di
Francesco Fiumalbi
[Prima revisione 8 maggio 2016]
Grazie
alle “Croniche”
di Giovanni Sercambi
conosciamo numerosi episodi di vita sanminiatese nel corso del '300,
ed in particolar modo dell'ultima parte del secolo. Fra queste ci
sono anche le rivolte che videro protagonista Benedetto Mangiadori,
uno degli ultimi membri della potente consorteria che aveva fatto il
bello e il cattivo tempo a San Miniato per almeno due secoli.
San
Miniato, dal gennaio del 1370 era entrata a far parte dello stato
territoriale fiorentino, dopo lunghi mesi di assedio. Non erano
mancati tentativi di sollevazione, come quello di Taddeo
di Francesco nel 1379 e quello di Arrigo
da Mellicciano nel 1381. Ci pensò Benedetto Mangiadori a riaccendere i focolai di rivolta, con due occasioni, entrambe nel 1397.
Il
primo tentativo di rivolta del Mangiadori è quello più famoso e
conosciuto, quello che vide l'uccisione del Vicario
Fiorentino Davanzato Davanzati e l'intervento del Capitano Cantini a
ristabilire il controllo dell'esercito fiorentino su San Miniato. E'
molto conosciuto, oltre per la gravità degli episodi, anche perché
ne trasse ispirazione Ippolito Neri per il suo celebre poema
eroicomico La presa di
Samminiato.
Angelo
Ardinghi, disegno tratto dall'originale
del
Sercambi, conservato all'Archivio di Stato di Lucca
Edito
in Salvatore Bongi (a cura di), Le Croniche di
Giovanni
Sercambi, Vol. 1, Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 364.
Pubblicazione
ai sensi L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 70.
Meno
noto, ma non meno curioso, è questo secondo tentativo di rivolta
operato da Benedetto Mangiadori, nello stesso anno 1397, a brevissima
distanza di tempo e che sarebbe dovuto andare in porto il 10
novembre. Ancora una volta l'idea era abbastanza semplice. Una
manipolo di uomini sarebbe dovuto penetrare all'interno di San
Miniato e avrebbe posto il controllo su una porta, nell'attesa di un
intervento esterno condotto dall'esercito pisano di Jacopo
d'Appiano
e guidato da Benedetto Mangiadori.
La prima rivolta,
nonostante l'uccisione del Vicario Davanzati, era stata soffocata
dalle truppe fiorentine accorse in gran numero, che avevano costretto
il Mangiadori ad una fuga rocambolesca. Per questo nuovo tentativo,
l'idea che venne ai cospiratori fu quella di far ribellare un
castello del contado sanminiatese, in modo da far uscire i militari
fiorentini e avere così via libera per le strade di San Miniato. L'idea sembrava non fare una piega.
Il castello designato
per questo tentativo di rivolta era quello di Gello in Valdegola.
Oggi, come allora, il colle denominato Gello è raggiungibile dai
crinali di Corniano e Collebrunacchi, oppure salendo dalla strada che
comincia dalla Pieve di Corazzano. Il presidio militare di stanza a
Gello, si trovava nel punto più alto del territorio sanminiatese,
quindi era facilmente visibile da un ampio raggio. Inoltre era ben
distante da San Miniato, almeno 6-7 km. I militari fiorentini per
raggiunge Gello, sedare la rivolta e tornare a San Miniato avrebbero
impiegato un bel po' di tempo. Quel tempo che, evidentemente,
Benedetto Mangiadori riteneva necessario per far ribellare San
Miniato, far entrare i militari pisani e fare una bella sorpresa ai
fiorentini.
La posizione di Gello
in Valdegola
Foto di Francesco
Fiumalbi
Gli uomini del
Mangiadori sarebbero dovuti entrare attraverso il convento degli
Agostiniani, che si trovava adiacente alla chiesa di Santa Caterina,
la chiesa che si affaccia su Piazza XX settembre o Piazza
dell'Ospedale. Era una zona marginale, lontana dagli occhi dei
Fiorentini e dalla loro “cittadella” militare, che comprendeva
l'area del Duomo e dell'attuale Piazza del Seminario. Inoltre la
vicina valle di Sasso, chiusa a occidente e ad oriente, garantiva un
ottimo nascondiglio per l'esercito dei cavalieri pisani.
