a cura di Francesco
Fiumalbi
Attraverso
questo post è proposto un'interessante pubblicazione della metà
dell'800. Si tratta dell'articolo riguardante San Miniato e la sua
Diocesi, apparso nel vol. n. XLV, del Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni
nostri,
stampato a Venezia nel 1847, e compilato per cura di Gaetano
Moroni
(Roma 1802 – 1883). Il “Dizionario”
del Moroni fu un opera ciclopica, costituita da 103 volumi editi fra
il 1840 e il 1879, realizzata con l'obiettivo di raccogliere e
catalogare tutte le informazioni disponibili della storia della
Chiesa. In questo senso non possiamo fare a meno di sottolineare
questa, la catalogazione, come una delle espressioni del più
complesso pensiero scientifico dell'epoca, a cui possiamo associare
molte opere che hanno interessato anche San Miniato, fra cui spicca
il
“Dizionario”
di Emanuele Repetti.
Proprio
all'opera del Repetti si devono gran parte delle molteplici notizie
di carattere storico riguardanti San Miniato e il suo territorio, in
una dissertazione che lo stesso Moroni dedica idealmente alla memoria
dello zio materno, Giovanni Antonio Bencerini, che egli indica essere
di antica origine sanminiatese. Moroni riprende poi tutta una serie
di tradizioni, che ritroveremo anche successivamente nei testi di
Giuseppe Rondoni e di Giuseppe Piombanti, in quanto attinte
direttamente all'interno dell'ambiente culturale sanminiatese
dell'epoca. Moroni, infatti, dichiara di essere stato in diretto
contatto con il Vescovo Mons. Torello Pierazzi e con Pietro
Bagnoli,
allora Presidente dell'Accademia degli Euteleti, della quale fu
nominato “socio corrispondente”. Questo riconoscimento fu
particolarmente apprezzato dal Moroni, onorato di far parte di quella
istituzione accademica. E forse anche per contraccambiare la felice
nomina, egli propone un'ampia trattazione della storia sanminiatese,
fra cui merita di sottolineare una appassionata ricostruzione
genealogica della famiglia Buonaparte.
Riguardo
alle notizie di carattere storico-ecclesiastico le informazioni
colgono gli aspetti significativi, seppur in forma molto sintetica
per quello che invece doveva essere l'obiettivo della pubblicazione.
Infatti, per una trattazione più completa e ricca di dettagli, si
dovrà aspettare l'uscita del vol. n. XVII dell'opera Chiese
d'Italia dalla loro origine sino ai giorni nostri,
curato da Giuseppe Cappelletti, e stampato a Venezia nel 1862.
Gaetano
Moroni, Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica
da
San Pietro ai nostri giorni, etc.,
vol. XLV, Venezia, 1862.
Di
seguito è proposto l'estratto tratto dal Dizionario
di erudizione storico-ecclesiastica da San Pietro ai nostri giorni,
etc, compilato da Gaetano Moroni Romano primo aiutante di camera di
Sua Santità,
Venezia, Tipografia Emiliana, 103 voll. 1840-1879, vol. XLV, anno
1862, pp. 155-167.
«MINIATO
(S.). (S.
Miniati).
Città con residenza vescovile del granducato di Toscana , nella
provincia di Firenze, capoluogo di comunità e di giurisdizione. E
situata sul dorso angusto d'una lunga collina, che la percorre per un
buon mezzo miglio biforcando all'ingresso ed all'egresso fra le
fiumane dell'Elsa e dell'Evola, le quali hanno foce in Arno, due
miglia a settentrione dalla città. I colli sanminiatesi sono ameni e
fertili, ben vestiti di oliveti, di vigneti e di frutti squisiti, in
clima dolce e sano, tranne qualche nebbia in alcun tempo dell'anno.
Fra le strade carreggiabili che l'attraversano avvi la regia postale
Livornese. Vi risiedono il commissario regio ed un tribunale di prima
istanza eretto nel 1838, oltre un vicario regio ed altri uffizi.
Riconoscenti i sanminiatesi al regnante granduca Leopoldo II per
l'istituzione di tal tribunale collegiale, e della residenza del
commissario, sulla piazza di S. Bastiano, davanti al luogo del
tribunale, gli ha eretta una statua marmorea rappresentante la sua
effigie, scolpita dal ch. Pampaloni. Tra le chiese principali
nomineremo le seguenti. La cattedrale di S. Maria e S. Genesio,
ridotta nel 1488 nella forma e luogo in cui si trova, dipoi nel 1775
adornata di statue e stucchi. La chiesa e convento di S. Francesco
de' conventuali, è un colosso che s'innalza sulle balze d'un colle
tufaceo, sostenuto da immensi fondamenti e da muraglie, la più
grandiosa delle vecchie fabbriche della città. L'origine risale al
1211, rifatta nel 1276, poscia nel 1343 nel modo che si vede,
terminando un benefattore sanminiatese chiesa e convento nel 1480. Si
rimarca il sepolcro di Baldo de' Frescobaldi di Firenze, tumulatovi
nel 1359, e tra le sue tavole dipinte, dicesi la migliore quella di
Corrado. È invalsa da gran tempo l'opinione, che ivi esistesse la
chiesuola di S. Miniato in
loco Quarto,
dalla quale ebbe nome in seguito il paese, ora città omonima S.
Miniato,
Sanminiato,
e Samminiato
nel Val d'Arno inferiore. Ma pare che il luogo in discorso, un miglio
e mezzo distante dall'antica pieve e borgo di S. Genesio, dovette
essere ben diverso dall'antico loco Quarto di S. Miniato. Tuttavolta
la tradizione inserita negli statuti del comune, riformati nei 1359,
dice che la festa di S. Miniato martire, difensore e patrono della
terra del cui nome s'insignì, si celebrasse a'25 ottobre nel detto
luogo de' frati minori. La chiesa e convento de' SS. Giacomo e Lucia
fuori di porta, de' domenicani gavotti, già esistente nel secolo
XII, nel qual tempo esisteva pure l'altra chiesa de' SS. Giacomo e
Filippo a Pancoli, i cui beni furono incorporati nel 1491 al capitolo
della collegiata poi cattedrale, da Innocenzo VIII, il quale nel 1487
eresse di nuovo tal collegiata o collegio di canonici con prebende.
