martedì 27 luglio 2010

ABBAGLI PITTORICI

di Francesco Fiumalbi


In almeno tre pubblicazioni concernenti San Miniato(1)(2)(3), viene riportata, quale veduta storica della città, una tavoletta attribuita, da alcuni, al pittore senese Ambrogio Lorenzetti e conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena.
La piccola opera pittorica, delle dimensioni di cm. 22,5 x 33,5, raffigura una città cinta da possenti mura, in cui si distinguono almeno due circuiti fortificati. Quello più grande a protezione della città ricca di palazzi e torri, e quello più piccolo, ma non per questo meno possente, a circuire l’arx, la fortezza, che si trova in una posizione più elevata, un piccolo rilievo, da cui dominare lo spazio circostante.
Come potrebbe non ricordare la città di San Miniato? La Testi Cristiani si spinge a riconoscere nell’illustrazione l’antica chiesa di Santa Maria (oggi chiesa Cattedrale) di faccia all’alto corpo turrito, che secondo questa interpretazione sarebbe la Torre di Matilde, e di fianco ad un altro corpo, identificato con la Torre delle Cornacchie, demolita nel XIX secolo (4).


Per vedere l’immagine cliccare su uno dei due links qua sotto:
http://www.italica.rai.it/argomenti/storia_arte/ambrogiolorenzetti/galleria/9.htm
http://www.sienaguidavirtuale.it/ita/geo/pinacoteca_ingresso.htm
In quest’ultimo link cercare la stanza n. 12 al secondo piano, nella colonna sulla destra della pagina.


Questa interpretazione è sicuramente un abbaglio. Vediamo perché.

Innanzitutto non è chiaro se a dipingere questa tavoletta con tempera e oro, sia stato effettivamente Ambrogio Lorenzetti. La stessa Pinacoteca Nazionale di Siena, parla di “incerta attribuzione”, e lascia la prudente dicitura “anonimo”(5). L’arte pittorica senese, come ricorda il celebre Bernard Berenson, è squisitamente illustrativa (6) e si propone attraverso lo strumento pittorico di narrare un qualcosa. Ma cosa vorrebbe narrare questa tavoletta? Non è chiaro. A differenza di tutte le altre opere di Lorenzetti, ricche di personaggi in ogni angolo, vi è una sola figura umana, una giovane donna forse, che, tolte le vesti, rimane seduta sulla sponda di un fiume relegata nell’angolo in basso a destra. Sembra pensierosa, avverte, forse, l’immensa solitudine che la attornia. Spostiamo lo sguardo sulla città. Come abbiamo detto, presenta innumerevoli torri, di fattura diversa, accomunate dal grande slancio verso l’alto. Ebbene, “Il giorno di capodanno (del 1240) l’Imperatore si trovava nel Castello di San Miniato, e qui ricevette delegati di quasi tutte le città e località della Toscana. Forse col proposito di diffondere in tutta la regione il terrore, egli ordinò la distruzione di tutte le torri della città di San Miniato; questa condanna fu emanata senza dubbio perché la cittadinanza in passato, contravvenendo all’ordine dell’imperatore, aveva combattuto contro i Senesi e a favore di Firenze; dopo questa esperienza Federico doveva considerare la città dalle alte torri come un pericolo per il castello che le sovrastava e che costituiva il principale punto di appoggio per l’Impero in Toscana; (…) Mentre le torri di San Miniato cadevano, quelle del castello imperiale si ergevano più orgogliose che mai” (7). Ambrogio Lorenzetti nasce intorno al 1290, ed è attivo dal 1319 al 1348, anno della sua morte (8). Come poteva conoscere le torri sanminiatesi, distrutte 50 anni prima della sua nascita? E’ da escludersi anche un omaggio verso San Miniato, in quanto la “Città della Rocca” aveva combattuto proprio contro Siena.
Un altro particolare, che certamente non sarà sfuggito ai più, è la presenza di tre imbarcazioni, quella a sinistra con vele spiegate, le due a destra col solo albero maestro, su sfondo blu. Quindi il fondale azzurro non è il cielo, bensì trattasi del mare o forse di un grande lago, di cui non se ne scorge la fine. Il nome proposto all’opera dalla Pinacoteca Nazionale di Siena, infatti, riporta il titolo di “Città sul mare” (9). Appare evidente che non può certo trattarsi della città di San Miniato. E allora, quale insediamento potrebbe rappresentare?
Non è dato da sapersi. Tuttavia, possiamo sbilanciare un’interpretazione volta a riconoscere la città in un insediamento fortificato medio-orientale, sulle coste del Mar Mediterraneo. Tale supposizione è avvalorata dal panorama brullo, arido, quasi privo di vegetazione. Le uniche presenze vegetali sono tre alberi situati nella parte destra della tavoletta. Questi ricordano molto da vicino un particolare tipo di quercia, la Quercus calliprinos, meglio nota come “Quercia di Palestina” (10).
Inoltre le aree costiere mediorientali erano assai conosciute in Italia, grazie agli innumerevoli viaggi che i mercanti intraprendevano, via mare, in quelle regioni. In questo senso, è importante ricordare la potenza di Pisa quale Repubblica Marinara. Non di secondaria importanza le Crociate, i cui partecipanti, di ritorno, fornivano descrizioni dei luoghi in cui essi erano stati e che molto hanno contribuito nei soggetti architettonici, pittorici e decorativi dell’epoca.