L'accordo con i frati,
infatti, prevedeva che circa 80 fanti sarebbero dovuti entrare
all'interno del convento e restare chiusi dentro la chiesa di Santa
Caterina, in attesa che partisse la rivolta a Gello. Una volta che i
militari fiorentini si fossero allontanati per soffocare la sommossa,
gli uomini sarebbero usciti dalla chiesa e avrebbero posto il
controllo su una delle porte di San Miniato, verosimilmente la vicina
Porta di Poggighisi o di San Benedetto. La porta sarebbe dovuta
essere mantenuta aperta, per far entrare l'esercito pisano guidato
dal Mangiadori e costituito addirittura da 1000 cavalieri pisani,
guidati dall'Appiano e coadiuvati da altre truppe mercenarie fatte
venire appositamente da Sarzana.
La chiesa di Santa
Caterina a San Miniato
Foto di Francesco
Fiumalbi
Il Mangiadori le aveva
pensate davvero tutte, ma una cosa gli sfuggì. Per compiere il
disegno aveva dovuto trovare un accordo con il convento Agostiniano
di Santa Caterina. Uno dei frati, informato di quello che stava per
accadere, senza pensarci due volte andò a riferire tutto al Vicario
Fiorentino Lapo di Giovanni Niccolini. Nel frattempo il castello di Gello si era già ribellato,
ma il Vicario, udendo ciò che raccontava il frate, non fece partire
nessuno verso castello in rivolta. Anzi probabilmente diresse i suoi
uomini verso la chiesa di Santa Caterina per verificare se quanto
riferito dal frate corrispondeva a verità.
Gli uomini del
Mangiadori, venuti a conoscenza del fatto che erano stati scoperti
fuggirono a gambe levate e i cavalieri pisani che erano pronti ad
intervenire tornarono indietro.
Una volta che la
minaccia fu allontanata, i Fiorentini si diressero in forze al
castello di Gello e, dopo averlo occupato, lo rasero al suolo. I capi
del castello, che avevano appoggiato il disegno orchestrato da
Benedetto Mangiadori furono catturati e puniti. Giovanni Sercambi non
lo dice, ma molto probabilmente vennero giustiziati. D'altra parte
questa era la condanna riservata ai ribelli e ai traditori.
La ex-chiesa di Santa Maria a Gello in Valdegola
Per molto tempo abbandonata, è stata recuperata come abitazione
Foto di Francesco Fiumalbi
Ed ecco le parole
utilizzate da Giovanni Sercambi per narrare l'episodio:
DXXV.
Chome Benedecto Mangiadori ordinava tollere Saminiato a'
Fiorentini.[anno 1397]
E
mentre che tali cose s'ordinònno, Benedecto Mangiadori da Saminiato,
lo quale altra volta volse tollere Saminiato a' Fiorentini, ordinò
di nuovo uno tractato di prendere il dicto Saminiato. E acciò che
non passi questo punto che tucto si sappia, dico che a dì .X.
novembre dovea il dicto Benedecto entrare dentro, e l'ordine era che
in nella chieza de' frati di santo Agustino di Saminiato si doveano
ripuonere circha .LXXX. fanti armati, et quelli doveano intrare
dentro in modo di contadini, e come fussero dentro, facea lo dicto
Benedecto ribellare uno chastello della corte di Saminiato nomato
Gello; e questo facea acciò che tucte le brigate di Fiorenza eh'
erano in Saminiato cavalcassero al dicto Gello. E il dicto Benedecto,
colle genti del dugha di Milano ch'erano in Pisa e in quelle
circustanzie, deveano traere a pie di Saminiato, e allora quelli
fanti che erano entrati dentro, doveano prendere una delle porti di
Saminiato e quella tenere aperta, e le diete brigate entrare dentro.
E acciò che meglio, si potessero difendere da' Fiorentini, era
venuto a Serezana messer Nicolecto Diversi et Paulo Savelli con
chavalli .M., li quali doveano chavalcare di tracta là, oltre
l'altre cose che aveano a fare. E avendo il dicto Benedecto tal
pratica appalezato a uno suo amico frate in nel dicto ordine, il
dicto frate tal cosa narrò a uno suo compagno frate, e il predicto
andò e narrò tucto al vicario di Saminiato, essendo già ribellato
il dicto Gello. Di che, sentendo il dicto Benedecto tal facto essere
schoperto e non potere seguire l'ordine, si tornò in dirietro.