Questa chiesa dicesi fuori di porta, perchè la porta vecchia delle
mura castellane è molto innanzi di arrivare alla porta di Ser
Rodolfo, che scende a Cigoli e alla badia di S. Gonda. Appartenente
al capitolo, nel 1336 fu ceduta ai domenicani, ed è ricca,
segnatamente nella sagrestia, di buone pitture antiche, bellissima
essendo la tavola del Pozzi milanese, situata nell'altare della
crociera a
corna evangelii.
Di mano maestra è il sepolcro in marmo del medico Giovanni di
Chellino Sanminiati, morto nel 1641 [si tratta di un refuso in quanto
nel sepolcro è indicata la data 1461, quindi con le cifre 4 e 6
invertite, anche se si riferisce alla data di costruzione della
cappella e non alla morte del Chellini, avvenuta nel 1457, n.d.r.].
L'oratorio del SS. Crocefisso è un edifizio a croce greca con cupola
dirimpetto al palazzo comunitativo, riedificato nel 1718, essendo
l'antico del secolo XV fatto per riporvi il SS. Crocefisso che avea
accompagnati i sanminiatesi nelle solenni peregrinazioni penitenti
de' battuti. La chiesa di S. Stefano sulla costa, antica parrocchia
già esistente nel secolo XII, fu dichiarata priorìa nel 1752, nel
tempo che n'era rettore un canonico Bonaparte. La chiesa di S.
Caterina già degli agostiniani, diè nome alla distrutta porta poi
appellala Poggighisi, avendola edificata gli agostiniani nel secolo
XIV, indi soppressi nel declinar del XVIII, quando il fabbricato fu
cangiato nell'ospedale. La chiesa dell'Annunziata, parrocchiale, fu
per qualche tempo uffiziata dagli agostiniani sino dal 1522 [si
tratta di un errore; in realtà l'officiatura degli agostiniani prese
avvio proprio a partire dal 1522, conseguentemente alla donazione da
parte della Compagnia dell'Annunziata, n.d.r.].
Bella e ben situata è la fabbrica del seminario, che ha dato nome
alla piazza maggiore, sotto il poggio della rocca, avendo di fronte
l'episcopio. La prima fondazione rimonta verso la metà del secolo
XVII, sotto il vescovo Pichi; aumentalo dal vescovo Poggi nel
principio del XVIII, e nel corrente dall'odierno ultimo vescovo, che
nel 1841 fece innalzare dai fondamenti, e nel 1842 fregiò il locale d'una
ricca biblioteca. Fiorisce il seminario, essendovi attualmente dieci
cattedre, e circa 70 fra seminaristi e collegiali. Il conservatorio
di S. Chiara fu fondato per le francescane nel 1379 per lascito di
Paolo Portigiani da Sanminiato, chiamato il monastero di S. Paolo, e
nel 1785 fu ridotto a conservatorio con con villo di educande, ed
istruzione giornaliera di donzelle [in
realtà il Conservatorio di Santa Chiara nacque per aggirare le
soppressioni volute da Pietro Leopoldo, dalla fusione dei monasteri
di Santa Chiara e di San Paolo, n.d.r.].
Il monastero di S. Martino, presso la porta Faognana, ora distrutta,
è un grandioso fabbricato posseduto nel secolo XI dai monaci di S.
Ponziano di Lucca, indi edificato il monastero nel 1346 vi furono
trasferite le monache di S. Agostino di Montappio fuori di porta
Poggighisi [Montappio
non si trovava fuori dalla porta di Poggighisi, bensì lungo il
braccio di crinale in cui si diparte via Fontevivo, n.d.r.],
ma meglio vuolsi che le monache vi passassero nel 1524, quindi dal
vescovo Corsi nel 1672 ottennero vivere secondo l'istituto di S.
Domenico; e dopo il 1817 serve di ospizio a religiose che professano
la stessa regola [si
nota innanzitutto la confusione fra la chiesa di San Martino e il
Monastero della SS. Annunziata; inoltre le notizie dal 1346 al 1524
sono completamente errate, n.d.r.].
Il convento de' Cappuccini fuori di Sanminiato si erge sopra una
collina lungi mezzo miglio da Sanminiato, nel 1609 edifìcato nel
terreno che fu donato dalla pietà del sanminiatese Gioacchino
Ansaldi. Il granduca Leopoldo I nella piazza di S. Caterina, in bel
fabbricalo riunì i vari spedaletti della città e del suburbio,
oltre quello contiguo dei gettatelli affiliato allo spedale della
Scala di Siena. Nella chiesa del soppresso monastero della SS.
Trinità, nel 1818 fu stabilita la compagnia della Misericordia, e
nel locale le pubbliche scuole del liceo. L accademia degli Euteleti,
a cui mi pregio e vanto appartenere, ebbe un tenue principio nel
secolo XVI da alcuni giovani studiosi col titolo di Affidati,
che si affidarono di fatto alla protezione del granduca Cosimo lI, il
quale si degnò accettarne la protezione col titolo di presidente, ma
dopo la sua morte il letterario istituto si estinse. Invano fu
tentato di richiamarlo in vita sotto Francesco II, invano provarono
di ottenere qualche successo sul declinare del passato secolo alcuni
studiosi sanminiatesi. Solamente nel 30 dicembre 1822, dando
incremento ad un letterario privato esercizio che in Sanminiato
tenevano alcuni giovani diligenti, si riuscì d'istituire e di aprire
con solennità l'accademia di scienze e lettere, per la retta
istruzione della gioventù, che prese il nome di Euteleti,
e che d'allora in poi conservasi operosa ed onorevole, anco per
essere presieduta dal sanminiatese cav. Pietro Bagnoli. Questa nuova
fondazione si deve all'illustre benemerito concittadino e vescovo
della propria patria il rispettabile monsignor Torello Pierazzi, ed a
cagione di onore qui rinnovo la mia indelebile e indicibile
gratitudine per avermi spontaneamente proposto socio corrispondente,
e in nome del corpo scientifico trasmesso con distinti modi il
corrispondente diploma accademico. L'inattesa aggregazione
all'accademia sanminiatese mi riuscì infinitamente gradita,
principalmente (come nel ringraziarlo
notificai al lodato prelato) perchè oriondo di Sanminiato fu
l'egregio mio amatissimo avo materno Gio. Antonio Bencerini, nato in
Roma, ma figlio di Giuseppe di civile e possidente famiglia di
Sanminiato, che per avere esercitato la chirurgia ne feci onorata
menzione in fine dell'articolo Medico; e qui per affettuosa memoria
del degno avo che tanto teneramente mi amò, dirò che fu di bella
persona, di statura alla e dignitosa, di tratto nobile ed eloquente,
lepido, colto, leale, religioso, caritatevole sino cogli ebrei, di
animo generoso. Sanminiato, nobile ed illustre città, fu
feconda d'ingegni celebri in tutti i tempi ed in tulle le serie.
