domenica 31 agosto 2014

I SANTUARI DEL GIOCO - 1 PARTE - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

I “SANTUARI” DEL GIOCO
e noi bambini, anni '50 e paraggi, testimoni e ….officianti…
PARTE PRIMA DI CINQUE

Non è, e non vuole essere, un racconto anche se ne contiene un buon numero. E' un viaggio nella memoria di un bambino anni '50 alla ricerca di giochi dimenticati e di quella magica atmosfera che ha contribuito a farne sopravvivere la memoria fino ad oggi, anche con l'auspicio che susciti il contributo e la memoria di altri bambini/e di quel periodo.

C'erano dei luoghi nella nostra infanzia, quella dell'immediato dopo guerra, dedicati al gioco… al gioco libero… creativo…. Spazi Liberi. Giocattoli e giochi costruiti direttamente da noi bambini… per strada… nella natura. Giochi… trasmessi di generazione in generazione... imparati dall'altro…modificati e adattati ai nuovi ambienti e alle nuove abitudini. Era il piacere di fare parte di un gruppo, di mettersi alla prova, di riuscire a superare le difficoltà quello della nostra generazione.
Generazione Fortunata… dopo anni di privazioni, sofferenze, miserie amplificate dal ventennio fascista che condusse i nostri padri e i nostri nonni al disastro della guerra… Fortunata perché nasceva in un clima di euforica ricostruzione sospinta dalla fondata speranza, quasi una certezza, di un futuro migliore potendo contare su un fattore del tutto nuovo rispetto al passato: La LIBERTA'.

Libertà di cui le successive generazioni non hanno più potuto fruire realmente, perché definitivamente defraudate in nome del progresso da una società genuflessa al Dio della motorizzazione di massa che ha occupato ogni spazio urbano, invaso il nostro ambiente e contaminato irreversibilmente le abitudini. Libertà la nostra goduta ‘inconsapevolmente' a pieni polmoni… come aria che si respira… non una conquista… per noi che ci siamo nati dentro. Libertà degli atti quotidiani i più semplici… senza la presenza assillante degli adulti… poche raccomandazioni… liberi sempre dell'ultima scelta. Era uno sciame il nostro che, iniziando già dal pomeriggio durante l'anno scolastico, in piena libertà si riversava “fuori”… girava, saliva, volteggiava, gridava, rideva ogni dove… pochi limiti di tempo e di spazio. L'assenza degli adulti evidente… i padri fuori a lavorare... le madri in casa indaffarate a “tenere” il fuoco… a fare scorta di acqua… a tutti quei lavori domestici lunghi e faticosi, soppiantati poi dall'avvento degli elettrodomestici. E noi in gruppi più o meno piccoli ‘liberi' fino all'ora limite… quella del rientro a casa… l'ora di cena… padroni assoluti dei nostri spazi, dei nostri angoli, “liberi” di vivere, sognare, creare, trasformare i nostri spazi in … “Santuari del Gioco” rispettati da noi bambini e dagli adulti.

C'era negli anni 50 un quadrilatero, nello Scioa (“noi di qua”) (assimilabile a qualsiasi quartiere come a qualsiasi piccolo borgo)…. noi allora bambini e ragazzi…, il cui valore “da tutelare” poteva essere paragonabile a quello di “patrimonio dell'umanità” … Quadrilatero nel concreto costituito da Piazza Santa Caterina – Sotto il Ponte – Pian delle Fornaci – Scacciapuce – entro il quale ci sentivamo chiamati a fare quel lavoro che ogni bambino ha il “diritto” di fare: il GIOCO. Che poi i confini non fossero rigidi andava anche bene, ma era in questi luoghi da noi considerati “sacri al gioco” che potevamo essere sempre trovati, recuperati, cercati da genitori e familiari …sempre sotto controllo diretto della rete tessuta di buon vicinato, anche se condotto con molto tatto e molta discrezione.

Il Gioco delle Cappe (palline di terracotta colorate) – Sotto il Ponte –
E' lì “Sotto il Ponte”, proprio sotto quell'arco, che unisce casa Migliorati con una terrazza e un giardino pensile alla sottostante valle di Gargozzi, che ci ritroviamo se piove, se tira vento di tramontana… qualche volta in estate quando il sole alto nel cielo ci cuocerebbe anche il cervello. L'orario è sempre variabile… diciamo dopo pranzo e da lì in poi per tutto il pomeriggio. Siamo i soliti… di età variabile… tutti dello “Scioa” o quasi… per giocarci una partita a “Cappe”… quelle palline di terracotta colorate che vende sia il Giorgi sia Pietro di' Menichetti. Quando vai in bottega da loro non ti puoi sbagliare le tengono dentro due enormi vasi di vetro, le puoi contare tutte… ti piacerebbe scegliere le più belle per avere un “Boro” di peso, arma vincente, ma ti devi accontentare di quelle che a sorte ti toccano. L'unico che non gliene importa un baffo delle palline del Giorgi o di Pietro è Berto di' Ferlin… lui non le compra mai, siamo noi a comprarle e lui ce le vince quasi sempre, quasi tutte. E noi imperterriti continuiamo il nostro gioco… noi, e cioè Orlando di' Gnoppa, Giancarlo Turini, Franco Geri, Piero Biagioni, Io Giancarlino di Eda, Gianfranco Matteucci, Paolo di Baggiacco, Giuseppe di' Gnoppa, qualcun altro che non ricordo e chi ogni giorno si aggrega come Alberto il Cingottini, Beppe di' Baglioni, Alberto Cheti… qualche volta anche se indesiderato “Cione” un po più grandicello di noi. Si gioca a Cappe, ognuno posta la sua (un castelletto di 4 palline come usavano già gli antichi Romani) proprio al centro del Ponte e tira per primo chi riesce con il proprio Boro ad avvicinarsi di più alla linea di partenza, all'altezza dell'arco esterno.

Non sempre Berto si piazza per primo, ma quando arriva il suo turno a tirare difficilmente fa cilecca… recupera sempre la sua e vince qualche cappa, a me soprattutto che ho ben poca mira. Quando il tiro è troppo ravvicinato allora il tiro deve essere fatto stando in piedi ben eretti e lasciando andare il Boro dopo aver preso la mira tenendolo all'altezza del naso. Berto non sbaglia mai un colpo. Al secondo giro qualche volta si raddoppia la posta… ognuno piazza due Cappe… si fa prima a perdere. Dopo pochi giri mi ritrovo con solo qualche pallina inutilizzabile, senza un soldo in tasca e con tanta rabbia in corpo che scarico frantumando le residue palline contro il muro del Migliorati e andandomene a casa piangendo. Quando poi entra in gioco Cione allora sono guai in vista per tutti, con quelle gambe lunghe e quei bracci arriva fin sopra le Cappe e le prende sempre. “Sei un leggino” grida Berto indispettito contro Cione, e si ritira dal Gioco seguito dagli altri.

E mentre giochiamo, da ‘Sotto il Ponte' transita tutta quella gente, uomini e donne, che da Calenzano viene in città passando per lo stradello di Casa Giusti, su per le scalette e davanti a Frillo per sbucare in Via Pietro Bagnoli. La noti appena, quando rasentando il muro passa oltre… spesso non prima di aver atteso che tu abbia fatto il tuo tiro per non infastidire…, a volte te ne accorgi perché chi ti conosce saluta, domanda di babbo e mamma. E' un passaggio mai invadente, …rispettoso dei nostri spazi e dei nostri giochi. Rispetto di cui nel momento non tieni conto. Solo col passare degli anni, delle abitudini. degli spazi, … adulto… ne fai memoria.

Il Giro d'Italia coi tappini – Sotto il Ponte … da Frillo –
Se poi da “Sotto il Ponte” in senso stretto prosegui la corsa ti ritrovi giusto davanti a casa di Frillo, forse 20 metri appena, e all'altro lato il fienile che nel pomeriggio dona ombra a quella piccola conca a mezza strada dalla casa Morelli, dietro al podere del Giusti. In quello slargo, perché di questo si tratta, composto di sabbia tufacea depositata dalle piogge nel punto più basso, è un po' come giocare al mare sulla sabbia (e chi ci era mai stato! In quei primi anni 50!). Si aspetta sempre che Frillo esca con il Bove e il carro dalla stalla per essere sicuri di avere il campo libero. Inizio dei giochi, o meglio inizio delle costruzioni… per il nostro “Giro d'Italia” , corsa a tappe che ogni giorno richiede percorso diverso da costruire nuovamente. Per mezzo di strumenti semplici come le mani si modella tutto il tracciato, piccole salite… qualche galleria (un barattolo vuoto e sfondato), e tanta fantasia a volontà. Quasi una corsa contro il tempo come quando oggi si preparano i campi di gara per una olimpiade o per un campionato del mondo… e noi prepariamo il nostro “Giro d'Italia”. Ai nastri di partenza Coppi e Bartali, ma anche Luison Bobet, Koblet, Nencini… le migliori biciclette del momento targate… o meglio “stappate” Coca Cola, Birra Peroni. Generosa… che diventano le casacche che indossano i corridori in gara, alloggiati alla bene meglio nella parte interna del Tappino. Il dito medio rilasciato dopo contrasto con il proprio pollice è un “biscotto”. A forza di biscotti impressi al proprio corridore… tra uscite di strada, sorpassi, squalifiche, rimonte, si giunge fino al traguardo... per un vincitore di Tappa e per assegnare la Maglia Rosa costituita quasi sempre da un tappo speciale, il più bello e il più grande, un tappo tipo quello dei primi omogeneizzati della Nipiol Buitoni, o giù di lì. Non mi ricordo di aver mai vinto una tappa, ma di aver tifato spesso per Koblet… o comunque questo è il nome rimastomi impresso nella mente fino ad oggi, per un gioco incruento dove la mancata vincita non escludeva mai dal gioco successivo, come invece avveniva per il gioco a “cappe” quando avevi esaurito le tue palline di terracotta.

davanti a Casa Morelli …sempre Sotto il Ponte –
Tra la casa di Paolino Morelli e il podere Giusti c'è sempre stato e c'è ancora un piccolo rettangolo libero, non recintato che mette in comunicazione le due case. Ci si giunge sempre partendo da Frillo, un'occhiata in alto verso la Casa delle Bricciche attratti soprattutto dai miagolii insistiti e ripetuti delle decine di gatti che lì abitano, penzolano dalle finestre, si affacciano alle inferriate, dormono sui davanzali. Sono dappertutto. E' uno spettacolo che ci attira irrimediabilmente ogni volta, come fosse la prima… quasi il timore che qualcuno ci caschi in testa… seguito spesso dalle imprecazioni di una delle sorelle che immancabilmente ci urla contro “Che c'avete da guardare??”. E noi via di corsa! a volte rasentando il muro, a volte quando siamo in gruppo rischiando di finire nella fossa dalla parte opposta. Ce ne accorgiamo subito, ...le gambe ignude ...a contatto con l'ortica che durante quasi tutto l'anno invade tutta la fossa, quasi fosse casa sua ...pronta a lasciare generosa i segni. La rammento tuttora quella fossa, e all'altezza di Casa Morelli il callare, a raccogliere le acque fluviali, presidiato nell'angolo da un sambuco, ...maestoso, anche generoso … a donare le sue “canne” che fumiamo imperterriti, come fossero sigari o sigarette. Che giramenti di testa!! E Davanti a Casa Morelli ci ritroviamo, senza un vero programma preciso, senza un gioco fisso… (non ne ricordo nessuno in particolare) quasi sempre perché attratti anche se inconsapevolmente dalla posizione. Siamo spesso ai primi di Marzo, in quell'angolo protetto dal muro di cinta del Bastardaio, in una conca lontana dai venti di tramontana, ma anche da quelli di maestrale… temperatura ideale, i primi caldi a ristorare dai brividi di freddo, noi sempre vestiti a gambe ignude. C'è anche un ulivo non giovane, ma piccolo di fusto con una grande forcella sulla quale è facile issarsi e sedersi, proprio nell'angolo a confine con la carciofaia di' Dainelli. Faccio le corse per arrivare primo, mi ci isso mentre chiacchieriamo, e resto li ad ammirare gli altri intenti in qualche gioco. Poi basta un'idea, l'ora della merenda… o il Giusti a farci scendere da quell'Ulivo e da nostri sogni. Si parte per altra destinazione, per altro programma … che ci porti all'ora di cena.

