gruppetti di mentecatti possano dire che rappresentano la volontà di Firenze. Il Consiglio della Sezione urbana avverte dunque i compagni affinché lavorino a questo scopo, e gli interventisti abbiano la lezione che meritano.

COLLE VAL D'ELSA Il Primo Maggio si tenne un riuscitissimo comizio, oratore l'avv. Giuseppe Sbaraglini.

«L'Avanti» del 15 maggio 1915, p. 2:

Rivolta socialista a Firenze contro la commedia interventista. FIRENZE, 14. L'altra sera i nazionalisti fiorentini, uniti ai “rivoluzionari” della guerra fascinatrice, essendo certi che i lavoratori a quell'ora erano completamente assenti causa la stanchezza del lavoro quotidiano, inscenarono la solita pagliacciata al grido di Viva la guerra! I nostri compagni hanno risposto all'invito del nostro giornale, di contrapporre dimostrazione a dimostrazione, recandosi in numero rilevante in piazza Vittorio Emanuele, che è diventata il covo della masnada patriottico-criminale. I bollenti guerrieri sono stati incontrati nelle adiacenze di via Montebello. Ne è nata una furiosa colluttazione, la quale ha trascinato dalla parte nostra i soldati, donne e ragazzi che con una fitta sassaiola hanno fugato e disperso i figli di papà. Cinque interventisti piangenti e invocanti la madre sono stati condotti all'ospedale Amerigo Vespucci, feriti. La gazzarra di pochi sfaccendati che vogliono imporre la guerra al popolo d'Italia deve assolutamente finire. Socialisti fiorentini, i nostri principi ci impongono di scendere tutti in piazza, dimostrando anche la violenza, quando occorra, la nostra avversione alla guerra!

I socialisti di Empoli per lo sciopero generale. EMPOLI, 14. Veduta la gravità della situazione politica odierna, la Sezione socialista ha dato incarico al rappresentante provinciale al convegno di Bologna (16 corr.) di proporre lo sciopero generale in caso di mobilitazione.

«L'Avanti» del 16 maggio 1915, pp. 1-2:

Sciopero contro la guerra. PONTE A EGOLA, 14. In seguito alla deliberazione presa nella riunione popolare d'ieri sera, oggi gli operai di tutte le concerie di pelli, non hanno ripreso il lavoro del pomeriggio. Tutti i negozi sono stati spontaneamente chiusi, e alle ore 15,30 sono state fatte chiudere pure le scuole comunali. Alle 17 è stata fatta riunione alla lega fra pellettieri ed è stata organizzata la dimostrazione. Nel contempo, ad unanimità è stato votato un ordine del giorno di protesta contro la guerra. Il numeroso corteo di dimostranti in colonna serrata ha percorso tutto il paese col grido di abbasso la guerra.

Dimostrazioni di interventisti abortite a Pisa. PISA, 13. Gli interventisti – pochi in verità – hanno voluto dar prova di loro vita per reclamar, anche da Pisa, la guerra. All'Università, sono state disertate in mattinata le lezioni, e un forte gruppo di studenti, ai quali si erano uniti molti altri delle scuole secondarie, si sono recati a dimostrare sotto la Prefettura, acclamando al ministero dimissionario e gridando: Abbasso Giolitti! Naturalmente, ai giovinetti si è liberamente concesso di dimostrare. Ma all'avvicinarsi di un forte gruppo di popolani neutralisti, che si erano riuniti nei pressi di Piazza Garibaldi, la polizia ha tirato fuori i cordoni attraverso il ponte di mezzo, volendo dare aiuto paterno agli scolari interventisti. Cionondimento, sono avvenuti violenti tafferugli, finiti con la peggio degli interventisti, che sono stati picchiati e volti in fuga. Qualche interventista ha dovuto rifugiarsi nelle botteghe, e le saracinesche sono state in fretta calate in Ponte e in Borgo. Fra i dimostranti più violenti, si mostravano le donne dei richiamati anziani, che tiravano giù pugni tremendi. A sera, il centro della città è stato continuamente occupato dai neutralisti, pronti a far tacere ogni intervento di dimostrazione in favore della guerra: ma dei neutralisti, nessuno si è fatto vivo.

«L'Avanti» del 17 maggio 1915, p. 2:

POGGIBONSI In questi giorni sono avvenute delle sintomatiche dimostrazioni di richiamati.
Passando da questa stazione treni carichi di questi giovani lavoratori, strappati al lavoro proficuo dei campi e delle officine, hanno ripetutamente gridato: Abbasso la guerra, al quale grido ha risposto la massa di popolo che si trovava presente.

