di
Giuseppe Chelli e Francesco Fiumalbi
Articolo originariamente pubblicato su "La Domenica" del 23 luglio 2017 (supplemento a "Toscana Oggi")
A
fine agosto 1944 gli eserciti americano e tedesco si fronteggiavano
sull'Arno. Il territorio sanminiatese era sotto il controllo
statunitense: gli Alleati erano arrivati il 24 luglio e i
combattimenti si erano spostati in pianura, per stabilizzarsi lungo
le rive del fiume che fu oltrepassato solamente il 1 settembre. La
popolazione era stremata da due mesi di guerra: oltre 200 vittime
civili nel solo Comune di San Miniato – fra cui le 55 della strage
del Duomo – centinaia di feriti, migliaia di sfollati, generi
alimentari e medicinali introvabili.
E'
in questo contesto che si inserisce la lettera del Vescovo Ugo Giubbi
al Card. Elia Dalla Costa Arcivescovo di Firenze. Si tratta di un
documento rimasto finora inedito, ma di grande valore poiché rende
testimonianza del clima durante il passaggio della guerra, la
difficilissima situazione delle parrocchie nella Diocesi di San
Miniato, ma anche il dramma personale dello stesso Mons. Giubbi, che
turbò il suo spirito fino alla morte.
Il
Vescovo sanminiatese fu vittima di una gravissima volgata
diffamatoria: fu accusato di complicità con i tedeschi nell’eccidio
del Duomo di San Miniato, avvenuto il 22 luglio 1944. Nella lettera
riferisce anche di questo drammatico episodio, che invece fu causato
da un colpo di artiglieria statunitense. Già nel 1945, il Giudice
Giannattasio – chiamato a redigere le conclusioni dell'inchiesta
promossa dall'Amministrazione Comunale – aveva chiarito che «Le
autorità religiose, che si sostituirono alla autorità civili
mancanti, dettero alla popolazione ogni assistenza spirituale e
materiale, comunicando ai cittadini gli ordini che il comando
germanico trasmetteva verbalmente. Mons. Vescovo non si trovò
presente nella Cattedrale nel momento più doloroso, perché si era
recato a celebrare la Messa nella cappella del rifugio, ma era stato
fino a poco tempo prima fra i fedeli a pronunciare parole di
incoraggiamento, ed incitare alla preghiera e appena possibile,
ritornò nella Cattedrale, ove altri sacerdoti impartivano
l'assoluzione ai morenti e davano soccorso ai feriti. L'opera che il
Clero di S. Miniato svolse in quei tristissimi giorni è superiore ad
ogni elogio».
L'animo
del Vescovo invece è turbato
per la consapevolezza di essere stato, seppur indirettamente,
«strumento
di questo eccidio per aver impartito ordini che mi furono fatti
impartire per la
salvezza della popolazione e che se fossero stati eseguiti subito con
fede e disciplina, io penso, sarebbero riusciti allo scopo».
Questo è il passaggio chiave della lettera.
Per
comprendere il significato delle parole di Mons. Giubbi, occorre
ricordare che alla metà di luglio 1944 la 14° Armata tedesca venne
disposta sulla linea dell'Arno e scattò l'ordine di evacuazione
della popolazione. Proprio in quei giorni i tedeschi avevano iniziato
a minare le abitazioni sanminiatesi, dovevano tenere sotto controllo
un ampio territorio e fronteggiare, oltre agli Alleati, anche bande
di partigiani. Desideravano avere campo libero, non tanto per
l'incolumità dei civili, quanto per la sicurezza e la gestione dei
propri soldati che agivano in reparti ridotti e avevano subito alcune
aggressioni. Lo stesso Vescovo, interrogato il 1 ottobre 1944 dalla
Commissione d’Inchiesta, riferì che «La
sera del 18 luglio all’imbrunire, venne in Episcopio un soldato
tedesco... ad avvertire che bisognava sgomberare.... Lo feci
riflettere... che la popolazione era molta, l’ora era tarda e che
era un voler mandar via alla cieca le persone e un volerle mettere in
pericolo...».