FINE PRIMA PARTE

San Miniato, il “ponte” di Palazzo Migliorati su vicolo Borghizzi
Foto di Francesco Fiumalbi

San Miniato, vicolo Borghizzi
Foto di Francesco Fiumalbi


↖ RACCONTI DALLO SCIOA
↖ SANTUARI DEL GIOCO - 2 PARTE

lunedì 25 agosto 2014

POMARANCE - LA PIEVE DI SAN GIOVANNI BATTISTA A MORBA

di Francesco Fiumalbi
Quel che rimane dell'antica pieve di San Giovanni Battista di Morba è inglobato in una vecchia casa colonica, ormai disabitata, situata lungo la Strada Regionale n. 439, nel Comune di Pomarance, nei pressi dell'abitato di Larderello. La costruzione si trova ad ovest della strada attuale, in posizione leggermente rialzata, anche se il tracciato antico della direttrice passava più a monte, come si può osservare dalla mappa del Catasto Generale della Toscana, mentre l'attuale sistemazione è avvenuta in epoca moderna.
La chiesa ormai da secoli abbandonata e sconsacrata, probabilmente perché venute meno le esigenze spirituali della zona, fu ridotta ad abitazione e profondamente alterata. Ad oggi rimane visibile solamente la porzione absidale e, dall'alto, è possibile osservare quel che rimane dell'originaria pianta a forma di "Tau".

Estratto dal Catasto Generale della Toscana
Comunità di Pomarance, Sezione E, Motecerboli, foglio n. 3, anno 1823
Archivio di Stato di Pisa, Catasto terreni – Mappe – Pomarance – 44
Immagine tratta dal sito web del “Progetto CASTORE
Regione Toscana e Archivi di Stato Toscani
Per gentile disponibilità. Info Crediti e Copyright


Da un punto di vista architettonico la pieve doveva presentarsi con la consueta pianta a forma di "Tau". All'unica navata, era accostato il transetto che ne costituiva il presbiterio. Un'unica abside caratterizzava la terminazione. Niente ci è dato sapere a proposito della facciata, in quanto demolita, anche se doveva presentarsi con il classico profilo a “capanna”. L'orientamento della costruzione segue un asse inclinato di circa 25° rispetto alla direzione est-ovest, spiegabile facilmente osservando l'orografia dell'area.
La costruzione, nella sua elevazione, è realizzata prevalentemente in laterizio, e caratterizzata da un solido basamento in pietra. Sembrerebbe, dunque, plausibile che gli avanzi della pieve, ancora oggi visibili, siano il risultato di un'attività edilizia da inquadrare nei secoli basso-medievali (XII-XIV secolo). E' probabile che l'edificio in laterizio costituisca la ricostruzione in forme e materiali diversi, rispetto ad una chiesa precedente, verosimilmente in pietra. I materiali di quest'ultima potrebbero essere stati reimpiegati per la formazione del basamento tergale. D'altra parte, la muratura in pietra deve la propria monoliticità alla ragguardevole massa degli elementi che la compongono e, per questo motivo, necessita di una quantità decisamente inferiore di malta rispetto alla muratura in laterizio. Questa circostanza fa sì che la muratura in pietra fosse considerata particolarmente adatta per la formazione della parte basamentaria di un edificio, ovvero quella parte soggetta anche a fenomeni di frana e dilavamento prodotti dalle acque meteoriche. Numerosi sono gli esempi di questo tipo sparsi un po' per tutta la Toscana.
La muratura in laterizio è costituita da elementi di omogenea dimensione, posizionati secondo una disposizione regolare. Da segnalare, nella porzione tergale alla sinistra dell'abside, la presenza di una finestra arcuata, poi tamponata, contraddistinta da un archivolto in elementi curvi, decorati, nella fascia centrale, da un semplicissimo motivo geometrico a rombi. Si tratta, apparentemente, dell'unica traccia di decorazione superstite.
L'abside, così come il resto della costruzione, è caratterizzata dal basamento in pietra e dall'elevato in laterizio, con la particolarità della presenza di una fascia intermedia, costituita da tre file di mattoni intervallati da una fascia in pietra. Si tratta di un espediente lessicale molto diffuso, anche in forme decisamente più elaborate, in chiese romaniche coeve. Per fare un paio di esempi molto conosciuti, la Cappella di San Galgano a Montesiepi, nel Comune di Chiusdino (SI) e la Pieve dei SS. Ippolito e Cassiano a Còneo, nel Comune di Colle Val d'Elsa (SI).

La Pieve di Morba, Comune di Pomarance, Ortofoto del 2013
Regione Toscana - Sistema Informativo Territoriale ed Ambientale
Per gentile disponibilità Geoscopio maps by Regione Toscana
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L'origine e l'anno di fondazione della pieve non sono conosciuti, anche se è ragionevole ipotizzarne la costituzione, come la gran parte delle pievi, già in epoca tardoantica (V-VI secolo). La prima attestazione documentaria viene fatta risalire ad un atto, conservato presso l'Archivio Vescovile di Volterra, datato al 22 giugno dell'anno 971, in cui viene registrata una permuta di beni fra il Vescovo di Volterra
Petrus e un tale di nome Winihildi chiamato Winitio, figlio del fu Kamarini. Fra i beni di cui si privò il presule, figurano anche due case masserizie (cioè date in gestione a coloni o massari dietro il pagamento di un censo annuale) che vengono descritte infra iuditiaria de Plebe S. Johannis et S. Alexandri isto Morberti (1).
L'indicazione toponomastica è stata associata all'odierno nome di Morbo e, da qui, il riconoscimento della pieve in questione. Da rilevare la doppia intitolazione a San Giovanni Sant'Alessandro, tipica delle pievi battesimali fin dall'alto medioevo, con la prima che prevarrà sulla seconda. Interessante, infine, l'utilizzo del termine iuditiaria (ovvero la “iudicaria”) per individuare, evidentemente, non soltanto la giurisdizione pastorale, ma anche quella politica e amministrativa facente capo alla pieve. D'altra parte, fin dall'epoca altomedievale, il territorio volterrano costituiva un dominio temporale del Vescovo. Ed erano proprio le pievi che costituivano i cardini del sistema di controllo e di gestione del territorio, non solo da un punto di vista spirituale, ma anche politico e amministrativo.

L'edificio che ha inglobato la Pieve di San Giovanni di Morba
Foto di Francesco Fiumalbi

Il secondo documento in cui si fa menzione della Pieve di San Giovanni Battista di Morba è la Bolla pontificia, inviata da Alessandro III al Vescovo di Volterra Ugone, e datata 29 dicembre 1171. Nella lettera papale, richiamando altri provvedimenti sanciti dai predecessori Anastasio IV (in carica dal 1153 al 1154) e Adriano IV (dal 1154 al 1159), venivano confermati alla diocesi volterrana i possedimenti e la giurisdizione pastorale. Nell'elenco delle pievi, compare anche la plebem de Morba cum parochialibus ecclesiis (2).
La plebem de Morba compare anche nell'analogo privilegium comfermationis del Pontefice Alessandro III, datato 23 aprile 1179, e che di fatto confermava i contenuti del precedente (3).

L'edificio che ha inglobato la Pieve di San Giovanni di Morba
Foto di Francesco Fiumalbi

Nelle decime del biennio 1275-76 è disponibile il primo elenco, con le chiese suffraganee afferenti alla Plebes de S. Iohannis de Morba (di cui non è indicata l'entità della decima) (4):
Ecclesia S. Salvatoris de Castronovo (2 Lire, 18 Soldi, 6 Denari), ovvero la chiesa di S. Salvatore di Castelnuovo Val di Cecina;
Ecclesia S. Michaelis de Seracçano (1 L., 8 S., – D.), ovvero la chiesa di San Michele Arcangelo di Serrazzano, antico castello, nel territorio del Comune di Pomarance;
Ecclesia S. Bartholomei de Leccia (1 L., 19 S., – D.), ovvero la chiesa di San Bartolomeo in Loc. Leccia, nel Comune di Castelnuovo Val di Cecina che, a causa della decadenza della Pieve di San Giovanni Battista di Morba, otterrà il fonte battesimale nel XV secolo, divenendo “pieve” anch'essa;
Ecclesia S. Cerbonis de Montecerboli (1 L., 19 S., – D.), ovvero la chiesa di San Cerbone di Montecerboli in cui, a partire dal 1460, furono trasferiti i privilegi e i benefici ecclesiastici della decaduta Pieve di San Giovanni Battista di Morba.

Per il biennio 1276-77 alla Plebes de S. Iohannis de Morba è attribuita una decima pari a 10 Lire. Invariato l'elenco delle suffraganee, ma non l'entità dell'imposizione fiscale (5):
Ecclesia S. Salvatoris de Castronovo (3 L., – S., – D.);
Ecclesia S. Micchaelis de Seracçano (2 L., 3 S., – D.);
Ecclesia S. Bartholomei de Leccia (2 L., 8 S., – D.);
– Ecclesia S. Cerbonis de Montecerboli (4 L., 4 S., – D.).

Più dettagliato l'elenco relativo al biennio 1302-03, in cui alla Pieve di Morba è attribuita una decima di 5 lire (6):
Ecclesia [S. Salvatoris] de Castronovo (1 L., 10 S., – D.);
Ecclesia [S. Michaelis] de Seracçano (1 L., – S., – D.);
– Ecclesia de Cappiano (– L., – S., – D.), non identificata;
– Ecclesia S. Donati de Fosini (– L., – S., – D.), ovvero la chiesa di San Donato del castello di Fosini, oggi nel Comune di Radicondoli (SI), che verrà unita in un'unica chiesa parrocchiale assieme alle altre dedicate a San Pietro e a San Niccolò.
– Ecclesia S. Petri (– L., – S., – D.), ovvero la chiesa di San Pietro situata presso del castello di Fosini, poi unita alle altre dedicate a San Donato e a San Niccolò.
– Ecclesia S. Niccholai de Fosini (– L., – S., – D.), ovvero la chiesa di San Niccolò situata presso del castello di Fosini, poi unita alle altre dedicate a San Donato e a San Pietro.
Ecclesia [S. Bartholomei] de Leccia (1 L., 5 S., – D.);
– Ecclesia [S. Cerbonis] de Montecerboli (– L., 19 S., – D.).
– Ecclesia de Castro Vulterrano (– L., – S., – D.), ovvero la chiesa situata in Loc. Castello Volterrano nel territorio del Comune di Castelnuovo Val di Cecina.

Ciò che rimane dell'abside della Pieve di San Giovanni di Morba
Foto di Francesco Fiumalbi

Riguardo ai pievani, in un atto datato 2 dicembre 1225 compare, in qualità di testimone, Matteo plebano de Morba (7). Si tratta del primo pievano di cui si conosca il nome.
A distanza di alcuni decenni, nel novembre del 1296, Oppizino plebano de Morba, compare come testimone in un atto riguardante l'Abbazia camaldolese situata a Badia Elmi, nell'odierno Comune di San Gimignano (8).
Nell'anno 1321, il pievano di Morba, Rinuccio di Barone, fu eletto Vescovo di Volterra dal Capitolo dei Canonici. L'elezione, in un primo momento fu dichiarata nulla, anche se poi fu confermata dal Papa Giovanni XXII (9).

Particolare della muratura dell'abside della Pieve di San Giovanni di Morba
Foto di Francesco Fiumalbi

Certamente ancora attiva alla metà del XIV secolo, la Pieve di San Giovanni di Morba figura nell'elenco delle chiese della Diocesi di Volterra, redatto in occasione del Sinodo dell'anno 1356, promosso dal Vescovo Filippo Belforti. La chiesa risulta essere una delle 11 plebane del cosiddetto Sesto di Montagna (10).
Tuttavia, questa sembra essere la sua ultima attestazione certa. Negli anni successivi, comunque entro il XV secolo, probabilmente a seguito di mutate esigenze spirituali, la Pieve di Morba venne sconsacrata e alienata, fino alla sua riduzione ad abitazione.
I privilegi e i benefici ecclesiastici furono trasferiti presso quella che, fino a quel momento, era la chiesa suffraganea di San Cerbone di Montecerboli. Fra le altre suffraganee, anche le chiese di San Salvatore di Castelnuovo, di San Bartolomeo di Leccia e dei SS. Donato, Pietro e Niccolò di Fosini ottennero un proprio fonte battesimale fra il XV e il XVI secolo e poterono, dunque, vantare il titolo di “pieve”.