[Salvatore
Bongi (a cura di), Le Croniche di Giovanni Sercambi, Vol. 2,
Tip. Giusti, Lucca, 1892, pp. 61-62]
DXXVI.
Come lo comune di Firenza disfecie lo castello di Gello della corte
di Saminiato. [anno 1397]
Avendo
questo i Fiorentini sentito, subito preso il dicto castello di Gello
e quello disfacto ad exemplo che neuno ardiscila ribellarsi, e alcuni
capi di Gello presi et puniti segondo il fallo commesso; & per
questo modo campò Saminiato.
[Salvatore
Bongi (a cura di), Le Croniche di Giovanni Sercambi, Vol. 2,
Tip. Giusti, Lucca, 1892, p. 62]
Oltre alla cronaca del Sercambi siamo in grado anche di conoscere quelle che furono le iniziative intraprese dal Vicario e dalla popolazione delle comunità vicine, come quella di Montaione. Di questo ci offre una interessante testimonianza il Libro delle Deliberazioni del Comune di Montaione [conservato presso l'Archivio Figlinesi, confluito nel Fondo Pergamente Salvagnoli, oggi all'Archivio Storico di Empoli] da cui trasse gran parte delle informazioni Antonio Angelelli nel volume Memorie Storiche di Montaione in Valdelsa, Tip. Bencini, Firenze, 1875. Qui, alle pagine LXXIV-LXXV troviamo conferma della narrazione del Sercambi ed alcuni particolari in più.
Il 9 novembre 1397 giunsero a Montaione due messi del Vicario di San Miniato provenienti da Santo Stefano, i quali portarono la notizia dell'avvenuta ribellione del castello di Gello. Arrivò dunque la lettera del Podestà di Barbialla e Montaione che, forte delle direttive del Vicario, chiedeva di mettere a disposizione tutti i legnaioli e gli scalpellini presenti in quella comunità e quante più persone potessero svolgere compiti simili. Il giorno 16 novembre si sarebbero dovuti recare a Gello, ad arrecare il "guasto" a quel castello [Lib. Delib., c. 172 e 175]. Ovvero, lo dovevano radere al suolo.
Il 17 novembre successivo il Vicario di San Miniato Niccolini inviò una lettera indirizzata a tutti i Podestà e a tutti gli ufficiali dei Comuni del territorio del vicariato. Attraverso la missiva comunicava che i Dieci di Balìa del Comune di Firenze, il 15 novembre precedente, avevano messo al bando Benedetto di Bartolomeo Mangiadori e i suoi figli. Di seguito il testo:
Ieri, che furono dì XV novembre del presente, ricevemmo lectera da' signori Dieci della Balìa della città di Firenze, nella quale si contiene, come dicono ànno fatto uno ordinamento sopra i fatti di Benedetto di messer Bartolomeo de' Mangiadori e figlioli da Saminiato Fiorentino. Il quale àanno fatto copiare, et la copia d'esso ordinamento àanno mandato a noi, perché ci scrivono vogliono noi lo facciamo bandire in Saminiato et per lo Vicariato, et che la faciamo apicare a una porta di Saminiato. Et pertanto mandiamo a voi et ciaschuno di voi, Podestà et Ufficiali a chui le presenti avverà, colla presente lectera la copia predetta scriviate, acciò che facciate i detti ordinamenti, come nella detta scripta si contiene, bandire in ogni luogho della vostra iuridictione; et fate in ogni luogho publico apichare una copia della detta scripta, sichè possa a ciaschuno essere manifesto quanto ànno fatto. Ancora per la presente avisiamo ciaschuno di voi, come di questi dì in Pisa àanno fatto la mostra di loro gente d'arme, d'Antonio et di gianni Colonna et poi di Paolo Savello e di Lucha da Chanale et di Nanni da Fighine; i quali sono con assai gente, et pensiamo senza fallo voglino cavalcare il nostro terreno; e dubitiamo non abbino qualche inditio per lo paese. Et pertanto fate d'attendere a buona et sollicita guardia di dì et di nocte, sì che non potesse per nostro difetto advenire alcuno inconveniente.
[Libr. Delib., c. 172 in A. Angelelli, Memorie Storiche di Montaione in Valdelsa, Tip. Bencini, Firenze, 1875pp. LXXIV-LXXV.
[Prima revisione 8 maggio 2016]