L’appello ai socialisti della provincia di Firenze. Firenze, 16. Il Comitato provinciale socialista fiorentino ha lanciato un appello a tutte le sezioni ed a tutti i compagni della provincia per invitarli a controdimostrazioni alle chiassate interventiste. Se noi – conclude il manifesto – lasceremo libere le piazze alla violenza teppista del variopinto interventismo italiano, la nostra astensione potrebbe significare implicito assentimento, viltà e rassegnazione dinanzi al manifestarsi di questo tragico evento. Facciamo quindi viva preghiera a tutte le sezioni della provincia di rendere largamente consapevoli dei doveri che in questo momento incombono sul nostro Partito e le invitiamo a convocare pubbliche riunioni, perché il giorno in cui verrà riaperto il Parlamento, si sappia, in questo altro consesso, qual è la ferma volontà del proletariato italiano. Compagni! Il popolo è ancora in tempo a scongiurare il pericolo. Smuovete, agitate quel sentimento d’opposizione alla guerra, che è latente nell’anima della classe proletaria e fate sì che alle grida inconsulte dei guerraioli ad ogni costo, faccia eco la vibrante protesta del popolo, al grido ammonitore di “Abbasso la guerra!”.

CASTELFRANCO DI SOTTO, 16 Sono partiti altri giovani richiamati sotto le armi, insieme coi richiamati di S. Croce sull’Arno, onde unirsi a quelli di Castelfranco. “Abbasso gli assassini del popolo! Abbasso la guerra!” sono stati i gridi emessi da essi. Molte botteghe hanno chiuso le saracinesche in segno di protesta, mentre i partenti salutavano le madri e i figli al grido di “Viva la rivoluzione! Viva l’Internazionale!”

«L'Avanti» del 18 maggio 1915, p. 2, 5:

Esasperazione di popolo nel Fiorentino. Firenze, 16. Il solito gruppetto di facinorosi guerraioli, sapendosi alleato e protetto dalla polizia, continua la solita indecente gazzarra in piazza Vittorio. Da parte nostra, continua ininterrotta la propaganda fra il popolo, che è unanimemente contrario alla guerra, e che ormai è esasperato. Ieri parecchi interventisti sono stati bastonati sonoramente; è stato ferito pure un delegato di polizia. La popolazione si vendica delle continue sopraffazioni che le vengono fatte da pochi sconsigliati protetti dalla polizia, o comincia a mettere in pratica la teoria dell’“occhio per occhio, dente per dente!”. Anche nei paesi vicini è intensa l’agitazione contro la guerra. La partenza dei richiamati ha dato origine a fatti gravi al Galluzzo, a Sesto Fiorentino e a Signa, dove si è perfino staccata la locomotiva che doveva partire coi richiamati.

MONTELUPO FIORENTINO Alla partenza dei richiamati, che il giorno prima si rifiutarono di partire, per iniziativa della Sezione socialista e del Gruppo anarchico, è stata fatta una imponente dimostrazione contro la guerra. Una numerosa colonna di dimostranti ha percorso le vie del paese al canto degli inni rivoluzionari fra le imprecazioni delle madri e delle spose colpite dal militarismo furibondo di sangue nei loro affetti più cari.
Tutte le botteghe erano chiuse e portavano un cartello colla scritta: “Chiuso per protesta contro la guerra”. Alla stazione, durante la dimostrazione è stato arrestato l'anarchico Rovai Vincenzo, ma la folla enorme ha imposto la sua scarcerazione. Ha parlato il compagno Scotti imprecando alla follia che le classi dirigenti stan per commettere e di cui un giorno dovran render conto al popolo che è decisamente contro la guerra.

La folla a Signa stacca la locomotiva di un treno. FIRENZE, 17. Si ha notizia che a Signa sono avvenuti gravissimi disordini, ma i giornali tacciono, perché si tratta di dimostrazioni interventiste. Anche la popolazione di Signa è esasperata per la situazione attuale e per il periodo che si presenta in Italia. Tale esasperazione ha esploso in una tumultuosa manifestazione. Una folla di circa due mila persone, in gran parte donne, si è raccolta in Piazza ed in colonna serrata si è diretta verso la stazione, invadendola ed occupando tutto il piazzale interno. Le donne si sono sdraiate sui binari allo scopo di fare fermare i treni. Così infatti è avvenuto quando è sopraggiunto un treno militare, che è stato fermato alcune centinaia di metri prima della stazione. Sono stati fatti discendere il macchinista, il fuochista e tutti i soldati, poi la locomotiva è stata staccata dal treno. Sono sopraggiunti i sei carabinieri, che si trovavano nel paese, ma hanno dovuto ritirarsi per non essere sopraffatti. Il milite Angelini ha sparato alcuni colpi di rivoltella, che fortunatamente sono andati a vuoto; ma costui è stato fatto poi bersaglio di una fitta sassaiola ed è rimasto ferito. La folla è rimasta padrona della stazione fino a quando non sono arrivati da Firenze rinforzi di truppa e carabinieri, che dopo numerose cariche sono riusciti ad allontanare il popolo, che è tuttora eccitato.