Pieve di Morba, particolare della finestra in laterizio
Foto di Francesco Fiumalbi
NOTE E RIFERIMENTI:
(1) Il documento è edito in F. Schneider, Regestum Volaterranum, in «Regesta Chartarum Italiae», KGL Preussisches Historisches Institut, Istituto Storico Italiano, Ermanno Loescher, Roma, 1907, doc. n. 48, pp. 15-16.
(2) Il documento è conservato presso l'Archivio Vescovile di Volterra, e edito in P. Kehr, Papsturkunden in westlichen Toscana, in «Nachrichten von der Konigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen», Gottingen, 1904, doc. n. 9, pp. 616-618.
(3) Il documento è conservato presso l'Archivio Capitolare della Diocesi di Volterra, n. 151; edito in J. von Pflugk-Harttung, Acta Pontificum Romanorum Inedita, vol. III, Stuttgart, 1886, doc. n. 286, pp. 271-272.
(4) P. Guidi, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, Vol. 1, La decima degli anni 1274-1280, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1932, p. 158.
(5) Ivi, p. 168.
(6) P. Guidi, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Tuscia, Vol. 2, La decima degli anni 1295-1304, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano, 1942, pp. 217-218.
(7) Il documento è conservato presso l'Archivio Vescovile di Volterra, e parzialmente edito in F. Schneider, Regestum Volaterranum... cit., doc. n. 420, p. 148.
(8) Il documento è conservato presso l'Archivio Vescovile di Volterra, e parzialmente edito in F. Schneider, Regestum Volaterranum... cit., doc. n. 970, pp. 329-330.
(9) S. Ammirato, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d'Arezzo, Firenze, 1637, pp. 139-146. I documenti relativi alla conferma di Rainuccio di Barone alla carica di Vescovo di Volterra sono pubblicati in A. F. Giachi, Appendice all'opera dell'Abate Anton Filippo Giachi intitolata Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra: dalla sua origine fino al tempi nostri, Siena, 1798, docc. LVII-LVIII, pp. 189-192.
(10) Il manoscritto originale si trova conservato presso la Biblioteca Guarnacci. Una prima sintetica edizione dell'elenco delle chiese volterrane del 1356, si trova in G. Lami, Sanctae Ecclesiae Florentinae Monumenta, Firenze, 1758, vol. III, Appendice, p. IV; poi, in forma completa, anche in A. F. Giachi, Saggio di ricerche storiche sopra lo stato antico e moderno di Volterra: dalla sua origine fino al tempi nostri, Firenze, 1876, Appendice, doc. LXXXII, pp. 583-594.


lunedì 18 agosto 2014

LO SCIAME SISMICO DI CERTALDO - 9-10 AGOSTO 2014 – TUTTI I DATI

a cura di Francesco Fiumalbi

Quando avvertiamo un terremoto, anche quello di intensità più modesta, la nostra mente corre immediatamente alle immagini di morte e di distruzione che troppe volte, negli ultimi decenni, abbiamo osservato, impotenti, davanti allo schermo della tv.

In realtà impotenti non siamo. E non mi riferisco solamente alla preziosa e nobile corsa dei soccorsi. Questa viene messa in moto per tamponare l'emergenza, per estrarre eventuali persone rimaste sotto le macerie, per prestare le cure ai feriti, per cercare di portare sollievo e cura ai superstiti, e per dare una degna sepoltura a chi, purtroppo, è rimasto ucciso. Invece tutto questo potrebbe essere evitato. Perché se da una parte un terremoto non può essere previsto, né rispetto all'epicentro, né rispetto all'intensità, possiamo prevedere e, talvolta, prevenire gli effetti dello stesso. Infatti, non è il terremoto, lo scuotimento degli strati profondi e superficiali della crosta terrestre a mietere vittime. Sono gli edifici che, costruiti senza criteri antisismici, a crollare e a seppellire quanti sono alloggiati al loro interno. Le vittime del terremoto, in realtà, sono vittime provocate dall'uomo, dall'incuria, dalla negligenza, dalla mancanza di una responsabile cultura del costruire.

Ciò premesso, il piccolo sciame sismico, circoscritto ai giorni 9 e 10 agosto 2014, sta a ricordarci che tutta l'Italia, salvo pochissime aree, è da considerarsi un territorio soggetto a terremoti. Anche vicino a noi, anche se a memoria d'uomo non si è verificato un sisma particolarmente violento. In realtà, nei secoli passati, non sono mancate scosse più o meno intense, ma di questo ne abbiamo già parlato nel post I TERREMOTI DI SAN MINIATO E DEI SANMINIATESI.

Certaldo, Palazzo Pretorio
Foto di Francesco Fiumalbi

Di seguito tutti i dati completi. Fonte: ISIDE – Italian Sismological Instrumental and Parametric Data-Base – curato dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

EPICENTRO. I fenomeni sismici si sono verificati nel Comune di Certaldo (FI), ed in particolare nell'area ove sussiste il centro capoluogo. Le scosse si sono concentrate, da un punto di vista planimetrico, lungo l'asse ideale costituito dalla Strada Provinciale n. 79 Fiorentina e via del Sasso. Particolare concentrazione è stata registrata nella parte compresa fra la Ferrovia e il Fiume Elsa, e la zona di Badia a Elmi. L'epicentro della scossa più intensa è stato individuato lungo la Ferrovia Empoli-Siena, in prossimità della rotonda di via Mario Fabiani. Nessuna scossa ha avuto come epicentro Certaldo “Alto”.

INTENSITA'. Nei due giorni di sabato 9 e domenica 10 agosto si sono verificati ben 43 terremoti con epicentro nel Comune di Certaldo:
n. 7 di grado compreso fra 0 e I della scala Richter (avvertiti solo dagli strumenti);
n. 28 di grado compreso fra I e II della scala Richter (avvertiti dagli strumenti e da chi si trovava nei pressi dell'epicentro);
n. 7 di grado compreso fra II e III della scala Richter (avvertiti dalla popolazione nei pressi dell'epicentro);
n. 1 di grado 3,4 della scala Richter (avvertito dalla popolazione anche a distanza di diversi km, come a San Miniato, a Fucecchio e a Empoli e comuni limitrofi)

ORARIO. Da un punto di vista temporale, il maggior numero di scosse si è verificato fra le ore 12.00 e le ore 20.00 del 9 agosto 2014, con ben 21 fenomeni sismici, fra cui quello di maggiore intensità. E poi fra le 22.00 del 9 agosto e le 03.00 del 10 agosto con ben 13 scosse.

PROFONDITA'. La gran parte dei terremoti (nel numero di 35) sono avvenuti con una profondità compresa fra i 7 e gli 11 km sotto la superficie terrestre. Per questo motivo alcune di queste, pur non essendo di particolare intensità sono state avvertite chiaramente dalla popolazione che si trovava nei pressi degli epicentri.






martedì 12 agosto 2014

DELLA VITA E DELLE OPERE DI MICHELE MERCATI – MISAEL PIERAGNOLI

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposta la trascrizione di un'interessante pubblicazione dal titolo Della Vita e delle opere di Michele Mercati Junore, redatta dal medico e professore Misael Pieragnoli (San Miniato, 17 gennaio 1817 – 29 gennaio 1878), già membro dell'Accademia degli Euteleti, per una adunanza, in occasione della quale raccolse notizie e informazioni sulla vita di Michele Mercati.

Il Mercati fu una figura straordinaria all'interno dell'ambiente scientifico del XVI secolo, raccoglitore di minerali e metalli nella celebre “Metalloteca”, e i cui risultati furono divulgati come opera postuma. Mercati fu importante anche per la storia sanminiatese, perché acquistò l'antica Rocca, dismessa dai fiorentini, e immortalata in suo onore all'interno della carta dell'Etruria, nella Galleria delle Carte Geografiche del Palazzo Apostolico Vaticano, su iniziativa del Pontefice Gregorio XIII [per chi desidera approfondire questo l'aspetto della dismissione della rocca, si rimanda a E. Marcori, Decadenza e cessione del sistema difensivo di San Miniato al Tedesco, in «Bollettino dell'Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. 77, San Miniato, 2010, pp. 309-318].

Michele Mercati, incisione tratta da un dipinto di Tintoretto
a corredo della Metallotheca, Roma, 1719

Di seguito la trascrizione, tratta da: M. Pieragnoli, Della vita e delle opere di Michele Mercati Junore. Cenni biografici letti all'Accademia degli Euteleti di S. Miniato nell'adunanza del dì 14 luglio 1853 dal socio onorario Dottor. Misael Pieragnoli, Stamperia Ristori, San Miniato, 1853.

M. Pieragnoli, Della vita e delle opere
di Michele Mercati Junore etc...
Tip. Ristori, San Miniato, 1853
Frontespizio

AVVERTENZA: in blu sono indicati i numeri di pagina, in grassetto le note che, come nel testo originale, sono collocate in fondo.


[01]
DELLA VITA E DELLE OPERE
DI
MICHELE MERCATI JUNORE
– – –
CENNI BIOGRAFICI
LETTI ALL'ACCADEMIA DEGLI EUTELETI
DI S. MINIATO
NELL'ADUNANZA
del dì 14 luglio 1853
DAL SOCIO ONORARIO
DOTTOR MISAEL PIERAGNOLI
– – –
S. MINIATO
STAMPERIA RISTORI
1853

[02]

[03] AVVERTIMENTO DELL’ AUTORE
Nello studiare la storia della Medicina del Secolo XVI mi occorreva rintracciare il nome di Michele Mercati di S. Miniato. Dolente che la memoria di sì grande uomo caduta fosse quasi nell'oblio, per quanto ricordato con molto onore dal Tiraboschi, mi nasceva desiderio conoscerne meglio le opere, alcune delle quali con somma difficoltà mi veniva fatto ritrovare. Nell'esaminare la Metalloteca rinveniva premessa a quella la Vita di Michele Mercati scritta da Monsignor Magelli, ma in poche linee, e senza ordine cronologico. Volli allora accingermi a dettarne brevemente la vita con quell'ordine che meglio a me fosse possibile, per farne quindi oggetto di una lettura Accademica, e corredandola di quelle Note e Documenti che in maggior numero avessi potuto rintracciare.
Non era mio pensiero renderla di pubblico diritto, ravvisando quanto povera cosa essa fosse; e certo che se valeva a destare un qualche interesse, ciò era solo per la memoria del sapientissimo uomo di che in quella teneasi parola. Pure condescesi [04] a stamparla, ed il feci per offrire un tributo di lode ad un sommo nostro concittadino, e togliere quasi quella macchia d'ingratitudine alla di lui memoria, che gravava sulla Città nostra, e che cancellava in parte il benemerito Prelato Torello Pierazzi, non ha guari rapito ai desiderj ed alle necessità della Patria, allora che, zelantissimo delle cose nostre, faceva porre a sue spese nelle Sale Vaticane una pietra che a ricordare valesse la sapienza, e la virtù che insignirono, e fecero grande il nome del Mercati .
Accogli, o Lettore, con benigno aspetto questa brevi pagine, e solo al pensiero riguarda di chi le dettava .

– – –

[05] Onorevoli per chi le promuove, efficaci per chi vi assiste sono l’evocazioni degli uomini grandi dalla tomba e dall’oblio; perciocchè il ricordare coloro che la patria con le virtù con la sapienza illustrarono sia sprone ai presenti ad imitarne l’esempio, sia tributo di meritata riconoscenza dalla patria offerto alla cara memoria di quei magnanimi, che la fronte le decorarono con nobil sorto di gloria. E bello è quel serto che posa sulla vetusta nostra città, poiché nel lungo giro dei secoli, da Fulgardo da Leporaja , da Pietro Mangiadori fino a Pietro Bagnoli ed altri nostri contemporanei, lo intesserono per non interrotto ordine quei preclari ingegni, che uscirono dalle antiche casate dei Buonaparte, dei Morali, dei Migliorati, dei Roffia, dei Cigoli, degli Ansaldi, nobilitandole col lustro delle cittadine virtù, con lo splendore del loro sapere. Opera egregia sarebbe raccogliere le biografie di questi eletti, nè saprei a quale più nobile subietto rivolger si potesse l'attenzione e l'operosità vostra, Colleghi onorandi – di questo avreste conforto dai presenti, riconoscenza dai posteri – Intanto mi sia [06] permesso presentarvi la Biografia di MICHELE MERCATI juniore, che per non comuni virtù, per rara attitudine diplomatica, per estesa erudizione, per profondo sapere nelle Mediche e Naturali discipline illustre addivenne fino a meritare, oltre un secolo dopo la sua morte, gli encomj del sommo Lancisi; encomj che quando perdute fossero le opere sue le sue memorie basterebbero soli a farci rammentar con orgoglio il venerato suo nome.