Senza parlare de' grandi uomini che diede
alla Chiesa, fra' quali fiorirono cardinali, arcivescovi, vescovi e
prelati; nelle scienze naturali notissimo è il merito di Michele
Mercati, che dichiarai al citato articolo Medico; Giovanni Pieroni
discepolo di Galileo, matematico e architetto militare alla corte di
Praga. Altro Giovanni fu architetto di Castruccio, ed autore della
torre Cacciaguerra di Pontremoli. Lodovico Cardi originario di
Cigoli. Fra i medici di maggior grido sono a rammentarsi Ranieri
Bonaparte, Pietro Mercati, Cosimo Tellucci, Giovanni Sauminiati.
Furono valenti in diritto, Ansaldo
Ansaldi,
Michele Bonincontri, Niccolò Bonaparte.
Nelle
scienze divine e morali primeggiarono Pietro Comestore, supposto de'
Mangiadori; fr. Marco Portigiani;
Tommaso Ansaldi. Jacopo Bonaparte gentiluomo sanminiatese è autore
del Ragguaglio
di tutto l'occorso ogni giorno nel sacco di Roma del 1527,
in cui si trovò presente. Dicesi che distese questa
storia presso gli Orsini in Roma, e l'editore di Colonia 1756 trasse
l'autografo dall'archivio privato della famiglia Bonaparte di
Sanminiato. Lavoro veridico, imparziale, veramente importante e
pregevole, e non andò esente dall'essere attribuito ad altri, cosa
che spesso tentano fare gl'invidiosi delle altrui produzioni, ma con
poco successo perché la verità prevale. Distinti letterati furono
Lorenzo Bonincontri, Ugolino Grifoni primo cavaliere e maestro
dell'Altopascio, senza dire di vari di casa Roffia, né del già
encomiato Bagnoli. Celebre guerriero fu il barone de Mangiadori
seniore, che Dino Compagni rammentò con lode nella vittoria
riportata in Campaldino, come franco ed esperto cavaliere, e che
perorò l'esercito prima di attaccare la battaglia, sebbene la fama
di lui restò offuscata dal contegno rivoluzionario ch'egli da
vecchio nel 1308 tenne nella sua patria. Fra le famiglie illustri
meritano speciale ricordo quelle de' Mangiadori, de' Borromei e de'
Bonaparte, oltre che nacque in Sanminiato a' 23 luglio 1401 Francesco
Sforza, il primo duca di Milano di sua famiglia, onore della milizia
italiana, dicendo il Simonetta che dopo Giulio Cesare non ebbe
l'Italia altro generale da mettergli al paragone. I Borromei di
Milano, come dicemmo a quell'articolo, provengono da Sanminiato, ove
si estinse il ramo ch'eravi rimasto nel 1672. Egualmente da
Sanminiato si staccò un ramo di quella prosapia che diede al mondo
l'unico Napoleone Bonaparte, fulmine di guerra, il quale negli ultimi
del secolo XVIII visitò in Sanminiato il canonico d. Filippo
Bouaparte ultimo dell'antico stipite di cotanto celebre ramo
sanminiatese. Napoleone fu uomo straordinario, che riunì l'ingegno
di Cesare e la fortuna di Alessandro: avea ventisei anni quando fu
nominato generale in capo dell'armata d'Italia. Il Garampi nei Saggi
sulle monete pont.
Pag. 52 dell'Appendice,
parla d'un Nicolò di Buonaparte da Sanminiato clericus
Lucanae dioec,
che Pio II nel settembre 1458 destinò tesoriere del ducato di
Spoleto, di Perugia e di Todi; indi nel 1460 registratore delle
lettere apostoliche, nel qual tempo era eziandio chierico del sacro
collegio. Paolo II nel 1466 lo fece governatore di Norcia e delle
montagne di detto ducato, chierico di camera nel 1468, ed arciprete
de' SS. Celso e Giuliano di Roma. Fuvvi anche un Jacopo Buonaparte
chierico della diocesi di Lucca, che nel 1489 ottenne il posto di
notaro della camera apostolica. Intorno a questa famiglia Bonaparte
si sparsero diverse genealogie secondo le differenti passioni e
partiti, per cui si fece anche originaria d'Ascoli della Marca,
dicendosi ivi essere stata insigne e patrizia ne' secoli XIII e XIV,
donde passò in Toscana, ed un ramo in Corsica
(Vedi),
come si legge nelle Mem.
ascolane mss.
del Pastori; e nella Mem.
Dipl. della primitiva orgine ascolana dell'ant. e nob. fam. Bonaparte
di De Angelis, inedita e citata da De Minicis, Mon.
Fermani
p. 30. Pare certo che il casato Bonaparte o Buonaparte sia oriundo da
Treviso, conosciutovi fino dai tempi di Carlo Magno, giusta le
notizie che si trovano nella Storia
della nobiltà europea del
Menestrier, che scrisse molto innanzi alla rivoluzione francese.