«L'Avanti» del 20 maggio 1915, p. 2, 5:

CASTELFIORENTINO, 18. È bastato che la Sez. socialista indicesse nell’Arena del Circolo operaio una riunione perché accorressero da ogni parte del nostro comune ogni ceto di persone, dove non mancava l’elemento femminile e giovanile. Hanno parlato i compagni Innocenti e Ricciardi, fra il più entusiastico consenso. Dopo la riunione si è formato un grandioso e interminabile corteo di oltre tremila persone, con alla testa un cartello dove era scritto: “Abbasso la guerra!”. La massa ordinata, calma e compatta al canto di “Bandiera rossa” ha girato le principali vie del paese emettendo grida di Abbasso la guerra. Così imponente manifestazione di popolo Castelfiorentino non aveva mai vista! Nel comizio si è votato un ordine del giorno analogo.

PISA, 19 notte. Per il pomeriggio di oggi la cittadinanza pisana era stata invitata ad una manifestazione pubblica in piazza dei Cavalieri, contro la guerra... (interrotto dalla censura).

«L'Avanti» del 21 maggio 1915, p. 2:

Sciopero generale a S. Croce. S. Croce sull’Arno, 19. La Sezione socialista, udito il parere delle Organizzazioni locali, d’accordo con esse ha proclamato lo sciopero generale per tutta la giornata; nessuna defezione è avvenuta e la massa operaia ancora una volta ha dimostrato la sua avversione all’infame guerra. Nel pomeriggio tutti gli esercizi pubblici sono stati chiusi con la scritta: “Chiuso per protesta contro la guerra!”. Il comizio che doveva essere tenuto alla Casa dei socialisti, è stato sospeso per mancanza dell’oratore, avendo la censura fermato il telegramma diretto all’avv. Salvatori. Le associazioni locali, Sezione Socialista, Cooperativa di consumo, Cooperativa operaia, Lega pellettieri, Lega raffinatori, hanno inviato telegrammi al deputato del collegio on. Guicciardini, perché informi il suo voto alla volontà del proletariato santacrocese, che non vuole la guerra.

«L'Avanti» del 22 maggio 1915, p. 2:

MONTELUPO FIORENTINO Si è rinnovata una dimostrazione contro la guerra e contro i suoi fautori; domenica furono gli uomini a gridare tutto il loro odio antiguerresco, ora sono state le nostre donne. Sono convenuti dai paesi vicini, dalla Torre, da S. Quirico, da Pulica, le madri, le spose, le sorelle di coloro che col loro sangue dovranno fare domani per il re e per la borghesia, non per sé, la più grande Italia. Ad esse si sono aggiunte le donne del paese e tutte insieme hanno percorso le vie, dopo che i negozi erano stati chiusi. Il manifesto del prefetto minacciante lo stato d’assedio… è stato letto come un programma cinematografico, e neppure le baionette dei soldati hanno intimidito le nostre donne. Esse hanno fatto intendere che non disarmeranno contro coloro che le straziano nei loro affetti più sacri.

BUTI Buti si è unito al proletariato italiano nella protesta contro la guerra con una solenne dimostrazione. Le botteghe sono state chiuse per solidarietà coi dimostranti, ed il sindaco Pardini, richiesto dal popolo, ha spedito i seguenti telegrammi: “Prefetto Pisa. – Popolo butese odierna imponente manifestazione protesta guerra incaricandomi esprimere vossignoria tali sentimenti – Sindaco Pardini.” “Deputato Sighieri, Roma. – Popolo butese odierna imponente dimostrazione protesta contro guerra. – Sindaco Pardini.

PONTE A EGOLA Fu ripetuto lo sciopero di protesta contro la guerra. Dovevano aver luogo comizio, corteo e dimostrazione, ma furono impediti dall’ordine ministeriale come in altri posti. Fu telegrafato all’on. Guicciardini, deputato del collegio, in senso contrario alla guerra.

Il comizio di Pisa impedito dalla Questura. Pisa, 20. Impedito di trasmettere telefonicamente dalla censura, vi mando le seguenti notizie. La cittadinanza pisana era stata invitata ad una manifestazione pubblica in piazza dei Cavalieri contro la guerra imminente. L’annunzio di tale manifestazione aveva messo la febbre addosso all’autorità politica locale. Il prefetto aveva fatto affiggere ieri un manifesto con cui si minacciava l’immediato passaggio del servizio di ordine pubblico all’autorità militare. Il questore aveva ieri stesso voluto diffidare personalmente socialisti ed anarchici, promotori della radunata. All’ora indicata, la piazza dei Cavalieri è stata bloccata dalla truppa. Pattuglioni armati erano in giro per la città, che era stata posta addirittura in istato d’assedio. I neutralisti, dinanzi alla violenza dell’autorità politica, avevano protestato con un manifesto dell’ultima ora, declinando ogni responsabilità. La forza pubblica, senza che vi fosse segno di comizio o dimostrazione, si è data a fare arresti a casaccio. Chiunque si attardasse per via, era afferrato e tradotto nelle guardine. Si è perfino proceduto all’arresto di una Commissione di socialisti e anarchici, che si stava portando dal prefetto per chiedere il rilascio di molti arrestati. In complesso, sono stati incarcerati 25 persone. Gli atti di inconsulta reazione hanno prodotto, naturalmente, un fermento vivissimo nella classe lavoratrice. Sono state fatte pratiche attive per il rilascio degli arrestati; il rilascio verrà ad impedire deliberazioni assai gravi, che potrebbero essere prese dalle organizzazioni operaie.

