di Giancarlo Pertici
L'Asilo
delle Monache di San Paolo
La
fondazione del monastero delle Suore claustrali di San Paolo si fa
risalire a donna Margherita, vedova di messere Paolo Portigiani
(morto il 15 agosto 1379) a 10 anni dalla “Sommissione” con il
riconoscimento delle nuove sorelle dell'osservanza francescana. Agli
inizi del 1800 con alcune ordinanze lo Stato Italiano sopprimeva
ordini e congregazioni religiose. Mentre l'antico convento
benedettino di Santa Chiara si era tramutato in Conservatorio.
"Particolarmente
accidentate furono le vicissitudini del monastero di San Paolo in San
Miniato. Fu soppresso nel 1808, i locali incamerati dal demanio e le
monache riunite con le oblate di Santa Chiara. Non si rassegnò una
Buonaparte […]che fece ricorso al suo imperiale congiunto. Il monastero con tutti i
suoi beni fu restituito alle monache per essere di nuovo confiscato
alla morte della Buonaparte. Dal 1817 al 1827 vi abitarono i
Conventuali, in attesa che fossero completati i lavori di restauro
del loro convento. All'uscita dei conventuali i locali furono
acquistati da mons. Pietro Bagnoli, poeta cesareo, per 900 scudi. Nel
1889, alcuni benefattori, per consiglio di mons. Del Corona,
riscattavano il monastero dagli eredi del Bagnoli
(con l'eccezione della casa della famiglia – oggi Frosini, n.d.r.)
e
lo restauravano. Poco dopo ne prendevano possesso le Clarisse,
precedentemente trasferite a Santa Chiara, che ripristinavano la
clausura e la vita regolare lasciando però – in omaggio allo
spirito dei tempi – uno spiraglio aperto con la istituzione di un
apprezzato asilo per i figli del popolo.”
Estratto da C. Cinelli, S. Desideri, A. M.
Prosperi, San Miniato e la sua Diocesi. I Vescovi, le
istituzioni, la gente, CRSM, Ed. Del Cerro, Pisa, 1989, p. 141.
E'
questa in estrema sintesi la storia del monastero e dell'asilo di San
Paolo che ha accompagnato alcune generazioni di samminiatesi, di
padre in figlio, senza limiti di età. Spazi, quelli interni,
suddivisi ed utilizzati per facilitare la frequenza simultanea di
ogni fascia di età, non solo della prima infanzia. Si iniziava con
bambini di pochi mesi e con quelli in età da materna. Ma spazi
aperti al pomeriggio, per i bambini delle elementari e per i ragazzi
dell'Avviamento e della Scuola Media. Tale era il clima accogliente e
la sapiente opera di accompagnamento di quelle monache, che anche
dopo Avviamento e Media, tante ragazze e ragazzi continuavano la
frequenza, perché piacevole e utile per fare i compiti e per
studiare. Ragazzi e ragazze, grandi, sia delle Magistrali che del
Liceo per un legame, con noi bambini, che continuava anche fuori, per
strada, in piazza come “Sotto il Ponte”.
Ricordi sfuocati i miei, io che, ancora in fasce, ho varcato quella soglia, per la prima volta, tra le braccia di mamma. Sempre una delle monache dietro l'uscio a fare accoglienza. Pronte ai bisogni, a dispensare consigli, ad ascoltare ogni famiglia: la prima stanza sulla destra a fungere da Ufficio e da centro di ascolto. Regole minime come la retta, senza scadenza. Tante le famiglie disagiate e con scarsi mezzi “dispensate” da certi obblighi, mai mandate indietro. Famiglie che per generazioni si sono succedute in quella Scuola Materna, conosciuta da tutti come l'Asilo di San Paolo, là in via Pietro Bagnoli nello Scioa, ma scuola materna per tutti i samminiatesi. E che tale era, lo si vedeva ad occhio nudo ogni mattino, quando per strada ti imbattesi in mamme che provenivano dal “di là”, per mano ai loro figli piccoli, dirette “di qua” dalle Monache di San Paolo. Come Lilia che, prima di aprire la sua cartoleria posta accanto al “Crocifisso”, davanti alle Elementari, arrivava presto portandosi dietro, mano nella mano, sia Luigi che Paolo. Quasi sempre per ultima, ben riconoscibile, arrivava la Calvani carica dei suoi figli. Faticoso e lungo il tragitto di tutti i giorni da e per l'asilo, per lei che arrivava da Shanghai. Gruppetto di Case Minime erette sotto le Magistrali, a metà percorso di quella strada bianca, pendenza difficile per qualsiasi mezzo, che portava in Gargozzi, e che in pochi si azzardavano a percorrere in salita, qualunque mezzo avessero, mai un carro con i buoi! Riconoscibile perché la vedevi sbucare all'altezza di Pancole, sempre un passeggino, un bambino dentro e uno con i piedi sul retro dello stesso a farsi trasportare. Uno per mano alla mamma, un altro in collo… quasi sempre in attesa (non ho ricordi di lei non incinta); i due più grandi, un maschio e una femmina, a rimorchio o di lato. Poi si arrivava noi, quelli più vicini, da Sant'Andrea, da Piazza dei Polli. Quelli che, quasi alla stessa ora, ci si incontrava per strada o in Piazza dell'Ospedale diretti dalle Monache di San Paolo, al nostro Asilo. I fratelli Vanni, i fratelli Ferlin, Rosaria, Maurina, Lisetta, Brunina, Maurizia, Daniela, Antonietta, Anna Maria e Mario Dainelli… solo per citarne alcuni; la Toni, la Brunelli, la Fiumalbi, la Peroni e altri e altre ancora.