Nelle
parole del Vescovo c’è il rammarico per non aver dato seguito
all’ordine di evacuazione del 18 luglio, ma di aver fatto
rispettare quello del 22 luglio: radunare la popolazione in piazza
dell'Impero e in piazza del Duomo, per poi farla entrare in San
Domenico e in Cattedrale, dove di lì a poco sarebbe avvenuta la
strage. La frase deve essere letta in questo modo: se gli ordini di
evacuazione del 18 fossero stati eseguiti “subito
con fede e disciplina, io penso, sarebbero riusciti allo scopo”.
Ma chi poteva immaginare quello che sarebbe accaduto, che un colpo
d'artiglieria americana sarebbe penetrato nella Cattedrale?
Dunque
nella lettera ricostruisce con lucidità l’evoluzione degli
avvenimenti precedenti la strage, le difficoltà incontrate dalle
indagini,
ma esprime anche il suo grande dolore. Il suo animo non è turbato
dalla calunnia, che pur cominciava a circolare e che sopportò con la
serenità dell’innocente, ma proprio dall’essere stato un
protagonista determinante di quel giorno, «che
non si potrà dimenticare giammai e che, credo, mi abbia tolto per
sempre il sorrido dal cuore e dal volto».
Pur
cercando di operare al meglio per la sua gente, di fronte allo
strazio personale per essersi ritrovato, suo malgrado, coinvolto in
una vicenda drammatica di tali proporzioni, ecco la decisione di
abbracciare la Croce e di offrire a Cristo le proprie sofferenze,
come scrisse nel
diario personale il 25 settembre 1944: «Io
voglio lasciare tutto nelle mani di Gesù. Sopportare questa
menomazione del mio nome [...]
per sconto dei miei peccati e non lasciarmi distrarre da ciò che è
il mio dovere, sia personale: ricercare Gesù, fino a farne veramente
la mia vita, sia di ufficio: curare, meglio che non abbia fatto fin
qui, la diocesi [...].
Gesù penserà a me! Io cercherò di amare Lui. E le sofferenze le
offro a Gesù, per le anime, per la diocesi, per sconto dei miei
peccati». E con la
lettera si comprendono meglio anche le parole pronunciate dal Card.
Dalla Costa per ricordare Mons. Giubbi ad un mese dalla morte nel
1946: «Uomo
semplice e retto e ricco di timor di Dio, mentre non conobbe che il
dovere, in tutto e sempre guidato da quella fede che fu il sole
illuminatore della sua vita, coronata dall'amaro assenzio della
tribolazione e dalla preziosa morte dei giusti. Sia in pace e
benedizione la sua memoria».
(da Il
segreto del vescovo Giubbi: pastore della diocesi di San Miniato dal
1928 al 1946,
a cura di Mons. Fausto Tardelli, Diocesi di San Miniato, Supplemento
al n. 33 di Toscana Oggi del 24/09/2006)
Inoltre,
dal testo della lettera, si apprende anche lo stato materiale delle
parrocchie della Diocesi: la Cattedrale gravemente danneggiata, così
come il Seminario e l'Episcopio. Le chiese di Roffia e San Pierino
praticamente distrutte, oltre all'uccisione del parroco di Montopoli.
La Cattedrale di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
Di seguito il testo integrale della Lettera, conservata presso l'Archivio Arcivescovile di Firenze, Fondo
della Cancelleria Vescovile,
Sezione 3 Corrispondenza
degli Arcivescovi, anno
1944, busta n. 24.:
S.
Miniato, 27.VIII.'44
Eminenza,
mi
approfitto di P. Simi che torna a Firenze (è la prima occasione che
mi si presenta) per dirvi sua pure, in succinto, alcune notizie di S.