«L'Avanti» del 24 maggio 1915, p. 2:

Improvvisa dimostrazione a S. Croce sull’Arno. Abbiamo avuto un’altra dimostrazione contro la guerra, determinata dal fatto che maestri e maestre avevano detto ai propri alunni di fare firmare un foglio in favore della guerra. I piccoli bimbi hanno narrato il fatto ai genitori, e questi – specialmente le donne – alla ripresa della lezione del pomeriggio di sono recate all’edificio scolastico per protestare contro tale abuso. In pochi minuti l’edificio scolastico è stato circondato da tutta la popolazione imprecante; tutti i vetri sono stati rotti. Sono state sospese le lezioni e rimandati gli alunni, ma, poiché il popolo non pensava ad allontanarsi, sono intervenuti truppa e carabinieri col delegato, il quale, cinta la sciarpa, ha fatto suonare oltre dieci squilli, ma il popolo non si è mosso ed ha continuato a gridare: “Abbasso la guerra!”. Sono stati operati due arresti, che più tardi furono rilasciati. E’ lodevole il contegno dei militari richiamati, e ancor degno l’atto delle nostre donne che hanno dimostrato di essere vere e proprie madri. Mi consta che molti padri stanno iniziando un’agitazione contro il personale insegnante, perché non vogliono che si serva della scuola per sfogare le proprie passioni politiche e… qualcos’altro!



sabato 19 maggio 2018

LA STRAGE DI VALICANDOLI, 20 LUGLIO 1944 – TESTIMONIANZE E DOCUMENTI

a cura di Alessio Guardini e Francesco Fiumalbi

Indice del post:
INTRODUZIONE
LO SFOLLAMENTO
L’ARRIVO DEL FRONTE
IL SECONDO SFOLLAMENTO
LA STRAGE DI VALICANDOLI
LE VITTIME
LA LETTERA DI NELLO MORI
LA TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
SULLA MORTE DI ADELINDO SCARSELLI

INTRODUZIONE
In questo post proponiamo il testo di una lettera molto interessante, messa gentilmente a disposizione dalla sig.ra Marilena Frittelli a cui va il nostro più sincero ringraziamento. Si tratta di una missiva inviata da suo nonno Nello Mori alla figlia Clorinda (madre di Marilena) che si trovava a Torino.
Nello Mori abitava ad Isola con la moglie Ida e la figlia minore Nella, detta Nellina. Clorinda invece si era sposata e si era trasferita nel capoluogo piemontese. Per lunghi mesi, forse più di un anno, non ebbero modo di comunicare fra loro. Nell’estate del 1944 la guerra passò dal territorio sanminiatese, lasciandosi dietro una drammatica scia di morte e distruzione. Poi il lungo inverno, con il fronte bloccato sulla Linea Gotica. Infine la primavera del 1945: l’avanzata Alleata, la ritirata tedesca e la Liberazione dell’Italia Settentrionale. A tre settimane dalla fine delle ostilità, alla famiglia Mori si materializzò un’occasione d’oro: il padre del sacerdote della vicina Marcignana si sarebbe recato proprio a Torino. All’uomo venne dato un foglietto piegato, scritto alla meglio. Non c’era la carta per fare la “bella” e non c’era tempo per prestare attenzione alla grammatica e alla punteggiatura: Nello non era abituato a scrivere lettere, ma fece del suo meglio per comunicare alla figlia che erano salvi, che stavano bene e che, passata la guerra, bramavano di avere notizie del resto della famiglia. Tuttavia il testo rappresenta anche una testimonianza diretta di ciò che avvenne ad Isola nell’estate del 1944: la condizione del paese e delle abitazioni dopo il passaggio del fronte, ma anche la drammatica sorte che toccò ad alcune persone.