Secondo quello storico, col riscontro di cronache fiorentine, il
primo ramo staccatosi dal ramo di Treviso si allogò in Firenze ne'
primi del 1200, riuscendo famoso Corrado Bonaparte che colla sua
famiglia non volle mai rinunziare nella repubblica al suo grado
gentilizio; fatto avvenuto molto prima che si parlasse de' Bonaparte
di Bologna e di Ascoli. Questi si condussero in tali città, e vi
salirono in fama, probabilmente verso la metà del secolo XIII. In
Ascoli sì fatto casato risplendette principalmente per opera del
valoroso Giovanni Bonaparte, stato podestà del comune a Firenze nel
1334, per quel che apparisce nel t. XVII, p. 109 della Raccolta
del p. Idelfonso di S. Luigi. Caduta la repubblica di Firenze, i
Bonaparte furono da' Medici confinati a Sanminiato. Un Luigi di
questo cognome, odiando la dominazione Medicea, portò il suo
domicilio a Sarzana
(Vedi),
e quindi andò a stabilirlo in Aiaccio, città principale di Corsica,
ove ebbe stabilimento la famiglia Bonaparte. Ciò viene provato
ancora dall'istanza fatta nel 1789, da Giuseppe Bonaparte fratel
maggiore di Napoleone Bonaparte, al granduca di Toscana Leopoldo I,
al fine di essere ammesso, come antico patrizio fiorentino,
nell'ordine militare di S. Stefano. Nel 1796 avendo Napoleone
riconosciuto ed abbracciato qual suo parente, il memorato canonico
Bonaparte, con cui si estinse il casato in Sanminiato, questi
maritando in Ascoli la sua nipote Jakson col nobile Carlo Lenti,
disse ch'era assai contento che i suoi tornassero in Ascoli dove ab
antico aveano parentado illustre di che presso di lui conservavansi
autentici documenti. Queste parole bastarono per asserire, che i
Bonaparte di Toscana provenissero da quelli d' Ascoli. Nelle Notizie
di Marietta Ricci
dell'Ademollo, ve ne sono intorno ai Bonaparte, massime di Toscana e
di Corsica. Finalmente nelle Notizie
ist. di Canino,
di cui parlammo all'articolo Farnese, del ch. com. Visconti (e
pubblicate dal principe di tal castellania Carlo Bonaparte, che
riunisce pel di lui matrimonio con la principessa Zenaide,
primogenita ed unica superstite dell'ex re di Spagna Giuseppe
suddetto, i due rami primogeniti della famiglia), vi è riportata
l'ascendenza per linea retta mascolina del principe di Canino e
Musignano. Essa incomincia con Giovanni Bonaparte da Treviso, cònsole
e rettore di quella città, il quale nel 1183 andò in Piacenza a
giurar la pace stabilita con l'imperatore Federico I nel trattato di
Costanza. Figliuolo e nipote di Giovanni probabilmente fu Bonaparte
che si stabilì in Sarzana, da dove Gabriele suo discendente, prima
del 1567 si stabilì in Aiaccio, il cui figlio Girolamo era nel 1594
patrizio fiorentino. Si aggiunge dal Visconti che la discendenza di
Giovanni in Treviso, ramo perciò diverso da quel di Sarzana, vantò
a tutto il secolo XIV molli personaggi illustri in toga ed in armi,
come un Giovanni podestà di Firenze nel 1334, che altri
attribuiscono ad Ascoli, un Oderico capitano de' fiorentini nel 1345;
e che l'altro probabile ramo di S. Miniato al Tedesco, disceso da un
altro figlio di Bonaparte di S. Nicolò di Firenze, non andò privo
di uomini illustri. Questo Bonaparte di Nicolò lo dice forse lo
stesso di Bonaparte da Sarzana pure rammentato. Bonnparte di S.
Nicolò di Firenze nel 1260 è registralo nel gran consiglio di
quella città, detto per antonomasia ghibellino, perciò bandito co'
figli dal partito guelfo nel 1269. Un de' figli di lui, per nome
Ildebrando, fu consigliere nel 1256 del comune di Siena, donde si
trasferì a S. Miniato al Tedesco.
La
città di S. Miniato, in origine castello, si crede da alcuni fondata
dall'imperatore Ottone I, nel secolo X, mentre altri l'attribuiscono
all'VIII ed a Desiderio ultimo re dei longobardi; né mancarono
scrittori i quali dal nome di Pancoli dato ad una sua contrada e ad
una chiesa ora disfatta, e supposta anticamente tempio pagano
dedicato a Pane, fecero risalire i suoi primordi all'età romana. Il
fatto meno soggetto a controversia è che forse la vera origine di
questa città trovasi registrata in un documento dell'archivio
arcivescovile di Lucca de' 16 gennaio 788, nel quale si legge la
fondazione d'una chiesa fatta verso l'anno 700 sotto il titolo di S.
Miniato in loco Quarto, dentro i confini del piviere di S. Genesio.
il Muratori che pubblicò tale istrumento, rilevò che in quel tempo
la chiesa di S. Miniato era un semplice oratorio sottoposto fino
dalla sua erezione alla chiesa plebana di S. Genesio, situata presso
la confluenza dell'Elsa in Arno e forse quattro miglia distante dal
luogo Quarto [soltanto
recentemente, grazie agli studi di Paolo Tomei è stato appurato che
la chiesa di San Miniato in loco quarto a cui si riferisce la
pergamena si sarebbe trovata nella piana lucchese, nell'odierno
Comune di Capannori, n.d.r.].
Mezzo secolo dopo, nel luogo ove fu questa chiesa di S. Miniato a
Quarto si ricorda un castello di proprietà d'Odalberto nobile
lucchese, il quale nel 938 ricevè ad enfiteusi la chiesa di S.
Miniato situata nel suo castello, che nel 999 era già popolato,
circondato e munito intorno di fossi. Vuolsi che la distinzione del
luogo Quarto sia forse la distanza di circa quattro miglia della
chiesa di S. Miniato a Quarto da quella antichissima di S. Genesio.
