a
cura di Francesco Fiumalbi
In
questa pagina è proposta la “biografia” che
Filippo Baldinucci [Firenze, 1624 – 1697] dedicò, nella seconda
metà del '600 a Lodovico Cardi Cigoli [Cigoli,
San Miniato, 21 settembre 1559 – Roma, 8 giugno 1613], il più celebre
artista sanminiatese di tutti i tempi. Si tratta di
una narrazione, non priva di divagazioni, contenuta all'interno delle
Notizie de' Professori del
Disegno da Cimabue in qua,
stampate in sei volumi, dal 1681 al 1728.
Nelle
intenzioni dell'autore, l'opera voleva proporsi come l'ideale
continuazione delle “Vite” di Giorgio Vasari.
Busto
marmoreo collocato a Cigoli nel 1913 in occasione
delle celebrazioni per il 300° anniversario della morte
delle celebrazioni per il 300° anniversario della morte
Foto
di Francesco Fiumalbi
Per
la stesura del testo, Baldinucci dichiarò di aver attinto dalla
biografia redatta da Giovan Battista Cardi-Cigoli nipote di Lodovico,
dal testo del sacerdote Giovan Battista Brocchi e informazioni
ricavate direttamente da pittori ed eruditi del tempo.
Quella
del Baldinucci ha rappresentato, per oltre tre secoli, la principale
raccolta edita di informazioni dedicate a Lodovico Cardi detto “Il
Cigoli”, almeno fino alla seconda metà del XX secolo. L'importanza
di quest'opera narrativa sta sia nella descrizione precisa e puntuale
di moltissime opere, ma anche nell'aver riportato molteplici fatti ed
episodi della vita dell'artista, in modo da ricavare un'idea non
soltanto della sua produzione artistica ma anche del suo animo e del
suo carattere.
F.
Baldinucci, Notizie de' Professori del Disegno da Cimabue in qua.
Parte Seconda del Secolo Quarto, Stamperia di Piero Matini
all'Ins. Del Lion d'Oro, Firenze, 1688, frontespizio.
Di
seguito la trascrizione del testo tratto da F. Baldinucci, Notizie
de' Professori del Disegno da Cimabue in qua. Parte Seconda del
Secolo Quarto,
Stamperia di Piero Matini all'Ins. Del Lion d'Oro, Firenze, 1688,
Decennale I. della
parte III del secolo IV, dal MDLXXX al MDXC,
pp. 15-49.
[015]
COMMENDATORE
FRA
LODOVICO CARDI,
Cognominato
il CIGOLI
PITTORE,
E ARCHITETTO
Discepolo
d'Alessandro Allori, nato 1559 †
1613
D'ognuno
è notissimo, quanto per lo corso di più di tre interi Secoli , da
numero quali dissi infinito di gravissimi Autori fu scritto, intorno
ai nobile risorgimento, che circa gli anni del Signore 1260 fece
l'arte del Disegno, e della Pittura per le mani di Cimabue, e poi di
Giotto suo Discepolo, l'uno, e l'altro Fiorentini; ciò, che pure da
noi, nel bel principio di questa nostra Opera delle Notizie, fu con
particolare accuratezza notato, ed è noto altresi fino a qual Segno
d'evidenza ci parve di mostrare, cioè a dire, che questa novella
luce della Giottesca maniera, dopo essersi fatta vedere, anzi dopo
avere ripiena di sé stessa l'Italia tutta, e parte della Francia, e
dopo essersi allargata, ove più, ove meno per lo restante
dell'Europa, dove pochissimo per avanti s'operava, e quel poco, in su
la vecchia, e goffissima Greca maniera, finalmente incominciò quasi
del tutto a mancare, al comparir , che fece pure nella Città di
Firenze lo splendore di tre nuovi lumi, cioè a dire del celebre
Donato nella Scultura, del singulare Brunellesco nell'arte stessa, ed
assai più nell'Architettura, e dello studiosissimo Masaccio nella
Pittura; essendo dunque ciò tanto noto, non farà d'uopo a noi di
più parlarne; diremo solamente, che il poc'anzi nominato Masaccio,
il primo, che tale Giottesca maniera incominciasse del tutto a
lasciare, dando assai maggior perfezione al Disegno, verità al
colorito, varietà alli scorci, morbidezza al panneggiamento,
nobiltà, e ricchezza all'invenzione, fece sì, che s'applicarono
allo studio dell'Opere sue tutti i Giovani di quel tempo, i quali
troviamo, che poi fecero quei grandi progressi, che a tutto il Mondo
son noti. Durò la maniera di costui (non ancora però ridotta al
perfetto) meno di mezzo Secolo; fin che il Verrocchio, il Perugino, i
Pollajuoli, e i Grillandai in Firenze, i Bellini in Venezia, e gli
altri seguaci di tutti costoro, con modo più aggradevole, e più
esquisito Disegno, apersero a' successori loro un più largo campo,
d' onorare i proprj pennelli. Restavasi però quest'arte, ciò non
ostante, in una tale quale secchezza, e picciolezza di maniera, e
così ella si stette per più lustri, fin che finalmente piacque al
Cielo di dare al Mondo, nell'Anno di nostra salute 1474 il non mai
abbastanza celebrato MichelagnoIo Buonarruoti Nobile Fiorentino, il
quale avendo in fanciullezza studiato l'Opere del Masaccio, e del
Pollajuolo, e
[016]
quelle
del Grillandajo nella sua Scuola, non avendo di sua età a pena
compiti cinque lustri, aveva intagliata la singularissima Statua del
Gigante, o del David, che dir vogliamo, e disegnato per la Sala del
Consiglio, il tanto, maraviglioso Cartone, che studiato da infiniti
Professori di nostra Città, e forestieri, in quei medesimi tempi, fu
poi , [così disponendo a benefizio del Mondo la Divina Provvidenza]
portato in pezzi in varie parti d'Europa, onde poté bastare
senz'altro più , a condire dell'ottimo gusto, e della grande, e
nobilissima maniera ogni luogo. Possiamo senza timore
d'ingannarci
affermare, per una accurata osservazione fatta intorno al modo di
dipingnere di molti grand'uomini, che dopo, che fu comparsa quella
nuova luce operarono, fra i quali il nostro Andrea del Sarto, fra
Bartolommeo, il Puntormo, e lo stesso Raffaello, dessero alle maniere
loro, tutto che Eccellenti, tanto accrescimento da quel che e' fecero
prima, e poi quanto da ogn'occhio erudito si può ben riconoscere, e
tale un somma, che non vi ha, per avventura chi sappia, che in un
corso di più di centocinquanta anni, da che queste cose furono, si
sia fatto punto maggiore. Non lascio la Nobilissima Città di Venezia
di godere del frutto di sì bella novità, mentre nella persona di
Pordenone, e di Giorgione da Castel Franco riconobbe anch'essa sì
fattamente ingrandito il modo d'operare in Pittura, che poté
promettersi i grand'uomini, che ad esempio di costoro, e ne' lor
tempi, e dopo rinnovarono le maraviglie degli antichi Zeusi, e degli
Apelli; tali furono il gran Tiziano da Cador, il Vecchio Palma, e
tanti altri con essi, che io per brevità non istò qui a nominare.
Ebbe
poi la nostra Città di Firenze, oltre agii accennati, altri Maestri
in gran numero, che vollero nel loro modo di operare farsi pure
imitatori di Michelagnolo: ma con tale differenza però, che la dove
quei primi, insieme con la nuova gran maniera tolta da lui, s'erano
formato un colorito di viva carne con una impareggiabile morbidezza;
questi fecondi tutti intenti al rigirar de' muscoli nell'ignudo, non
si curarono più che tanto in ciò, che ai colorito apparteneva,
d'attenersi al vero. Questo difetto rimase nella Città nostra ,
viepiù accresciuto a mio credere per lo grande operare, che fece in
essa, e per lo Stato il Vasari ne' tempi del Gran Duca Cosimo, e di
Francesco Prima, come quegli, che fin da fanciullezza, era stato
Creatura dell'Augustissima Casa de' Medici, e perché essendo egli
persona, come noi sogliamo dire, entrante assai, e di grandi parole,
aveva talmente saputo portare sé stesso appresso a quei Principi,
che a lui, e non ad altri furono commesse opere in gran numero, le
maggiori e più singolari; onde non vi fu giovane Pittore, anche di
tutta aspettazione, e quali non vi fu buon Maestro, a cui
l'accomodarsi con esso, e lungamente con lui vivere, ed operare in
suo ajuto, e con suoi Disegni non abbisognasse; ed avvengache per
ordinario in ogni nostra azione, non mai s'abbandonino quegli abiti,
che si presero in gioventù, o che per lungo spazio di tempo, col
replicar degli atti acquistaronsi; fu forza a' Pittori Fiorentini,
tutto che valorosissimi in Disegno, e pratichissimi, quanto altri
mai, nel maneggiare i colori, il ritenere mescolato nell'Opere loro,
con tali buoni attributi dell'arte, alquanto di quel duro, che [come
abbiamo in altri luoghi detto] sogliono avere le Pitture di tutti
coloro, che senza essere Michechelagnolo [017]
hanno
voluto disegnare, e dipignere a sua imitazione; con che pur troppo
avverarono nel passato Secolo quel Tuo tanto celebre vaticinio cioè,
che quella sua maniera averebbe in tempo prodotti molti grossi
Artefici. Ma non fu sì misera la nostra Città, che nel tempo
stesso, che in tal modo in essa per la più parte si operava, altri
eziandìo non ne avesse, che camminando per via diversa, ed a seconda
degli ottimi Pittori, di cui poeti' anzi facemmo menzione, non
giungessero ad ornar sé stessi in grado eminentissimo, e dell'ottimo
disegno, e dell'ottimo colorito; onde potessero andar di pari, stetti
per dire, con qualunque, queste bell'arti aveva innanzi a loro
professate. Uno di costoro adunque fu il non mai abbastanza lodato,
Lodovico
Cardi
da Cigoli,
il quale essendo stato da natura arricchito di un'animo nobilissimo,
di bontà, e di prudenza, d' amorevole tratto, e di tutte quelle
doti, che vagliono a render un' uomo naturalmente perfetto; in quello
poi che all'arte sua apparteneva, s'avanzò tanto, che potè essere
per eccellenza, da chi ben conobbe suo gran valore, chiamato il
Tiziano, e 'l Coreggio fiorentino, con che a gran misura averebbe
alla Patria nostra, ed all'arte stessa da per sé solo quel pregio, e
quella rinomanza, che ne' tanti, e tanti, che pur ora detti abbiamo,
si era alquanto abbassata.
Volendo
dunque noi dar principio a parlare di quello grand'uomo, diremo
primieramente, come nel passato Secolo, fra
il 1550 e 'l 1560 nell'antico Castello di Cigoli in Toscana, non
molto lungi dalla Città di S. Miniato al Tedesco,
vivevano congiunti in Matrimonio Gio: Batista d'Olivieri Cardi, e
Ginevera Mazzi fiorentini, l'uno, e l'altra persone dotate di gran
civiltà, e di sustanze ragionevolmente provvide, e per non lasciar
cosa, che sia venuta a notizia nostra, soggiungeremo, come appresso a
quelli due, per quanto era solito talvolta raccontare lo stesso
Lodovico Cigoli, era assai invecchiata tradizione, che tale lor
famiglia de' Cardi avesse avuto suo principio dalla nobilissima de'
Gualandi della Città di Pisa, mediante uno di essa, che per non so
quale accidente si portasse a Cigoli, e quivi stanziasse , ed
avessevi figliuoli , da' quali poi derivarle un certo Cardo, dal nome
di cui fusse sua descendenza cognominata de' Cardi. Che che si sia di
ciò poco rilieva, giacche quegli, di cui ora siamo per parlare, o
fusse da una sì lllustre Casata derivato nel Mondo, pure da altra
men rinomata avesse tratti i suoi principi, seppe guadagnarsi tanta
gloria, che non pure può a mio credere, renderne abbondante lui
stesso nella memoria degli uomini nei Secoli, che verranno; ma
eziandio accrescerne non poca ad ogn'altro, che contar si possa fra'
suoi, qualunque siano srati anche nobilissimi progenitori. Venne poi
questa famiglia ad abitare nella Terra d' Empoli, sette miglia
lontana da Cigoli verso Firenze, ritenendo però sempre in esso
Castello di Cigoli sua Casa, Villa, che dir la vogliamo; nella eguale
a' 21
di Settembre del 1559 ebbe i suoi natali
il nostro Lodovico. Ne sarà cosa difficile il venire in cognizione
dello spirito grande, che egli diede a conoscere in sé stesso, ne'
primi anni di sua fanciullezza mentre sappiamo, che l'applicarlo allo
studio delle lettere umane, furono i primi pensieri del Padre suo.
Studiò
egli adunque nella Terra d'Empoli appresso un molto Letterato
Sacerdote, chiamato Bastiano, soprannominato Morellone, sino all'età
di 13 anni
con tanta apertura d'ingegno, che gli bastò [018]
quel
poco, per poter poi in età cresciuto dar saggio di sé, con sue
belle composizioni, nelle più famose Accademie di nostra Città,
risolvè intanto Giovan Batista suo Padre di portarsi ad abitare a
Firenze, e indi a poco vi su dichiarato Cittadino: ma Lodovico il
figliuolo scoprendo ogni di più suo naturale talento, e l'alto genio
alle buone arti, datosi a vedere le stupende Pitture di questa Città,
sentissi così forte stimolare dal desiderio d' applicare anche a
cose di Disegno che ormai non poteasi riconoscere in lui, quale de'
due affetti, o quello delle lettere, o quello di sì bell'Arte,
maggiormente occupasse i suoi pensieri, perché in un tempo stesso
mescolando l'uso di questa, e di quelle, e studiava sopra i libri, e
disegnava sopra carte, piccole, e spiritose figure, sin che vinta
finalmente sua volontà dall'amore della Pittura fu d'uopo al Padre,
benché contro sua voglia, ad essa applicarlo. Viveva allora, ed
operava in Firenze con non ordinario grido Alessandro Allori, stretto
parente, e Discepolo
del
celebre Agnolo Fronzini, e su quegli, a cui, mediante gli ufficj di
Jacopo Salviati Nobile, e Ricchissimo Cittadino di nostra Patria,
diede la sorte un tanto Scolare, e la grazia eziandio di comunicarli
per quattro anni continui gli ottimi precetti dell'Arte sua, sin che
caso occorse, a cagion
del
quale, poco mancò, che egli medesimo si conducesse a far perdita
d'un tanto Scolare, e il Mondo tutto d'un sì grand'uomo, quale egli
poi riuscì, e andò il fatto in questo modo. Aveva Alessandro Allori
alcune stanze per entro i Chiostri della Venerabile Basilica di S.
Lorenzo, ove, come studioso che egli era della Notomia, introduceva
del continuo umani Cadaveri, cuegli scorticando, e tagliando a suo
bisogno, ed al giovanetto Cigoli, non so sé per far compagnia al
Maestro, o pure per appagare suo gran genio in quegli studij tanto
necessarj all'Arte sua, veniva fatto il passare i giorni, e talora
l'intere notti fra quelle malinconiche operazioni, quando non potendo
a lungo andare sua tenera età far riparo alla violenza, che facevano
a' suoi sensi gli odori corrotti, e gli spaventosi aspetti di quei
morti, aggiunta l'immobile fissazione, con che egli gl'andava
osservando, e disegnando, finalmente gli fu forza il cadere sotto il
peso d'una mala sanità, che oltre i più altri travagli, che gli
apportava, non solo gl'impediva l'uso delle membra, ma di quando in
quando facevalo patire accidenti di mal caduto, tarto, che
egli fu obligato da' Medici, a fine di campare sua vita, ad
abbandonare Firenze, ed all'aria nativa ritirarli nella sua Villa di
Cigoli,
dove non andò molto, che per arruoto alle sue disgrazie, quella li
sopravvenne della mancanza per morte prima del Padre, e poco dopo
della Madre. Costituito dunque il povero giovane in istato di tanta
miseria, dico senza sanità, e senza i Genitorii, quasi quasi fu
forzato a deliberare di lasciar la Pittura per istarsene, come gli
fusse riuscito il meglio, nella propria Villa, non per altro fare,
che vivere, ed alquanto attendere alla conservazione del proprio
avere, massime essendo egli di tre fratelli il maggiore e quegli a
cui tal carico s' apparteneva; tuttavia, con più animo e l'amore
all'arte, talché forse non si lasciò portare de! tutto da tal
pensiero; ma andava spendendo il giorno, or disegnando da' rilievi,
or da' naturali, or dando alcuna cosa da fare a' pennelli , ed
intinto con buona regola della vita, e coll'ajuto de' miedicamenti,
[019]
andava
in traccia della primiera salute. In tal modo, ed in tali occupazioni
consumò il Cigoli presso a tre anni, e finalmente volle il Cielo,
che consumate le cagioni de' terribili accidenti del mal caduco,
ritornasser le forze, ed egli del tutto libero dal male si rimanesse
. Or qui non è da affaticarsi in pensare quali fussero in lui i
nuovi fervori nelli studj del Disegno, e della Pittura, co' quali con
non poco vantaggio riparò al perduto tempo, ed avendo per avventura
riconosciuto il dono della nuova sanità dall'intercessioni della
Gran Madre di Dio, volle che a suo onore fusse esposta al pubblico la
prima Pittura, che dopo il male avessero partorita i suoi pennelli,
che su un'Immagine della medesima con altre figure, stata chiamata
poi la
Madonna dello Spasimo, ed altrimenti anche la Madonnina, alla quale
fu dato luogo presso al Castello di Cigoli, che in segno di ricevute
grazie, essendo stata in tempo adornata di gran quantità di voti,
diede occasione a' Nipoti di Lodovico di fabbricarle una devota
Cappella, per entro li quale viene tuttavia da quei del Paese
adorata.