Questo saggio vuole ricordare l’importanza di una seria riflessione sulle fonti documentarie a cui, chi fa ricerca, attinge. Incappare in errori grossolani è molto facile, anche per chi scrive questo articolo. Mai fermarsi alla prima impressione! E’ per questo che si intende rinnovare l’appello a leggere quanto scritto su questa pagina in maniera critica e obiettiva. Chiunque abbia qualcosa da aggiungere, precisare, contestare è libero di farlo. Questo è il bello di un blog: la possibilità di dialogare e scambiarsi opinioni. Qualcuno potrà certamente rimpiangere i “vecchi” libri, ma dobbiamo ammettere che queste nuove forme di comunicazione consentono possibilità, fino a pochi anni fa, inimmaginabili.


(1)Testi Cristiani, San Miniato al Tedesco, Firenze, 1967
(2)Lotti Dilvo, a cura di, San Miniato nel tempo, Pacini Editore, Pisa, 1981
(3)Macchi Luca e Fabrizio Mandorlini, La Rocca di Federico II, San Miniato 199-
(4)Galli-Angelini, La Rocca di San Miniato Monumento Nazionale, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, anno XIII, n. 24
(5)Si veda sala 12 del secondo piano.
http://www.sienaguidavirtuale.it/ita/geo/pinacoteca_ingresso.htm
(6)Bernard Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, Londra, 1954, cap. III.
(7)Davidsohn Robert, Storia di Firenze, 1968, pagg. 357 e segg.
(8)http://it.wikipedia.org/wiki/Ambrogio_Lorenzetti
(9)Si veda sala 12 del secondo piano.
http://www.sienaguidavirtuale.it/ita/geo/pinacoteca_ingresso.htm
(10)http://it.wikipedia.org/wiki/Quercus_calliprinos

venerdì 23 luglio 2010

23 LUGLIO 1944: SAN MINIATO DECAPITATA

di Francesco Fiumalbi

Giovedì 20 luglio 1944
E’ già stato fatto l’impianto elettrico per far esplodere le mine messe in Rocca. Un filo elettrico tinto di minio dalla Piazza del Seminario, per le scale della Loggetta, il prato del Duomo lungo le Sagrestie, è portato alla Torre”.

“Domenica 23 luglio 1944
Nella tarda sera i tedeschi, prima di lasciare San Miniato, compirono l’ultima distruzione di molte case e palazzi ed infine circa le ore 22,30 fecero brillare le mine poste nella rocca, che con grande fragore crollò all’istante. Prima si udì un grande scoppio seguito da un boato e da un grande bagliore, quindi una nube nera avvolse la collina. Quando essa si fu dileguata la rocca non c’era più. Così mi ha narrato uno spettatore che si trovava a Scacciapuce, verso i Cappuccini. (…)

Dal Diario del Canonico F. M. Galli-Angelini

Prima del ’58, Rossano Nistri 1972

Sembra impossibile. Eppure, per quattordici lunghi anni, il profilo del colle di San Miniato non fu quello che era stato nei settecento precedenti. Una tragedia nella tragedia. Mentre ogni famiglia piangeva i propri morti, una comunità intera gemeva per la perdita della sua identità, racchiusa nell’immagine della sua rocca, forse perduta per sempre.
La Torre, erroneamente confusa per sineddoche, con la “rocca”, aveva rappresentato per secoli una presenza costante nella vita degli abitanti di gran parte della Toscana. Dalla piana dell’Arno e dalle valli dell’Elsa e dell’Egola era impossibile sfuggirle.
La Torre non era solo un ammasso di mattoni disposti uno sopra l’altro. E non era neppure solo un punto privilegiato di osservazione. Era simbolo di potere, controllo e vigilanza, ma anche di sicurezza, riparo, rifugio, attorno al quale una comunità si era sempre strinta, fiera, e ne traeva forza nell’affrontare la quotidiana lotta per la sopravvivenza. La Torre era San Miniato e San Miniato era la Torre. E da un giorno all’altro, la Torre non c’era più.