Figli di Odalberto furono Ugo e Tebaldo. Indi si nominano i Lambardi
di S. Miniato, appartenenti ai nobili di Corvaja, tra' quali Fraolmo
fiorito verso la metà del secolo X, da cui nacquero altro Fraolmo e
Ranieri; mentre nel 991 si trovano fra i signori del castel di S.
Miniato nel piviere di S. Genesio, i nobili Ugo e Fraolmo figli di
Ugo. Tali furono in fatti i Lambardi o nobili di S. Miniato
rammentati nella bolla di Celestino III, diretta nel 1194 a Gregorio
preposto della pieve di S. Genesio, cui confermò ira le molte chiese
del suo piviere quella di S. Maria nel castel di S. Miniato,
rilevandosi inoltre che il castello fino dal secolo XII era
circondato di mura. Attesa la sua distanza dalla pieve, nel 1236 con
bolla fu concesso alla chiesa di S. Maria in S. Miniato il
battisterio, con facoltà di poter seppellire i morti della
parrocchia. Ciò avveniva dodici anni prima che i sanminiatesi nel
1248 portassero l'ultimo eccidio al borgo S. Genesio quasi loro madre
patria, sembrando che verso tale epoca tutti gli onori della pieve
matrice si trasferissero nella chiesa di S. Maria in S. Miniato
insieme all'antico titolare di S. Genesio. Di questo santo trattammo
all'articolo Macerata,
parlando di Sangenesio grande terra di quella provincia. Nel 1257
apparisce seguita l'unione della pieve di S. Genesio alla chiesa di
S. Maria. Il luogo del Caslel vecchio di S. Miniato, dov'è la rocca,
la cattedrale e l'episcopio diè il titolo ad uno de' terzieri della
terra. Le ventidue parrocchie superstiti dell'antico pievanato di S.
Genesio sono state contemplate suburbane, e dipendenti immediatamente
dalla cattedrale, il di cui capitolo considera per prima dignità
quella del suo pievano preposto.
Narra
il sanminiatese storico Lorenzo Bonincontri, che non solo Ottone I
fondò il castello di S. Miniato, ma istituì in esso la residenza
d'un giudice degli appelli di nazione tedesca, per cui il paese si
distinse con l'epiteto di S. Miniato al Tedesco. Tuttavolta l'origine
del castello rimonta come si disse ad epoca più vetusta, e
l'istituzione e sede de' giudici imperiali in esso ebbe luogo assai
più tardi.
Ricordano Malespini nel 1113 rammenta con Ruberto o Rimberto tedesco
vicario dell'imperatore Enrico V, che risiedeva in Sanminiato del
Tedesco, appunto perché i vicari dell'imperatore vi stavano dentro,
e facevano guerra alle città e alle castella di Toscana che non
obbedivano all'impero. Che se trovasi a' 20 gennaio 1178 nel palazzo
imperiale di S. Miniato l'imperatore Federico I, e vi ritornò con
numerosa corte nel luglio 1185 e nell'anno seguente in agosto il di
lui figlio Enrico VI; non è per questo che fin d'allora risiedessero
in S. Miniato i vicari imperiali. Nel 1190 vi fu stabilito il
marescalco Arrigo Testa legato imperiale in Toscana, il quale in una
casa nel borgo di S. Genesio ricevè a mutuo dal vescovo di Volterra
per servigio dell'impero mille marche d'argento, lasciandogli fino
alla restituzione, a titolo di regalia, fra gli altri luoghi S.
Miniato e S. Genesio. In questo frattempo, e nel 1172, il Castel di
S. Miniato, fu assalito, preso e malmenato dai lucchesi in guerra coi
pisani, nel distretto de' quali era allora il castello. E siccome i
fiorentini dovevano difendere i pisani e loro territorii, i
sanminiatesi ricorsero al comune di Firenze per essere aiutati a
cacciare i lucchesi dalla patria. Il primo giudice della corte
imperiale residente in S. Miniato, fu certamente Giovanni,
istituitovi verso il 1211 dall'imperatore Ottone IV, e pronunziò
sentenza in una causa sul castello di Monte Bicchieri, nella chiesa
di S. Maria. Tale imperatore erasi portato in S. Miniato nell'ottobre
1209, e nel febbraio era stato nel borgo S. Genesio. Nel 1230 si
assoggettò alla giurisdizione sanminiatese il comune di Castel Falfi
e nel 1231 il conte Ranieri Piccolino, antico castellano di S.
Miniato vendè al comune rappresentato dal podestà del luogo, la sua
porzione del castello e curia di Tonda. Indi nel 1231 per istromento
del notaro imperiale si fece la dedizione del castello e uomini di
Camporena al comune stesso, seguita da quella di Vignale. Frattanto i
sanminiatesi con la protezione dell'imperatore Federico II, di cui
essi uniti ai pisani sostennero le ragioni in Toscana, crebbero ogni
giorno più in potere ed in onoranza; sia perché nel luglio del 1226
Federico II recossi a s. Miniato con numeroso corteggio di principi e
di vescovi; sia perché dal di lui padre Enrico VI era stata
designata corte imperiale, nella quale alcuni popoli della Toscana
dovevano recare i tributi annuali; sia perché si attribuisce a
Federico II l'edificazione della rocca di S. Miniato, la quale poco
dopo servì per prigione di stato; sia finalmente perché dai
documenti sincroni risulta che lo stesso Federico II fu il primo a
stabilire un vicario imperiale con residenza fissa in S. Miniato.
Uno
di questi Vicari imperiali tedeschi che presero il titolo di
castellani
di S. Miniato,
fu Gerardo d'Arnestein, il quale a nome di Rainaldo duca di Spoleto,
e vicario in Toscana, nel giugno 1228 bandì e condannò i
montepulcianesi a mille marche d'argento per non aver obbedito a'
suoi ordini onde riformare la Toscana; ed in una carta del 1282,
Gerardo viene qualificato legato dell'imperatore in Italia. Non si
può dire se questo vicario fu propriamente quello che diè il
soprannome di Tedesco a Sanminiato, né se chi cuoprì l'ufficio di
castellano di Sanminiato fosse sempre vicario generale in Toscana,
come pure se il nome di S.