Aveva il Cigoli, stanco ancora in Firenze applicato alla Pittura,
contratta non ordinaria amicizia col celebre Bernardo Buontalenti, da
cui aveva ancora appresa l'Architettura: or mentre egli stava
disegnando suo ritorno a quella Città, gli comparve una lettera
d'esso Bernardo, con una molto pressante persuasione d ritornavi ben
presto, per subentrare in certi lavori, vacati per morte del Crocino
Pittore di grande espettazione, fra' quali era un S. Francesco di
Paola per la Chiesa di S. Giuseppe de' Frati Minimi, ed una stanza
(si crede a Grottesche) nella Reale Galleria. Egli subito diede
orécchio alla chiamata: accettò alcune dell'opere proposte; ma
volle farle nella propria Casa di Bernardo, come quegli, che molto
prometteasi dall'assistenza di tal tono. Era solito portarsi alcune
volte alla Casa del Buontalenti, il Gran Duca Francesco gran Mecenate
di queste Arti nobilissime, ed una fra l'altre avendo vedute le
Pitture del Giovane Lodovico, e scorte eziandio le sue spiritose, e
nobili maniere, non solamente con lodi, ma con doni incominciò a
farlo ogni di più animoso, al corso di sue onorate fatiche. Così
possiamo noi con verità affermare, che da questo punto mutatesi in
tutto, e per tutto, dall'esser di prima, cioè in prospere, e molto
aggradevoli le sue viste fortune, egli incominciasse a godere giorni
felici, ne' quali poté darsi da dovero a' tanto desiderati studj, ed
al fine che ciò più sicuramente gli riuscisse, s'accostava bene
spesso a Santi di Tito Pittore, che in quanto a disegno, attitudini,
e componimento di figure nell'Istorie appartiene godeva allora in
Firenze il primo grido, tutto che nel colorito non giungesse a
toccare l'ultimo segno. Col consiglio dunque di costui, volle il
Cigoli in questi tempi sempre operare, con che incominciò a dare
grandi saggi di se stesso. Era in uso allora, come altrove abbiamo
detto, il bel costume nell'Accademia del Disegno, d'obbligare ogni
Pittore, che volesse in essa aver luogo, a dipingere un quadro, e
quello presentare alla medesima, per rimanervi per sempre per
Testimonio del suo valore, onde volendo Lodovico al suo debito
sodisfare per condursi all'onore d'esservi ascritto, dipinse un bel
quadro per la medesima, in cui rappresentò la Storia di Caino ed
Abele. In questi tempi fece ancora un Deposto di Croce, dopo averne
fatti con studio non ordinario il cartone: colorì [020]
un
S. Girolamo in istato di penitenza, un S. Giovanni nel Deserto, una
piccola Tavola d'una Nonziata, ed altri molti quadri, tutti però di
maniere diverse, come quegli, che sin dalla tenera età, non ebbe mai
a grado il modo di tignere, che in Firenze si teneva per la più
parte de' Pittori, procurando al possibile di disegnare quante più
opere poteva di Jacopo da Pontormo, non una, ma più volte, e quante
altre di simiglianti Artefici venivano a sua cognizione in questa
Città, e specialmente quelle di Michelagnolo Buonarruoti, di che
ella non punto invidiando Roma, è si abbondante, e ricca; e nello
studiar queste, volle per lo più aver in sua compagnia Andrea Comodi
Giovane suo amicissimo, del cui valore, sì nel modellare, come nel
dipignere d'ottimo gusto parleremo a suo luogo. Disegnavale sopra
carte, ora spezzate, ora intere e talora modellavale di terra,
aggiungendo come preparatorio necessarissimo a quella sorta di studio
il disegnare, e modellare con cera in ogni veduta un Scheletro umano,
che egli a tale effetto si teneva in Casa; e di tali Scheletri, così
disegnati sopra carta azzurra, lumeggiati con gesso veggonsi molti,
oltre a' quanti fra più disegni del medesimo Cigoli ne conserva chi
queste cose scrive, ma conciossiacosache tendesse allora ogni suo
fine a condursi a' posti di singularità nel dipignere, la quale
consiste, non pure nell'ottima maniera del colorire, e inventare, ma
eziandìo nel possesso d'ogni altra facoltà appartenente al Disegno,
vedendo quanto gli mancava, non ostante i primi studj fatti appresso
il Buontalenti in prospettiva, e Architettura, di nuovo sotto la
scorta del medesimo vi s'applicò, al che s'aggiunge il favore
offertoli da un certo M. Ostilio Ricci di leggerli le Matematiche nel
tempo stesso, che egli nella Casa pure di Bernardo, ne dava lezione a
D. Giovanni de' Medici; parve veramente, che tale nuova applicazione
a sì fatti studj gli fusse stata persuasa dal Cielo, perché non
andò molto, che dovendosi dal Buontalenti, come primario Ingegnere
dei Gran Duca, ordinare varj apparati, Archi trionfali, e
Rappresentazioni per causa delle Nozze di D. Cesare da Este, del Duca
di Mantova, del Gran Duca Francesco, e poi di Ferdinando Primo, largo
campo s'aperse il Cigoli di dovervi, e potervi far cose grandi, e
degne dell'ingegno suo. Diede
egli pure in questi medesimi tempi grand'opera a formare pensieri,
schizzi, disegni, e modelli per la facciata di S. Maria del Fiore,
in che molto gli giovò pure l'assistenza di Bernardo , che in simile
affare s'era anch'egli molto affaticato, e andavagli scoprendo le
difficultadi, che in porre ad effetto quella grand'Opera si poteano
incontrare, e 'l modo eziandìo di superarle. Vedesi sino a' di
nostri il bel modello fatto dal Cigoli per entro la Guardaroba
dell'Opera del Duomo, ed è composto di due ordini, il primo è
Corintio, il secondo è Composito, e le tre porte sono Doriche, e
questo modello de' molti altri che ve ne sono, tutti d'Eccellenti
Maestri è il minore sì in grandezza; ma a' parere di Periti, forse
in bellezza, di tutti gli altri maggiore.
Era
cosa maravigliosa nel Cigoli il vedere, come egli fra tante mentali
applicazioni, non mai s'allontanasse dallo studio della Pittura, in
quello particolarmente, che apparteneva all'acquisto dell'ottima
maniera del colorito. A tale oggetto si portava spesso da Gregorio
Pagani, Giovane di sua età , che già vi aveva fatto gran profitto,
e dentro alle sue stanze, dietro [021]
al
Convento de' Servi, ove oggi è il Palazzo de' Guadagni, rimase a
Gregorio, come in custodia, finché Girolamo Macchietti, detto
altrimenti del Crocifissajo fusse tornato di Spagna, dove era stato
chiamato a dipignere. In quelle stanze adunque tratteneva collo
stesso Gregorio, disegnando tuttavia al naturale: conferendo con esso
a vicenda le difficultadi, che per giungere ad un modo di colorire
naturale, e vero si frapponevano a' loro studj; che son quelle
finalmente, ove va a cadere ogni professore, anche dopo essersi
lungamente affaticato in cercare di bene intendere il rilievo,
l'attitudini, le proporzioni, il componimento, ed altre a queste
simiglianti cose; ma perché a chi veramente desidera il profitto, e
bene sta in su l'avviso, rare volte, o non mai mancano congiunture
d'appagare sua volontà, una se ne porse loro in quel tempo, e su che
nella Chiesa di S. Piero d'Arezzo nella Cappella della Compagnia
della Misericordia, fusse mandata una bellissima Tavola di Federigo
Barocci, onde venutane loro la notizia, subito rimosso ogn'indugio,
colà si portarono, la videro, e vedutala bene la studiarono, e non
fu gran fatto, che il Cigoli al suo ritorno a Firenze incominciasse a
dar segni d'essersi alquanto confermato a quella maniera nelle sue
Storie a fresco, che gli furon date a fare nel Chiostro nuovo di S.
Maria Novella, ciò furono per Lucrezia Strozzi S. Vincenzio Ferrero,
che piglia l'Abito da S. Domenico, e per Vincenzio, e Giuliano de'
Ricci lo scendere dei Sig. al Limbo; gli fu anche dato a fare nella
Chiesa della Congrega della Concezione, presso all'Altar Maggiore
dalla parte dell'Evangelio una Storia della Nascita di Maria Vergine,
che tutte l'altre da lui fatte sin'allora superò in bontà; essendo
poi a' dì nostri stata quella parte della Chiesa, a spese della
famiglia de' Passerini, e con Disegno di Pier Francesco Silvani
riccamente adornata di nobili Architetture, non è più stato luogo a
godersi la bella Pittura del Cigoli, essendo rimasta sotto i nuovi
Ornamenti. Tornando ora al nostro Artefice, avendo egli dopo lo
studio della maniera del Baroccio, vedute alcune delle maravigliose
Pitture del Coreggio, tanto se ne invaghì, che volle copiarne,
quante ne poté avere, e da quell'ora mutato pensiero, all'imitazione
di tal maniera, solamente indirizzò ogni suo studio, e fatica,
solito di chiamare il Coreggio singulare Maestro del colorito.
Dipinse poi un'Istoria a presso nel Cortile della Petraja, Villa de'
Sereniss. di Toscana, de' fatti di Goffredo Buglione, ma questa pure
per essere esposta all'ingiurie del tempo ebbe poca vita. Ebbe ancora
a fare più Tavole, le quali condusse d'ottimo gusto: ciò furono, un
Cenacolo per la Terra d' Empoli, la Concezione di Maria Vergine per
Pontormo, e per la Chiesa di S. Croce di Firenze, nella Cappella de'
Risaliti, dipinse la maravigliosa Tavola della Pietà, o vogliam dire
della Santissima Trinità, in cui si vede lo Dio Padre, e la figura
di Gesù Cristo morto, v'è lo Spirito Santo, e da i lati due Angeli,
ed è da notarsi in questo luogo, come fra' quadri d'alto pregio, che
possiede il Marchese Filippo Corsini, degno Nipote dell'Eminentiss.
Cardinale Neri, è una Testa con ispalle, e parte del petto, fatta
come si crede per istudio della stessa figura del Cristo morto, cosa
rarissima, quanta altra mai ne uscisse dalle mani di tal Maestro.
Risolutosi poi a pigliare alcune stanze nella strada detta il
Campaccio, sotto la Parrocchiale di S. Lorenzo, vi dipinse molti
quadri per nostri Cittadini; ed [022]
occorse,
che un giorno Santi di Tito, il quale poniamo dire che fusse stato,
in gran parte suo Maestro, trovandosi da lui, e vedendolo operare
sopra uno di essi, alla presenza di colui, che glie lle faceva fare,
con quella libertà che s'era acquistato col suo gran possesso del
Disegno, di correggere ogni Artefice, quando gli parea, che bisogno
il richiedesse, sorte il riprese dell'aver posto in uso il verderame,
colore, ente come egli disse, per esperienza fattane in brevità di
tempo diventava nero, ed ogni bella Pittura guastava; ma il Cigoli,
che per lungo corso di tempo s'era dato a speculare modi di mantenere
i colori freschi, ed accesi sopra le Tele, e Tavole per lunghissimo
tempo, ne più ne meno, come sé pure allora vi fussero stati posati,
su in quell'istante per entro l'interno suo preso da collera, e non
poca, ma seppe reprimere quel moto, usando solamente queste parole in
risposta. M. Santi abbiatemi per iscusato, se io vi rispondo, il che
per avventura fare non dovrei. Io tengo opinione, che possa bene il
verderrame, e qualche altro colore ancora fare gli effetti, che voi
accennaste, ma però sotto le mani di coloro, che aggiustare, e
mescolare non lo sanno: ma non già a chi può avere imparato da voi
a maneggiare i pennelli, siccome per grazia vostra potrei far io. E
Santi a lui; ben sapete, che io non ebbi intenzione di parlare di
voi, di cui troppo ben note mi sono le abilitadi, e i talenti; e così
il Cigoli con una riverente; e piacevole risposta giustificò sé
stesso, placò il Maestro, e insiememente il lodò, e diede occasione
al Gentiluomo, che quivi era presente, di formar concetto maggiore
dell'animo, e della virtù sua. E' però da notarsi in questo luogo,
che Lodovico nel fare gli studj, che detti abbiamo sopra le
qualitadi, e la natura de' colori, e il modo di perpetuarli al
possibile, ne scrisse di sua mano un dotto libro; ma non andò molto,
che il medesimo con infinito suo dolore gli fu sottratto, senza che
mai, ne da lui in vita, ne dopo la morte di lui si potesse venire in
cognizione, ove capitasse; abbiamo ben noi veduti alcuni framrmenti,
o per meglio dire, alcune prime bozze fatte per tale opera sopra
fogli disegnati di sua mano, distese in quel modo, che allora gettò
sua penna, dopo averne fatta esperienza, i quali benché brevissimi
scritti non lasciano di mostrare per la novità dell'avvertenze
avute, e delle materie usate, la profondità dell'ingegno suo, e la
sua attenta, ed accurata investigazione. Occorse non molto dopo a
questi tempi, che il soprannominato Federigo Barrocci, mandasse a
Perugia un'altra sua bellissima Tavola d'un Deposto di Croce; e il
Cigoli, a cui non mancò mai il desiderio di vedere il più bello
nelle cose dell'arte, accordatosi col Passignano, insieme con esso si
partii a quella volta; ed era solito dire lo stesso Passignano, che
nel veder che fecero opera sì bella, furono per isbalordire; e
Lodovico che fino a quel giorno s'era tal volta lasciato intendere,
che per quanto aveva fino allora veduto d'opere de' viventi Maestri,
non s'era presa di loro molta paura, nel vedere questa seconda Opera
del Baroccio si diede per vinto; e tornato di subito a Firenze,
volendo pure per ogni modo procurare d'avanzarlo, si gettò più che
mai all'imitazione del Coreggio, e non è mancato chi abbia detto,
che egli a tale effetto viaggiasse poi per la Lombardia; non abbiamo
già di ciò riscontro, che vaglia; questo bensì pare a noi di
poterle affermare, cioè, che pochi, o niuno fra' Professori di
Pittura sono stati, che dalle opere di quel singolarissimo [023]
Maestro
abbian tratto profitto eguale a quello del Cigoli; che però a gran
ragione, come sopra accennammo, egli s'acquistò presso a molti il
nome del Coreggio Fiorentino. Di questa terza maniera colorì egli
per lo Sereniss. Gran Duca il bel quadro della Diana giacente col
Satiro, e 'l Cane opera bellissima, che oggi si vede nel Palazzo de'
Pitti.