Città di San Miniato, Panorama
Cartolina di Alessio Guardini
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

Fin da subito un comitato cittadino di San Miniato si adoperò per la ricostruzione. Il Provveditore alle OO.PP. della Toscana, l'Ing. Arch. G. E. Leschiutta, nel luglio 1955, incaricò l’arch. Renato Baldi e l’ing. Emilio Brizzi di redigere un progetto per la ricostruzione della Torre di Federico II. L’arduo compito si proponeva di ricostruire fedelmente il monumento, basandosi su un’adeguata indagine storica e stilistica. Il piano di lavoro dei due tecnici fu il seguente (1):
-  rilevamento diretto e misurazione delle fondazioni della torre e degli elementi superstiti di tutto il complesso della rocca;
-  documentazione fotografica di tutto il materiale superstite;
-  ricerche bibliografiche di documenti storici e di antichi rilievi eseguiti sulla rocca;
-  ricerca di materiale fotografico riguardante la torre prima della distruzione;
-  ricostruzione fotogrammetrica delle principali dimensioni esterne e dei particolari architettonici dell'edificio;
-  scavi e saggi sulle fondazioni superstiti;
-  indagini sulle mura della rocca al fine di dare una sistemazione stabile e definitiva;
-  studio per una più agevole rampa di accesso.

Chissà quale sarà stato lo stupore nei giovani che, nel 1958, videro per la prima volta nella loro vita il ritrovato monumento venir liberato dai ponteggi. Lo avranno forse percepito come un oggetto estraneo? No, l’edificio militare sopravvisse nella memoria delle persone, che ne tramandarono, con orgoglio e fierezza, le fattezze fisiche e ontologiche. La Torre è sempre stata dentro di essi, nel loro cuore, anche se non avevano potuto goderne col senso della vista.

Città di San Miniato, Panorama
Cartolina di Alessio Guardini
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

Città di San Miniato, Panorama
Cartolina di Alessio Guardini
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

Il criterio base della progettazione, come detto, fu quello della ricostruzione più fedele possibile sia per la forma e le dimensioni che per l'impiego dei materiali e soprattutto delle tecniche costruttive (2).
Questo importante operazione culminò con l’apertura del cantiere nel 1957 . Il profilo del “colle” fu restituito alla Città di San Miniato nel 1958 alla presenza del Ministro Giuseppe Togni (del Governo Fanfani). La popolazione tutta, aveva di nuovo il suo simbolo, con cui lasciarsi alle spalle, senza dimenticare, i momenti difficili della guerra, e guardare con rinnovata fiducia verso il futuro.

La “Rocca”
Foto di Fabio Giantini

Si ringrazia Fabio Giantini per l’importante contributo nel reperire il materiale, e Alessio Guardini per aver gentilmente messo a disposizione le cartoline storiche.

BIBLIOGRAFIA
(1) Baldi Brizzi, Studio per la ricostruzione della torre di Federico II sulla Rocca di San Miniato, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 30, 1957, p. 8.
(2) Ibidem.

sabato 17 luglio 2010

CHI CERCA… …TROVA UNO SPEDALE!

di Francesco Fiumalbi


Percorrendo l’attuale via Cesare Battisti da Piazza del Popolo in direzione San Martino, ci si imbatte, giusto a metà del percorso, in un edificio particolare.
Un grande arco a tutto sesto appare sul margine destro della strada. Ampliando lo sguardo ci si accorge che esso faceva parte di un fabbricato più ampio, di cui rimangono segni di altre arcate nell’apparecchiatura muraria in laterizio, fortemente modificata. Forse un antico portico.



Foto di Francesco Fiumalbi



Foto di Francesco Fiumalbi

Avvicinandoci ancora un po’, cercando di guardare attraverso l’arco, si scorge un timpano, forse in pietra serena, dove al centro campeggia il simbolo IHS, Jesus Hominum Salvator.
Posizionando la macchina fotografica al di sopra della “barricata” che chiude l’arco alla vista, emerge un portale con timpano, fra due finestre con inferriate. Tutti questi elementi portano a riconoscervi un edificio religioso. Che vi fosse una chiesa? Quale edificio poteva avere una facciata con portico e una chiesa? Quando fu costruito?