Cartella
in una mano e borsa porta-pranzo nell'altra. Ma anche dalla Via del
Sasso e dalle zone attorno ai Cappuccini, sulla strada da Calenzano.
Di quei primi momenti della giornata, vivo mi è rimasto soprattutto
un ricordo. Suscitato da un legame, quasi epidermico, che per empatia
pura mi spingeva verso un bambino, più piccolo di me e che mi
sembrava bellissimo. So che non me ne vorrà, se solo da grande mi
sono accorto che non era assolutamente bello come lo vedevo.
Bellissima
ed intrigante invece la sua risata. Sembrava quasi un gorgheggio,
quando lo rincorrevo nell'intento di sentire quella risata sonora,
mentre tentava invano di scappare via, girando per l'aula grande,
svoltando per il corridoio laterale e di nuovo nell'aula grande per
un girotondo che continuava per minuti e minuti. Io che rallentavo la
corsa per evitare di prenderlo e lui che continuava a scappare finché
entrambi, senza fiato, prima di crollare a terra, ci accoccolavamo
seduti dove capitava, l'uno accanto all'altro. Quando incontro ancor
oggi Paolo, che abita in San Miniato, anche lui con i capelli
bianchi, subito mi tornano in mente queste immagini, indelebili.
Come
le immagini di quelle suore. Talune, …volti senza nome. Ma di
altre, ricordi ripetuti anche nel tempo, come quelli legati a Suor
Maria Maddalena Mosconi, Suor Anna Maria Quercegrossi, Suor Maria
Luigia e Suor Maria Antonina sorelle, Suor Maria Pia, Suor Giacinta
madre superiora. Ognuna nel proprio spazio e ruolo. Spesso tutte
insieme nell'Aula Grande e nel refettorio per il pranzo. A quell'ora
si attraversava la “Stanzina Rossa”, usata come sala giochi in
caso di maltempo, e da lì nel refettorio. Tavolo lungo e basso,
l'arredo, giusto a misura di bambino come pure le panche. Ognuno il
proprio tegamino portato da casa, tutti assieme a mangiare. Si
terminava con ciambelle o meringhe per tutti, quelle fatte dalle
altre monache; quelle che, oltre quella porta da dove principiava la
clausura, non vedevamo mai. E prima della Stanzina Rossa, una rampa
di scale a sbalzo, ringhiera in ferro di lato, per salire da Suor
Maria Luigia. Con lei i ricordi vanno soprattutto all'insegnamento
della Messa per fare i chierichetti, a quelle formule in latino
imparate a memoria, per poter “servire messa”, ma anche a quelle
di cui era fatto il catechismo di Pio X. Formule indelebili che in
età adulta si arricchiscono anche del significato. “Introibo ad
altare dei” “Ad deum qui laetificat juventutem meam”: così
cominciava la Messa in latino, come se la rammentava anche il mio
babbo che prese giusto l'ultima il giorno che sposò. E su quella
ringhiera, da lassù di ritorno, a scivolare a cavalcioni, se non
visti, anche per giornate intere. E in fondo a quelle scale la
“stanzina buia” per la penitenza, le punizioni quando combinavamo
qualche guaio. Io ce la mettevo tutta, ...tutta la mia buona volontà
per non combinare guai, sempre o quasi ubbidiente.