In
questi tempi medesimi [tanto era nel Cigoli il capitale dello
spirito] non solamente egli attese alle fatiche dell'arte sua, ma
diede anche luogo al coltivamento d'un suo bel genio di vaga, e
nobile Poesia, la quale, secondo l'antico detto di quel Greco, egli
era solito di chiamare una Pittura parlante, e tanto vi s'approfittò,
che montato già in grande stima fra' Letterati di nostra Patria,
sorti d'esser accettato per uno della nobilissima Accademia della
Crusca, nella quale con una erudita Orazione in ringraziamento del
ricevuto onore, fece anche viepiù conoscere la chiarezza di suo
intelletto. Parevagli però, che la Poesia senza la Musica, non
facesse di sé stessa quella bella mostra, che tel'è solita di fare
con sua accompagnatura, onde diedesi all'apprendere tale facultà, ed
insieme con essa una squisita maniera di sonare il Liuto; in che non
può negarsi, che (essendo egli per altro poco tirato da desiderio di
guadagno, ed anche poco bisognoso) ei non si divertisse alquanto
dall'unico intento suo, che era la Pittura; onde bene spesso per la
Musica, e per lo sonare tale strumento, dava di grandi riposi a'
pennelli. Occorse allora, che avendo egli fatte alcune opere per lo
Castello di Figline, nel quale ancora si dovevano dipignere due
Tavole, una ne fu allogata a lui, per rappresentare in essa il
Martirio di S. Lorenzo; fecela egli con grande studio, rispetto
massime alle vedute di prospettiva, che dovevan fare effetto, nel
piano e nella Graticola; e riuscì cosa bellissima; non su però, che
egli portato dal disìo di sonare, non indugiasse molto a condurla,
tanto che avendo già il Pittore, a cui era stata l'altra allogata
finita sua fatica, domandiate di ciò che facesse il Cigoli della
sua, disse, che più gli piaceva il sonare il suo Liuto, che
l'attendere a dar fine alla Tavola; il che saputosi da Lodovico, dopo
essersi anche accorto, che la Pittura (la quale all'occhio d'ognuno
che non aveva la gran cognizione, el buon gusto, che esso aveva,
compariva maravigliosa) a cagione di tale suo divertimento, non era
riuscito a suo modo, preso il Liuto, e strappatene a viva forza le
corde, diedegli luogo da non più rivederlo, non che sonarlo, ed era
solito dire d'essere non poco obbligato a chi una tale apprensione
avevagli tolta dall'animo.
Dovendoli
intanto per lo Palazzo Sereniss. A' Pitti dipignere una Tavola della
Resurrezione del Signore, per una Cappella del Regio Appartamento del
Gran Duca Ferdinando Primo, che oggi è quello stesso, che stato per
gran tempo destinato alloggio de' Principi forestieri, serve ora per
la Sereniss. Violante Beatrice di Baviera Principessa di Toscana, fu
dato l'ordine a diversi valorosi Artefici di farne disegni, e poi fu
loro domandato, se ponendosi in esecuzione i già da loro dimostrati
pensieri, sarebbero venute nell'opera le figure, fino ad una certa
loro determinata grandezza, al che risposero tutti, che no, per
essere lo spazio troppo angusto. Trovavasi a questo discorso il
Signore D. Giovanni de' Medici, al cui ottimo gusto, e cognizione di
tali materie, poco soddisfece la risposta de' Pittori, onde troncato
[024]
il
discorso, prese egli l'assunto di ordinar la Tavola ad altri, e
subito diedene l'incumbenza al Cigoli, che fece suo disegno,
scherzando graziosamente coll'attitudini, e quelle a forza di scorci
di vicini, e di lontani, e d'altri industriosi Artefici, condusse
prima in disegno, e poi fece l'opera colle figure della destinata
grandezza; fecela vedere a' Serenissimi, con dire, nulla essere
impossibile, a chi vuole, e ne riportò accrescimento di stima e
d'amore. Rappresentò egli in questa Tavola Cristo Signor Nostro
Risorgente, e fecevi, sette, o Otto figure di Soldati, uno de' quali
atterrito dal Terremoto, si chiude con le mani gli orecchi per non
sentirne il rumore, mentre fa mostra di cadere in Terra. Due ve ne
sono d'impareggiabile bellezza, che spiccando in chiaro sopra la
veste dell'Angelo, maravigliosamente rilievano; ed in lontananza in
vaghe attitudini si veggiono le Marie. Non andò molto, che per lo
celebre Girolamo Mercuriale da Forlì Lettore primario allora nello
Studio Pisano, egli ebbe a dipignere l'Istoria della Cena del Signore
in Casa il Fariseo, e la Maddalena, che riuscì quel tanto rinomato
quadro, che a tutti è noto, intagliato poi per mano di Cornelio
franzese. Ebbe il Cigoli, nell'ordinar quest'opera, la bella
avvertenza di figurare la persona del Signore a Tavola, non a sedere,
come quasi tutti i moderni il dipingono, ma giacente al modo, che da
antichissimi, e gravissimi Autori sappiamo, che si praticava in quei
tempi.
Sopra
di che veggasi quanto da noi è stato scritto nelle Notizie della
Vita di Santi di Tito, Parte Seconda, del Secolo Quarto dal 1550. al
1560. ed è verisimile, che tal modo di rappresentare il Signore,
giacente, e non sedente, fusse suggerito al Cigoli dallo stesso
Mercuriale, giacché abbiamo nel primo Libro della sua Gimnastica al
Cap. XI. De accubitu in Coena antiquorum, tanto, quanto basta per
mostrare, che anche quel dottissimo uomo era di tale opinione, ormai
fra' più pratici d'antichità, senza alcuna dubitanza ricevuta, e
per verissima creduta. Per Massimiliano Mercuriale pure di Forlì,
fece un quadro , al quale fu dato luogo nella Cappella di S.
Mercuriale. Fece ancora il Cigoli in quelli tempi per le Monache di
S. Salvi un bel quadro d'un Crocifisso, e per la Libreria de' Frati
di S. Domenico di Fiesole, la figura di Maria Vergine, nella sua
salita al Cielo; e per la Terra d'Empoli in una Tavola Eraclio
portante la Croce. Per Jacopo Giraldi nostro erudito Gentiluomo
colorì due quadri di Misterj della Passione del Signore; in uno fece
vedere la Coronazione di Spine, facendo pigliare il lume all'Istoria
da un Lanternone, sostenuto da uno de' Manigoldi, la cui armatura,
percossa da quella luce, illumina altresì coll'altre figure la
faccia del Redentore; nell'altro quadro, che da' professori
dell'arte, è reputato maggiore d'ogni stima, rappresentò lo stesso
Signore mostrato al Popolo. Queste figure conservano oggi, fra altre
di singulari uomini, gli Eredi dello stesso Jacopo, insieme con un
bel quadro pure del Cigoli d'una Santa Caterina Sposata dal Signore;
v'è Maria sempre Vergine, e S. Giuseppe, appoggiato ad un santo. E'
anche in Casa Giraldi di mano del Cigoli uno stupendo Ritratto, testa
sola con collare a lattughe, che è Concino Concini, Governatore di
Normandia, Maresciallo d'Angrè, il quale Ritratto pervenne in quella
Casa per mancanza della sua linea masculina per via di Donne. Si
scorgono nella fronte di quella vivacissima faccia, [025]
tre
segni del Vajuolo, imitati con tal facilità, e verità, che sanno
conoscere, che quest'Artefice, che nel rappresentare cose
nobilissime, e grandi fu grande; anche in ciò che alle piccole, e
minute apparteneva, non fu piccolo. Dipinse ancora per Ascanio Pucci
un S. Girolamo; per Cosimo Ridolfi un S. Francesco, in atto di orare,
e la Visione di Giobbe, che poi pervenne in mano del Serenissimo
Cardinale Carlo de' Medici, insieme con una Vergine, che mostra
insegnar leggere al fanciullo Gesù, ed una Santa Maria nel Deserto,
fatta già al Cavaliere Capinera Ricasoli, a cui pure aveva dipinto
il Cigoli un S. Giovanni nel Deserto, ed un S. Francesco che riceve
le Stimate. Per Carlo Guidacci, che su suo grand'amico, dipinse un S.
Francesco, ed una S. Maria Maddalena, figure quanto il naturale, che
poi pervennero in Casa del Sanatore Torrigiani, ove pure di sua mano,
era una Testa di un'Ecce Homo.
Per
lo stesso Cardinale Carlo de' Medici colorì la bellissima figura
della Santa Maria Maddalena nel Deserto, poco minore del naturale ed
ignuda se non quanto viene da' proprj capelli ricoperta, sta in atto
di sedere, stende la sinistra mano, sopra urna Testa di morto, e
coll'altra tiene un Libro, che ella posa sopra a una coscia.
Conservasi oggi questo quadro nel Palazzo Serenissimo, con altri
molti di mano del Cigoli, e fra essi una Vergine col fanciullo Gesù,
che tiene in mano alcuni fiori. Non istarò a dire molto, della
bellissima Tavola, che dipinse per la Chiesa Parrocchiale del
Pontadera, e di quella altresì per la Città di Cortona, ov'è la
Vergine con quattro Santi, tutte opere di pregio, richiamandomi a
parlare di loro, le due stupende, che veggiamo, una nella Chiesa di
S. Marco de' Frati Predicatori, ov'è Eraclio, portante la Croce a
Gerusalemme, nella quale non è ne testa, ne figura, che non iscopra
in sé qualche maraviglia dell'arte, oltre a quanto ne dicono;
l'invenzione, la disposizione, e l'accordamento. Di rara bellezza è
la figurai d'una femmina, e d' un fanciullo; che si scorgono in prima
veduta, e quella altresì dell'Angelo, che in aria tiene in mano il
Sacrosanto Segno; e gran disgrazia per certo fu di questa bell'opera,
il trovarsi per sempre sequestrata in luogo sì fattamente
contrattato dagli opposti lumi di quella Chiesa, che non può a gran
segno far mostra di quella bellezza, di che con i grand'industria
l'aveva l'Artefice arricchita. L'altra Tavola è quella, che egli
condusse per la Chiesa di S. Francesco di Cortona, rappresentando il
miracolo del Santissimo Sacramento dell' Altare, a cui mentre dalla
mano di S. Antonio da Padova era portato a vista di quell'incredulo,
su prestata adorazione dal vile Giumento: della bellezza e bontà di
quest'opera, come non veduta da me, io non saprei dir più, di
quello, che ne ha a me rapportato Francesco Baldelli di quella Città,
Gentiluomo di grande erudizione, e nelle cose appartenenti all'arti
nostre, non meno intendente, che nell'amore alle medesime, ed agli
Artefici singulare; dico bene, che ella riuscì di tanto gusto al
medesimo Cigoli, che egli volle portarsi in persona colà, per porla
a suo luogo, e ne partì contentissimo; fecegli fare questa Tavola
Curzio di Marsilio Tomasi marito di Caterina Buoni, unica figlia, e
Erede di Anton Buoni Cittadino fiorentino, e Cortonese, che l'Anno
1596. fece edificare al Santo la Cappella, in cui su posta, la quale
poi passò in padronato di Fra Gio: Tommaso Tomasi
[026]
Cavaliere
Gierosolimitano, Commendatore di S. Casciano, e S. Croce di Perugia,
e de' suoi Nipoti. Per la Chiesa di S. Domenico della stessa Città
di Cortona, fece il Cigoli anche una Tavola del Santissimo Rosario,
con S. Domenico, e S. Antonino Arcivescovo di Firenze, con altri
Santi; in questa il Cigoli non riuscì gran fatto simile a sé
medesimo, con ciò fosse cosa, che essendo stata fatta fare di
limosine da certe donne di quella Compagnia, tanta fu per quanto si
disse l'importunità loro verso il Pittore, acciocché discostandosi
dal bellissimo concetto, che egli a principio, s'era prefisso,
obbedisse alle loro sconcertate fantasie, obbligandolo ad aggiungere
in esso, or quello, or quell'altro Santo, che la sua pazienza si
diede per vinta, e così come ella venne fatta, per togliersi da sì
stucchevole fastidio, a loro la consegnò. Per lo Castello di
Fucecchio dipinse un S. Francesco, che riceve le Stimate; per la
Chiesa delle Monache di S. Marta di Montopoli un Lazzero resuscitato;
per la Città di Colle una Pietà; per Pisa la Tavola del Presepio,
per la Chiesa di San Francesco; ma bella oltre ogni credere è la
Tavola del Pilastro in S. Maria Novella, ov'è rappresentato S.
Pietro Martire, in atto di Martirio. Fu questa Pittura fatta, e
ornata di marmi, in forma di un nobile Tabernacolo, da quei della
famiglia de' Benedetti. Di questa non si contentò il Cigoli di far
grandi studi in disegno, ma anche ne volle far modelli in Pittura di
varia invenzione, uno de' quali in piccole figure, bellissimo,
conservano in Casa loro gli Eredi del Marchese Senatore Ottavio
Pucci, stato a caso riconosciuto fra altri di diversa mano, da chi
quelle cose scrive in una lor Villa, è però' stato condotto in
Città. Vedesi nella Chiesa di S. Maria Maggiora de' Frati
Carmelitani la bella, benché piccola Tavola del S. Alberto, dissi
bella, benché piccola non pure per molte ottime quaitadi, che tale
la mostrano, ma perché in gran piccolezza seppe egli fare apparire
molte figure, tutte quanto il naturale, cioè a dire il Santo, e le
persone di alcuni Ebrei da lui liberati, dal pericolo d'annegarli; ma
giacché parliamo di quella Tavola, è anche da sapersi, che
l'Architettura, che di qua, e di la, e sopra alla Porta maggiore
nell'interior parte, fa ornamento ad essa Tavola, ed a' quella, che
dall'altro lato fece il Passìgnano, fu fatta con modello della
stesso Cigoli. Hanno le Monache di S. Onorio dell'Ordine Serafico,
dette di Fuligno, nella loro Chiesa, non lungi dalla Fortezza da
basso, una stupenda Tavola pure di mano di Lodovico, ov'è
rappresentato S. Francesco in atto di ricever le Stimate, a cui per
esser vivo, altro non manca, che il respirare; giacché vede
ogn'uomo, che ha ingegno, che avendolo figurato l'Artefice; rapito in
un dolcissimo éstasi d'amor Divino, volle farlo vivo sì, ma non
parlante, e veramente lo fece vivo e parlante pur troppo, mentre
seppe far apparire in quel volto effetti chiarissimi delle grandi
voci del suo cuore, arso dà Divin fuoco. Hanno quelle Madri per
tradizione, che il Cigoli, dopo aver formata l'idea di quell'Opera, e
fattone il disegno, e forse anche abbozzatala, desiderando di
eleggere per la Testa del Santo un'aria devotissima, e per quanto
fusse stato possibile somigliante il vero, se ne stesse in un forte
pensiero, quando batté la porta di sua casa un povero Pellegrino,
domandando limosina, e che il Cigoli fissandogli ben gli occhi
addosso riconoscesse quel volto, accomodato [027]
appunto
quanto abbisognava per Io suo quadro, onde chiamatolo in casa, e ben
ristoratolo di cibo alla propria mensa, lo tenesse al naturale per la
Testa del Santo, e fattone il Ritratto in piccola tela, l'originai
del quale, con sette altre Teste di vecchi, fatte pure per primi
studj di Tavole dallo stesso Cigoli, conserva il Marchese Filippo
Corsini, traessene la devota immagine, che vede ognuno con istupore;
soggiungono che il Pellegrino, dopo aver servito al bisogno l'Ospite
suo, con buon modo si partisse da quella Casa, e che non più, ne dal
Cigoli, ne da altri si rivedesse. Può esser che fusse questo
successo, cosa meramente naturale, ma pure noi sappiamo, non solo
esser possibile a Dio l'onorare i suoi Santi con modi miracolosi ma
quando ciò fusse seguito per opera soprannaturale, sappiamo ancora
che questa non sarebbe stata la prima volta, che alle formazioni di
Sacre Immagini, fusse concorsa la Divina Provvidenza, con modi
prodigiosi. Questo però è verissimo, ed il conosce ognuno, che ha
occhio erudito in queste arti, che la Testa del Santo è fatta dal
naturale, e non d'invenzione del Pittore, onde convien dire, che, o
con miracolo, o senza miracolo, concorse particolarmente la Divina
Provvidenza a fare, che potesse il Cigoli trovare un volto, in cui
concorressero qualità sì da non poter esser mirato senza devozione,
e compunzione. Questo stesso effetto veggiamo portarci la bellissima
sua Tavola, che egli per carità fece a' frati Cappuccini di Montui,
nella quale la Vergine Santissima Annunziata, dall'Angelo, sa
conoscere quanto possa un'eccellente, e molto devoto Artefice, quale
fu egli nel rappresentare con amorosa attenzione l'effigio della
nostra comune Consolatrice, e quanto possa la Divina grazia operare
nelle Sacre Immagini di Maria. Fece per quei Religiosi, oltre ad essa
Tavola, anche il disegno dell'Architettura dell'Altar Maggiore
fattasi poi di Noce, per contenere in sé nel bel mezzo il
Crocifisso, e da i lati sopra le porticelle del Coro, li due quadri
di fatti di S. Francesco, opera a pennelli di Jacopo Ligozzi. Ma che
diremo della grande, e stupendissima Tavola, fatta da lui l'Anno 1587
per le Monache di Montedomini, ove è rappresentato il Martirio di S.