LO SFOLLAMENTO
Alla metà di luglio 1944 gli Alleati erano in Valdelsa e fra il Volterrano e l’Alta Valdera. La 14° Armata tedesca quindi venne disposta sulla linea dell’Arno col compito di resistere quanto più tempo possibile in modo da organizzare la Linea Gotica sugli Appennini. Questa iniziativa andò a incidere profondamente sulla vita degli abitanti nel territorio sanminiatese e, più in generale, in tutto il Valdarno Inferiore. Inizialmente l’ordine era di sgomberare una fascia di 5 km a sud dell’Arno, poi ridotta all’evacuazione di tutta la popolazione residente fra l’Arno e la ferrovia. Per questo motivo, il 16 luglio la famiglia Mori si spostò a La Covina, nei pressi de La Scala, dove abitavano alcuni parenti, ma ben presto dovettero lasciare anche quella sistemazione.

L’ARRIVO DEL FRONTE
I reparti tedeschi, prima di attestarsi sull’Arno, prepararono due linee minori con lo scopo di rallentare ulteriormente l’avanzata Alleata: una era rappresentata dalla ferrovia, l’altra dal crinale della collina sanminiatese. Quest’ultima posizione, organizzata fra il centro urbano di San Miniato e l’abitato di Calenzano, doveva impedire il ricongiungimento delle truppe Alleate che avanzavano in Valdelsa e quelle che provenivano dal Volterrano e dall’Alta Valdera. Il rischio, per i tedeschi, era quello di subire uno sfondamento e di perdere la linea dell’Arno. Tuttavia, sia per l’organizzazione tedesca che per le scelte e le divergenze in seno ai comandi Alleati, la difesa sul fiume rallentò l’avanzata di oltre un mese.


con gittata di oltre 11 km in dotazione all'esercito statunitense 
durante la Seconda Guerra Mondiale sul teatro europeo

La linea del crinale sanminiatese fu abbandonata il 23 luglio 1944, solo dopo la cosiddetta “Battaglia di Calenzano”. Nei giorni precedenti l’aviazione Alleata aveva intensificato le incursioni aeree sulla zona, mentre l’artiglieria statunitense, disposta fra la Valdichiecina e la Valdegola, cercava di colpire le postazioni germaniche. In quei giorni i cannoni americani spararono centinaia e centinaia di proiettili: erano per lo più ordigni da 105mm di diametro, che non avevano una grande potenza distruttiva, ma erano terribilmente efficaci. Infatti, esplodendo, l’involucro si disintegrava in migliaia di piccole schegge che si diffondevano in tutte le direzioni ad altissima velocità. Chi si fosse trovato nei pressi dello scoppio, anche in aperta campagna, correva il rischio di essere ferito mortalmente da una o più schegge. Furono proiettili di questo tipo a procurare la morte di moltissime persone: allo stato attuale degli studi, su 246 vittime civili sanminiatesi durante il passaggio del fronte, almeno 74 morirono a causa di cannoneggiamenti Alleati. Era una guerra “quantitativa”: non potendo essere precisi, gli Alleati sparavano una gran quantità di colpi con la quasi certezza che almeno qualcuno sarebbe andato a segno. Non c’era alcuna preoccupazione per i cosiddetti “effetti collaterali”. La volontà di sconfiggere i tedeschi e vincere la guerra superava qualsiasi prezzo da pagare. E chi ci rimise più di tutti, alla fine, furono i civili inermi.

IL SECONDO SFOLLAMENTO: A VALICANDOLI
A La Covina la famiglia Mori rimase solamente tre giorni, dal 16 al 19 luglio, dal momento che gli Alleati avevano intensificato le incursioni aeree e i cannoneggiamenti, mentre i tedeschi iniziavano a organizzare la linea difensiva. Quindi si spostarono più a sud, nella zona collinare ad est di San Miniato, trovando rifugio in località Valicandoli. La sistemazione poteva sembrare intelligente: le incursioni aeree cercavano di colpire obiettivi strategici, come le strade e i ponti, mentre l’artiglieria sparava da sud verso nord cercando di colpire le posizioni tedesche. Dunque la piccola rientranza di Valicandoli, coperta a sud dal crinale della collina e priva di qualsiasi obiettivo strategico, si presentava come il luogo ideale per trovare riparo dalle cannonate e dalle bombe. Inoltre nella zona c’erano molti campi e non mancavano i boschi, così gli uomini potevano facilmente nascondersi dai rastrellamenti tedeschi che avevano bisogno di manodopera per sistemare la linea difensiva.

Gli spostamenti della famiglia Mori, da Isola a La Covina e a Valicandoli
Base Ortofoto 2016 – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione di Francesco Fiumalbi

LA STRAGE DI VALICANDOLI
Il 20 luglio 1944, il giorno successivo dell’arrivo a Valicandoli, avvenne la tragedia. Molto probabilmente l’artiglieria statunitense cercava di colpire e interrompere la strada fra San Miniato e Calenzano. Considerando che i cannoni erano posizionati a diversi chilometri di distanza e sparavano alla cieca – l’osservatorio era a Bucciano e i cannoni a La Casaccia – bastavano pochi centesimi di grado zenitale o azimutale per andare fuori bersaglio. Ancora una volta la tattica era quella di compensare l’imprecisione dei tiri d’artiglieria con la quantità dei proiettili sparati.
Uno di questi proiettili andò “lungo”, ovvero oltrepassò il crinale della collina su cui si snoda la strada, e andò ad esplodere a valle, proprio dove si erano sistemati gli sfollati. Fu una strage.