Miniato Tedesco,
Miniatum
Teatonis,
provenisse al luogo per aver ne' bassi tempi tenuto costantemente il
partito degli imperatori germanici, poiché il Lami ne' Monum.
eccl. Fior.
spiegò tal questione in modo da non riandarvi sopra. Manfredi
naturale di Federico II, qual re di Sicilia nel 1260 inviò da Foggia
un privilegio che accordava al comune di Sanminiato e segnatamente ai
ghibellini di esso, oltre le franchigie del pedaggio delle merci che
passavano dal distretto sanminiatese, tutti i beni de' banditi e
ribelli di fazione guelfa, dichiarati di proprietà della corona
d'Italia, purché compresi nel distretto della stessa comunità, e
ciò la ricompensa de' danni dai ghibellini sanminiatesi sofferti per conservar
la fede al trono di Manfredi. Nel 1272 Carlo d' Angiò re di Sicilia,
come vicario della santa Sede
in Toscana, prescrisse il modo per eleggere il podestà, e nel 1278
destinò per tale Diego Cancellieri di Pistoia. Dipoi a richiesta dei
ghibellini l'imperatore Ridolfo di Ausbourgh nel 1281 inviò in
Toscana i suoi vicari generali, i quali stabilirono la loro residenza
in Sanminiato, dove solevano ricevere dai sindaci de' diversi paesi
il giuramento di fedeltà coi diritti dovuti alla corona imperiale,
ordinariamente nella rocca. Dopo però la giornata fatale della
Meloria, che costò tanta perdita ai pisani, i quali fino al 1284
erano stati l'appoggio più solido del vicario imperiale nella
Toscana, questi dové accomodarsi coi fiorentini e con gli altri
paesi della lega guelfa, e tornarsene in Germania. La stessa cosa
accadde nel 1286 a Prinzivalle Fieschi de' conti di Lavagna, e
ott'anni dopo a Gianni di Celona, venuti tutti in Toscana per
riacquistare le ragioni dell'impero, i quali per altro dovettero
ripartirne con poco onore, dopo un accordo fatto coi popoli della
lega guelfa, senza che questi ultimi vicari imperiali tenessero più
residenza fissa in Sanminiato. In tal frattempo, e nel 1291, i
sindaci del comune di Sanminiato fecero lega coi fiorentini, lucchesi
ed altri della lega guelfa toscana, per obbligarsi a non permettere
più alcuna rappresaglia. Nel 1294 furono terminale le vertenze a
cagione dei confini col comune di Fucecchio, nel qual tempo
Sanminiato era governata pel militare e giuridico da un podestà e da
un capitano del popolo, mentre per l'economico la reggevano dodici
buoni uomini con altrettanti consiglieri. Poscia furono eziandio
stabiliti i confini col contado fiorentino ed i circostanti comuni, e
si fecero convenzioni per impedire rappresaglie nel territorio. Nel
1301 ser Giovanni di Lelmo da Comugnori scrisse un diario degli
avvenimenti più notabili di Sanminiato, pubblicato dal Baluzio nel
t. I delle sue Miscellanee,
e dal Lami nelle sue Delic.
erud.
I
sanminiatesi nel 1307 coi fiorentini, sanesi ed altri guelfi presero
il Castel di Gargonza e le ville dei dintorni,
agli aretini e fuorusciti bianchi. Verso il 1308 i Ciccioni, i
Mangiadori ed altri nobili combatterono contro il popolo, cacciarono
i signori XII del palazzo, ed il capitano del popolo da Sanminiato,
bruciando i libri cogli statuti del comune, perché erasi stabilito
che i nobili fossero tenuti dar cauzione di mille fiorini di non
offendere alcun popolare. I capi della rivolta, riformata la terra,
la dierono in piena balia a Betto dei Gaglianelli di Lucca fatto
podestà. Continuò il servaggio di Sanminiato, finché non
suscitossi discordia tra i Malpigli ed i Mangiadori, per gli omicidii
e devastazioni ch'ebbero luogo dalle azioni. La signoria di Firenze
nel 1312 mandò gente a guardare Sanminiato da quelle dell'imperatore
Enrico VII calato in Italia ed a Pisa; solo Camporena fu presa dai
pisani, e Morioro si ribellò. Divenuto Uguccione signore di Pisa,
diversi castelli si alienarono dall'obbedienza de' sanminiatesi per
aderire ai pisani. Nella battaglia di Montecatini molti nobili
sanminiatesi restarono vittime nella sconfitta, siccome collegati de'
fiorentini. Cacciato Uguccione reggevano da Pisa e da Lucca, la parte
guelfa dominante in Sanminiato ricuperò il castello di Cigoli
custodito dai ghibellini. Alla pace del 1316 i pisani restituirono ai
sanminiatesi dieci torri o castelli che ritenevano i fuorusciti, indi
Sanminiato si confederò col duca di Calabria vicario di Firenze del
suo padre Roberto re di Napoli. Mentre l'antipapa Nicolò V con
Lodovico il Bavaro erano in Pisa, il capitano del re Roberto si
acquartierò colle genti sue e con quelle di Firenze in Sanminiato,
predando poi sul contado pisano. Per la conchiusa concordia, i pisani
promisero non accordar più rappresaglie a danno de' sanminiatesi, i
quali stabilirono altrettanto a favore de'pisani, a mezzo de' loro
XII governatori. Le masnade di Mastino della Scala ebbero la peggio
quando fecero scorrerie nel territorio. Nel 1347 i Malpigli e i
Mangiadori tentarono sommossa a difesa de' masnadieri da loro
assoldati, per cui i sanminiatesi per cinque anni si posero in balia
e guardia del comune di Firenze, il quale tra le altre cose ordinò
che i popolari e grandi di Sanminiato si riguardassero come
fiorentini e viceversa, e fortificò la rocca.