Stefano. Qui veramente il Cigoli si mostrò tanto superiore a sé
stesso, quanto ad ogni più eccellente Artefice del suo tempo e se il
descriverla minutamente, non fusse da noi giudicato tempo perduto,
giacché all'occhio solamente, e non all'orecchio appartiene il dar
giudizio dell'ottime Pitture, potremmo dir cose grandi: ma il tutto
tralasciando, vogliamo far noto solamente, che questa Tavola, al
parere d'uomini segnalati nell'arte, e fra questi del celebre Pietro
da Cortona, fu predicata per la più bella di quante egregie Pitture,
possiede la nostra Città, che in ogni tempo fu madre di
singularissimi Professori; ed è concetto universale, che quando il
Cigoli, non avesse fatto altro, che quest'opera, sarebbesi con essa
sola, a gran ragione guadagnato il nome del Coreggio fiorentino.
Sappiamo, che l'Artefice per condurla, fece una gran quantità di
pensieri disegni, e modelli a fine di dispor talmente le figure di
quei satelliti lapidatori del Santo, che elle non si tirassero i
fatti l' una, l'altra, cosa che lo stesso Cigoli diceva aver
osservata in opere di Pittori, per altro lodati, ma poco accorti nel
concertare gli atti delle figure loro; ci pareva che volesse ogni
dovere, che alcuna cosa si dicesse da noi della persona, che col
proprio denaro [028]
arricchì
d'una sì nobile cosa, e la detta Chiesa, e la nostra Città; ma per
molto che abbiam cercato (giacché nel Monastero di Montedomini non
se ne trova fatta alcuna memoria) non posiamo a tale effetto far
capitale, che delle semplici tradizioni, verisimili però molto; le
quali concludono, che ella fusse fatta fare, ne' tempi di uno Stefano
Fontani Procuratore delle Monache; e che ciò seguisse a spese di
Zaccheria Tondelli, stato per gran tempo fattore del Monastero, e che
la Testa del Vecchietto con barba piccola, che si vede in lontananza
dalla parte dell'Evangelio, sia il suo ritratto, al naturale; che
questi fusse stato un gran benefattore di quel luogo è ben noto,
giacché, per avergli lasciata sua eredità, ogn'anno in quel
Monastero si fa memoria di lui; non è anche mancato chi abbia detto,
che non esso, ma il Fontani la facesse fare a sue spese, e che di sua
persona fusse il ritratto, e non del Tondelli; ma noi per giusti
titoli prestiamo più fede al primo parere. Passando ora ad altre
Opere del Cigoli, diremo, che nella Chiesa de' Servi di Pistoja è di
sua mano la Tavola della Natività di Maria sempre Vergine, della
quale gli studj, e pensieri, che in diversi tempi son venuti
solamente sotto l'occhio nostro, sono in grandissimo numero, cosa che
ben fa conoscere, non pure la ricchezza, e vastità delle sue nobili
Idee, ma eziandio l'ottimo gusto suo, nel far sempre fra tanti
concetti elezione del più bello. Non è anco da passarsi in silenzio
la Tavola del Battesimo di Nostro Signore fatta per lo Duomo di
Livorno. Quella eziandio del Sacro Eremo di Monte Senario, ov'egli
rappresentò un Presepio. La Tavola del S. Pietro, che cammina sopra
l'acque per la Parrocchiale di Riottoli, non lungi dalla Terra
d'Empoli, e quella altresì, che è per entro la Compagnia della
Croce nella medesima Terra, ov'è la Deposizione di Cristo Nostro
Signore dalla Croce; ed un' altra pure nella Compagnia del Sacramento
contenente la Cena del Signore; è anche opera del suo dottissimo
pennello la Tavola dell'adorazione de' Magi, posta all'Altare della
Cappella degli Albizi in S. Pier Maggiore. Questa al certo non ha
parte in sé, che bellissima non sia, sonovi arie di Teste stupende,
ricchezza, e nobiltà; è maraviglioso nel suo genere un ritratto
d'un Cane, della bellissima, e grande razza di Inghilterra, a cui per
parer vivo, altro non manca, che il moto: ma non su questa l'unica
volta, che il Cigoli con tanta bravura, vivacità, e spirito,
ritrasse così fatti animali; perché io mi ricordo fin dal tempo di
mia fanciullezza averne un'altro veduto della stessa qualità, fatto
per uno della nobil famiglia de' Ricasoli, e quello stesso Cane, per
quanto a me raccontò un'antico uomo della medesima nobile famiglia,
a cui essendo morto il Padrone, e portato il Cadavero in Chiesa per
darli sepoltura, non mai si volle partire dal feretro, sin che il
Padrone sepolto non fu, poi posatosi come sbalordito in sulla lapida
del Sepolcro, donde non si discostò mai, finalmente per inedia, e
malinconia sopra quel sasso lasciò la vita. Devesi anche dar luogo,
fra le belle Pitture del Cigoli, alla Tavola, che veggiamo all'Altar
Maggiore della Chiesa di S. Gaggio Monastero di Monache poco distante
dalle mura della Città, fuori della porta a S. Pier Gattolini.
Vedesi in essa la Vergine Santa Caterina, disputante co' Dottori, i
quali in atto reverente pare che mostrino l'alto concetto che sanno
di sua Celeste Dottrina. E' bellissima un'Architettura, che fa [029]
campo
scuro alle figure, ed è cosa vaga a vedersi il passare che fa per
un'apertura una tale persona, in atto di portare quelle legna, che
dovevano essere Istrumento del Martirio della Santa. E anche opera
del Cigoli un Tondo, Sopra detta Tavola, ov'è Maria Vergine; con
Gesù fanciullo in atto di sposare quella Vergine. Uno de' modelli,
che fece per detta Tavola venne ultimamente in potere del Sereniss.
Cardinal Leopoldo di Toscana, che con averlo collocato fra l'opere
de' più segnalati Maestri di Lombardia, non lo fece per ciò
apparire men bello di quello, che egli averebbe potuto parere da sé
solo. Niccolò Ronconi Fiorentino Cavaliere di S. Stefano, e Dottore
dell'una, e dell'altra Legge, Gentiluomo che oltre alla Dottrina,
possiede altre molte rare qualitadi, conserva di mano del Cigoli due
quadri, a lui pervenuti per eredità degli Avi; in uno è S. Girolamo
in atto di percuotersi il petto colla pietra, e nell'altro S.
Francesco d'Assisi genufletto in atto di orazione, l'una, e l'altra
sono figure intere, e quanto il naturale, condotte del più perfetto
gusto, e della più brava maniera, che mai usasse il Cigoli; e ben
che tanto nell'una, quanto nell'altra si scorga un fare maraviglioso,
con tutto ciò, per essere la figura del S. Girolamo, quasi del tutto
ignuda, la dove quella di S. Francesco vestita, ella si rende più
ammirabile per lo disegno, e colorito del bel rosso, e dell'altre
parti scoperte di quel corpo, ed è questa, a mio credere, una di
quelle Pitture, nelle quali il Cigoli si fece vedere più simile a
Tiziano, e ad ogni altro gran Maestro Veneto, e Lombardo, che a sé
stesso. Nel quadro del S. Francesco sono scritte le seguenti parole:
Lod. Card. Cigol. F. 1603. Aveva il nostro valoroso Artefice, come
accennammo a principio, applicato molto, ed anche a gran costo di sua
sanità, agli studj della Notomia, sopra di cui, per quanto
apparteneva al disegno, si era egli si ben sondato, che possiamo
affermare, che e' non avesse pari, fra quanti allora maneggiavano
pennello, o scarpello. Quando comparve a Firenze Teodoro Maiern
Fiammingo celebre Anatomista, al quale fu dato luogo per entro allo
Spedala di S. Maria Nuova, per esercitare suo talento a prò de'
Professori di Medicina e dilettanti di tale arte utilissima, e
curiosissima. Allora il Cigoli, mosso cred'io da quel desiderio, che
è solito d'infiammare ogn'animo gentile e far comune ad ogn'uno la
propria virtù, non volle lasciare tal congiuntura, per mettersi a
fare la più bella, ed utile fatica, che abbia veduta in questi
ultimi Secoli la nostra Italia, e l'Europa tutta. Tale fu il
modellare con cera la bella Notomia, figura intera di circa d'un
braccio, in atto di posare, con un braccio levato in alto, e l'altro
disteso verso la coscia, opera tanto rinomata, e così andava
l'Anatomista, col quale egli strinse grand'amicizia, tagliando i
Cadaveri per le sue lezioni, e 'l Cigoli profondandosi sempre più
nell'intelligenza delle principali disposizioni delle parti della
forma, e positura de' muscoli, del rigirare, e congiungersi, e variar
de' medesimi ne' moti, e quel che è più, del loro principio; andava
altresì perfezionando così bel lavoro: ma cosa occorse in questo
tempo, cioè l'anno 1600 la quale quanto recò d'allegrezza alla
nostra Patria, tanto fu di sconcerto al Cigoli nel seguitare opera sì
bella, e su lo sposalizio di Maria figliuola del Gran Duca di Toscana
Francesco Primo col Re di Francia Enrico IV. nella quale occasione
ebbe egli a dare ogni sua opera [030]
per
la costruzione delle tanto maravigliose Scene per la Commedia, che
allora in Firenze su rappresentata, ma non solo ebbe egli ad
impiegarli in ciò, ma eziandio nell'inventare gli abiti di tutti i
personaggi di quella, che furon tanti in numero, e fra di loro tanto
diverto, e con tal proprietà, novità, e bizzarria adattati alle
parti, che fu cosa da stupire, onde è, che quanti da lui disegnati
in carte con penna, e acquerelli coloriti, ne venner mai alle mani
degl'intelligenti del Disegno, furono, e sono al presente, come
preziose Gioje, tenuti, e conservati. E' ben vero che non toccò già
una simil sorte alle bellissime sue prospettive, conciosiacosache
quelle quando in una, quando in altra parte, a fine che la memoria si
smarrisse d'un si bel tutto, furono dal morso dell'invidia, prima che
dal tempo, lacerate, e distrutte. In tal congiuntura dipinse il
Cigoli la bella Storia a Olio per una delle Sale del Palazzo Vecchio,
e su la Creazione del Gran Duca Cosimo, che su posta in uno degli
angoli della maggior Sala, e fra le figure che s'ammirano in
quell'opera, una, e bellissima si è quella del fiume d'Arno, in cui
apparisce un fare tanto nobile, e maestoso, che molto, a confronto di
questa, ne perse la figura di un'altro fiume, rappresentato in altra
Storia, rimpetto a questa dal per altro celebrassimo Pittore Domenico
Passignani, mentre su detto da' critici, che il Cigoli aveva nella
sua Tela fatto vedere un fiume Reale, e 'l Passignano nella sua un
piccol fossatello, o rigagnolo. Credesi ancora, che dal Cigoli fusse
fatto in questo medesimo tempo il bellissimo ritratto, figura intera
assai maggiore del naturale, del Gran Duca Cosimo Primo, vestito in
abito Granducale, che tuttavia oggi vediamo nella Sala detta
dell'Oriuolo, o con nome più moderno la Sala de' Gigli, contigua
alle stanze della Real Guardaroba in esso Palazzo. Aveva già la
magnificenza del Gran Duca Ferdinando Primo fatto tirare molto avanti
il gran lavoro della Cappella di S. Lorenzo, a disegno degli altri
pensieri avutili dagli Antenati suoi, e desiderava d'aggiungerle
sempre nuova bellezza per ridurla in quello stato, a cui può dirsi,
che ella tutto che appena, condotta nella metà, sia oggi già
pervenuta, cioè della più maravigliosa, e nobil cosa, che in suo
genere veder si possa in tutto il Mondo; quando fatto animoso dalla
stupenda quantità, e qualità di durissime, e preziose pietre, che
tuttavia si procacciavano da diverse parti, per porsi in opera nella
medesima, e ne' bellissimi lavori di Commesso, che del continuo da
uomini in quelle Arti eccellenti si conducevano nelle Officine della
Real Galleria, con alquanti di loro si dichiarò, esser sua volontà,
che si trovasse modo di formarne alcune Sacre Storiette, ad
imitazione della Pittura, da collocarsi poi nel Ciborio. Ma non
avendo fra que' Professori trovato, chi a tanto s'offerisse,
conciofussecosache a ciò si ricercane la perizia d'un valoroso
Pittore, volle avere a sé il nostro Artefice, che subito prevenendo
i desiderj del Padrone, ne fece, secondo i pensieri di lui, varj, e
bellissimi Disegni, poi messosi attorno a quei Maestri per Io spazio
di 5 anni, gl'instruì per modo, che fece loro condurre l'opere
stupende in genere di Storie, e figure che oggi veggiamo. Fin da quel
tempo incominciarono quelle stanze a produrre uomini sempre più
grandi, i cui bellissimi lavori sono stati d'ammirazione all'Europa
tutta. Voleva il Gran Duca, ad oggetto di mantenere il Cigoli assai
più fermo in tale affare, dargli una [031]
molto
onorata provvisione, ma egli da tale offerta si sottrasse
graziosamente allegando suo desiderio d'applicar quel tempo, ch'egli
toglieva alla Pittura, a quella sorte di studj, a cui sentivasi più
portato dal genio, cioè a dire all'Architettura, e Prospettiva; ne
riusciron vani i suoi studj, giacché di queste belle facultadi
lasciò egli poi scritto un bel Trattato, intitolato Prospettiva
pratica, e distinselo in due Libri. Il primo divise in tre parti,
nella prima trattò d'alcuni principi della Geometria pratica, nella
seconda dell'oggetto visibile, nella terza delle piante, e profili.
Nel secondo Libro assegnò tre parti alla prima, seconda, e terza
Regola della Prospettiva, la quarta diede agli avvertimenti al
Pittore nell'uso di essa Prospettiva, la quinta volle che contenesse
il Trattato degli Strumenti della medesima, e la sesta la Descrizione
di essi Strumenti, e finalmente aggiunse la misura generale, e
particolare de' cinque ordini dell'Architettura. Ma giacché ne ha
portato il discorso a parlare dell'Architettura, che dal Cigoli su in
eminente grado professata, pare che si faccia luogo a noi di dire
alcuna cosa dell'Opere, che ei condusse con suoi disegni, e modelli
per tornar poi a parlare di quelle di Pittura. Vedesi primieramente
in Firenze la bellissima Porta dell'Orto de' Gaddi a Piazza Madonna
d'ordine Toscano, colle scalinate addiacenti alla medesima, situate a
seconda degli angoli, che da quell'Orto a termine delle due vie in sì
bel modo, che non solamente, fanno fare alla porta stessa, una
maestosa mostra; ma terminano molto leggiadramente il ceppo delle
Case fra le medesime vie rimpetto alla Piazza. Dicono anche che fusse
fatta con suo disegno la loggetta d'ordine Dorico al canto de'
Tornaquinci; similmente l'Altar Maggiore di S. Felicita, mentre il
rimanente che vi si vede fatto d'ordine Corintio, ben che
architettato da lui, su poi messo in opera nel tempo, che si
trattenne in Roma sopra i suoi modelli, ma con qualche diversità; e
troviamo ancora che fusser fatte con suo disegno, le due Porte della
Cappella de' Serragli, ove sta il Santissimo Sacramento nella Chiesa
di S. Marco de Frati Predicatori: furono ornate con suo disegno, le
due Cappelle in S. Trinità pretto all'Altar Maggiore, una dalla
famiglia de' Doni, e l' altra da quella degli Usirnbardi.