Foto by Francesco Fiumalbi



Foto by Francesco Fiumalbi

La storia di questo edificio si intreccia con quella di un illustre sanminiatese, di cui abbiamo già trattato nell’articolo del 9 giugno 2010, Un sanminiatese a Londra”: Giovanni Chellini.

Il medesimo benmerito cittadino Giovanni Chellini, difaccia alla Costa di S. Cosimo, in via Faognana di sopra, fonda nel secolo XV uno spedale od ospizio pei poveri sacerdoti pellegrini, in cui doveva pur dimorare un sacerdote del luogo per riceverli ed averne cura. II suo ingresso era difeso da logge, ed aveva nel mezzo una cappella, che sempre esiste, perché i pellegrini potessero dirci la messa, dedicata alla SS. Annunziata e ai santi Cosimo e Damiano. L'Annunziata è dipinta nel muro sull'altare, e ai lati si vedono i profeti Isaia ed Ezechiele
G. Piombanti “Guida della città di San Miniato al Tedesco”, San Miniato, 1894, pag. 118.

L’edificio è quindi un ospedale, o un ospizio, forse entrambe le cose. I due termini, a seconda delle accezioni, possono coincidere. Si trattava quindi di un ricovero dove i sacerdoti in pellegrinaggio potevano trovare alloggio ed essere curati per le fatiche del loro cammino, probabilmente verso Roma, lungo la via Francigena, che come sappiamo fu “dirottata” verso San Miniato a partire dal 1236, percorso che poi fu stabilizzato nel 1248 a seguito della distruzione del Borgo di San Genesio (1). In effetti, la corposa dedicazione alla SS Annunziata e ai Santi Cosimo (Cosma) e Damiano fa supporre che lo Spedale fosse entrambe le cose, anche perché i santi Cosma e Damiano sono conosciuti come “santi medici”. Inoltre Giovanni Chellini era medico e la sua tomba in San Domenico è sistemata, appunto, nella cappella dedicata ai due santi.

L’edificio, secondo la ricostruzione di Cristiani Testi, doveva avere 9 campate, con al centro la Cappella della SS Annunziata, ancora esistente, ma inaccessibile. Da una "Veduta di San Miniato" conservata presso l'Accademia degli Euteleti di San Miniato, le arcate sarebbero invece 7. Purtroppo, a causa dei danneggiamenti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale non ci è dato da sapere quale fosse l'esatta dimensione dell'edificio. E’ probabile che la porzione alla sinistra dell’arco (verso San Martino) sia ancora esistente, magari celata sotto uno strato di intonaco, anche perché la Cristiani Testi parla di 5 campate ancora visibili mentre oggi ne vediamo soltanto 3. La porzione alla destra (verso San Domenico) pare, invece, irrimediabilmente distrutta.
Durante alcuni lavori di ristrutturazione fu rinvenuta una colonna in marmo bianco. Ce ne fornisce notizia Dilvo Lotti nella sua pubblicazione "San Miniato, Vita di un'antica città". Lo stesso Lotti afferma che il manufatto marmoreo doveva costituire il basamento per un monumento da collocare in Piazza del Duomo, per commemorare le persone che persero la vita in Cattedrale, ma che, a causa dell'incuria e delle intemperie, il pezzo di marmo si è distrutto. 
Gli affreschi citati dal Piombanti furono invece "staccati" negli ani '50 e collocati nella Cappella del Seminario Vescovile di San Miniato.

Per la ricostruzione grafica del fabbricato dello Spedale consultare:
M. L. Cristiani Testi, “San Miniato al Tedesco”, Firenze, 1967
pagg. 117, 120, 121


San Miniato aveva altri Spedali. Negli anni molte di queste strutture furono chiuse, tuttavia alla fine del '700 ne rimanevano funzionanti, oltre a questo, altri 2: uno presso Santa Maria al Fortino (zona Colline), andato distrutto e di cui si hanno pochissime notizie, e l’altro quello di San Martino, poi Spedale di San Nicola da Bari, oggi Residenza per Anziani “Del Campana-Guazzesi”.
Tutte queste strutture, assieme al “lebbrosario” di San Lazzaro a Ponte a Elsa, furono soppresse e riunite nel 1784 dal Granduca Pietro Leopoldo, nell’attuale struttura costruita sull’Oratorio di Santa Maria della Scala, da cui il nuovo ospedale prese il nome, nei pressi della Chiesa di Santa Caterina, inglobata nella struttura.