Giunto
nel 1355 l'imperatore Carlo IV a Pisa, Sanminiato gl'invio messi per
riconoscerlo in signore, e nel baciargli i piedi, per distinzione li
levò da terra e ricevette ad
osculum pacis,
e ciò per la affezione che l'impero per antico avea al castello dove
soleva esservi la residenza degl'imperatori e dei loro vicari, per
trovarsi in mezzo alle grandi e buone città di Toscana. Sanminiato
accolse nel 1356 due volte come suo signore, Carlo IV. Nel 1365 nella
gran battaglia presso Cascina, dove co' fiorentini militavano
sanminiatesi, tra questi Piero Ciccioni pel suo valore fu armato
cavaliere. Sollevato il popolo nel 1367 cacciò gli uffiziali
fiorentini, indi tornò a sottoporvisi con patto di eleggere il
podestà e capitano fra i cittadini fiorentini guelfi. L'accordo ebbe
corta durata, ed i sanminiatesi, forse fomentati dal cardinal Monfort
vicario di Carlo IV in Toscana, e attizzati da tre cittadini di
grandi autorità, Lodovico Ciccioni, Jacopo Mangiadori e Filippo di
Lazzaro de' Borromei, continuarono nella ribellione; laonde i
fiorentini posero l'assedio a Sanminiato coi fuorusciti che tenevano
Cigoli e Monte Bicchieri; a fronte de' soccorsi di Bernabò Visconti
signore di Milano, comandati da Giovanni Auguto, e dei ghibellini, lo
presero a' 9 gennaio 1370. Come ribelli furono decapitati il
Borromei, Lodovico e Biagio Ciccioni, venendo il loro patrimonio
incamerato. Tra i figli del Borromei fuggiti a Milano dopo il tragico
fine del loro padre, fuvvi Margherita, che poi si maritò a Giovanni
Vitaliani di Padova, dal qual matrimonio nacque Jacopo Borromei, già
Vitaliani, stipite dell'illustre famiglia milanese che diede tra gli
altri il cardinal S. Carlo alle chiese romana ed ambrosiana.
Nell'ultimo giorno di detto anno per trattato conchiuso tra i comuni
di S. Miniato e Firenze, si convenne che in avvenire si chiamasse
Fiorentino
e non più al Tedesco,
e che i notari prendessero l'indizione ed anno conforme usava
Firenze, che corrispondeva ad un anno più tardi dello stile pisano
fino allora usato dai sanminiatesi. Ed alcuni de' Malpigli e
Mangiadori che aveano servito la repubblica furono fatti cavalieri e
cittadini fiorentini. Questi però esentarono dai dazi i
sanminiatesi, dichiarandoli cittadini fiorentini, tranne qualche
eccezione pei ghibellini, e continuando a custodire la torre del
palazzo pubblico, quella di Palla Leoni, ed il campanile della pieve.
Nel 1396 andò a vuoto il tentativo di Benedetto de' Mangiadori per
dar la patria a tradimento al signor di Pisa Jacopo Appiani. Più
tardi nel 1432 essendosi scoperto il trattato de' ghibellini per dare
Sanminiato all' imperatore Sigismondo, costò la vita ai complici.
Firenze corrispose alla fedeltà de' sanminiatesi, con assolverli
dalle prestanze fatte, con patto di restaurare le mura, fossi e
torri. Nel 1526 colla bolla Romanus
Pontifex,
Clemente VII concesse al preposto della chiesa collegiata molti nuovi
privilegi, conformi quasi a quelli di un abbate mitrato.
Tre
anni dopo essendo caduta Firenze in potere delle armi di Carlo V e di
Clemente VII, il suo governo, compreso quello di Sanminiato, fu
ridotto a monarchia, sottoponendo fiorentini e sanminiatesi al duca
Alessandro de Medici nipote di quel Pontefice, al quale successero i
granduchi delle due dinastie, dai quali i sanminiatesi, mostrandosi
costantemente fedeli, furono generosamente ricompensati.
La
chiesa maggiore di S. Miniato era già prepositura plebana nella
diocesi di Lucca, traslocata dalla antica
del sottostante borgo di S. Genesio, quando la repubblica fiorentina
sino dal 1408, due anni dopo aver conquistato Pisa ed il suo
territorio, concepì il disegno di erigerla in cattedrale, e fare di
S. miniato la sede di un nuovo vescovo con assegnargli una gran parte
del paese dipendente allora nel politico dalla signoria di Firenze, e
nell'ecclesiastico dal vescovo di Lucca. A tale effetto nell'agosto
1409, per mezzo del suo ambasciatore Giovanni Ristori, fece
presentare istanza ad Alessandro V. La stessa idea aveva allora quel
governo per innalzare la collegiata di Prato in cattedrale, ma tal
disegno non ebbe luogo. Si effettuò bensì nel 1622 per le premure
della granduchessa Maria Maddalena di Austria restata vedova di
Cosimo II, e libera governatrice de' vicariati di Colle e di
Sanminiato, ad istanza della quale il Papa Gregorio XV a' 17
dicembre, mediante la bolla Pro
excellenti,
eresse la chiesa di S. Miniato in cattedrale, e la terra in nobile
città con residenza del vescovo proprio, dichiarandola suffraganea
della metropoli di Firenze. Nella medesima sono noverati i popoli,
pievi, monasteri e spedali che furono staccati tutti dalla diocesi
lucchese. Delle 118 parrocchie ivi rammentate, 27 erano filiali
dell'antica prepositura di S. Miniato, 22 suffraganee della
collegiata di S. Maria a Monte, ed altre 69 tra chiese parrocchiali e
conventi. Nelle 118 parrocchie si compresero le collegiate di
Fucecchio, di S. Croce, di Castelfranco, e di S. Maria a Monte, oltre
19 pievi, parte delle quali comprese nel distretto fiorentino, alcune
nel territorio sanminiatese, e parte nel contado pisano, in una
superfìcie che si estendeva e tuttora si conserva per circa 49
miglia da Val di Nievole alla base meridionale delle colline
superiori pisane in Val
di Torà, ed ha una larghezza di circa 20 miglia dal fiume Elsa sino
oltre la Cascina.