Per
ordine dello stesso Gran Duca Ferdinando Primo fece un bel disegno
per l'accrescimento, e riduzione a suo fine del Palazzo de' Pitti; in
quello espresse suo pensiero, che fu di nulla guastare del fatto sino
a quel suo tempo, di mettere a piano la Piazza (che notabilmente
pende verso la' via) per tanto spazio, per quanto si fusse potuto
comodamente dare il passo e 'l rigiro alle Carrozze, le quali vi si
fusser dovute, condurre dal rimanente della Piazza per due branche
che dovevan rompere le scalere sopra esso piano, che d' avanti alla
Porta faceva assai più largo, ed in figura d'Ellisse. E sotto le
scalere faceva graziosamente risedere due belle fontane. Tirava poi
da i lati, come due ali, per quanto s'estende la Piazza, fino alla
via, del medesimo ordine Toscano, e colle stesse finestre terrene
serrate, alle quali acciò che ricorressero al piano di quelle del
Palazzo, tirava sotto alcune volte, atte a prestare varj comodi alla
gente di servizio della Corte de' Cavalieri, e delle Carrozze
medesime; alzava queste ali fino al Ballatojo d'esse seconde
finestre, ove terminavano in un bel [032]
Terrazzo.
Non debbo anche lasciar di notare, ove si parla d'Architetture
inventate dal Cigoli per servizio della Sereniss. Casa, come
essendosi egli più anni dopo portato a Roma, ove dal Gran Duca
Cosimo Secondo era stato deliberato di fabbricare un Palazzo, fu
voluto il suo parere, se quello fusse dovuto farsi in Campo Marzo, o
a Piazza Madama, ond'egli levate le piante dell'uno, e dell'altro
luogo, venne in parere, che a Piazza Madama, e non in Campo Marzo tal
fabbrica fare si dovesse, e di questa fece un modello in tal
proporzione, che si conduceva il Palazzo colla facciata, fino a mezza
essa Piazza, incrostandolo tutto di Bozze di Travertini. Fu fatta
ancora con modello del Cigoli la bellissima Base del Cavallo, sopra
il quale è la figura d'Enrigo IV. in sul Ponte nuovo di Parigi; fece
più disegni per porte, e finestre inginocchiate, e per Cappelle
domestiche, tanto per la Città di Firenze, che per fuori, e fra
queste, d'una Cappella per la Villa degli Adriani all'Amelia. Ma
tornando all'ordine della vita del nostro Artefice, diremo, come
regnando in Roma la Santità del Pontefice Clemente Ottavo, fu
determinato da' Deputati sopra la fabbrica di S. Pietro, di far
dipignere per entro quella Eccelsa Basilica più tavole da Altari da'
più eccellenti Maestri, che in quel tempo maneggiassero il pennello;
il perché molti ne furono chiamati da diverse parti d'Italia; venuta
tal novità all'orecchio del Gran Duca Ferdinando grande amatore
della virtù di Lodovico, subito fece opera per mezzo del Cardinal
Francesco Maria de' Marchesi dal Monte, che egli fusse colà chiamato
a dipignervi anch'esso la sua Tavola; comparve la chiamata, e 'l Gran
Duca con Regalo d'una bella Chinèa, che lo dovesse servire per lo
viaggio, inviollo alla volta di Roma, ove per ordine del medesimo fu
alloggiato, e nobilmente trattato nel suo Palazzo della Trinità de'
Monti, e ricevuti gli ordini, diede principio agli studj della famosa
Tavola a Olio sopra Pietra di lavagna, che egli poi colorì,
rappresentando l'Apostolo S. Pietro, che guarisce lo stroppiato alla
Porta del Tempio. Fece poi la bozza di essa Tavola, e d'altre, che
gli furono ordinate, e subito gli convenne tornare a Firenze
richiamatovi dal Gran Duca, per le nuove occorrenze a cagione delle
nozze del Principe Cosimo suo figliuolo, come appresso diremo. Nel
tempo che si trattenne in Firenze occupato per lo più nel servizio
de' Serenissimi condusse il S. Girolamo in atto di scrivere, e
l'altre figure nella Tavola, che mandata a Roma fu posta nella
Cappella dello stesso Santo in S. Giovanni de' Fiorentini, la quarta
a man destra rimpetto ad altra Tavola colorita dal Passignano, per
entro la quale Cappella aveva anche Santi di Tito fatto un quadro di
sua mano
Giunto
a Firenze s' applicò alla costruzione di tre grandi Archi Trionfali,
ed è da sapersi, che quanto era il Cigoli cresciuto di stima, e di
credito dopo la chiamata a Roma appresso al Mondo, ed a misura
dell'amore, che s' era sino allora guadagnato la sua virtù appresso
al Gran Duca era cresciuta altresì negli uomini livorosi, e di minor
sapere, che egli non era, una crudele invidia, a cagion della quale
non gli mancò da travagliare; poco è il dire, qualmente gli fusse
convenuto col proprio danaro mantenere pagato bene spesso gran numero
di operanti di pregio, come Pittori e Scultori, ed anche Manuali,
come Maestri di Ferro, e Legname, e di diverse [033]
altre
professioni, conciofussecosache, chi Io vedeva correre al posto d'un
ottimo gradimento del Sovrano in quell'onorato impiego, ad esclusione
di proprie Creature, e d'uomini di minor talento da sé portati,
sapesse operar per modo, che coll'essere talora procrastinate le
piagne agli uomini, più e più volte si trovasse il Cigoli in
contingenza d'essere da' medesimi abbandonato nel più bello del
fare, e finita l'Opera seppero anche gl'invidiosi, e suoi nemici si
ben portare a' danni di lui la bisogna, or sottraendo dal buono, e
lodevole, or aggiungendo del non apprezzabile, mentre egli, che
impattato per così dire di modestia, e non punto avido, o bisognoso
di roba, nulla diceva al Padrone a propria difesa, che gli toccò a
lasciar l'opera finita, senza altro riportarne, e anche a gran pena,
che lo rifacimento dello speso del proprio danaro.
Finirono
le Feste, e 'l Cigoli tanto allegro della grazia del Padrone, quanto
scontento de' trattamenti de' Ministri, se ne partì alla volta di
Roma; e perché egli è proprio d'una virtù sublime lo scoprire
colla sola luce, che risplende in lei stessa, le bruttezze anche più
sconosciute degli uomini ignoranti (la qual cosa allora più si fa
conoscere, quando ella s'espone nelle Corti, e nelle Città grandi,
ove non mancano mai persone, che dotate d'ingegno, benché non ben
coltivato in una, o più belle facultadi, aspirano al possesso della
prima lode:) maraviglia non fu, che al povero Artefice, che in
Patria, ed in ogni altro luogo, ove ei si portò, fu sempre
sfortunato, giunto a Roma s'accrescessero i travagli, e le
persecuzioni. Aveva egli nel poco tempo, che s' era trattenuto in
Roma, fatto procaccio d'entrare nella Compagnia, e Accademia di S.
Luca in Campo Vaccino, frequentandola assiduamente, e di più aveva
in essa dato saggio di sua buona letteratura col recitamento d'una
bella Orazione, nella quale con eloquenza aveva provata la necessità,
che hanno i Professori delle belle arti, a fine di bene operare in
esse, di possedere in grado eminente la bella facilità del Discorso.
Era anche comparsa a vista di Roma in S. Giovanni de' Fiorentini la
sua bella Tavola del S. Girolamo, di che poc'anzi parlammo, eransi
anche vedute altre opere sue, troppo superiori in bontà a quelle de'
suoi contrari, cose tutte che gli suscitarono tanta invidia, quanta
abbisognò per far contro di lui ogni malo ufizio, e raccolgali ciò
dal presente caso, uno de' molti che potrebbero raccontarsi. Aveva
egli fatto il suo palco colla solita chiusa per accomodarvisi a dar
fine alla Tavola di S. Pietro, quando v'ebbe persona di si malo
entragno, che avendo trovato modo di portarsi sul palco, entrò la
chiusa medesima, gli disegnò tutta l'invenzione della Tavola, poi la
messe al pulito, e fattala segretamente intagliare in Rame l'impresse
sopra carte affatturate per modo, che paressero stampe, non del tutto
moderne, e mandolle in giro fra' Professori, con dire , essere quello
il grand'uomo, di cui tanto parlava Roma, cioè un Pittore, che
copiava le cose sue dalle Stampe, esser quello l'onore, che alla
Basilica erano per contribuire gli stranieri Pittori, invece
d'arricchirla d'opere magnifiche, l'imbrattarla d'invenzioni avanzate
alla curiosità d'ogni meschino Artefice. Aggiungevano, non essere
stata maraviglia, che il Pittore preso il pretesto della solennità
delle fiorentine nozze, dopo aver dato principio alla sua Pittura, si
fusse assentato da Roma, [034]
ove
era stato solamente quel tempo, che gli abbisognava per imparare un
tal poco la situazione de' muscoli, perché troppa paura gli avevan
messa l'opere dei Romani Pittori a confronto delle proprie, avendo
per avventura riconosciuta in parte quella temerità che l'aveva
fatto ardito ad esporre in una Roma per entro una Basilica di S.
Pietro, fra l'opere de' più segnalati Artefici, una Pittura cavata
da una Stampa, ed altre a queste simiglianti cose aggiungeva la
maligna gente a' danni del Cigoli, il quale con una tolleranza senza
esempio nulla rispondeva, non ostante che avesse incominciato la cosa
a partorire per Roma di mali effetti . Ed è grazioso quanto seguì
in tempo, che tali cose occorrevano. Stavasi egli fisso in questi
pensieri un giorno d'Inverno, discorrendo con suoi famigliari intorno
al fuoco, quando gli venne veduto un Tizzone, che arso da una parte,
mandava fuora stridendo dall'altra parte, un certo fumo nero, con
umidità; allora egli interrompendo il discorso, voltatosi alla
Conversazione applicando a sé stesso con alludere al proprio nome,
ed accennando verso il legno, pronunziò quel verso di Dante : E
Cigola per vento che va via. Volendo mostrare il poco conto, che e'
faceva di sì fatte maledicenze. Poi con gran prudenza pensò a
scoprire la verità, e ricomprar l'onore a sé stesso in questo modo;
fece egli aprire da ogni banda il serraglio, intorno alla sua
Pittura, quindi a vista d'ognuno montato in sul palco, diede di
mestica all'abbozzata Istoria, e dopo alcuni giorni senz'altra tenda,
o coperta tornò a dar principio con diversa invenzione al suo
lavoro. Così sbugiardò, e confuse i suoi contrarj, e fece conoscere
a tutta Roma, non solamente, che egli non si valeva delle Stampe per
le sue dotte invenzioni: ma che e' possedeva una franchezza
nell'operare, che aveva del prodigioso, anche a giudizio de' più
esperimentati professori; e chi a noi diede tal notizia, affermò
averla avuta già da persona, che allora il vide operare.
In
quel tempo medesimo ridusse il Cigoli a buon termine la bellissima
Tavola per la Chiesa di S. Paolo fuori delle mura de' Monaci
Benedettini, in cui rappresentò l'Istoria della Sepoltura
dell'Apostolo, con Angeli, e più figure, che fu posta all' Altar
Maggiore; opera, che nel suo non esser
del
tutto finita fa mostra maggiore del gran sapere del Cigoli. Per
l'Abate dell'istesso Monastero dipinse un Cristo, e S. Brigida, alla
quale fu dato luogo nella medesima Chiesa. Dicesi, che mentre il
Cigoli conduceva queste opere, dipigneva in Roma un Pittore, che era
stato Discepolo di Tiziano, e che fatta amicizia con costui, a otta a
otta si portava alla sua stanza per desiderio d'udire il modo, che
nel maneggiare i colori teneva quel gran Maestro, e che fra l'altre
cose dicevagli il Pittore, che Tiziano era solito di condurre le cose
sue con grande accuratezza, ed amore; ma condotte che l'aveva prestò
a lor fine, dava loro sopra alcuni colpi, come noi diremmo
strapazzati, e questo faceva per coprire la fatica, e farle parere
più maestrevoli, la qual cosa essendo piaciuta al Cigoli, se ne fece
subito imitatore. Vaglia questo, quanto può valere appresso a chi
non n'ha vedute le sue bozze, perché in quelle, che sono venute
sotto l'occhio nostro abbiamo riconosciuta tanta franchezza, che
nulla più, e mentre il suo bozzare, con tinte sì proprie, e sì a'
luoghi loro situate, in mediocre distanza ce l'ha fatte parere del
tutto finite, e ben finite, non sappiamo riconoscere, [035]
come
avesse bisogno il Cigoli di riscoprire nelle sue Pitture quella
fatica, che fin da' primi colpi elle non mai dimostrarono.
In
questo tempo, era egli stato trattenuto nel Palazzo del Gran Duca
alla Trinità de' Monti, quando D. Virginio Orsini ricorse a
quell'Altezza, pregandola a compiacersi, ch'egli potesse tirarselo in
propria Casa di Monte Giordano, ed avutone il consenso, fecegli
assegnare un nobile appartamento, e con esso quanto abbisognava, per
potervi lautamente vivere con sua servitù, e fu questo uno de' primi
favori, che egli sempre avvezzo a' dispiaceri, ed alle persecuzioni,
incominciasse a godere, già avanzato in età.
La
cagione di tale richiesta dell'Orsini, fu perché dilettandosi egli
oltremodo delle buone arti, e molto stimando gli eruditi discorsi del
Cigoli, aggiunti a gli altri suoi talenti, ne potendo a cagione d'una
tale infermità, che quali sempre tenevalo obbligato, quando alla
Camera, e quando al Letto, cercò modo d'averlo del continuo attorno.
Per questo Principe fece il Cigoli il bei Quadro dell'Annunziazione,
e per 'l Sig. Carradino Orsini un S. Giovanni nel Deserto, e una, e
l'altra opere bellissime. Dicemmo poc' anzi, che la chiamata
dell'Orsino su uno de' primi favori, che gli facesse la sua per altro
perversa fortuna, e forse dovevamo dire il primo, e ultimo, atteso il
molto, che in cambio di quelle felicitadi, che pare si convenissero
ad uomo di tal fatta, gli toccò sempre a patire in ogni luogo, da
ogni persona, e quel che è più senza che la mansuetudine, il
rispetto, e l'amore di modestia , che ei possedeva in eminente grado,
lo lasciasser fare benché minima difesa. Se Pierio Valeriano, che
scrisse dell'infelicità de' Letterati, si fosse disteso anche a dire
di quella di ogni uomo, che possegga gran virtù, e fusse stato a'
tempi di questo Artefice, io non dubito punto che egli non avesse in
lui trovata assai materia per lo Libro suo. Fu però sempre la sua
sventura d'una tal fatta, che molto si discostava dall'ordinaria
della più parte de' Virtuosi, poiché con essere da per tutto
conosciuta sua virtù; forse in grado superiore a quella d'ogn'altro
del suo tempo, con esser desiderate all'ultimo segno l'opere sue da'
grandi (cosa che talora a' più valorosi non accade) egli fu sempre
poco chiamato, e male ricompensato; in prova di che non è poco il
dire, che quasi nulla mancò che la nostra Città non restasse priva
d'una delle più bell'Opere di Pittura dico del Santo Stefano in
Montedomini, di cui sopra facemmo menzione, mercè della sollecita
premura del Passignano, e di Santi di Tito in procacciare a sé
stessi ogni lavoro, che si scopriva in Firenze, la quale contrapposta
alla modestia del Cigoli, fu per far sì, ch'ella non toccasse a fare
a lui; ma sentasi quest'altro caso. Era egli tuttavia in Roma, quando
da un Prelato di gran conto, di cui vuole ogni dovere, che si taccia
il nome, gli fu ordinato un Quadro di mediocre grandezza colla Storia
di Maria Vergine in atto di ritrovare nel Tempio nella disputa co'
Dottori il suo figliuolo Gesù. Fecela egli, e condusse un Quadro di
quel gusto, che era suo solito. Comparve alla sua stanza il Prelato,
e veduto il Quadro finito, con grande allegrezza disse, volerselo
allora, allora portare a Casa, e ordinò a' suoi, che senza indugio
il pigliassero, e desserli luogo nella propria Carrozza, il che
subito fu eseguito. Poi in atto di partenza con riso in bocca, e con
mille indorate parole lasciossi accompagnare fino alla porta di
strada, [036]
ove
pervenuto presentò al Cigoli un involto di monete. Presele egli come
ringraziamento, e tornatosene alla sua stanza, in presenza de' suoi
Giovani apertolo, in cambio di quaranta doble, che ben meritava a suo
parere quell'Opera, vi trovò ben numerati quaranta giuli.