La zona di Valicandoli
Base cartografica CTR – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione di Francesco Fiumalbi

LE VITTIME
A Valicandoli rimasero uccise sei persone:

Bianchi Giovanni: Ragazzino di 13 anni, figlio di Renato ed Elvira Beninsegni, nella lettera è indicato come Giovannino d’Elvina.

Cei Elena: Donna di 31 anni, figlia di Egisto e Maria Sforzi, coniugata con Pietro Ciofi, nella lettera indicata come Elena di’ Ciofi

Mori Natalina: Donna di 45 anni, figlia di Cesare e Maria Mori, coniugata con Guglielmo Nacci, nella lettera indicata come Natalina di Memo.

Rossi Lina: Ragazza di 20 anni, figlia di Enrico e Adelia Dani, nella lettera indicata come Linuccia d’Enrico

Scarselli Adelindo: Ragazzo di 19 anni, figlio di Ferdinando ed Amelia Scali, nella lettera indicato come Lindo di Nandino, morto all’ospedale allestito dalla Croce Rossa presso la Fattoria di Sassolo, vicino Bucciano il 27 luglio.

Scarselli Annina: Donna di 40 anni d’età, figlia di Ottaviano ed Ester Zingoni, coniugata con Giuseppe Salvadori, nella lettera non è indicata.

Fotografia di Nello Mori durante il servizio militare
per gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli

LA LETTERA DI NELLO MORI
[1] Isola 20-5-45 Carissimi tutti,
Dopo tanto tempo di so[f]frire il Buon Dio ci[h]a ridato il mezzo di poter riscrivere. Ti inviamo questa lettera per mezzo del padre del Priore di Marcignana, che anche lui [h]a una figlia maritata a Torino e che viene costà a trovarla. Questo uomo, tanto cortese, ci ha avvisato che veniva costà e se ci si aveva una lettera da mandare ce la portava volentieri [e] noi abbiamo approfittato dell’occasione. Se vu avessi occasione di vederlo, farli tanta festa perché è un bravo uomo.
Dunque, ora ti vogli[o] parlare un poco di nostro passato anno. A questi giorni eravamo soggetti a quei famosi bombardamenti: tutti i giorni, 4 e 5 volte a[l] giorno [l’aviazione Alleata tentava di colpire] ponte di ferro [sulla ferrovia], ponte alla Motta e ferrovia. E si durò tanto che, credete, era un inferno addirittura!
Poi da il 1 luglio a[l] 16 luglio – che gli Alleati erano vicini a liberarci che erano verso Volterra che venivano – i vigliacchi tedeschi prendevano tutti gli uomini per farli lavorare sulla ferrovia rotta mentre bombardavano, ma noi tutti [ci siamo dati] fuggiaschi, [costretti] a scappare per canneti e per campi di granturco a giorni interi e le donne, di nascosto, ci portavano da mangiare.
Poi il 16 luglio venne l’ordine di sfollare da l’Arno alla ferrovia: non ci poteva sta[re] nessuno perché era “zona di operazione”. E la domenica mattina, 16 luglio, si dovette abbandonare la casa portando via 4 o 5 carrettate della roba che ci premeva di più. Che Questo lavoro toccò a mamma e [a] Nellina, perché gli uomini i tedeschi li prendevano, e si partì tutti per La Covina (presso La Scala, n.d.r.) da zia Maria. Lì ci si stiede 3 giorni e poi incominciò a venire le cannonate americane. E una sera arrivò una 10 (decina) di autoblinde tedesche e s’impadronirono della casa e di tutto e noi il 19 si ripartì per Valicandoli. Noi e tutti: zio Alfredo colla sua famiglia eravamo fra tutti 2(carta strappata, probabilmente formavano un gruppo di circa 20 persone, n.d.r.).