Il
primo vescovo fu Francesco Noris nobile fiorentino, canonico della
cattedrale di Firenze, designato da Gregorio XV, e per morte di esso
dichiarato nel 1624 da Urbano VIII, il quale colla bolla Aposlolicae
servitutis,
nel 1626 concesse ai canonici il privilegio della mozzetta paonazza e
del rocchetto. Morì nel 1631 Francesco compianto per le sue virtù,
e gli successe nel 1632 Alessandro Strozzi nobile fiorentino,
traslato da Adria, che si distinse per pastorale vigilanza, integrità
e giustizia, celebrando il sinodo diocesano nel primo dicembre 1638.
Nel 1648 vi fu trasferito Angelo Pichi di Borgo S. Sepolcro
arcivescovo d'Amalfi, esimio e di preclare doti ornato. Indi nel 1654
a' 19 ottobre fu eletto vescovo Pietro Frescobaldi nobile fiorentino,
canonico della metropolitana di Firenze, priore di S. Lorenzo,
fornito di molta erudizione, e rispettabile per probità; ma mori in
Firenze a' 12 dicembre lasciando desiderio di sé. Nel 1656 Gio.
Battista Barducci nobile fiorentino degnamente gli successe come di
perspicace ingegno e chiaro in letteratura, e fu lodatissimo vescovo,
morendo ai bagni di S. Cassiano [si
trattava di San Casciano dei Bagni (SI), n.d.r.].
Nel 1662 gli venne sostituito Mauro de Corsi nobile fiorentino abbate
camaldolese, lodato per dottrina, religione ed altre virtù; celebrò
il sinodo a' 17 luglio 1667, rifece ed ampliò la sacrestia della
cattedrale; riparò ed ornò la collegiata di S. Maria a Monte,
essendone arcipreti i vescovi prò tempore, e morì nonagenario nel
1680, dopo aver aumentato la mensa di rendite, risarcita l'aula
dell'episcopio e stabiliti al capitolo tre annui anniversari. Giacomo
Antonio Morigia barnabita milanese, nel 1681 divenne vescovo; compì
la memorata sacrestia, e traslato nel febbraio 1683 all'arcivescovato
di Firenze, fu creato cardinale. In suo luogo nel 1682 fu dichiarato
Vescovo
Michele Carlo Cortigiani nobile fiorentino, preposto della collegiata
d'Empoli;
celebrò tre sinodi, eresse in parte il seminario, trasferì
in luogo più ampio la cappella dell' episcopio, donò alla
cattedrale il legno della S. Croce, fu chiamato
padre de' poveri, e con dolore si vide dai sanminiatesi nel 1703
traslocato a Pistoia. In suo luogo successe Francesco
Maria Poggi fiorentino, maestro generale de' servi di Maria,
professore di teologia nell'università di Pisa, encomiato per pietà
e dottrina; celebrò il sinodo a' 18 giugno 1707, e morì nel 1719.
L'Ughelli, Italia
sacra
t. III, p. 269, con lui termina la serie de' vescovi di S. Miniato,
quale proseguiremo colle annuali Notizie
di Roma.
1719 Andrea Luigi Cattaneo di Pescia. 1785 Giuseppe Suares della
Conca fiorentino. 1755 Domenico Poltri di Bibbiena diocesi d'Arezzo,
traslalo da Borgo S. Sepolcro. 1779 Brunone Fazzi di Calci diocesi di
Pisa. 1806 Pietro Fazzi della diocesi di Pisa. Per sua morte il Papa
Gregorio XVI nel concistoro de' 23 giugno 1834 preconizzò l'attuale
monsignor Torello Pierazzi di S. Miniato stesso, dottore in sacra
teologia ed in ambe le leggi, già professore di teologia dommatica
nel seminario, vicario generale del predecessore, e in sede vacante
vicario capitolare.
La
cattedrale, bell'edifìcio, è dedicata alla Beata Vergine Maria
Assunta, e sotto l'invocazione di S. Genesio. Il capitolo si compone
della prima dignità del prepost , del decano, di undici canonici
comprese le prebende del teologo e del penitenziere, di dieci
cappellani e di altri preti e chierici addetti al divino servigio.
Nella cattedrale avvi il battisterio, e vi esercita la cura delle
anime il preposto, coadiuvato da un cappellano curato; prossimo alla
cattedrale è l'episcopio, buon edifizio, già palazzo de' signori
XII. Attualmente ì popoli della diocesi di S. Miniato sono riuniti
in 98 cure ripartile in caposesti, comprese 22 chiese dipendenti
dalla cattedrale. Fra le quali 11 cure costituiscono il caposesto di
S. Maria a Monte; 18 il caposesto di Fucecchio; 13 il caposesto di
Montopoli; 14 il caposesto di Lari; 12 il caposesto di Palaia; e 8
parrocchie nell'altro caposesto di Ponsacco. Questa diocesi all'epoca
della sua erezione comprendeva cinque conventi dentro la città, e
non meno di sei nel distretto; cinque monasteri di donne in città,
ed altrettanti sparsi per la diocesi. Al presente tutta la diocesi
sanminiatese non conta più di sette conventi e monasteri, e due
conservatorii; cioè in città e nel suburbio il convento de' frati
conventuali, quelli de' domenicani e de' cappuccini, ed il
conservatorio di santa Chiara. Nel distretto due conventi di frati
minori osservanti a Fucecchio e a S. Romano; un monastero di
francescane a Fucecchio, uno di agostiniane a S. Croce, ed il secondo
conservatorio in S. Marta a Montopoli. Ogni nuovo vescovo è tassato
ne' libri della camera apostolica in fiorini 233 uscendo le rendite
della mensa a circa mille scudi. Per altre notizie su questa città e
diocesi si può leggere il benemerito Repetti, nel suo Diz.
stor. Della Toscana,
all'articolo Sanminiato.»