A
tal vista poco mancò, che ei non tramortisse, e voltatoti a' suoi
Scolari, accompagnando il parlare con lacrime, così parlò: Studiate
faticatee miei Giovani, per farvi grandi in queste arti, consumate
vostra gioventù, e vostra vita per diventare in essa superiore agli
altri, ecco qua le ricompense che sono preparate a' sudori del cuore
e del corpo vostro; ed altro disse in tal proposto sempre piangendo,
e soleva raccontare a chi oggi questo fatto racconta il Passignano,
che ogni volta, che il Cigoli o pensava o ragionava di tal cosa, era
forzato a piangere; ed essendogli poi occorso l'aver dal Cardinale
Arrigoni in premio d'un' Istoria di Daniele dipintagli a fresco a
Frascati, un regalo di cento Zecchini sopra nobile Sottocoppa d'
Argento, con accompagnatura di parole di stima, molto si diffuse col
mandato in ringraziar quel Principe, particolarmente a questo solo
titolo d'avere egli atto verso sua persona, ciò che non mai altri
fatto aveva. Per lo stesso Cardinale fece egli poi il Quadro
dell'Isac sacrificato, che dagl'intendenti fu giudicato superiore ad
ogni prezzo, e dicesi che questo venne poi in mano de' Serenissimi di
Toscana, a' quali pure pervenne lo stupendo Quadro dell'Ecce Homo,
che è quello stesso che oggi ha luogo in propria Camera del
Sereniss. Gran Duca. Aveva il Cigoli fatta quest'Opera per Monig. de'
Massimi; il quale desiderando d'avere una simile Saca Istoria di mano
d'uno de' maggiori uomini de suo tempo, diedene la commissione a tre
Pittori, senza che l'uno nulla sapesse dell'altro, e tali furono il
Passignano, il Cigoli e 'l Caravaggio; ma essendo tutti i lor quadri
rimasti finiti, riuscì di sì eminente perfezione quel del Cigoli
che quel Prelato diede via i due, e questo solo a sua devozione, si
riservò. Seguita poi la sua morte fu il Quadro venduto a Giovan
Batista Severi celebre Musico del Sereniss. Principe Don Lorenzo di
Toscana, e condotte a Firenze e da questo passò nella Sereniss.
Casa. Dissesi allora, che il Cigoli tacque questa Pittura con
intenzione di condurre un Quadro che ben potesse comparire in
confronto d'un'Opera del Coreggio e che egli non punto adulasse sé
stesso, l'Opera medesima il dice. Veggonsi in essa tre figure, quanto
il naturale fino al ginocchio, il Redentore nel mezzo, dalla sua
destra Pilato, che lo fa vedere al Popolo, e dalla sinistra è un
Soldato che lo scuopre. Fece anche il Cigoli in Roma per Monsig.
Giusti un S. Francesco, che poi fu del Sereniss. Cardinal Leopoldo di
Toscana. Ad Alessandro Doni per cui in Firenze aveva Lodovico fatto
il Disegno della sua Cappella in S. Trinità, dipinse una Nonziata in
Rame, e dove questa capitasse, dopo la morte d'Alessandro, non è a
nostra notizia.
Per
lo Cardinale Maffeo Barberini poi Urbano Ottavo di G. M. colorii una
S. Maria Maddalena; per Monsignor de' Ricci Vescovo di Arezzo un
storia di Giosefo, che ebbe poi il Principe Borghese, e per lo
Cardinal Montalto, oltre a più Cartoni per Tappezzerie, fece
un'Istoria di Giacob, cose tutte, che pure malgrado della sua trista
fortuna lo messero in tanto credito appresso a molti Prelati, della
Corte, e particolamente [037]
del
Cardinale Scipione Borghese, per cui egli aveva ornata di sue
Pitture, rappresentanti la tavola di Psiche, Una loggetta nel
Giardino di suo Palazzo, che venuto in gran concetto appresso Paolo
Quinto, gli ordinò il fare un pensiero della facciata, e de' fianchi
della Basilica di S. Pietro. Di questa fece più disegni, che son
venuti in potere di chi queste cose scrive, donati poi dal medesimo
alla G. M. del Cardinale Leopoldo di Toscana. Sopra tali disegni,
volle il Cigoli anche il parer d'altri buonissimi Architetti suoi
amici, fra' quali uno ve ne fu, che dopo aver veduta, ed ammirata sua
bella fatica, gli disse,voi avete fatto un disegno, meglio però
sarebbe stato a mio credere il fare un modello, perché da chi è di
professione diversa, non sarete inteso, e così non colpirete, perché
non son più i tempi de' Leoni Decimi, e de' Clementi Settimi, i
quali ove di far cose grandi, e magnifiche si trattasse, solo degli
uomini grandi nell'arti si richiedeva, ed approvavate il parere ad
esclusione di quello d'ogn'altro, che grande, e caro fusse al
Sovrano, ma di mestiere diverso; perché né l'essere altri nobile, o
ricco, né l'aver carica eminente, basta a gran segno, per far cosa,
che bene stia nell'altrui professione, ed in queste principalmente,
in cui, chi vi consumò una ben lunga età, appena fa prova tale, che
lodevol sia; soggiunse essere questa là disgrazia, e grandissima,
delle buone Arti, il dolore, e la querela degli ottimi Professori, il
danno, e la vergogna del pubblico, la sorgente delle gofezze, e degli
spropositi, che tuttavia, ne per altro più ragguardevoli e
dispendiosi edifici si veggiono apparire, cioè che le belle fatiche,
i lunghi studj, le prudentissime avvertenze, che spiccano ne'
disegni, e modelli de' valorosi Artefici, han per destino di portarsi
a far naufragio, o per usar la parola più volgare e più propria, a
rompere il collo nelle Sale, o nell'Anticamere de' Grandi, fra varj
innumerabili, e male adattati pareri de' Cortigiani, da' quali sono
per ordinario oppresse, e soffogate; e rarj eziaidìo sono i casi,
ne' quali al povero Artefice non bisogni cattivare suo eudito
intelletto sotto l'ardita tirannide di Sconcertati pensieri,
togliendo, all'Opera sua il più bello per dar luogo al più deforme,
e per non soggettarrsi a' carichi, de' più potenti, e poco
intelligenti, soggettare sua stima, e suo credito ad una eterna
censura d'un Mondo intero.
Così
disse l'amico, ed assennato Artefice, e così su; giacchè non
sappiamo, che de' disegni della facciata, de' fianchi, e della Chiesa
tutta, condotti dal Cigoli in varie, e bellissime maniere, altro
gniene venisse, che la fatica, bene è vero, che avendo già lo
stesso Pontefice Paolo Quinto deliberato di far dipignere la Tribuna
della sua Cappella in S. Maria Maggiore, rimpetto a quella fabbricata
da Sisto Quinto, coll'occasione di tali Disegni, e dell'altre opere,
che egli aveva fatte per casa Borghese, volle vedere il suo pensiero
per quella Pittura, della qual cosa aveva richiesto pure il Cavalier
Gasparo Celio, e Cherubino Alberti dal Borgo a S. Sepolcro: ma al
comparire, che fece il Disegno di Lodovico fra quegli degli altri
due, comparve altresì in esso sì gran differenza in bontà, che a
lui senza indugio l'opera fu data a fare. Cominciò il Cigoli la sua
Pittura, a seconda delle sue grandi Idee, alle quali aggiunse il suo
mirabile colorito, con tutto quel più, che poteva somministrare a sì
degno lavoro il suo gran sapere; [038]
ma
pur fu vero, che essendo egli voluta stare in sulle regole della
Prospettiva, senza mai volere scendere dal palco contro a ciò, che
gli persuasero gli amici, egli sì trovò ad un fiero caso, cioè che
quelle figure, che vedute nel luogo, ove furono dipinte, come soleva
attestare il Passignano, e con esso altri grandi uomini, erano
veramente la maraviglia dell'arte, non ostante quello, che abbia
scritto Francesco Scannelli Medico nel suo Microcosmo della Pittura,
osservate da basso, comparsero nel luogo, ove la Cupola incominciava
a voltare con qualche sproporzione di lunghezza, fra 'l mezzo in su,
e 'l mezzo in giù. Scoperta che egli ebbe finalmente l'opera, e con
esse l' apparente grave difetto, restò come fuori di sé; e fu il
suo primo pensiero di mandarla a terra, e farla di nuovo: ma il Papa,
a cui per altro era stata fatta nota la preziosità di quel lavora,
visto del luogo dove egli l'aveva fatto, non volle permettergliele,
onde egli sorte s'accorò, e tale accoramento forse contribuì non
poco alle cagioni del suo morire, che indi a non molto tempo
accadde.Fece vedere il Cigoli in essa Cupola nella più alta parte
l'Eterno Padre, in atto di benedire, e buon numero d'Angioli: circa
il mezzo rappresentò Maria Vergine, che col piede calca la Luna, ed
intorno ha molti Angeli, e vi sono i dodici Apostoli, tutti in
diverse, e vaghissime attitudini. Nel tempo che egli attese a questa
Opera, fece anche per il Papa sopra Rame la Natività, e
l'Annunziazione di Maria Vergine, e colorì sei Teste dal naturale
per istudio delle figure degli Apostoli della Cupola, le quali
vennero in potere del Cardinale Serra: ma il Pontefice Paolo, ed il
Cardinale Nipote, avendo già da lunga mano conosciuto, quanto il
valore del Cigoli, fra gli altri Pittori del suo tempo, fusse venuto
in istima, al che s'aggiungeva il merito dell'Opere egregie, che egli
aveva fatte per Casa Borghese, avrebbero pure voluto ricompensarlo da
grande; dall'altra parte riflettendo alle qualità dell'animo di lui,
le quali molto lungi da cupidigia d'oro il portavano, vennero in
parere quella essere ricompensa più adeguata per lui, che più
l'avesse arricchito d'onore, e di gloria; onde risolserono di
trattare col gran Maestro di Malta, che era allora fra Alosio di
Wignaicourt, di farlo ricevere per uno de' Cavalieri Militi della
Sacra Religione Gerosolimitana; a tale effetto il Pontefice ebbe a sé
fra Niccolò della Marra Commendatore di Rieti, e fermo del Priorato
di Roma, in quel tempo Ambasciatore, Residente, e Procuratore
Generale alla Santa Sede per essa Religione, e conferitogli suo
pensiero, volle, che fusse sua incumbenza il dar principio, e fine al
trattato. Diedegli l'Apostoliche lettere spedite in 13. di Marzo del
1613. Anno ottavo del suo Pontificato, che sortirono immediatamente
loro effetto, col ritorno del Breve d'accettazione speditone nel dì
ultimo d' Aprile susseguente, e noi lo copieremo appresso di parola
in parola per maggior chiarezza del fatto, giacché nelle poche
righe, che scrisse Giovanni Baglione Romano di questo Artefice, non
troviamo aver fatta alcuna menzione di cosa tanto segnalata, e che
pure ebbe suo effetto in faccia a tutta la Città di Roma.
[039]
Dei
gratia sacrae Domus hospitalis Sancti Joannis, hierosolimitani
magister humilis, pauperumque Jesu Christi custos, religioso in
Christo nobis charissimo fratri Nicolao della Marra commendatori
nostro de Rieti et Fermo et Buccino, priorat. Urbis et Capuae
commendatario, ac pro nostro ordine in romana Curia oratori et
procuratori generali, seu cuicumque fratri militi ordinis nostri in
Conventu Nostro, salutem in Domino, et diligentiam in commissis.
Serie
praesentium tibi significamus, qualiter pro parte dilecti viri
LUDOVICI CARDI CIGOLI Florentini fuerunt nobis presentatae litterae
apostolicae Sanctissimi Domini Nostri Domini Pauli, divina
providentia PP.V. sub data Romae apud Sanctum Petrum sub annulo
piscatoris die secunda Martii proximi praeteriti, pontificatus sui
Anno VIII. Ea propter nobis exponi fecit dictus Ludovicus Cardus, se
magnopere desiderasse, Deo Beataeque Virgini Mariae, ac Domino Joanni
patrono nostro sub virtutum regulari habitu ordinis nostri, in gradu
Fratrum militum obedientiae magistralis, perpetuo inservire, ac nomen
suum militiae nostrae dare, ciusque cervicem Christi iugo supponere,
prout in suprascriptis litteris apostolicis continetur. Hinc est quod
pium et sanctum eius propositum in Domino collaudantes et
amplectentes, intuitu et contemplatione illustrissimi et
reverendissimi domini Cardinalis Burghesii praescripti nostri ordinis
protectoris, de nobis eodemque ordine quam optime meriti, eum eidem
illustrissimo domino Cardinali rem gratam et acceptam facere
summopere exoptemus, qui praesentem receptionis gratiam a nobis
istantissime petiit, tenore praesentium, authoritate praedicta
apostolica, nobis concessa et attributa, tibi committimus et
mandamus, quotiescumque pro parte dicti Ludovici Cardi requisitus
fueris, non obstante quod obligatus reperiatur in summa in
praeinsertis litteris apostolicis mentionata, et tibi constiterit,
ipsum honestis parentibus procreatum fuisse et in perpetua
Christianorum stirpe, nulla iudeorum aut aliorum a fide nostra
alienorum admixtione trahere originem, probeque, et non flagitiose
semper vixisse, ac nullam artem seu exercitium sordidum aut [040]
mechenicum
exercuisse, eundem cingulo militiae nostrae cum caeremoniis et
solemnitatibus per statuta nostra requisitis, decores et honores,
habitumque per fratres milites obedentiae magistralis homini gestari
solitum, induas et insignias, atque ad expressam praesentis nostri
ordinis professionem regularem eum votorum emissione, servatis
servandis admittas, dantes tibi in praemissis et circa ea
authoritatem et facultatem totaliter vices nostras, super quibus
omnibus et singulis conscientiam tuam oneramus, omniaque et singula
(ut praemittitur) per te gesta et peracta per notarium publicum et
legalem in scriptis autenticis redacta, ad nos et ad nostram
cancellariam transmittantur. Taliter igitur in praemissis te geras,
ut tua apud nos mereatur commendari sedulitas, in cuius rei
testimonium bulla nostra magistralis plumbea erit appensa.
Datum
Melitae in conventu nostro, die ultima mensis Aprilis, millesimo
sexcentesimo decimo tertio.
Fra.
Io. OTHO BOSIUS Vicecanc.