Pietro Mercati filosofo e medico prestantissimo, figlio di quel Michele Seniore dal Ficino chiamato il suo confilosofo, ed Alfonsina di casa Fiaminghi furono i genitori di Michele, che respirò in S. Miniato le prime aure di vita nel giorno 6 aprile 1541. Ben poco dei primi infantili anni di Michele sappiamo – questo solo è certo, che nella sua patria poté attendere ai primi studi, e tutta procurarsi quell'istruzione, che all’ammissione nel Pisano Ateneo richiedevasi – Questo valga a provarci che la primitiva istruzione è antico retaggio della città nostra, e che se alcuni benemeriti (1), all'istruzione i loro averi legando, ebbero pensiero di assicurarci per sempre al ricco tesoro, a noi incombe il sacrosanto dovere di conservarlo, di ampliarlo – Fin dai momenti della prima educazione diè il Mercati a divedere quanta speranza si potesse in lui riporre; nei suoi studi sorpassò gli anni, e fù l’ammirazione dei precettori, perocchè fornito fosse siccome scrive il Magelli, di vivissimo ingegno, di tenace memoria, e di profondo criterio all'età sua superiore. Con tali doti, ad una ferma volontà di apprendere unite, applicò al Greco [07] idioma, fè sue le lingue di Tullio, e di Tacito, e la Platonica Filosofia, la Filosofia dell’Avo, fù la delizia di quel giovinetto. In quei teneri anni mostrava già una singolare pietà religiosa, una somma propensione per lo studio delle cose naturali; e per questa, e per correr sulle tracce, che il valente genitore allora segnavagli, amò prescegliere lo studio della medicina e delle scienze che le fanno corona, ben comprendendo non esservi applicazione più atta ad inalzar l'animo a Dio quanto lo studiare le opere dell'eterna creatrice Sapienza.

Contava appena sedici anni ed era già alunno nella Pisana Università, la celeberrima allora sovra ogni altra d’Italia – Attese in seno di quella con studio indefesso alle mediche scienze, e risvegliò l’ammirazione dei suoi condiscepoli, pei quali addivenuto era subietto continuo dei loro sguardi e delle loro parole, e l'onore si fù di quei Sapienti, che gli Ippocratici dogmi, e la scienza dell’Uomo ai numerosi alunni dettavano – Fra i quali basti solo ricordare Andrea Cesalpino, che sulle vie procedendo dal Fabrizio tracciate, gli arcani della circolazione sanguigna investigava e tutto ne disvelava il sublime meccanismo – Che se l’Harveo alla scuola stessa educato del Fabrizio, e dei migliori Anatomici Italiani di quel tempo si appropriò la grande scoperta, che fè superbire Albione, di non grave difficoltà gli riesciva, dappoichè Cesalpino aveva indicato qual fosse il magistero delle valvole, come il cuore, e non il fegato fosse l'organo centrale del circolo sanguigno, come le arterie con le vene comunicassero, come la circolazione polmonale [08] e la generale si effettuasse (2) – La scoperta della circolazione è gloria Italiana, e noi non dobbiamo onorare l’inglese, che per la sapienza con la quale illustrò quanto dall’Anatomico d’Arezzo era stato discoperto – Ne ciò è soverchio amore di nazionale gloria ma storica verità. Ritorniamo al subietto nostro dal quale ne aveva allontanato il venerando nome del Cesalpino – Tanto insigne anatomico ascrive a sua gloria avere avuto per alunno il Mercati (3), e questa è luminosa e magnifica testimonianza di quanto valesse il nostro concittadino. Nel tempo in cui Egli con tanto lustro attendeva al tirocinio Accademico il Padre in Roma la medicina esercitava consultato, ed onorato dai Romani Pontefici pel suo medico sapere, facendo reverito il nome dei Mercati, e la via dischiudendo alla carriera che correr doveva il figlio; il quale, compiuti appena gli universitarj studj, si portava a Roma nel suo ventesimo anno, ove facendo tesoro dei larghi mezzi d’istruzione che gli offriva la Città eterna, arricchì di peregrine cognizioni il suo spirito, con i Grecisti di quel tempo conversando la greca lingua maggiormente apprese, e con l’aiuto di quella poté viepiù introdursi nei misteri dell'antichità, nei quali divenne dottissimo, come vedremo allorché sarà parola di una delle sue opere – Ma ciò che reca meraviglia si è, come mai potesse in tanta varietà e difficoltà di studi occuparsi più particolarmente delle scienze naturali, in modo da farne la sua scienza prediletta, ed acquistarsi in quella fama di valentissimo; e tanto maggiore si fa la nostra meraviglia quando si riflette allo stato in cui allora trovavansi le scienze [09] naturali. Queste tenute fino oltre il cominciar del secolo XVI poco o punto in onore giacevano avvolte nelle tenebre dell’errore e del pregiudizio – solo l’anatomia umana incominciava a correr sulle vie del progresso per gli studj del Fabrizio, del Cesalpino, e di altri egregi – Ascosi gli insegnamenti della Fisica, spenta sempre la face della Chimica – perciò nessuna idea vera della natura e della composizione dei corpi, sconosciuti i loro rapporti, i loro attributi, ignote le leggi che li governano, ed alla generale armonia dell’ universo li ricongiungono – Gli uomini piuttosto che osservare le cose che sono in natura, e da quelle alla considerazione elevarsi delle maggiori, perseveravano a perdersi nella fallacia di astratte speculazioni, ed in vane fogge d’argomentare – Non per anche il genio del Galileo, quella grande irradiazione della Divina Sapienza, aveva gli uomini all’osservazione dei fatti richiamato, e dischiudendo le vie della sapienza siccome dischiudeva quelle dei Cieli, sovra le sue vere basi lo studio delle scienze restaurato. Pure il Mercati cotanto allo studio di queste applicò, che dal solo lume guidato del proprio criterio poté con sicurezza procedere in mezzo alle tenebre che lo circondavano, nelle opere degli Antichi il vero dal falso distinguere, e la natura nei suoi tipi studiando a dissipare giungeva non pochi errori.

Era l'anno 1566 – 25mo. del Mercati – quando il Domenicano Ghislieri fu portato dal partito Borromeo al Pontificato (4) il nome assumendo di Pio V – Questi il suo regno incominciava col rendersi bene affetti i Romani spargendo ovunque i tratti della sua [10] beneficenza, della quale appunto ebbe d'uopo in quell'anno il popolo Romano travagliato da grave morbo epidemico – A tutti i poveri infermi dispensava il Pontefice limosine, e d’ogni maniera soccorsi – In tal circostanza gli fù agevole conoscere la pietà, il disinteresse, ed il sapere del giovane Mercati , che pronto accorreva ove potesse un'infelice ammalato con le sue cure sollevare; per cui volle dargli un attestato di ben meritata considerazione deputandolo a Prefetto degli Orti Botanici del Vaticano; il che gli valse ad argomento di vera lode, di somma probità, di non comune erudizione. Poiché per la traduzione del Dioscoride pubblicata pochi anni avanti dal Mattioli, tornato in onore e cominciato a risorgere lo studio della Botanica, erasi nelle città Italiane manifestata quasi una nobile emulazione nell’istituire orti botanici, che a facilitare valessero lo studio di quella scienza, preponendo alla direzione di quelli gli uomini più illustri del secolo, e giù erano sorti Orti Botanici in Pisa per le cure del Chini (5), e del Cesalpino (6), in Padova per quelle di Luigi Anguillara (7), ed istituendosi allora quello di Bologna sotto la direzione di Ulisse Aldrovandi (8), Roma dovea pure deputate alla cura dei suoi Orti un’uomo il cui valore scientifico non fosse a quello degli altri inferiore. Nè fù invano la fiducia da Pio nel Mercati riposta, avendoci lasciato scritto il Magelli, che tanta si fù l’attenzione e la diligenza da Esso impiegata nell’ordinare ed ampliare i giardini a lui affidati, che confermò ed aumentò quella generale estimazione d’ingegno e di dottrina di cui godeva: e l’Orto Vaticano che incominciò allora [11] ad aver nome, in pochi anni fu reputato uno dei più cospicui della nostra Penisola, arricchito per lui di molte piante esotiche con grande difficoltà e fatica raccolte, e distribuite con quel maggior ordine scientifico che i tempi permettevano; del che l’Aldrovandi stesso, parco lodatore, fa testimonianza chiamando il Mercati attento, ed indefesso raccoglitore di semplici (9). Ne ai soli vegetabili limitavansi le sue cure: fin d’allora Egli concepiva il pensiero di fondare ed ordinare un Museo di metalli, e l’attuava collocandolo nelle stanze contigue all'Orto Vaticano; quello negli anni successivi con tanto zelo, fatica, e scienza ampliava, ed arricchiva di ogni maniera di naturali prodotti, di ciascuno facendo la respettiva descrizione, e le prime basi gettava della sua METALLOTECA, opera della quale in ultimo terremo parola. Così protetto dal favore di Pio V, e del suo successore Gregorio XIII continuava i suoi studi di storia naturale sulla scorta di Plinio, e dei di lui illustratori, corrispondendo di continuo con gli scienziati di quel tempo, facendo suo quanto dei progressi delle scienze veniva annunziato dagli studiosi che le coltivavano – estendeva la sua erudizione sulla recondita antichità – ingrandiva la sfera delle sue cognizioni con frequenti viaggi per le Italiane contrade, nel tempo che per questi di sempre nuovi prodotti si l’Orto, come il Museo locupletava. L’esercizio pur della medicina non era da Esso trascurato, che anzi a quello con generale estimazione attendeva, e la Corte Romana era dalle sue cure assistita. Se noi dovessimo attenerci a quanto lasciò scritto il Magelli, si dovrebbe ritenere essere [12] stato il Mercati Archiatro solamente di Clemente VIII; ma in un'autografo della deliberazione del Senato di Firenze per la quale Egli veniva ascritto al patriziato di quella Città, autografo del quale più oltre, trovansi scritte queste parole «poichè si è trovato a servire con l'esercitio suo li dua sommi Pontifici passati Pio V, et Gregorio XIII di gloriosissima memoria, et ancora si trova di presente al medesimo servitio di Sisto V Sommo Pontefice....» per le quali parole mi sembra debba arguirsi che se Egli fu Archiatro di Clemente VIII, servì pure siccome medico Pio, Gregorio, e Sisto, per quanto il nome di Archiatro non fosse a lui stato conferito; che anzi mi giova ora notare, per quanto ciò mi porti ad anticipar le epoche, che il Magelli stesso, rammentando la ultima malattia di Gregorio ne dice, che il Mercati lo assistè di continuo diligente ed assiduo senza mai lasciarlo, amministrandogli da se stesso ogni maniera di medicamento.