Suor
Maria Maddalena la più solerte, a volte anche troppo severa, a
sentenziare peccati e a comminare penitenze. L'Aula Magna il suo
regno, finestre che davano su via Pietro Bagnoli e una grande porta a
vetri che si affacciava nel giardino dei "4 cantoni". È
così che utilizzavamo i 4 alberi posti a quadrato in maniera
simmetrica. E quando ci interrogava Suor Maria Maddalena o ci faceva
fare degli esercizi di matematica... erano dolori, non solo
figurativi. Usava la "vetta" e per punizione ci faceva
stare in ginocchio dietro la lavagna, talvolta dentro lo stanzino
buio.
Col sorriso sulle labbra, in qualsiasi momento della giornata, Suor Anna Maria dietro ai suoi ragazzi grandi; chi a studiare latino, chi francese, sia maschi che femmine. Sempre un bel gruppetto ogni giorno... la cui immagine mi riporta alla mente tanti volti senza nome, mentre alcuni sembrano danzare tra l'ombra del ricordo e quella dell'immaginazione… e mi fanno affiorare alcuni nomi, solo alcuni... pochi… Giovanna Giolli, Marta e Alberto Senesi già al tempo “quasi fidanzati” e poi sposi. Di Suor Maria Antonina il ricordo si ferma allo stupore, nel giorno della sua morte improvvisa, di fronte a quel pianoforte vuoto che condivideva con suor Maria Maddalena.
Col sorriso sulle labbra, in qualsiasi momento della giornata, Suor Anna Maria dietro ai suoi ragazzi grandi; chi a studiare latino, chi francese, sia maschi che femmine. Sempre un bel gruppetto ogni giorno... la cui immagine mi riporta alla mente tanti volti senza nome, mentre alcuni sembrano danzare tra l'ombra del ricordo e quella dell'immaginazione… e mi fanno affiorare alcuni nomi, solo alcuni... pochi… Giovanna Giolli, Marta e Alberto Senesi già al tempo “quasi fidanzati” e poi sposi. Di Suor Maria Antonina il ricordo si ferma allo stupore, nel giorno della sua morte improvvisa, di fronte a quel pianoforte vuoto che condivideva con suor Maria Maddalena.
Suor
Maria Pia e suor Giacinta, a quei tempi madre superiora, giunte
indenni agli anni '80, ad Asilo oramai chiuso, hanno continuato nel
tempo a ricevere visita da quei bambini diventati grandi, diventati
genitori… i primi della loro “dinastia” a non poter dire al
proprio figlio “vieni, che ti porto all'Asilo, dalle monache di San
Paolo”. Quando in quegli anni ci ho accompagnato i miei, Cristiano
nato nel 1983 e Tiziana nata nel 1985, viva la sensazione di far
visita a “casa”, a presentare i propri figli, come vivo il senso
di impotenza espressa in... “Qui ci venivo io da bambino, quando
c'era l'Asilo”. E suor Maria Pia e suor Giacinta ad aprire la porta
di quella stanzina laterale, parlatorio per un contatto vero, e le
loro ciambelle e meringhe ad addolcire un giorno bellissimo, anche
nel ricordo. Rimasto tale anche dopo l'ultimo, quando le condizioni
di salute di suor Maria Pia si aggravarono definitivamente, fino alla
morte. E a memoria il ricordo di quelle emozioni, la certezza delle
loro preghiere, la concretezza che nelle loro mani magiche si
tramutava in “cuoricini benedetti” che prima le nostre nonne,
dopo le nostre mamme, ci cucivano strette sulla camiciola a carne,
quasi ché le preghiere potessero trasmutare dall'aria alla carne
stessa. Ben poca cosa il contraccambio che in ogni epoca ha segnato
le visite alle “nostre monache di San Paolo” dei nostri nonni e
bisnonni, e di noi, bambini di allora, diventati adulti, almeno per
Natale: zucchero e caffè, merce preziosa negli anni 50.
Monastero di San Paolo, i bambini dell’Asilo
Collezione Giancarlo Pertici
Monastero di San Paolo, l’Aula Magna
Collezione Giancarlo Pertici
Collezione Giancarlo Pertici
San Miniato, Monastero di San Paolo, via Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi
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