Così
l'alta virtù del Cigoli, (che in un corso di 52. anni che furono
assegnati al suo vivere, rare volte fu bastantemente ricompensata)
nell'ultimo de' giorni suoi conseguì premio adattato al suo gran
merito, e per cui quando non mai per altro, sarà, ne' Secoli, che
verranno , glorioso il suo nome, e la Casa sua. Volle però il Cielo,
forse anche, che il nuovo porto d'onorevolezza non iscemasse in lui
le belle doti di modestia, e continenza, con che egli fu solito
accompagnare sue azioni, che egli, appena giunse le lettere di sua
accettazione, gravemente infermasse, e che tale infermità facesse
punto al suo vivere, e se vogliamo prestare fede a quatto ne lasciò
scritto il soprannominato Gio: Baglione, che non poté cavarlo, sé
non da quello, che si diceva per Roma, nel tempo, che egli scrisse
quelle pochissime cose di lui, cioè trent'anni dopo il suo
passaggio, siccome se vorremo credere a qualche cosa stata detta da
altri nel tempo, che io scrivo, diremo, che andasse il fatto nella
seguente maniera. Aveva egli dato principio, e fine alla Pittura
della Cupola, che non poco disagio, e fatica gli era costata, per non
avervi condotto in suo ajuto altri, che due suoi Giovani Scolari,
cioè Gismondo Coccapani Fiorentino, e 'l Boccacci, e nel lungo stare
fra la calcina fresca, aveva tirata una straordinaria umidità, la
quale il ridusse in istato di grande sconcerto di tutta la
corporatura, e non mancò chi lo persuadesse a consultare co' Medici,
ma quegli a cui poco piacque l'impegnarsi con medicamenti, ne meno
ammetteva così facilmente il farlo co' Medici, non mai si lasciò
persuadere; ed in quella vece ricorse ad un rimedio per isgravare suo
corpo da sé altra volta sperimentato, e furono certi fagioletti
Indiani: ma parendogli, che questi in su la [041]
bella
prima non avessero ben sodisfatto al bisogno, mandò un suo
Giovanetto a pigliarne altretanti in Piazza Navona, e questi ben
presto gli cagionarono una dissentera, a cui non trovò rimedio; a
questa s'aggiunse un'ardente febbre, che in brevi giorni gli tolse la
vita. Ma Giovan Batista Cardi Cigoli, uno de' suoi Nipoti di
fratello, in una breve notizia, che nel Pontifcato d' Urbano lasciò
scritta della vita di lui, appresso al manoscritto del Trattato di
Prospettiva di esso Lodovico, e dallo stesso Giovan Batista dedicato
al Sereniss. Gran Duca Ferdinando, porta il fatto ne' seguenti
termini. Loda in primo luogo il merito del Pittore, che lo portò a
conseguir l'onore di Cavalier Milite di quella Sacra Religione, e la
generalità, e giustizia del Cardinale Borghese in avere persuaso il
Papa a sì fattamente rimunerarlo quasi che fusse presago di ciò,
che sovrastava al gran virtuoso, giacché giunte le lettere del Gran
Maestro egli informò di febbre maligna, che nel decimoquarto giorno,
che su agli otto di Giugno 1613. a ore diciassette, gli tolse la
vita. Segue a dire, che nell'infirmità su
egli
sempre provvisto di quanto andavagli occorrendo, non solo da' grandi
virtuosi amici suoi, ma da' grandi Principi, e Signori, e da'
medesimi visitato, o sfato visitare, e che tali furono il Cardinale
Borghese, il Cardinale Maffeo Barberini, poi Urbano VIII, che questi
volle, che e' fusse visitato da Giulio Mancini, suo Medico molto
rinomato, e il Cardinale Montalto da Pompeo Caumo pure suo Medico, il
Cardinal Capponi dal suo, e D. Virginio Orsini, oltre a simile
dimostrazione, mandava continuamente Niccolò Saverniano suo
Gentiluomo, il quale , insieme con Pietro Abati l'uno, e l'altro
parzialissimi dell'Arte della Pittura, col Medico ordinario della
Casa, servivanlo di loro propria mano, particolarmente nel tempo del
cibarsi, aiutando in ciò Vincenzio Boccacci suo spiritosissimo
Discepolo, che pure con impareggiabile sollecitudine gli assisteva
con Girolamo Buratti, pure Discepolo del Cigoli d'alta aspettazione,
e tutti questi, oltre al manuale servigioo, soprintemdevano
mirabilmente alla più bassa servitù, acciò ognuno con prestezza, e
puntualità facesse l'ufizio suo, e fussero esattamente eseguiti gli
ordin e de' Medici, e de' Cavalieri, e gran Signori, che gli stavano
a presso. Cioé nell'aggravarti del male volle tutti i Santi
Sacramenti, ed in ultimo la Pontificale benedizione, e tutto con modi
esemplarmente devoti, e con somma rassegnazione nel Divino
beneplacito. Soggiunge anche lo Scrittore: che il P. D. Jacopo
Vulponio della Congregazione dell'Oratorio, Confessore di Lodovico, e
che sempre stettegli attorno, ebbe a dire dopo la di lui morte,
averlo confessato per tutto il tempo, che e' s'era trattenuto in
Roma, ed averlo trovato sempre senza colpa grave, zelantissimo
dell'onor di Dio, e dell'osservanza de' Divini precetti.
Così
ebbe fine la vita temporale di questo grand'uomo fra' mortali, per
durare eternamente in cielo: ma anche qua fra noi, ad onta della
morte, sarà egli persona della fama, ne' secoli che verranno sempre
immortale.
Seguì
sua morte nel detto giorno nella Città di Roma in sua Casa, posta
nella via della Sapienza, verso Piazza Navona nel Rione di S.
Eustachio.
Aveva
fatto suo Testamento, nel quale diredando i fratelli Bastiano, e
Ulivieri, lasciò suoi Eredi Gio: Batista, Cosimo, e Francesco suoi
Nipoti [Rogò Ser. Go: Ferini Nt. della R.Cam. Giug.1613] [042]
e
dello stesso Ulivieri figliuoli, privativamente quanto ad esso, anche
in quanto apparteneva al godimento de' frutti, volle, che dopo
costoro avesse luogo una tale primogenitura, ed a Francesco Niccolini
Dottor di Legge, ed a Gherardo Gherardi lasciò la cura de' Nipoti
con positiva proibizione a' due fratelli d'ingerirsi in quelli
affari, per non aver' eglino, come ei disse saputo fare i fatti loro;
ordinò sua Sepoltura in S. Felicita di Firenze fra quei di sua
famiglia morendo in quella Città, e morendo in Roma, volle che fusse
il suo corpo depositato in S. Gio: de' Fiorentini per esser poi a
Firenze trasportato. Seguito dunque il caso di sua morte in Roma,
fattasene subito spedire con ispesa di quaranta fiorini d'Oro la
necessaria Patente, fu vestito il suo Cadavero del Sacro Abito di
Cavalier Milite della Religione Gierosolimitana e con quello
accompagnato alla Sepoltura, datagli poi, con nobile ma funesto
apparato per modo di Deposito, in essa Chiesa di S. Giovanni de'
Fiorentini a man sinistra sotto la pila dell' Acqua Santa. Chi avesse
vaghezza di vedere il suo Ritratto al vivo, procuri portarsi nella
Reale Galleria del Sereniss. Gran Duca, dove per entro la stanza de'
Ritratti de' gran Pittori, fatti di loro proprie mani, il vedrà
stetti per dire vivo, e parlante. Pervenne questo maraviglioso Quadro
che contiene alquanto meno di mezza figura, nel Sereniss. Cardinal
Carlo di Toscana, e poi si crede , che fusse da quell'Altezza donato
al Sereniss. Cardinal Leopoldo inventore del bellissimo concetto di
raccolta sì pellegrina.
Quale
sia stato il Cigoli nell'arte sua, non occorre che da noi si
racconti, giacché, oltre a quanto ne dice la fama, a bastanza lo
palesano l'opere sue, le quali lo mostrano ora una stessa cosa col
grande Antonio da Coreggio, ed ora similissimo a Tiziano, come ben
riconoscono tutti gli intelligenti
dell'arte,
di cui egli forse più d'ogni altro Pittore de' suoi tempi possedè
l'ottimo gusto, del quale fu sì geloso, che raccontano di lui che
nell'andare, che e' faceva alla Santiss. Nonziata di Firenze, non
passava mai per la Via de' Servi, ma voltava al Canto detto del
Castellaccio, solamente per non vedere la quantità de' Boti di
cartone, che in essa Via stanno esposti in su le Botteghe alla
vendita; perché diceva, che il solo vedere quelle goffe, e
sconcertate parti del corpo umano, come teste, braccia, gambe, ed
altre simili, gli alteravano l'Idee, e confondevangli la fantasia.
Disegnò senza termine, o misura, ed hanno i suoi Disegni fatti d'una
maniera, che fu sua propria, oltre alla simetrìa delle parti, oltre
alla dolcezza e morbidezza del tocco, oltre alla perfezione del
dintorno, e intelligenza de' Muscoli, una certa vivacità, e spirito,
che io non seppi mai ravvisare se non in quegli del Gran
Michelagnolo; non dico già, che la maniera del disegnare del Cigoli
sia la stessa, con quella di Michelagnolo, giacché è molto diversa,
ma che lo spirito degli uni, e degli altri, particolarmente nelli
schizzi, è tale, che a primo aspetto scuopre una vivacità
resultante dal tutto, e non dalle parti, che mette terrore a chi gli
mira. Fu ottimo prospettivo, e nell'Architettura molto singulare. Se
delle doti dell'animo suo volessimo parlare, troppo cosa lunga
sarebbe, ed al detto fin qui aggiunghiamo, che egli ebbe da natura
qualità d'animo più da gran Cavaliere che da semplice Gentiluomo;
dico però per quello, che s'aspetta [043]
a'
bei costumi, perché per altro egli fu lontanissimo da ogni superbia,
e ambizione, vestì nobilmente ma senza lusso, stimò la nobiltà
dell'Arte sua a segno, che in riguardo di questa, quanto per altro,
si tenne sempre lontano da ogn'inezia, o altra cosa 'l che tenesse
del basso, o del plebeo; praticò poco o punto; contento solo della
convenzione di sé stesso, e de' suoi studj, se non quanto la
comitiva di Nobili, e di gran Letterati, che particolarmente in
Firenze frequentavano sua stanza; bene spesso l'accompagnava. Non dee
già tacersi, come cosa lodatissrma in lui in genere di
condescendenza, l' essersi talvolta contentato di trovarsi nella
Città di Roma a Taverna coi Passignano, e col Caravaggio, e questo
solamente per non condannare l'azione del primo, e per non cadere
sotto le censure, e persecuzioni dello stranissimo cervello del
secondo. La stessa ritiratezza persuadeva a' suoi Giovani, mostrando
loro con vive ragioni, che la pratica troppo larga, necessita al
perdimento del miglior tempo, che è quello della gioventù; siccome
egli s'ingegnò al possibile di mantener casto suo pennello, così
esortò sempre i suoi Scolari a far lo stesso, dicendo doversi amare
la bellezza dei corpi per trarne il più bello a benefizio, e
perfezione dell'arte, non per imbrattarne l'animo, e farli fare
effetti in su le tele, che colla modestia, e col decoro, poco si
confacciano.
Rimasero
gli detti suoi Nipoti Eredi, e gli due fratelli, Bastiano, e
Ulivieri; Bastiano intagliò in Rame le figure del Trattato di
Prospettiva, o d'Architettura, lasciato dallo stesso Lodovico, e
queste vennero in mano di Lessandra dal Borgo, che fa' moglie di quel
Gio: Batista Cigoli suo Nipote, che ne lasciò scritte le notizie, di
che sopra facemmo menzione, quali appresso al Trattato medesimo si
conservano oggi nella Librerìa del Sereniss. Principe Cardinale
Francesco Maria di Toscana, e non è da tacere, come fino l'anno
1628. doveasi dare quest'Opera alle Stampe, onde si vede, essere
stata nel giorno 6. di febbrajo dello stesso anno rivista da fra
Clemente Egidj Generale Inquisitore, e da un Canonico della
Metropolitana per l'Arcivescovo di Firenze, e finalmente nel giorno
15. dello stesso mese, e Anno, dal Senator Niccolò dell'Antella per
lo Sereniss. Gran Duca.
Restarono
alla morte di Lodovico molte opere, non del tutto finite, e fra
queste la gran Tavola dell'Entrata del Signore in Gerusalemme, che
veggiamo in S. Croce all'Altar della Cappella de' Serristori, finita
poi da Giovanni Biliverti stato suo Discepolo, il quale la finì
tutta, eccettuata la bellissima Testa del vecchio senza barba, quella
del giovanetto, che coglie i rami dell'Ulivo, e quella del Signor
Nostro, che cavalca la Giumenta, con parte delle vesti della medesima
figura, le quali furono cominciate, ed interamente finite, dal
Cigoli, come abbiamo per notizia, stataci lasciata dal medesimo
Biliverti. Rimase anche imperfetto il bellissimo Quadro del miracolo
operato dal Signore Dio, alle preghiere di S. Jacinto Pollacco
dell'Ordine de' Predicatori, nel Villaggio di Coseler nelle Campagne
di Cracovia, la quale Opera aveva il Cigoli incominciata per Giuliano
Serragli Nobile Fiorentino, e pervenne poi nella nobilissima Casa de'
Magalotti, ed oggi è posseduta dal Conte Lorenzo Magalotti,
Cavaliere di quel valore, bontà, ed erudizione, che è nota. Vedesì
la figura del Santo stare in piedi colla faccia in atto devoto
rivolta al Cielo, quali implorando il [044]
desiderato
soccorso, mentre una Nobil Matrona genuflesia accompagna le sue
preghiere, dietro al Santo, apparisce una Testa vivissima del Frate
suo compagno, ed appresso gli siede in terra una bellissima, Giovane,
la quale con volto ridente mostra parlare con un'antica femmina, che
le è vicina, e in tanto la donzella fa gesto di stringere un bel
fanciullo, che si rifugge nel suo seno per timore d'un Cagnolino, che
scherzando se gli allancia alla vita, ed è cosa in tutto bella il
vedere nel fanciullo, unito insieme il gusto, e 'l timore, perché
con un piacevol riso mostra, che gli diletti lo scherzo di
quell'Animale, e col rifuggirli, e strignersi al seno della Giovane,
fa credere chiara la sua paura. Vedevisi una Testa di un Paggio con
berretta in capo, che non può essere, né più bello, né più vivo.
In lontananza in una vaga Campagna, sono alcuni uomini in atto
d'ammirazione, tocchi d'ottimo gusto. La testa, e forse tutta la
figura del Santo, e del Compagno, quella del Paggio, e le figure
lontane, sono a mio credere di mano del Cigoli, il restante del
Biliverti. Ancora restò imperfetta la gran Tavola per la Chiesa di
S. Paolo di Roma, per la quale sconfessò il Cigoli nel suo
Testamento, aver ricevuto Ducati quattrocento, metà del prezzo
convenuto con quei Religiosi; ed un Quadro per Luigi, Cosimo, e
Ristoro Serristori, del quale pure trovai fatta memoria in esso
Testamento, che forse fu la Tavola, di che sopra facemmo menzione,
rimettendoci ad ogni più certa notizia.