Foto by Francesco Fiumalbi


(1) M. L. Cristiani Testi, “San Miniato al Tedesco”, Firenze, 1967, pagg. 23-24.

sabato 10 luglio 2010

STATICA INSOSTENIBILE

di Francesco Fiumalbi

Piazza Grifoni rappresenta uno luogo particolare. E’ un piccolo spazio aperto, antistante il palazzo dell’omonima potente famiglia. La sua dimensione appare moltiplicata nelle impressioni, in contrasto con le strette via Carducci, via IV Novembre e via Borgonuovo da cui vi si giunge. Non è possibile tirare dritto, lo sguardo ci conduce automaticamente in direzione del palazzo.
Da qualche giorno, lo spazio vuoto è stato riempito da una curiosa presenza. Una sfera di un colore rosso accesso, a tratti lucente, in netto contrasto con i toni sommessi dell’interno urbano entro cui si trova.


Foto tratta da www.msx2.it


La sfera è lì, immobile e silenziosa. Posata sopra un piano color bianco, inclinato secondo il profilo della piazza, pare che stia per scivolare via, travolgendo tutto quello che le si para davanti. Eppure è immobile, in un innaturale stato di quiete. Non può passare inosservata, invita ad avvicinarsi, a cercare di capire i meccanismi di quella statica insostenibile che la contraddistingue.


Foto tratta da www.msx2.it


La “sfera rossa”, opera degli architetti Marco Stacchini e Michele Simonetti, è un segnale per la mostra “Processo a Gesù, un testo per una mostra” allestita all’interno del Palazzo Grifoni dall’Associazione UCAI di San Miniato, in collaborazione con la Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato. Questo evento rientra nell’ambito della LXIV Festa del Teatro di San Miniato, che in questa edizione intende rendere omaggio a Diego Fabbri, il grande drammaturgo forlivese, già presente con “Al Dio Ignoto” al Dramma Popolare di San Miniato nel 1980(1), di cui ricorre il trentennale della morte. Omaggio che culminerà con le rappresentazioni teatrali “Processo a Gesù” e “Il Prato” presso Piazza del Duomo, rispettivamente dal 16 al 19 luglio e dal 26 al 27 luglio 2010.
(Per info: http://www.drammapopolare.it/index.jsp)
La mostra di cui sopra, introdotta dall’installazione artistica, raccoglie le opere derivate da studi e bozzetti eseguiti dopo la lettura dell’opera teatrale di Diego Fabbri. Le opere esposte sono state realizzate da: Arakelyan Narek, Bianconi Patrizia, Billeri Carla, A. Càssaro Tiziano, D’Amia Giorgio, Francesca Alma, Giannoni Franco, Lanci Amedeo, Lotti Dilvo, Macchi Luca, Marchese Marika, Mori Sauro, Prattichizzo Fernando, Tapinassi Annarita, Tinghi Paolo, Valentini Stefania.



In questo contesto la sfera rappresenta la vicenda umana, e insieme divina, di Cristo, da sempre discussa, posta continuamente sotto processo. Ogni volta sembra che stia per capitolare giù, nel limbo delle macchinazioni, e invece è sempre lì, ferma, immobile, nonostante l’equilibrio precario in cui molti uomini tentano invano di relegarla. Quella statica insostenibile, che solo i difensori di Gesù Cristo possono sopportare. “Il Processo a Gesù, come scriveva Ferdinando Castelli, si trasforma prima in processo a Gesù, e poi in processo a ognuno di noi: alle nostre scelte e alla nostra vita”.(2)


Foto tratta da www.msx2.it


Perché gli autori hanno scelto quale elemento caratterizzante proprio una sfera rossa?
Oltre al contenuto ontologico del simbolo sferico, ovvero che non ha spigoli, o punti preferenziali, quindi che non si presta alle interpretazioni, la sfera rossa assume, in questo caso, anche un altro significato…
Per conoscere la chiave di questo interrogativo, occorre visitare la mostra, oppure assistere alla rappresentazione teatrale “Processo a Gesù”, in scena dal 16 al 19 luglio presso Piazza del Duomo.



Si ringrazia Marco Stacchini per il contributo nella stesura di questo articolo.


(1) http://www.drammapopolare.it/archivio.jsp?id=40
(2) Mons. Carlo Ciattini, “Torna Processo a Gesù” in “La Domenica” nel settimanale regionale “Toscana Oggi” n. 26, anno XXVII, 11 luglio 2010.
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