Giungeva intanto l'anno 1575 – Il Pontefice Gregorio XIII apriva la Porta Santa, e pubblicava il Giubileo – in quell'istesso tempo nel Trentino, in Sicilia, ed in altre Città Italiane compariva la pestilenza – Roma nonostante il concorso straordinario dei forestieri ne rimaneva immune (10) – l'anno appresso ritornava ad inferocire il terribile morbo – Milano, le città Lombarde, la Venezia, Genova, le Sicilie ne furono orrendamente percosse – cadevano ovunque decimate le popolazioni. Girolamo Mercuriale chiamato prima a Venezia a giudicar del morbo che allora sorgeva, lo dichiarava influenza epidemica, [13] ed escludeva il contagio; ma il popolo al veder mietute migliaia di vittime e rimaste deserte le vie di Venezia, inferociva contro Mercuriale, ed a prender la fuga lo costringeva se voleva salvar la vita – cotali fatti si sono veduti rinnuovarsi ai nostri giorni tristo esempio di un popolo fatto cieco dell’ignoranza, ed inferocito dal timore di una vicina morte e dalla disperazione – Afflitto il Pontefice per tanta calamità volle che il Mercati scrivesse della Peste, ed al mezzo di fuggirla accennasse. Egli scrisse allora LA ISTRUZIONE SOPRA LA PESTE, che pubblicò nello stesso anno 1576, e per le gravi spese cui allora portavano le pubblicazioni, ed alle quali l'autore di per se si accinse, Gregorio accordo a quell’opera il privilegio di non poter essere ristampato per dieci anni nel dominio della Chiesa; lo stesso privilegio le fu pure concesso per la Toscana da Francesco I dei Medici, comminando la pena di cento fiorini d’oro al contravventore della legge; privilegio non accordato allora che agli scrittori di un merito insigne – L’opera è dedicata a Jacopo Buoncompagni Governator Generale di S. Chiesa – E' dettata in volgare ad imitazione del Ficino, che nella stessa lingua scrisse pur della Peste. Definita la Peste per un morbo epidemico mortifero, che può propagarsi per contagio, o vapore velenoso emanante dagli appestati, dai letti, e da altre masserizie, ove può conservarsi anche per tre anni, accompagnato da febbre di natura putrida, viene a parlare delle cagioni dividendole in interne, ed esterne – fra le prime ripone gli umori disposti alla putrefazione per la respirazione di aria carica di perniciosi effluvj, e [14] per ingestione di cibi di prava qualità – fra le seconde l'imputridimento dei tre elementi inferiori aria, acqua, terra, le ragioni indicando per le quali possono questi imputridire – conclude essere l'aria caldo-umida la condizione più favorevole allo sviluppo della peste. Non parlerò dell'estesa erudizione storica della quale fa sfoggio in questo capitolo, ne mi farò a norare quelle verità dai progressi della scienza sanzionate, che spesse volte visi riscontrano, fra le quali non può tralasciarsi l'aver ritenuto il calorico siccome agente distruttore del contagio, come appunto intesero provare in questi ultimi anni alcuni medici alcuni medici Francesi con esperienze sotto il sole della zona torrida istituite. Paga ancora Egli il suo tributo alle credenze dei tempi, ed alle dottrine astrologiche delle quali erano infestate le scuole di Galeno e degli Arabi ritenendo, sebbene con molto dubbio, la influenza delle stelle e la congiunzione di pianeti siccome causa della peste – Dopo tre secoli di progresso, ed in tanto lume di scienza eravamo destinati a sentire ai nostri giorni riprodurre da qualcuno con sorprendente asseveranza consimili delirj – Parlando dei segni della peste futura discorre saviamente del corso straordinario delle stagioni, del dominio dei venti australi, dello sviluppo strabocchevole d'insetti, delle vicessitudini atmosferiche, dei terremoti; ed è da notarsi l’osservazione del precedere lo sviluppo della pestilenza il manifestarsi, e correr con frequenza i carboncelli, le pustole, le macchie, i vajoli, ed altre congeneri affezioni, come l’assumer le malattie sporadiche molti dei sintomi propri dell'imminente contagio [15] – Osservazioni che riproduceva, e sapientissimamente illustrava il sommo mio maestro Bufalini nei suoi pensieri intorno alla colera – Bella ed esatta è la sintomatologia che Egli dà del feral morbo; e per quanto vi dominino i principi Galenici vi si ravvisa però sempre l'uomo che osserva secondo il naturale criterio, piuttosto che guidato da preconcette teorie – La cura preventiva, come la cura della peste già sviluppata racchiude in questi due principj: 1mo. porre il corpo in condizione tale che sia vuoto di superfluità, e che possa mandar fuori i vapori per i pori: 2do. far resistenza alle cagioni ed alle potenze distruggitrici della peste – quindi moderati salassi nei pletorici, purgativi tratti del regno vegetabile per ottenere certe particolari evacuazioni secondo la medicina di quell'epoca; fra queste si trovano più particolarmente raccomandate quelle sostanze che per uso interno, ed esterno valgono a tener vive le azioni nervee – raccomanda poi la pulizia delle abitazioni, delle vesti, la salubrità del vitto, commendando in special modo le sostanze acide, ed assegna tutte le cure che debbonsi seguire nella dieta degli appestati. Parla in ultimo dell'influenza che gli accidenti dell'animo puonno esercitare sugli individui esposti a contrarre il pestifero contagio – e bellissimi appunto, e meritevoli di esser letti e studiati sono gli articoli sull’ira, tristizia, invidia, accidia, gola, lussuria, avarizia, superbia, perocchè in questi rifulgano i tesori della Platonica filosofia, e lo studio dei Santi Padri – Tale è l'opera sulla peste del nostro concittadino (11). A ben comprenderne il pregio importerebbe analizzare lo stato [16] delle mediche scienze nel secolo decimosesto – ciò mi trarrebbe in lungo di soverchio, per cui mi limiterò a rammentare che l'anatomia sola i primi passi segnava nel medico progresso; però gli studi di quella non furono diffusi, ne alla Patologia con profitto applicati che nel secolo appresso – e per quanto la medicina fra i suoi cultori annoverasse un Fracastoro, un Alpino, un Brasavola, un Mercuriale, un Montano, ed altri valenti ingegni pure continuava a dettar legge la scuola Galenica intralciata, e sfigurata dalle sottigliezze speculative degli Arabi, e dai sogni dell’Astrologia giudiciaria, contro la quale erano già stati svegliati i primi colpi da Giovanni Pico della Mirandola, e dall'Accademia dei quattro medici Fiorentini (12). Ora se si considera il Mercati al paragone della medicina del suo secolo ci appare sorpassare i tempi; perocchè vi si scorga l'uomo che osserva le vere cause dei morbi, che incomincia ad emanciparsi dai lacci delle dottrine allora professate, che ritorna all’osservazione delle cose sulle vie dal Vecchio di Ceo tracciate. – LA ISTRUZIONE SULLA PESTE è seguita da altre tre brevi ISTRUZIONI; una sui VELENI accennando ai più securi mezzi per guardarsene, sulla PODAGRA l'altra, la terza sulla PARALISI, e questa scritta a richiesta del Granduca Cosimo I dei Medici, afflitto da paralisi per replicati accessi di apoplessia (13).

Negli anni che succedettero il Mercati si occupò più specialmente del suo Museo di già assai arricchito, continuò l'illustrazione dei raccolti metalli, facendo nel tempo istesso con somma diligenza scolpire i rami di quei pezzi dei quali maggiore il pregio giudicava, [17] sollevato in queste sue gravi fatiche dall’amicizia, e dalla singolare predilezione che per esso sentivano il Santo Filippo Neri, l'illustre storico Cesare Baronio da Clemente VIII della Porpora Gardinalizia insignito, e Giovanni Giovenale d’Ancina, di cui il Tiraboschi non sa dire se maggiore fosse la santità o la dottrina.

Ma la sua salute cominciava già a declinare; dai dolori cruciato gli convenne desistere dai suoi studi, e dai consigli confortato di S. Filippo si portava in S. Miniato, ove infermo languiva il vecchio Genitore (14), a respirar quell'aere salubre che aveva alimentato i primi giorni della sua giovinezza. Non è possibile assegnare il tempo del suo soggiorno in patria; certo è però che sul cominciar dell'anno 1585, calmate le sue sofferenze, trovavasi nuovamente nella Capitale del mondo cattolico, perciocchè nell’Aprile di quell’anno attaccato il Pontefice dalla grave infermità che lo spingeva al sepolcro era, siccome poc'anzi abbiam detto, dal Mercati nostro assistito. Morto Gregorio, il 24 aprile ascendeva la Cattedra di Pietro Sisto V. Profondo scrutator degli ingegni dal silenzio della sua vigna osservato aveva il Prefetto degli Orti Vaticani, ebbene il di lui merito conosciuto appena toccata la meta dei segreti suoi voti lo insigniva della dignità di Protonotario Apostolico, e con più ampie rendite il suo annuo assegnamento aumentava.

Il nome di Michele Mercati era già fatto illustre, e reverito in Italia; con esso corrispondevano i più rinomati personaggi di quel tempo, e quasi gareggiavano nel tributare onore alla sua dottrina. Francesco [18] dei Medici che allora dominava in Firenze (15) il faceva dai Consiglieri della Repubblica Fiorentina ascrivere al novero dei Patrizj di quella Città. L'antografo della deliberazione del Senato di Firenze, che io riporto alle annotazioni, mostra la fama cui avea raggiunto il nostro concittadino, e l'onore di che godeva la sua famiglia (16) – L’anno appresso il Senato Romano gli accordava la stessa onorificenza. Vediamo ora l' epoca più luminosa della vita del Mercati.

Si combatteva fra Sigismondo e Massimiliano per la successione al Trono di Polonia. La incerta fortuna delle armi se aveva rotte le forze di Massimiliano, non ne aveva fiaccata l’alterigia, e benché prigioniero di Sigismondo III non voleva renunziare al trono Pollacco, e senza questa formale renunzia la sua prigionia non cessava: invano riuscirono i preghi di Spagna e le minacce dell'Impero per ottenerne la liberazione – Sigismondo rimaneva inflessibile – Sisto temendo i progressi del Turco, che in quei tempi, ben dai nostri diversi, spinto dal fanatismo religioso e dalla forza di un giovane e potente impero l'Europa tutta d'invasione minacciava, non voleva che ad altro si rivolgessero le armi dei Pollacchi, reputando Egli il braccio di quei prodi quale inespugnabile baluardo della Cristianità contro il furore dei figli di Maometto. Il saggio Pontefice librando in sua mente la bilancia dei destini Europei voleva che Sigismondo rimanesse Signore di Polonia, ma desiderava ancora che fosse aperto quel carcere che già da un anno si era chiuso sopra Massimiliano, e che una stabile pace ponesse termine alle sanguinose gare di quei Principi. [19] A questo oggetto nel 1588 spediva a Sigismondo per suo legato il Cardinale lppolito Aldobrandini con numeroso e magnifico seguito: fra i più eminenti personaggi che accompagnavano il Legato primeggiava il Mercati. Difficile era la missione al Porporato affidata, e di sommo giovamento gli valse la perspicacia e l'abilità del nostro Michele, siccome Egli stesso confessa nelle sue lettere a Sisto. Il Mercati non solo prendeva parte agli affari, ma gli presiedeva trattando con sommo sapere ed accortezza le alte questioni di politica di quel tempo, del che scrivendogli a Cracovia con esso lui congratulavasi Lorenzo Frizzolio – La gravità degli affari che Egli era chiamato a trattare nol distoglieva dai suoi più cari studi – di là pure l'animo teneva rivolto al suo museo, e spinto dall’amor di arricchirlo profitto del soggiorno in Polonia per intraprendere viaggi scientifici, per perlustrare le miniere delle regioni che percorreva, e così studiare trarre e raccogliere da ogni parte quegli oggetti che migliori ed in maggior numero poteva – Ne a questo limitavasi l'infaticabile scienziato. Grato agli onori ed ai benefizj che da Sisto aveva ricevuti voleva dargli un attestato di sentita riconoscenza; per lo che vedendo quel Pontefice, che chiamerei l’uomo più straordinario del suo secolo, dalle gravissime cure che gli arrecavano lo stato, e le cose della sconvolta Europa l’animo sollevarsi nell'abbellir Roma di fontane, nel rialzare grandiosi Obelischi, fra i quali il più grande quello di Ramesse trasportato in Roma da Costanzo, volle scriver di tutti gli Obelischi la illustrazione ed al Pontefice inviarla . A tale oggetto detto l'opera ma ROMANIS [20] OBELISCIS – nella quale mostrò quanto versato fosse nello studio degli antichi scrittori, come valesse a comprendere i reconditi miti degli Egiziani, e la storia intendesse di quei popoli che stati erano la cuna delle scienze, ma che avvolte le aveano nel velo impenetrabile del mistero, e sfigurate innestandovi ridicole superstizioni. Quello però che desta alta meraviglia si è che questo libro scritto, come abbiam detto, in Polonia in quelle ore che carpir poteva agli affari ed al sonno, fu da Esso compilato senza aiuto alcuno di libri, e col solo soccorso della memoria – frutto del diligente studio da Esso fatto degli antichissimi scrittori. Ma basti di questo perocchè meglio ne parli la lettera che da Olmuz scriveva a Sisto il Cardinal Legato inviando e raccomandando al Pontefice il libro del Mercati (17) . Pubblicato questo nell'anno 1589 Latino Latini ne avvertiva l'autore avere errato sulla natura della palla posta in cima dell'Obelisco Vaticano, sulla cagione per la quale alcuni Obelischi mostrino due lati più larghi degli altri, sulla riduzione di alcune misure Egizie a misura Toscana, sull'inesattezza delle misure fatte con piedi e palmi Romani, sulla vera epoca della morte di Costantino e di Costanzo. Per le quali censure era costretto pubblicare il Mercati l’anno appresso LE CONSIDERAZIONI SOPRA GLI AVVERTIMENTI DEL SIG. LATINO LATINI; e con quella urbanità che al vero scienziato si addice, e con quel corredo di erudizione che sorprende le obiezioni tutte rigetta del preopinante, e nuovi argomenti ritrova a convalidare le già emesse opinioni; estendesi in belle considerazioni sulla natura dei metalli e delle pietre, [21] e chiude il suo libro con un dotto articolo sulle lettere Geroglifiche, articolo del quale non saprei dire se maggiore sia il pregio per la sapienza istorica sparsavi a larga mano, o per lo istile limpido, piano, e piuttosto conciso col quale è dettato.