[2] Valicandoli sarebbe dove sta i[l] Bacoli sotto i Cappuccini di S. Miniato. Tutti [gli abitanti] dell’Isola scapparono: chi per la Valdevola, chi a Calenzano, chi a S. Miniato. Tutti si dovette andare via. Ma noi si indovinò poco bene in codesto Valicandoli: si partì il 19 luglio dalla Covina co’ il carretto carico di tutto il necessario per coprirsi e per fare da mangiare e co’ Marmugio sopra e que’ 4 bambini sotto le cannonate che oramai gli americani erano a Palaia che venivano. Appena arrivai si diede a fare rifugi sotto terra per libersi dalle cannonate, ma il giorno dopo, giorno 20 luglio, ce ne morirono 6 alla prima cannonata. Tutti di Lisera, che sarebbero: Natalina di Memo, la sarta Elena di’ Ciofi, Linuccia d’Enrico, Giovannino di Elvina, Lindo di Nandino e Rossana di Ciofi senza un braccio. E costì ci abbiamo passato 50 giorni, sempre a dormire vestiti sotto terra, se si volle salvare la pelle. Gli Americani arrivarono a S. Miniato il 23 luglio, ma i tedeschi fecero resistenza sull’Arno e per questo gli Americani ci stiedero fermi fino a[l] 1 settembre e i tedescacci stiedero tanto tanto fermi all’Isola che ebbero tempo di farci tanto male. Noi tutti salvi, come pure la famiglia di zio: si rientrò a Isola il 2 settembre e si trovò l’Isola irriconoscibile. Sentite: il palazzo di Cantini raso al suolo, mezzo quello di Torinda, la casa di Neri, quella di Barbieri, fino a quella di Venturino tutto raso a suolo. Quella di Elvina e di Mario, compreso fino alla macelleria e fino da il “Fava” (Eugenio Scarselli, n.d.r.) tutto giù al suolo e più che fa effetto tutto il Molino e i capannoni rasi al suolo. Tutto per capriccio di quei vigliacchi tedeschi che vollero minare ogni cosa. Poi sull’Arno, compreso i[l] palazzo dei ferrovieri fino in cima, tutto raso al suolo. Credete, che Isola è

[3] irriconoscibile. Poi c’è la casa dello Scarselli per la via di Roffia e quella di’ Mancini contadino di Egisto tutto giù, come pure il palazzo di Egisto e tutto Surarno (la zona prossima all’Arno, vicino Bocca d’Elsa, n.d.r.) tutto giù. Anche la casa di zio Tofano è mezza buttata giù dalle cannonate. Ma questo non sarebbe niente di fronte che pochi giorni fa è morto Francesco di malattia e Marina è malata all’ospedale. Anche noi abbiamo subito dei danni alla Covina: i tedeschi ci presero la bicicletta di Nellina e poi si rivò a casa e si trovò la casa colpita da una cannonata. La tua camera era andata giù, compreso il tetto, ma non estate in pensiero, che abbiamo bell’e rimediato tutto. La bicicletta l’abbiamo rifatta nuova, sennò Nellina non poteva andare a lavorare e l’abbiamo pagata Lire ventiseimila e la casa l’abbiamo riaccomodata per bene e ci si è speso lire ventimila. Qua la roba ci è tanto cara che non vu ve ne potete fare un’idea. Dunque state contenti e non estate in pensiero di noi che stiamo bene. Ma speriamo che questa mia lettera vi trovi anche voi sani e salvi. Bisogna ringraziare Dio che credete, siamo salvi, ché in questo piccolo paese si passa i 30 morti [a] causa [del]la guerra.
Quei tedescacci distrussero tutta la ferrovia, metro per metro, tutti i ponti della ferrovia e tutti i ponti delle strade: sull’Elsa non c’è più un ponte e sull’Arno non c’è più un ponte. Tutti minati. Noi struggiamo dalla voglia di rivedervi e vi prego, appena potete, venite subito da noi, ché abbiamo tanto voglia di rivedervi colla mia piccola Mari (la nipotina Marilena Frittelli) che abbiamo pregato tanto il Dio che vi salvi tutti e tre. Cara Mari, quando si rientrò abbiamo trovati tutte le porte aperte, ma la tua bicicletta si trovò in mezzo di camera sana e salva, dunque presto ti aspetto a rimontarci. Vi avrei da dire tante cose, ma si ragionerà a voce. Baci da mamma e Nellina. Baci da me vostro padre Nello.

Fotografia di Clorinda, Marilena e Nella Mori
per gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli

LA TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
Oltre al testo di Nello Mori, proponiamo anche un’altra testimonianza che, sebbene raccolta a distanza di molti decenni, è molto preziosa. Nel 2014, per il 70° anniversario della Liberazione, Alessio Guardini e Piero Nacci hanno curato un video-documentario sul passaggio da Isola della Seconda Guerra Mondiale, dal titolo: “Luglio 1944-Luglio 2014. Settant’anni fa l’orrore: nessuno dimentichi!”. In quell’occasione fu intervistata la sig.ra Rossana Rossi che a Valicandoli rimase gravemente ferita, mutilata del braccio sinistro. Di seguito le sue parole:

Era una mattina, il 20 luglio, verso le 9. Era una bella mattinata di sole in pieno luglio. La mia mamma disse: «Ascolta, Rossana, guarda quanti bei fichi ci sono su quel fico. Se ci monti, buttamene un po’ giù, (che) si mangiano».
Io montai su questo fico e ad un certo punto sentii un qualcosa addosso che non so descrivere: sembrava che potessi lamentarmi, ma la voce non mi veniva. Almeno credo. E questo me lo dimostrò mio fratello: «Che è successo? Mamma mia!» E vide i morti e più gli fece effetto il povero Giovannino (colpito alla testa) che aveva una parte del cervello che glielo aveva portato via.
E cercava mia mamma: «Mamma, mamma!». Mia mamma non gli rispondeva, era a terra, anche lei ferita: una scheggia le entrò qui (davanti al petto) e le uscì di dietro. Per fortuna non toccò il cuore ed è sopravvissuta.
E io vedevo mio fratello che mi cercava: «Rossana, dove sei?» E piangeva disperato. Poi arrivò sotto il fico e sentì delle gocce: «che fa piove?». Ero ancora sul fico che non potevo chiamare. E allora lui sentì queste gocce, si toccò (e vide che era sangue), alzo lo sguardo: «Oddio! Dov’è mia sorella!». E così andai all’ospedale, il 20 luglio.
L’ospedale si riempì in un baleno. C’era anche Lina (Rossi), sorella del Maso, che morì, mi sembra, la notte o il giorno dopo. Adelindo (Scarselli) fu portato all’ospedale anche lui. Il 22 luglio poi, successe il fatto del Duomo, arrivarono moltissime persone. Ci tolsero tutti dalla corsia e ci portarono giù negli scantinati con le brandine. E poi vennero gli americani e, o bene o male, ci portarono via, perché i medicinali nell’ospedale erano finiti. Io avevo già un principio d’infezione e dei mosconi che mi ronzavano intorno. Ci portarono a Volterra. Io stetti lì e ritornai ad ottobre. E in casa mia non seppero mai dov’ero.
Mia mamma (nei mesi successivi) ritornò all’ospedale per un problema (sempre legato alla scheggia) e nel mentre arriva un’infermiera che dice: «Ma che gente c’è nel mondo? C’è una povera bambina a Volterra che piange. Chiama mamma, ma non ha visto nessuno. Io pagherei a sapere di chi è figliola!». Mia mamma che camminava già, a sentire quel (discorso) lì... boom in terra! Gli prese un “infarto” (svenne). E l’infermiera fu brontolata: «Guarda che lei cerca la sua figliola, non sa dov’è!». Questa qui poverina si sentì (d’aver fatto) male, ma ormai l’aveva detto. Allora (mia mamma) gli disse a mio fratello, quando arrivò da lei: «Guarda, vedrai hanno trovato Rossana! Probabilmente è a Volterra nel tal ospedale». Mio fratello, non c’era verso, prese la bicicletta e venne a Volterra e mi trovò.

SULLA MORTE DI ADELINDO SCARSELLI
Nella medesima intervista, Rossana Rossi riferì anche della morte di Adelindo Scarselli, di cui fu testimone:

Sapete dove è morto Scarselli Adelindo? È morto per la strada mentre gli Americani ci portavano a Volterra. Questo ragazzo, guarda che mi commuovo ancora, perché io avevo 10 anni e mezzo, quindi ero già grande, mi faceva: «Oh Rossana, muoio, diglielo a mio babbo che sono morto a Bucciano!».

Infatti Adelindo Scarselli morì all’Ospedale da campo della Croce Rossa, allestito alla Fattoria di Sassolo presso Bucciano. A tal proposito è significativa la testimonianza diaristica dell’allora parroco di Bucciano, pubblicata in G. Busdraghi, Estate di guerra a Bucciano. Diario del parroco Giuseppe Busdraghi giugno-settembre 1944, a cura di G. Lastraioli, C. Biscarini, L. Niccolai, F. Mandorlini, FM Edizioni, San Miniato, 1996, pp. 39-40:

Giovedì 27 luglio
[…] Sono stato dai Lorenzelli dove sono stato chiamato per un ferito di San Miniato portato con altri a Sassolo. Con dispiacere non ho fatto in tempo. Mi aveva chiesto lui, quindi spero che il Signore gli abbia usato misericordia. Domani verrà sepolto qui. […]

Venerdì 28 luglio […]

Sabato 29 luglio […]
Alle due sono venuti quelli della Croce Rossa americana per il trasporto del morto. A Sassolo ho avuto una triste sorpresa. Quel morto non è uno sfollato di Livorno, ma un giovane dell’Isola. Lì ci trovo la sua sorella, che lo aveva cercato tutta la mattina. Mi ha fatto tanta pena quella figliola. Con un camion il defunto (in avanzata decomposizione) è stato portato alla chiesa e di qui al cimitero. Che pena fanno questi trasporti in guerra. Dopo aver fatto rinfrescare la ragazza in canonica, l’ho accompagnata con degli americani a casa sua, alla Scala. […]

La chiesa di San Regolo a Bucciano
Foto di Francesco Fiumalbi

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