Rimase
altresì la bellissima sua Notomia, che formata, è gettata più
volte in gesso, e cera è stata uno de' più esquisiti studj, che
abbia avuti la gioventù inclinata alla bell'arte del Disegno nel
nostro Secolo, e tale ancora sarà ne' Secoli futuri, sintanto, che
ne resterà un'esemplare nel Mondo. L'Originale fatto dalla propria
mano del Cigoli fu, dopo la morte di Lessandra dal Borgo, insieme con
ogni altro mobile rimaso nella di lei eredità, portato al Magistrato
de' Pupilli per esporsi in pubblico incanto a pro dell'Orfano figlio
di ella Lessandra, e di Gio: Batista; quivi stettesene sconosciuto
per qualche tempo, senza che da veruno, fussene veduto, né cercato,
non senza pericolo d'andare in pezzi per ogni piccol colpo, fin, che
adocchiato da Rimbotto Rimbotti Cavaliere di S. Stefano Provveditore
dell'Accademia del Disegno, e grande amatore di quest'Arte, fu per
venire in sua mano, sé non, che speranza di poterlo con pazienza di
poco indugio avere a miglior mercato, fece sì che egli non fu suo,
ma bensì di Monsù Giovanni Brangiò, Ajutante di Camera del Duca di
Giuisa; che allora si trovava in Firenze, e non più gli costò che
quattro misserabili scudi. Fatto, che egli ebbe a gran ragione il da
sé stimatissimo acquisto, subito diedelo a custodire al R. Prete
Gio: Buonajuti Priore dello Spedale di Bonifazio, fra altre belle
cose, che in materia di Disegno, e Pittura, egli andavasi alla
giornata procacciando, e dando in serbo al medesimo, a fine di
condursele poi alla sua partenza di Firenze a Parigi; ciò seguì in
tempo, che il Buonajuti facevasi fare alcuni Quadri al Furino, de'
quali viveva molto impaziente, che però eran pochi quei giorni, che
per fare al Pittore cosa grata ed inanimirlo alla spedizione, e' non
lo volesse con seco a desinare o cena, e una volta occorse, che il
Furino passeggiando per quelle stanze diede d'occhio al bel Modello,
e riconosciutolo per quel che egli era, informato, [045]
che
fu dal Priore del seguito, e che quella bell'opera era per cercarsi
altro Cielo, diede in escandescenze troppo strane. Scoperse allora il
Priore l'ardente brama, che aveva di possedere quel tesoro dell'arte
il Furino, ed ebbela per buona congiuntura d'accalorare la
sollecitudine nella spedizione de' suoi Quadri, e sapendo
all'incontro, quanto e' poteva far sicurtà col Franzese, per la
stretta amicizia, che passava fra loro nata in quelle parti della
Francia un giorno mandò esso Modello al Furino, e fecegli dire, che
se lo tenesse pure, e che a nessuno ne parlasse, lasciando a lui
medesimo la cura di Saldar questa partita col Franzese, il quale
nell'accorgersi, che fece della mancanza del Modello, giacché non lo
vedeva più nel solito luogo, domandò al Priore, ove l'avesse
riposto; e 'l Priore a lui; sappiate Signor Giovanni, che l' Anotomia
non è più in mia mano, ne è così facile, che ci ritorni, però
condannatemi in quanto vi piace, che io, son qua per ristorarvi a più
doppi del perduto. A queste parole s'acquietò il franzese, e passò
la cosa in cirimonia, mentre il Furino allegro dell'acquisto il portò
la Notomìa alla sua Chiesa in Mugello. Tennela sei anni interi, cioè
fino alla sua morte, che essendosi seguita in Firenze, cioè fuori di
sua cura, fece sì, che la sua supellettile, mediante lo spoglio, se
ne passò nella Nonziatura, e fu venduta per la seconda volta al
publico incanto per otto scudi a Domenico Peruzzi, Discepolo dello
stesso Furino; saputasi la cosa, subito il Priore di Bonifazio, e
Monsù Giovanni fecero ogni forza a Domenico per riaverla ad ogni
prezzo, né mai fu loro possibile l'ottenerla, ma ciò che a costoro
non riuscì, venne fatto a Francesco Fontani, che serviva in Corte
della Gran Duchessa Vittoria, che fu molto amico di queste arti, e
diligente altresì nel ricercare Opere, e Disegni del Cigoli, de'
quali aveva fatta una molto bella raccolta; questi dunque avendo
interessi col Peruzzi, che molto il premevano, si portò a segno,
dopo le molte replicate instanze, che la Notomìa gli fu mandata a
Casa in dono, benché egli poi al donatore donasse per gratitudine
buona somma di denaro. Morì il Fontani, e la Notomìa finalmente,
co' molti Disegni di mano del Cigoli, fu da' suoi Eredi venduta alla
G. M. del Cardinal Leopoldo di Toscana, il quale fatta fare al
Modello una bella Custodia di Cristalli, lo lasciò alla sua morte
ne' suoi appartamenti fra le cose in tal genere più preziose, e
tuttavia si trova nel Palazzo Sereniss. degno riposo d'opera tanto
singulare.
Di
questo nobile lavoro rimase anche un tale sbozzo, fra gli altri
molti, che si dice ne facesse il Cigoli, e questo venne in mano al
Cavalier Rimbotti soprannominato. Egli è della stessa grandezza, e
attitudine dell'opera finita; non ha braccia, perché dalle clavicole
in là, ha un fil di ferro, che doveva servire per l'ossatura del
Modello; la testa è abbozzata, ha lo scheletro, e dentro sono
l'interiora. L'anche fino al gallone son vestite de' lor muscoli; il
femore dal rotatore alla rotula è nudo, e la Tibia, e la Tibula sono
nella stessa maniera. Perdomini ora il mio Lettore, se io a fine di
mostrare a quali segni di pericolo rimangano l'opere de' grandi
uomini, dopo che eglino più vivi non sono, in un racconto, che forse
apparirà troppo minuto, mi sono sì lungamente diffuso.
Ebbe
il Cigoli molti Discepoli nella Pittura, e nell'Architettura, tali
[046]
furono
Gismondo Coccapani, del quale in altro luogo particolarmente converrà
parlare. Vincenzio Boccacci, che fu Pittore, ed in tirar linee fu
valoroso, e diede saggio di tanto spirito, che dopo la morte del
Maestro portatosi in Alemagna a servire d' Architetto, e d'Ingegnere
la Maestà dell'Imperadore, ne' tempi di Urbano Ottavo, già vi
sosteneva il posto di Capitano, fu poi chiamato in Toscana per le
guerre del 1643. e nelle fortificazioni di Pitigliano, e Sorano diede
gran saggi di suo sapere, finalmente nella Città del Borgo a S.
Sepolcro finì il corso di sua vita, né altro sappiamo di lui.
Girolamo Buratti, che in sua gioventù diede segni di futuro
avanzamento nella Pittura. Fu anche suo Discepolo Domenico Fetti
Romano Pittore di bravo pennello, ed assai spiritoso nell'invenzioni.
Costui in gioventù colorì in S. Lorenzo in Damaso una Tavola a
olio, poi rappresentò Maria Vergine sostenuta da quattro puttini,
poi condottosi a stare appresso a Ferdinando Gonzaga Cardinale, poi
Duca di Mantova, fece gli studj grandi, e tanto per lo Principe suo,
quanto per la Città stessa colorì molte cose degne di stima. Ha di
mano di quest'Artefice nel suo Palazzo di Parione di Firenze il
Marchese Filippo del Marchese Bartolommeo Corsini quattro Quadri di
braccio; e quarto, di Misterj della Passione del Signore, tocchi con
tanta bravura, che più non può desiderarsi.
Rappresentasi
in essi l'Orazion dell'Orto, la Coronazione di Spine il Signore in
atto di esser condotto da' Soldati, dopo la flagellazione,
coronazione, al luogo, ove volle Pilato mostrarlo al Popolo, e
finalmente la Sepoltura del medesimo, ed in questo risplende
particolarmente, un non so che dell'ottimo gusto di Paolo Veronese, e
veramente è opera bellissima ed in ciascheduno di essi è scritta la
Cifra del suo nome, D. F. Questo Domenico ebbe una Sorella, alla
quale aveva insegnato a dipignere per modo, che il Duca di Mantova
intesa sua abilità, la volle a sé colla Madre, e con tutta altra
sua famiglia, alla quale sempre provvide con gran liberalità, e la
fanciulla finalmente fece Monaca in un Convento di quella Città, nel
quale è stata con lode perseverando, e ne' tempi avanzati sempre
applicava a dipignere, conduce molt'opere per lo Monastero suo quanto
per altri della medesima Città; seguì la morte di Domenico nella
Città di Venezia in sul più bello del suo operare, cioè nella sua
età d'anni 35-.
Uno
de' più rinomati Discepoli del Cigoli su Giovanni Biliverti
fiorentino, a cui toccarono a finire l'opere rimase imperfette, di
che sopra facemmo menzione, perché nel suo primo fare imitò sì
bene la maniera del Maestro, che quasi poteansi cambiare l'opere
dell'uno, con quelle dell'altro, ma tale maniera poi, non del tutto
mantenne. Studiò appresso al Cigoli il nostro celebre Pittore
Cristofano Allori, e ad esempio suo cercò l'ottima maniera del
colorire, e diede nel segno, come mostrano l'opere sue
singularissime: ma tanto di questo, quanto del Biliverti, parleremo a
lungo a luogo suo. Siccome d' Aurelio Lomi Pittore Pisano stato pure
anch' esso Scolare del Cigoli.
Riuscì
anche fra gli Allievi del Cigoli lodato Pittore Gio: Antonio Lelli
Romano, che oltre al capitale, che e' fece degli ottimi precetti del
Maestro molto anche s'approfittò negli studj delle bellissime cose
di Roma, onde [047]
fu
adoperato da private persone, e da private persone , e da' Grandi
della stessa Città, oltre a quanto gli convenne fare per altre Città
d'Europa. Essendosi dilettato di far Ritratti, tanti ne fece, che
lunga cosa è il raccontare, sono anche in Roma sue opere in
pubblico, fralle quali è l'Imagine di Maria Vergine con Gesù
Bambino nella Chiesa di Gesù Maria da S. Jacopo degl'Incurabili
dentro il coro, e sta la Vergine in atto di porgere un Cuore a S.
Agostino. Lavorò a fresco nella volta di S. Lucia in Selce, dipinse
alcuni fregi nelle stanze del Palazzo del Gran Duca in Piazza Madama,
e doveva ancora dipignere certe Storie, se non che morte vi
s'interpose. Nella Chiesa di S. Matteo in Merulana fra S. Gio:
Laterano, e S. Maria Maggiore, dipinse a fresco un'Angelo Gabbriele,
che annunzia Maria Vergine, ed in S. Salvadore delle Cipolle è di
sua mano la Tavola del Maggiore Altare, in cui è il Salvator Nostro
Gesù Cristo, sostenuto in aria da una Nuvola; sonovi alcuni putti, e
nella parte più bassa veggonsi Apostoli, ed altri Santi; fece
finalmente Gio: Antonio Lelli molti Disegni per Intagliatori in rame,
e particolarmente per le Conclusioni, che nel suo tempo dagli
studienti si davano alle Stampe in Roma. Seguì la morte di questo
Artefice nella sua età d' anni 49. agli 3. d'Agosto dell'anno 1640.
E
qui resta terminato quel poco, che è potuto a nostra notizia
pervenire de' fatti, e dell'opere d'un singolarissimo uomo, quale fu
il Cigoli. Conviene ora, che da me si paghi alcun debito di
gratitudine, a chi, benché non volendo, e non pensando, ne ajutò
alla maggiore cognizione dell'opere di tal Maestro. Diremo dunque,
come viveva agli anni addietro in questa nostra Città di Firenze
Giovan Batista Brocchi, Sacerdote venerando, di poi Abate, il quale
per esser nato di Cosimo Brocchi, uomo affezionato all'arte, ed a'
Professori del Disegno, e che nel formare di gesso, o naturali
artificiali cose, e quelle poi gettate, o con cera, o col medesimo
gesso, fu singulare, onde grandi ajuti diede agli studenti di
tal'arte, potè fino nella prima età, sotto la custodia di lui,
agevolmente guadagnarsi un simile amore.
Questo
Giovan Batista dunque, nell'avanzarsi negli anni, sempre applicato
alli studj dell'umane lettere, (nelle quali fece tal profitto, che
meritò di diventar Maestro di Grammatica, e d'Umanità del Sereniss.
Principe Francesco Maria, oggi Cardinale de' Medici) dando tuttavia
luogo nel suo cuore all'affetto delle buone Arti di Disegno, e
Pittura, venne in desiderio di porsi a scrivere le Vite de' Pittori,
e Scultori Fiorentini, ed avendo inteso, che Lionardo Dati di felice
memoria nostro Gentiluomo, Canonico della Metropolitana, qualche anno
prima di sua morte, seguita l'anno 1652. il di 18. Aprile, mosso da
un simil desiderio s'era impegnato con sua lettera scritta agli
Accademici del Disegno di scrivere esse vite, incominciandosi d'onde
aveva lasciato il Vasari, e perciò ogniun di loro pregava a
somministrargli notizie, 'l diede il Brocchi a credere, che il Dati
al tempo, di sua morte, già se ne trovane aver fatta qualche buona
raccolta, onde non so come ebbe modo, per quanto si disse, di avere
in sua mano ciò che si trovò in tal proposito fra gli scritti di
quel Prelato, che in sustanza altro non fu, che la minuta di essa
lettera scritta agli Accademici, ed una mano di biglietti fatti per
mandarli in volta a' Professori,
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ne'
quali era notato qual sorte di notizie egli da loro ricercante di
quei Maestri, de' quali fusse stata appresso di loro qualche
cognizione. E la cagione del non essersi trovata alcuna cosa fatta in
tal maceria, si fu, che nel tempo stesso, che il Dati s' era offerto
agli Accademici d'applicarsi a quest'opera, egli fu fatto Vicario di
Firenze, poi eletto Vescovo di Montepulciano, e pochissimo dopo era
egli stato chiamato, come ne promette la da noi molto ben conosciuta
ed esperimentata bontà d'un tanto Prelato a' Celesti riposi. Allora
Giovan Batista vedutosi sprovvisto dell'aspettato ajuto, seguitò non
ostante a nutrire in sé stesso il desiderio di scrivere, e a tale
oggetto diedesi a cercare di notizie, particolarmente della Vita, e
dell'Opere del Cigoli da sé, come da ogni altro virtuoso di nostra
Patria, giudicato della più alta riga de' Professori di quest'Arte.
Facil cosa gli fu primieramente l'aver dalla Libreria dello stesso
Sereniss. Principe il racconto breve, e sucinto, lasciatone scritto
da Giovan Batista Cardi Cigoli, di cui sopra facemno menzione, e come
quegli che era solito frequentare le stanze de' nostri Artefici più
vecchi, da loro altre notizie ricavò, onde poté applicarsi e
formare, come un'Embrione della vita, che e' destinava poi di
scrivere, e lo stesso fece delle notizie di Giovanni da S. Giovanni,
di cui gli era riuscito avere qualche cognizione, e noi vogliamo
credere, che se altri suoi studj, e forsè gli affari della Corte,
non l' avessero ritenuto, egli con altro modo, e con altra erudizione
averebbe onorata la memoria di questi grand'uomini, di quello, che
sarà riuscito il fare a me, il quale voglio ora, che si sappia, come
occorso l'Anno 1683. del mese di Giugno il caso della sua morte,
essendomi dato a credere ancor'io, che gli fusse venuto fatto
l'acquistar molte notizie, dalle quali avete potuto ricevere
accrescimento l'Opera mia, che io già da molti anni avanti m'ero
posto a compilare, e della quale già aveva stampata buona parte,
feci per mezzo di mie lettere dirette a Siena a Consiglio della
nobilissima famiglia de' Cerchi Camerier Segreto dello stesso
Sereniss. Principe Francesco, porger preghiere a S. A. che quelle mi
fusser date in mano, e si degnò la molta clemenza dell'A. S.
d'ordinare qua all'eruditissimo Sacerdote Vincenzio Ciani Maestro
allora de' Cherici del Duomo, stato amicissimo del Brocchi, che
quando a ciò le disposizioni testamentarie del Defunto non avessero
contravvenuto, fatta scelta delle domandate cose, a me le
consegnasse, il che fu puntualmente di subito eseguito. Ma volle la
trista sorte, che altro non si trovasse, che le dette due
incominciate vite del Cigoli, e di Giovanni, certe poche memorie in
carte volanti, che dopo i discorsi avuti con qualche nostro
Professore, aveva egli talvolta con matita rossa per sua memoria
accennate, eravi una cartuccia d'alcune poche cose del Bernino, del
quale già da noi un'anno innanzi era stata Stampata la Vita, e
dedicata alla Maestà della Regina di Svezia, alcune notizie sciolte
di quattro nostri Artefici damne credute di lor propria mano, e di
più quelle di sette Pittori Genovesi state mandate al Brocchi da
Raffaello Soprani Scrittore delle Vite de' Pittori di quella Città,
le quali pure già erano state Stampate fra l'altre. Di queste cose
ritrovate fra gli scritti del Brocchi fu da me fatta nota in altra
lettera, che prima fatta vedere al Ciani, inviai al già nominato
Cavaliere per informazione del Sereniss. Principe, ed acciò le ne
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fussero
rendute per me le dovute umilissime grazie. Ne qui voglio tacere, che
l'avere il Brocchi fatto chieder per mezzo d'amici l'anno 1668. al
Soprani le Notizie de 7 Liguri pittori, su cagione, che le stesso
Soprani ne affrettasse la correzione, per darle prontamente in luce,
il che però non fu eseguito, se non, dopo sua morte occorsa di
Gennajo 1672. Vedasi il quinto Libro nella vita dello stesso autore
Raffaello Soprani.
Quello
dunque è quanto è stato possibile a me di Rivenire intorno al
disegno, e progetto dell'Opera meditata dal diligente affetto del
Brocchi, ma non è già per questo, che egli non meriti d'esser avuto
dagli amatori delle belle arti in perpetua ricordanza e che, in
quanto riguarda lo scrivere la vita del singularissimo Lodovico
Cigoli, a cagione di quello, o poco, o assai, che egli ne ha potuto
lasciare di maggior lume, non abbia, anche obbligato me a farne
questa espressione di gradimento, e così io, che non mai volli far
bello me stesso dell'altrui fatiche, ma bensì desiderai sempre di
dare al merito della virtù il dover suo, non ostante, che tutto il
seguito, e da me ora notato, fusse fatto chiaro a quella sereniss.
Corte, onde mia testimonianza non abbisogni, per renderne più
stabile la memoria, mi sono messo a farne il presente racconto.
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