Nel tempo che dimorava in Polonia fu il Mercati per la sua dottrina dai Principi che lo conobbero onorato, e tutti della di lui conversazione, siccome di venerato maestro, dilettavansi. L'Imperatore Rodolfo II, meravigliato della sapienza dello scienziato Italiano, e desiderando rivederlo anche una volta, fu ad aspettarlo in Praga per dove doveva passare al suo ritorno in Italia, e rimase dolentissimo quando intese aver egli presa altra via.

Reduce in Italia continuò a tener corrispondenza scientifica e politica con quei Regnanti che aveva personalmente conosciuti, e con i grandi funzionari degli Stati. Trattò alla Corte di Roma gravissimi affari siccome incaricato particolare di Ferdinando I di Toscana; e spesse volte fu l'opera sua richiesta presso quella Corte dalla Veneta Repubblica, dall'Arciduca d'Austria, dal Duca d'Urbino, da Sigismondo di Polonia. E ciò sia prova della sua sagacia, della sua attitudine diplomatica.

Grande intanto addivenuta era la sua fama: da ogni parte da coloro, che in quel tempo maggior nome acquistato aveano nella cultura delle scienze, il giudizio suo ricercavasi nelle gravi questioni di Filosofia, di Medicina, di Scienze naturali. In esso onoravasi il fondatore del Museo Vaticano, e se ancora non era conosciuta che da pochi amici la sua [22] METALLOTECA, tutti però ritenevano il Mercati siccome celebre filosofo, ed eruditissimo nelle naturali cose, come appunto lo dice il Contemporaneo scrittore degli Annali Ecclesiastici (18).

Negli ultimi mesi dell'anno 1590 afflitto dalla morte di Sisto, cruciato dai dolori riducevasi nuovamente in patria nella speranza di sentir mitigati, come per lo innanzi, i suoi patimenti: sembra che quivi alquanto della perduta salute recuperasse, poiché con Esso lui se ne rallegrava S. Filippo Neri in una lettera che in data del 3 maggio 1591 da Roma inviavagli; lettera il cui originale conservasi nella Cappella del Palazzo Vescovile di S. Miniato, e che sembrami prezioso documento si per la mano che la vergava, e come testimonianza della stima che per i Mercati, e per la Città nostra quel prediletto di Dio nutriva (19). Si occupò in quel tempo di sistemare definitivamente quanto importava al Monastero della SS. Trinità eretto in S. Miniato per la munificenza sua e della famiglia, nel quale aveva in addietro collocate tre sorelle come fondatrici, dai Romani Pontefici ottenuti quei privilegi tutti che più opportuni reputava, e con ingenti somme sovvenuto ed arricchito. Dubitando forse di non più rivedere le patrie mura dettava allora il suo testamento nel quale dispose delle sue doviziose sostanze in favor dei nepoti, dei poveri, e di quel Monastero.
Dopo pochi mesi però gli convenne lasciare S. Miniato, perocchè nel 30 gennaio 1592 assunto al Pontificato il Cardinale Ippolito Aldobrandini col nome di Clemente VIII, richiamasse in Roma il Mercati suo [23] prediletto compagno di studi e di viaggi, e d'ogni grazia e favore ricolmandolo l'onorevole incarico di suo Archiatro a lui affidasse – Fù in questo tempo che egli domandò ed ottenne dal Pontefice che nel celebre cortile del Vaticano, Ove si dipingevano tutte le illustri città fosse pure dipinto il castello di S. Miniato, siccome ancora si vede, apponendovi la seguente epigrafe –

» Miniatense nobile oppidum a Desiderio Rege auctum,
» postea a Federico II intra cursum Imperii Vicariorum
» sede, Alto Descum Tribunal ideo appellatum » (20)

Di nessun'altra cosa Egli occupavasi intanto, dopo le cure al Pontefice dovute, che di porre in ordine la sua METALLOTECA, ampliandola di varj articoli, correggendone, e perfezionandone i rami all'oggetto d'incominciarne tosto la pubblicazione in quella Città riserbandosi a compilarne una seconda parte per trattare in quella delle Rocce, Pietre preziose, Oro, Argento, Rame, ed altri metalli, e delle tante modificazioni da questi subite nelle officine metallurgiche. Ma quando era per dar mano all'opera più atroci si fecero i suoi dolori – la malattia talmente esasperò che ei perdette ogni speranza di salvezza – conobbe allora quanto saviamente pensasse Giovenale Ancina allorché nel 1590 lo esortava a pubblicare sollecitamente l'opera sua (21). Calcoli renali ed epatici costituivano la di lui malattia, e se i dolori da questa apportati siano atroci non abbisogna che il dica; pure ei sempre li sopportò in modo ammirabile con quel coraggio e rassegnazione che è propria del vero Filosofo Cristiano, consolato dalle memorie di una vita [24] intemerata, e dall'amicizia di S. Filippo, e del Cardinal Baronio, che incessanti lo assistevano. Oltremodo si doleva Clemente allorachè intese non potersi avere nessuna speranza di salute pel Mercati, ed esclamava spesso » Noi perdiamo un uomo di grande probità, ed un ottimo nostro familiare » Egli riceveva i soccorsi tutti della Religione da S. Filippo, e nelle braccia di quel Santo Uomo spirava nel giorno 26 giugno 1593 in età di anni 52 mesi 2 giorni 20. Nella sezione istituita sul suo cadavere furono trovati due calcoli adesi negli ureteri, uno dei quali della grandezza di una nocciola, l'altro un poco più piccolo; altri bianchicci nei reni in numero di sessanta, e trentasei di colore oscuro, angolari e della grandezza del cecio nella cistifella (22) – il suo corpo fu posto nella Cappella della villa della Vallicella nei Sepolcri della Famiglia Mezzabarba.

Dopo la morte di Michele Mercati il manoscritto della METALLOTECA, ed i rami in numero di 130, che furon giudicati importare la somma di mille piastre, passarono nelle mani dei suoi eredi, e da questi pochi anni avanti il 1666 fù tutto venduto a Carlo Dati di Firenze per la somma di 70 doppie, perocchè aveva egli pensiero di pubblicare quest'opera, pensiero che non poté attuare non avendo le 200 doppie di cui abbisognava per quella pubblicazione (23). Clemente XI ricuperato finalmente il manoscritto dal Cav. Paolo Alessandro Maffei, lo fece portare a Roma con tutti i rami, e ne affidò al suo Archiatro il celebre Lancisi la cura della pubblicazione, che con bellissima edizione in foglio, degna della magnificenza e delle [25] idee grandi di Clemente, e corredato di note del Lancisi medesimo e di Pietro Assalti si effettuò in Roma nel 1717.

Anche di troppo della sofferenza vostra abusai per avere ardimento ora di porgervi un'estratto ragionato di opera così voluminosa e variata: io mi limiterò solo ad accennarne la partizione . Con uno stile ed una lingua degni dei bei tempi del Lazio descrive il Mercati le produzioni tutte della natura, e più particolarmente le minerali da Esso raccolte ed ordinate nel Museo-Vaticano, e che comprende tutte col nome generico di metalli, intendendo con tal nome parlare di quei fossili, di quelle produzioni, non escluse alcune che degli animali sono proprie, produzioni o corpi, che costituiti in prima di certi particolari elementi, attingono quindi per le grandi forze generali del globo le forme materiali a raggiunger la somma perfezione possibile – Questo pensiero solo che il fondamento costituisce delle verità e dei progressi di cui va ricca l’odierna Geologia, pronunziato tre secoli addietro, mostra un'uomo che colla meditazione era giunto in parte a comprendere quelle variazioni che la superficie del nostro pianeta ha subite nel lungo periodo delle varie sue epoche, ed aveva presentite le leggi che le metamorfosi continue dei corpi che racchiude governano: questo pensiero, se mal non mi appongo, non era stato vergato da nessuno scrittore prima dei tempi del Galileo e del Newton. Diviso il Museo in dieci armadi e questi in piccole cassette, importava divider nell'istessa guisa la METALLOTECA – Racchiude il primo armadio le terre divise [26] secondo i loro fisici caratteri e secondo gli usi cui servono – Comprende il secondo diversi sali, ed i nitri; gli allumi il terzo; il quarto i sughi acri; i sughi pinqui il quinto annoverando in quelli il vetriolo, il verderame, l'arsenico, in questi lo zolfo, l'ambra, ed ogni maniera di bitume, per tacere di altri molti; il sesto alla descrizione dei prodotti marini è destinato, siccome il settimo alle pietre che alle terre assomigliano; delle pietre che nascono negli animali ne tien parola nell'ottavo; e tratta nel nono degli idiomorfi o pietre dotate di figura e forma particolare, racchiudendo in questi due ultimi articoli bellissima collezione di conchiglie; il decimo finalmente è destinato ai marmi; al capitolo terzo di quest'ultima sezione del marmo Pario ragionando ricorda ed illustra i prodigi dell'arte Greca impressi da Fidia nel Laoconte, nell’Apollo, nell'Antinoo – modelli che il genio Italiano personificato da Michelangiolo e da Canova poteva solo comprendere – Nel trattare delle singole specie, figurate nell'opera con bellissime incisioni in rame, fa il nostro autore di ciascuna la illustrazione istorica, le qualità fisiche ne descrive, riporta quanto di esse opinarono gli autori antichi, in special modo Aristotele, Plinio, Galeno, gli Arabi, confrontando e spesso rigettandone le opinioni, nè tralascia ricordare a quali usi siano destinati. Degni di molta considerazione, per tacere di moltissimi altri, sono gli articoli sul salnitro, sull'allume, sullo zolfo, sulla magnete, nel quale ultimo narra il suo viaggio all'isola d’Ilva, o Elba intrapreso per lo studio di quel minerale, con molto criterio ragionando della forza che al [27] polo dirige la magnete, e delle variazioni che quella subisce sotto l'equatore.

Tale si è la METALLOTECA del Mercati nostro. A noi educati in un tempo nel quale le scienze naturali hanno fatto, e fanno sotto i nostri occhi immensi progressi l'opera del Mercati non sembra cosa di grave momento; ma ricordando che fu dettata tre secoli addietro, quando quelle scienze giacevano involte nel caos della confusione, allora cessa di apparir meschina e ci desta alta meraviglia – Le opere del Mercati, di Prospero Alpino, del Cesalpino, dell'Aldrovandi sono i primi raggi di luce sparsi nel XVI secolo sulle misteriose opere della natura (24) – Ciò basti per farci andar superbi di esser chiamati suoi concittadini.

Michele Mercati ebbe indole quieta, tranquilla, e quale conviensi all'uomo che medita profondamente, e le ragioni ricerca dei portenti della natura. Fù amato da tutti, perché per tutti ebbe amore, ne vi fù alcuno che di Lui avesse a lamentare un atto men che cortese; così niuno la grazia di cui godeva invidiò, ne la sua fortuna tentò arrestare, ne offuscar la sua gloria. Gli amici, ed i letterati con ogni potere soccorse. La virtù, il sapere, l'operosità agli onori lo portarono, che l'animo suo aborrì sempre da ogni maniera di raggiro e di viltà – Ei fu grande veramente perché la grandezza dell'uomo sapesse tutta racchiudersi nella scienza e nella virtù.

Fù di corpo piuttosto pingue, alto della persona, nei movimenti tardo – fronte elevata ebbe e spaziosa; volto sereno, ilare, che nella placida armonia delle [28] sue forme il candore tutto e la bontà dell'anima disvelava – nello studio infaticabile, e di quello più che di sua salute curante; per cui questa sempre mal ferma, ed Egli fatto oggetto di quei morbi dei quali la genesi tiene ragione dalla quiete del corpo e dalla tensione della mente.