Miniato e del gravissimo fatto del 22 luglio. Per la prima parte del
fatto vi rimetto una copia di una dichiarazione che mi fu chiesta. In
seguito alla battaglia varie cannonate caddero in Cattedrale ed una
(se fosse una cannonata o un ordigno esplosivo, come si
dice, soltanto un
esperto
in materia, neutrale e coscienzioso, può stabilire) vi produsse la
strage di una 80na di persone: circa 30-35 morte sul colpo o dopo
poco e altre decedute in seguito alle ferite, tutte non lievi, e non
potute curare per insufficienza di mezzi. Creda, Eminenza, che fu una
giornata indescrivibile, che non si potrà dimenticare giammai e che,
credo, mi abbia tolto per sempre il sorrido dal cuore e dal volto. Il
Signore permise che io fossi, assolutamente ignaro di quanto sarebbe
avvenuto, (altre battaglie erano avvenute sopra la città e la
popolazione era stata lasciata nei propri rifugi) indirettamente
strumento di questo eccidio, per avere impartito ordini che mi
vennero fatti impartire “per la salvezza della popolazione” e
che, se fossero stati eseguiti subito con fede e disciplina, io
penso, sarebbero riusciti allo scopo. Ma basta di questo e che il
Signore accolga lo strazio dei feriti, la morte di tanti poveretti, e
il dolore dei rimasti, per un ritorno dei fedeli a Dio! Guai a noi se
tanto dolore e questo comune gastigo, non raggiungesse l'effetto di
bene che Dio ne vuol trarre.
La
Cattedrale è stata nuovamente e gravemente colpita. Delle Chiese
Parrocchiali di città, una sola, per ora, è salva; le altre tutte
più o meno segnate. Quella di S. Stefano, la più sciupata, si può
dire semidistrutta. Il Seminario e il Palazzo Vescovile hanno subito
danni gravi. Nella Diocesi (per quello che ho potuto sapere) quasi
tutte le Chiese e le canoniche bersagliate. Alcune del tutto
distrutte (2) ed altre 4 o 5 semi-rovinate, fra le quali (per 3/4
crollata col campanile e la casa canonica) quella che V. Em. Inaugurò
due anni orsono, a S. Pierino. Di molte di queste furono minati i
campanili, i quali portarono con sé il crollo della chiesa. Per ora,
un solo Parroco, morto per una cannonata. Ma non ho affatto notizie
di una 30na di parrocchie che si trovano al di là dell'Arno.
Qui
ci troviamo in una condizione sempre più difficile per lo
stillicidio continuo di cannonate che pretendono di colpire militari
e postazioni americane e colpiscono civili e case di abitazione.
E
di là dall'Arno è la stessa cosa (non è difficile indovinarlo) per
i colpi che partono di qua.
E
tutto questo: cui bono? Cui bono? Se almeno portasse al miglioramento
dei popoli! Mentre il Comunismo e l'irreligiosità, e l'odio hanno
cominciato a serpeggiare e far breccia nelle anime e nei cuori,
stanchi ed esasperati, ma molto: illusi. Che il Signore ci usi
misericordia e che noi possiamo meritarcela!
Ho
saputo qualche cosa di Firenze città, poco o nulla della V. Diocesi,
sempre ancora sotto questo rullo distruttore, ma quello che ho
saputo, mi basta per poter indovinare il Vostro Dolore e l'animo
Vostro straziato. Quindi mi scuso se Vi ho tediato con i miei sfoghi.
Vi
chiedo una preghiera per me, per la mia Diocesi, per i miei Preti,
perché siano all'altezza della loro missione specialmente in questo
momento.
E
anch'io ho pregato e pregherò per Voi e le Vostre intenzioni,
mentre, baciandovi la S. Porpora, mi confermo Vostro in G. C.
+
Ugo Giubbi
Scusatemi
la fretta, con la quale ho dovuto scrivere questa lettera.
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