La vita del Mercati segna una delle più belle pagine della nostra patria istoria – io tentai i sommi tratti delinearne – Se il mio povero ingegno non potè sollevarsi all'alto subietto cui mirava, sarò ben pago però se alla Gioventù nostra, che al cammino s'indrizza della scienza, avrò offerto un modello degno della sua contemplazione, e nel cuore ispirato il desiderio d'imitare Michele Mercati.

[29] NOTE E DOCUMENTI

(1) S’intende parlare dei lasciti fatti da Miniato Spagliagrani, e da altri a favore dell’ istruzione.

(2) Vedi Cesalpino - Questioni peripateticbe Qu. IV. L. V. e Ope. M. Lib. III. C. 17 – ove più esplicitamentc si legge »Illud sciendum est cordis meatus ita a natura paralos esse ut ex vena cava intromissio fiat in cordis ventriculum dextrum unde patet exitus in pulmonem. Ex pulmone praeterea alium ingressum esse in cordis ventriculum sinistrum ex qua tandem patet exitus in arteriam aortam.

(3) Caesalpinus – in Epist. dedicat. ad Clementem VIII super Opera de Metallicis. » Sed ecce, quamprimum Romam petii tua singulari benevolentia advocatus, ut medicinam publice profiterer, comperi eandem provinciam a Reverendissimo, ac Perillustri Michaele Mercato viro doctissimo susceptam, eamque cum is mihi comunicasset tamquam praeceptori suo, quo usus est dum Pisis simpliciu profiterer, incredibili laetitia affectus sum, quod discipulum praeclarissimum ex schola mea tanquam ex proprio ventre prodeuntem adeo profecisse viderem, ut toto urbe admirabilis redderetur. Inter ........
(segue alla nota 22)

(4) Muratori – Annali d'Italia. Anno MDLXVI.

(5) Nell'anno 1544.

(6) Nell'anno 1557.

(7) Nell'anno 1545 il Senato Veneto ordinò che a pubbliche spese si formasse un Orto Botanico in Padova – e nell'anno 1546 ne affidò la formazione e la cura a Luigi Anguillara – però fin dal 1533 reggeva la cattedra dei Semplici in quella Università Francesco Buonefede e a proprie spese raccoglieva quelle piante, il cui uso doveva insegnare.

(8) Nell'anno 1576.

(9) Corrispondenza epistolare dell’Aldrovandi riportata nella sua vita.

(10) Muratori Annali d’ Italia.

[30]

(11) L’Istruzione sopra la peste è pur ricordata da Giuseppe Frank nella storia e letteratura della peste del XVI secolo fra i moltissimi autori Italiani e stranieri che della peste, quasi continua in quel secolo, trattarono.

(12) Nell’Osservator Fiorentino stampato in Firenze nel 1776, parlando dell'Accademia del Dottor Michelangiolo Targioni, si legge (7. I. part. 4. p. 29) » lo spirito stesso che
» anima adesso questa società ne promosse un altra simile circa
» il 1530. Era ella composta di quattro soli medici, che
» solevano radunarsi nella bottega di uno Speziale, presso la
» Chiesa ora soppressa di S. Apollinare sulla piazza di Firenze,
» ed erano Liccardo Giacobini, Jacopo Mini, l’Atanagi,
» e Pierfrancesco Paoli – Si dichiararon questi contro quella
» setta di medici chiamati Arabisti, i quali leggendo alterati
» nelle traduzioni provenienti dall'Arabi i testi d’Ippocrete,
» Galeno, e degli altri Greci maestri, depravavano con
» dottrine erronee la pratica dell'arte Esculapia »

(13) Magelli scrive per Cosimo II – Ma Cosimo II saliva al trono Toscano nel 1609, e quest'istruzione e stampata dall'autore nel 1576 -- Daltronde Cosimo I era attaccato da paralisi nel 1573 – Dal che chiaro resulta l'errore nel quale cadeva il Magelli.

(14) Pietro Mercati moriva nel 1585 – Fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco in S. Miniato ove leggasi la seguente iscrizione lapidaria –
Petro Mercato
Philosofo, et Medico praestantissimo
Qui bonas artes prudentia, fida, et religione
Ornavit,
Domi clarus fuit, foris honoratus
Pio V et Gregorio XIII
Summis Pontificibus
Cognitus, et. gratus
Michael, et Franciscus filii
Parenti optimo posuere.
Vixit annos LXXI, dies XIII
Obiit idibus maji MDLXXXV.

[31]

(15) Per amor di verità importa notare un'errore cronologico nel quale è Caduto il Magelli nei pochi cenni sulla vita del Mercati premessi alla Metalloteca «ivi» Annum agebat
» Michael septimum supra vigesimum, cum Ferdinandus I Ma-
» gnu; Dux Etruriae, ut benevolentiae et amoris sui in Mer-
» catum eruditionis fama ubique jam celebrem aliquod extaret
» monumentum, inter nobiles illum Florentiae familias adscri-
» ptum voluit » Ora il 27mo anno di vita del Mercati corrisponde al 1568 – e Ferdinando I saliva al soglio Granducale nel 1587. D'altronde la deliberazione del Consiglio della Repubblica Fiorentina è in data del 1585 epoca in cui regnava Francesco, e che equivale al 44mo anno della vita del Mercati.

(16) Provvisioni del Senato dal 1577 al 1601 Classe II Distinz. l num. 222.
In Dei nomine amen
Anno Domini nostri Jesu Christi ab ejus salutifera Incarnatione MDLXXVII Indictione VII die vero XIX julii, tempore sanctissimi in xpo. patris, et Domini nostri, Domini Gregorii divina previdentia Papae XIII, Francisco Mediceo Magno Duce Etruriae secondo dominante.
In consilio Ducentorum virorum Reipub. Florent. in palatio Ducali more solito congregato pro finali conclusione fuerunt obtemptae provisiones infrascriptae ec. ec. ec.
Ed a pagine 82, e 83
A dì 20 Dicembre 1585
Il Serenissimo Granduca di Toscana e per S. A. S. li Molto Magnifici, et Clarissimi Signori Luogotenente et Consiglieri del la Repubblica Fiorentina ec.
Avertendo alla gratia speciale di S. A. S. et al mandato fatto d'ordine di quella per il Magco. M. Piero Conti suo Segretario sopra il doversi deliberare et far partito per le SS. loro Clarissime, che M. Michele et Francesco di M. Pietro Mercati di S. Miniato al Tedesco sieno descritte a gravezze in Fiorenza et fatti habili alli offitii della Città et fuori con ordine perciò quanto convenga, et havendo examinato le preci di [32] detti M. Michele, et Francesco (a – Si noti che questa maniera è usata in tutte le deliberazioni di quel tempo, e che non le domande dei Mercati, ma la volontà del Regnante provocarono questa deliberazione.), et quanto appresso si sia detto essendo stato esposto per parte loro che il prefato M. Pietro loro padre fu Medico, fisico, et si esercitò con buona reputazione nella detta Terra di San Miniato dove acquistò et lasciò beni alli detti sua figli: et andando in particolare il prefato M. Michele come medico fisico seguitando così le sue vestigia con aver superato di gran lunga le fatiche et opere di detto suo padre poiché si è trovato a servire con l’exercitio suo li due Sommi Pontifici passati Pio V. et Gregorio XIII. di gloriosissima memoria et ancora si trova di presente al medesimo servitio di Sisto V Sommo Pontefice, et che per tal conto è stato riconosciuto con molti honori et gratie dandoli benefitii di Pensione et Uffitii per il che ha da qualche tempo in qua aquistato assai facultà nella detta terra di San Miniato le quali cose sono state e sono di splendore et dignità in la detta loro terra et nella loro casata, et famiglia et nella persona in somma di detto M. Michele, et Francesco suo fratello avendo egli le medesime facoltà et privilegii precedendo cosi tutto dalle virtù et esercitio del padre loro, et di detto M. Michele, come di sopra, et volendo perciò far loro gratia speciale mediante la commissione di S. A. S. fatta a favore loro al etiam per loro dignità et honore haevendo quella sempre rispetto non solo alla conservatione de sua sudditi ma relevare quelli che sono meritevoli per le loro virtù, opere et. facoltà insieme. Però servate le cose da servarsi et ottenuto il partito secondo gli ordini deliberorno, et deliberando dichiarorno providero et ordinorno quanto appresso cioè
Che per virtù del presente decreto s'intenda essere et sia dato facoltà et concesso alli detti M. Michele et Francesco di potere levare tutti Ii loro beni dal libro dell'estimo di quei luoghi ove sono di presente et farsi descrivere il gravezze con tutti li detti loro beni per la Città di Fiorenza, et quello pagare alla regola delli altri Cittadini fiorentini, et perciò [33] commesseno alli offitiali di Monte et a chi s'aspetta che li faccino descrivere, et mettere sotto quel quartiere et Gonfalone che loro si eleggeranno, et inoltre che li detti M. Michele et Francesco possino et devino essere ammessi alla Civiltà di Fiorenza e cosi fatti habili descripti et. ammessi con tutti li offitii, benefitii, honori et dignità della detta Città, et fuori di essa per potere et dovere quelli havere et godere si come sono soliti gli altri Cittadini fiorentini; Volendo et intendendo le prefate SS. loro Clarissime che tutto sia loro osservato inviolabilmente in quei Magistrati, et offitii che si ricercano, et per quelli Ministri o altri a quali ciò fare appartiene et però a cautela ne comandorno a ciascuno di assi respettivamente l’inviolabile osservanza non ostante qualsivoglia altra cosa in contrario et con la tassa ordinaria per doversi quella pagare prima et avanti in ogni cosa in quei luoghi et dove si aspetta et tub to in ogni miglior modo.
Mand. Alessandro Mainardi Canc. ec. cc.
Dalla I. e R Direzione dell’Archivio Centrale di Stato

(17) Lettera del CARDINALE IPPOLITO ALDOBRANBINI assunto poi al Pontificato col nome di CLEMENTE VIII.
a tergo » Sanctis. Domino Nostro Sixto V.
entro » Beatissimo Padre
Potrà ben la Santità Vostra, senza il mio testimonio, solo leggendo il libro di Monsign. Mercati, Protonotario Apostolico, degli Obelischi di Roma, che ora Egli dedica a Vostra Beatitudine, conoscere di lui una grandissima erudizione, et una cognizione esattissima delle istorie antiche, et una osservazione minutissima, et diligentissima, non solo delle cose, ma dei tempi, dei luoghi, et di tutte le altre circostanze, et un'acume d'ingegno grandissimo nel conjetturare quelle cose, le quali o la poca diligenza degli Scrittori antichi, o l'ingiuria [34] del tempo ci ha lasciate molto oscure, et un giudizio gravissimo nel metodo, et disposizione di tutta l'opera. Ma senza il testimonio mio, o d'altri, che l’havesse veduto, come ho fatto io, difficilmente potria, se io non m’ inganno, Vostra Beatitudine sapere quello, che a me è parso, et parrà sempre degno di molta maraviglia, come in un viaggio tanto lungo, et tanto travaglioso habbia Egli potuto sottrarre tante ore alle cure convenutegli per bontà sua havere nel viaggio, che sono state molte, et non punto leggieri, havendolo adoprato in questo negozio della pace bene spesso in molte, et diverse occasioni, et anco a proprio sonno, et senza aiuto di altri libri, che di quello della propria memoria, et della diligente osservazione fatta negli scrittori antichi, et antichissimi, et cavare dalle tenebre dell'oblivione materia sì astrusa, et quasi già totalmente uscita non solo all'età nostra, ma a molte superiori della memoria degli huomini, stimolato solo da un ardentissimo desiderio, che porta fisso nell'anima di celebrare sempre, quanto potrà, le azioni veramente eroiche della SANTITA' VOSTRA. Di che le posso far'io certissimo testimonio, siccome fo, poiché i ragionamenti suoi tenuti in questo tempo meco non hanno quasi mai riguardato altro oggetto, che questo. Se io non sapessi, quanto la SANTITA’ VOSTRA ama gli huomini dotti, e particolarmente Monsig. Mercati, il quale insieme con la moltiplicità delle Scienze ha anco congiunta molta prudenza nelle azioni, et una grandissima bontà di vita, et candidezza di costumi, ardirei di supplicare Vostra Beatitudine a ricevere con grato animo et il libro, et l’autore del libro; ma sapendo quanto Ella intrinsecamente lo conosca, et ami, giudicando superfluo, cesserà da questo, non lasciando però di supplicarla, come lo umilissimamente, et con tutto l'affetto dell'animo mio, a ricevere quest'opera ancora con tanta miglior cera, poiché insieme riceverà un compagno, et se fosse lecito usare questa parola un mio comperegrino in questo viaggio. Bacio con questo fine a VOSTRA SANTITA’ con tutta quella maggiore humiltà, che io posso, li Santissimi Piedi, sperando con la [35] grazia di Nostro Signore Iddio Benedetto, poterlo fra non molto tempo da poi fare di presenza.
D’ Olmuz alli XVIII di Marzo 1589
Di VOSTRA SANTITA’ Umiliss. et Obligat. servo, et creatura
Ippolito Cardinale Aldobrandini

(18) Sed feliciter Occorrit nobis Michael Mercato: Miniatensis, Protonotarius Apostolicus, Sanctissimi Domini Nostri intitimus familiaris, celebris aetate nostra Philosophus, rerum naturalium eruditissimus. , . . . ,
Baronius – Saeculo I. pag. 171.

(19) Lettera di S. FILIPPO NERI
a tergo » Al Molt'Illustr. e Reverendis. Mons. mio Osservandiss.
Il S. Michael Mercati
S. Miniato d'Alto Desco
entro » Molt'Illustr. et Reverendiss. Mons. mio Osservandiss.
La lettera di V. S. molt’illustre, e Re insieme insieme mi ha recate molto cagioni di allegrezza; et la prima si è, che molto mi è piaciuto intendere il suo arrivo costì a salvamento, et che il viaggio non solo non li è stato molesto, anzi, principio di miglioramento et accrescimento di sanità: Il che mi aggrada grandemente, essendo uno dei maggiori desiderij, et cosa grata, che mi potesse succeder di presente; l'altra cagione di contentezza è, che non solamente ha Ella principio di acquisto di sanità, ma (siccome scrive) va alla giornata acquistando; di che ne ringrazio il Signore, sperando la totale recuperazione della pristina sanità, si per l'amenità dell'aria, et delle persone da bene, et d'ingegno, dalle quali avrà contentezza interiore, che aiterà a consolidare il tutto. La sua Rocca di più, che le gusta per la vaghezza de' giardini, de' salvatichi, de' pomarij, et altre vaghezze, che lei gode mi recca similmente contentezza; perchè insieme con lei mi contento, et allegro di qualunche vaghezza ivi si trova: et lei la gode presenzialmenle, et io mi godo, che ella ne gioisca; et con l'animo ho la mia parte della contentezza che ella ne prende. [36] Mi aggionge consolazione l'intendere che le sorelle di lei, et spose di Xpo tenghino memoria di me, et ancora più per la buo: mem: del padre loro, il quale mentre visse, se li piacque haver, e spargere qualche buon odore di me, quello procede dalla innata bontà sua, et che egli era avvezzo a pensar bene, et parlar meglio di chi trattava seco, la qual bontà ho sempre ammirato, et ora mi persuado, che egli ne colga il frutto in Cielo, et l'istessa bontà havendo hereditato sue figliuole facilmente seguiranno le orme di lui, le quali tutte saluto con affetto santo, et di cuore godendomi, che la grazia del Signore in esse verrà a perfezionar Ii doni naturali, si ehi: cresceràno di spirito, e di virtu, il che desidero assai. Circa poi quel personaggio, che desiderano sia assònto al sòmo grado, il desiderio loro procedendo da buona, et semplice intentione, può esser preso bene, ma mi par più sicuro, pregar in generale per quello soggetto piacerà alla Divina Providenza concederci, et restando tutto di V. S. le prego santa consolazione .
Di Roma il di 3 di maggio 1591.
Di V. S. Molto Illustr. et Illustr. et Re.
uff. servo in C.
Filippo Neri

(20) La parola alto Descum trovata in questa epigrafe mi poneva in grave dubbio che l'aggiunto al Tedesco volgarmente dato a S. Miniato fosse errore di scrittura invalso e ritenuto poi nel correr del tempo, o che invece dir si dovesse alto Desco. Osservati alcuni manoscritti antichi ho in quelli trovato questa maniera di scrittura, usata pure come si vede da S. Filippo: Se si rimonta alla ragione di questo aggiunto la troviamo certamente nella istituzione della sede del Vicario Imperiale; ed appunto perché Imperiale creduto doversi dire al Todesco secondo l'antica maniera, o al Tedesco secondo la moderna. Ma qui ed altrove veggiamo scritto d'alto Desco. Descum parola non latina, ma nata nei bassi tempi dalla mescolanza delle varie favelle, e dalla quale il volgare desco, si [37] prende talvolta nella nostra lingua per seggio di governatore, (V. Vocabol. della Lingua Italiana di Gina. Manuzzi) ed in questo senso sembrami bene applicabile al caso nostro, perché con quella parola si volesse indicare la sede dell'Imperiale Vicario, e così la ragione di quell'aggiunto sarebbe ben più razionale. Mi riserbo a decifrare questa questione, che ora ho accennata, in altro lavoro, nel quale mi occorrerà di parlare di antiche cose spettanti a S. Miniato.

(21) Lettera di Giovenale Ancina
Illustre e Molto Reverendo Signore
Agli molti obblighi vecchi, che io tengo con V. S. due altri nuovi mi vengono aggiunti, l'uno della carità usata in mio fratello mezzo Ophtalmico: l'altra del nuovo libro d'Avvertimenti suoi, quale mi è stato gratissimo, e spero goderlo per la prossima settimana che sarà legato: del che tutto quanto più posso, la ringrazio, e le ne bacio reverentemente le mani. Quello degli Obelischi, pieno di tanta erudizione, e grata varietà lessi già sin d'ottobre passato nella mia convalescenza, e fecilo gustare saporitamente a certi Cavalieri Napolitani, dotti, e curiosi di cose antiche più recondite. Hor la prego, e scongiuro a voler quanto prima mandare in luce la bellissima, rara, e divina sua Metalloteca, senza più indugiare per non privare il mondo di tanto frutto; oltreché la morte viene, e spesso rompe i disegni di molti anni passati. « Morte vi s'interpose, onde ei no 'l fè. Memento, quia mors non tardat. » Eccls. 14 Con qual fine a V. S. e a Monsignor Frizzolio di tutto cuore mi offro, e raccomando pregandole ad entrambi da Dio N. S. ogni vero contento
Napoli li 15 giugno 1590
Di V. S. Illustre e Molto Reverendo
Devoto servo obbligalissimo
Giovenale Ancina

(22) Cesalpino
Inter caeteras enim lucubrationes Metallothecam Vaticanam miro ordine construnt, loculis propriis singola corpora distribuens, ut [38] ingens eorum turba absque ulla turbatione intuetibus praesto esset. Eorundem imagines aereis typis imprimendas curavit, adjuncta enarratione fecundissima ex omnibus Auctoribus tam priscis, quam posterioribus collecta, ut desiderari quid amplius nequiret – Oh haec superfluus videbatur labor hic noster, sed pro dolor! vix confecit primum volumen, in quo de terris agit, salibus, aluminibus, caeterisque congeneis, Sulphure, Bitumine, et Lapidibus quibusdam; quando immatura morte preeventus, eaque inevitabili ob calculos in utroque rene ingentes, ac numerosos, et quamplurimos alias in vesica fallis repertos (quasi dum terme cunicolos rimaretur, in scipso non absimi Iia procrearet) imperfectum opus relinquere coactus est. Deest enim de Marmoribus tractatio, et de gemmis; et metallis: quo rum sylvam esse quidem apud se in fragmentis quibusdam afferehat, sed minus elaboratam. Hinc duxi ec.
Magelli
» In dissecto demortui cadavere lapides duo in ureteribus haereutes inventi sunt, quorum alter nucem avellanam mole aequabat; alter vero proxime accedebat. In renibus minuti alii albicantes numero sexaginta; in cysti autem fellea sex et triginta obscuri coloris, et angulares qui ciceris magnitudinem referebat.

(23) Lettera di Carlo Dati
a tergo » All’ Illmo: e Revmo. Signor Abate Ottavio Falconieri
entro » Illmo e Revmo. Signore e Padron Colendiss.
Dalla gentilissima di V. S. Illustrissima intendo, che la testa intagliata del pesce Lamia, cavata da un Rame della Metalloteca Vaticana di Monsignor Michele Mercati, ha mosso curiosità a V. S. Illustrissima di restar pienamente informata delle qualità di quest'opera, e in che maniera si trovi presso di me.
Di Monsignor Mercati non perdo tempo a darle notizia, perché il valore di esso, e l'opera degli Obelischi l'ha reso celebre, e particolarmente in codesta Città – Anzi io spero da lei a suo tempo qualche aiuto per far di questo letterato un [39] breve elogietto istorico. Fra gli altri studi di questo prelato fù quello delle cose naturali, e spezialmente delle Metalliche; onde mentr'era al servizio di Sisto V Pontefice massimo formò nel Vaticano una copiosissima Metalloteca, la quale poi descrisse in lingua latina, secondo l'ordine, col quale era disposta, trattando le principali materie con eguale curiosità, erudizione, ed eleganza, ed adornolla di figure intagliate in Rame con estrema finezza, senza guardare e spesa o diligenza veruta.
Prevenuto dalla morte, non potette pubblicare detta opera, che già era riveduta, e passata da' Superiori, e resa famosa dal testimonio dell'Eminentissimo Cardinal Baronio nel Tomo I degli Annali Ecclesiastici, dove tratta del vino mirrato dato in Croce a Gesù Cristo Signor Nostro. Restarono dunque presso gli Eredi il M. S. ed i rami, con grandissimo pericolo d'andar male, e furono più volte in cimento di esser portati oltre i monti. Agli anni passati avendone io qualche precedente cognizione, procurai di veder l'uno, e gli altri, e talmente me ne invogliai, che avanti di restituirli, negoziai, e conclusi la compra, con qualche mio scomodo, per la somma di 70 doppie, e num. 12 copie, quando l'opera si fosse stampata. Fatta diligente rassegna dei Rami finiti, abbonati, e rifatti, che in tutto sono 130 non trovo, che vadano in opera se non 118 e farsi altri due, dei quali non mi assicuro. Ben'è vero che il rame degli Armari, per i quali si distinguono i trattati, e le materie, va replicato parecchie volte con diverso titolo, in tal maniera, che in ogni volume compariranno in tutto 130 figure, o poco meno, ma fatte per eccellenza, è certo, che a farsi costarono più di mille piastre.
La stampa sola a farne 500 solamente, cioè 400 in carta di pesto lino, e 100 in carta reale, importerà almeno 200 doppie; e se i fogli ricrescono non basteranno cc.
Per essere questa galleria stata eretta in Vaticano, e perciò Vaticana intitolata, a diletto, e spese di un Sommo Pontefice, il mio concetto era, pubblicandola, consegnarla al nome glorioso del Regnante Pontefice ottimo massimo, e riempire i vuoti [40] delle armi Pontificie, con le insegne trionfali di Casa Chigi.
Non mi resta se non un buon desiderio, e un godimento di avere assicurata quest'opera degnissima, perché altri, quando che sia, abbia miglior fortuna di pubblicarla.
Questo è quanto posso significare a VS. Illma. in questo proposito; alla quale oltre il frontespizio, e la veduta, invio anche il ramo della Zolfatara, che è il maggiore di tutti. Gli altri sono mezzani, e alcuni piccoletti.
Di Firenze 6 novembre 1666
Di VS, Illustrissima
Servo devotmo. obblmo:
Carlo Dati


(24) I libri di Prospero Alpino, contemporaneo del Mercati, riguardano più particolarmente la Botanica, e sono – De medicina AegyptiorumDe Planltis AegyptiDe Plantis exoticisDe RhaponticoL’ istoria naturale dell'Egitto da esso scritta, e la cui prima parte soltanto ha veduta la luce nel 1735 in Leyden – L’opera dei Metalli del Cesalpino fu stampata dopo la morte del Mercati, quando quel grande Italiano viveva in Roma succeduto al Mercati nel posto di Archiatro di Clemente VIII – L'Aldrovandi poi, da Buffon chiamato il più laborioso, ed il più dotto dei naturalisti, non vide stampati che soli quattro volumi dei tanti che sovra ogni parte di storia naturale sveva composto, e moriva oltre il 1600 – Perciò il Mercati nel dettare la Metalloteca non aveva niun modello contemporaneo a seguire, e quella dobbiamo riguardare siccome veramente originale –
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