a
cura di Francesco Fiumalbi
Maria
Caterina Del Mazza nacque a Livorno il 26 marzo del 1672. Dopo un
infanzia difficile, trascorsa per lo più nella casa degli zii a
Firenze, vestì l'abito domenicano nel Monastero della SS. Annunziata
di San Miniato (oggi Hotel San Miniato). Vi fece ingresso il 24
giugno 1696 all'età di 24 anni, prendendo il nome di Teresa Caterina
Maria. Nel 1703 fu eletta Superiora, carica che le fu rinnovata per
ben due volte fino alla sua morte, avvenuta il 12 gennaio 1710,
quando aveva 38 anni.
Monaca con abito dell'Ordine Domenicano
Le
sue spoglie furono sepolte all'interno del perimetro del monastero, almeno fino alla prima metà dell'800. Dopo la soppressione del 1810 e il definitivo abbandono monache del 1850, nel 1853 la salma assieme ad alcuni "strumenti di penitenza" fu quindi traslata e
tumulata all'interno della chiesa dei SS. Jacopo e Lucia (San
Domenico), presso la Cappella Rimbotti o dell'Annunziata, collocata
alla destra dell'altare e chiamata anche di San Vincenzo Ferreri. I
resti furono accertati nel 1976 (D. Lotti, San Miniato Vita di
un'antica Città, SAGEP, Genova,
1980, p. 479).
Durante
la sua guida, per interessamento del Vescovo
di San Miniato mons. Francesco Maria Poggi, il monastero ottenne
dal Papa Clemente XI il riconoscimento ufficiale della regola di San
Domenico, a cui era stato sottoposto a partire dal 1672 grazie al
decreto del Vescovo mons. Carlo Corsi. La sua condotta proba, le
valse una sorta di venerazione popolare, tanto che nei testi in cui
viene rammentata o citata, spesso le viene attribuito impropriamente
il titolo di “Beata”, e le spoglie sono indicate come “reliquie”.
Nei 14 anni in cui fu Superiora il convento fu ampliato e ornato.
Un'unica
testimonianza iconografica relativa a Maria Caterina Del Mazza,
sembra essere un quadro in cui è raffigurata nell'atto di ricevere
dal Papa Clemente XI il breve col quale viene confermata,
ufficialmente, la regola domenicana per il monastero della SS.
Annunziata. Sembra che il dipinto fosse visibile all'interno del
Convento di San Domenico, almeno fino agli anni '60 del XIX secolo.
erroneamente
detto di San Martino
Foto
di Francesco Fiumalbi
BIBLIOGRAFIA:
– Giuseppe
Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco con
notizie storiche antiche e moderne,
Tip. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 60-61
– Francesco
Pera, Ricordi e biografie livornesi,
Francesco Vigo Editore, Livorno, 1867, pp. 157-162.
Di
seguito sono proposti gli estratti dalle pubblicazioni:
Estratto
da Giuseppe Piombanti, Guida della Città di San Miniato al
Tedesco con notizie storiche antiche e moderne,
Tip. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 60-61, 65-66.
[060]
«
[…]
Mauro
Corsi, ai 7 marzo 1672, deliberò di appagare i loro voti, dando loro
l'abito di S. Domenico e la sua regola, e dichiarandole domenicane
del prim'ordine. Ma poiché tutto questo senza l'approvazione della
santa [061]
sede erasi fatto, le religiose, temendone l'irregolarità, al
pontefice Clemente XI, per mezzo del vescovo Poggi, si rivolsero, il
quale, nel 1706, l'operato di mons. Corsi confermava. Allora il
Poggi, con molta solennità, di tutte quelle suore riceveva la
professione sulla regola di S. Domenico, e alla pubblica festa prese
parte con gioia la popolazione. Il 24 giugno 1696 v'indossava l'abito
religioso la giovane livornese Maria Caterina del Mazza, cui fu posto
nome Teresa, Caterina, Maria; ai 29 giugno dell'anno seguente faceva
la professione, e il 12 gennaio 1710 di questa vita passava a soli 38
anni. Ebbe sempre fierissime infermità (dico le cronache del
monastero) e pazienza invitta. Di anni 31 fu eletta priora e
confermata due volte. Monastero e chiesa restaurò e ornò; fecevi
rifiorire l'osservanza e la vita comune. Efficacemente concorse ad
ottenere il breve di Clemente XI; fu benedizione del suo monastero,
dove non visse che 14 anni; vi morì in odore di santità, e le sue
reliquie si conservano nella chiesa di S. Domenico. Il prof.
Francesco Pera ha scritto la sua tra le Biografie Livornesi. [...]»
[065] «[...] Quella [la cappella, n.d.r.] che segue, dedicata a S. Vincenzo Ferreri, era della famiglia Armaleoni. Nella nicchia, che vi si trova, fu [066] collocato, l'anno 1853, un crocifisso, che nel monastero della SS. Annunziata ebbe grande venerazione; sotto il quale si riposero, in tre distinte cassette, le reliquie della domenicana venerabile suor Maria Teresa del Mazza livornese, cioè: teschio, ossa, strumenti di penitenza. [...]».
[065] «[...] Quella [la cappella, n.d.r.] che segue, dedicata a S. Vincenzo Ferreri, era della famiglia Armaleoni. Nella nicchia, che vi si trova, fu [066] collocato, l'anno 1853, un crocifisso, che nel monastero della SS. Annunziata ebbe grande venerazione; sotto il quale si riposero, in tre distinte cassette, le reliquie della domenicana venerabile suor Maria Teresa del Mazza livornese, cioè: teschio, ossa, strumenti di penitenza. [...]».
erroneamente
detta di San Martino
Oggi
Auditorium e sala congressi
Foto
di Francesco Fiumalbi
Estratto
da Francesco Pera, Ricordi e biografie livornesi,
Francesco Vigo Editore, Livorno, 1867, pp. 157-162.
[157]
MARIA DEL MAZZA. «Nelle
vite degli antichi talora si legge, che il nascere di creature
destinate a nobili fatti suole accompagnarsi a qualche circostanza
notevole, quasiché la natura voglia dar segno di opera elaborata con
magistero più fino. Se ciò potesse mai esser vero, troverebbesi
qualcosa di osservabile pur nella nascita di Maria del Mazza: che la
madre Alessandra essendo incinta di lei un giorno le venne fatto
rigettare, senza rendersi ragione del rifiuto, una pietanza che molto
le piaceva, offertale con insistenza dal suo consorte Benedetto; e
questi allorché n'ebbe gustata corse rischio della vita, mentre un
animale domestico per averne mangiata, poco stante morì. Superato
dunque il pericolo della morte nel seno materno, Marietta venne
[158] alla luce in Livorno a' dì 26
Marzo 1672. In età di cinque anni appena mostravasi schiva di quelle
carezze che si usano ai bambini, educando fin d'allora l'anima
tenerella a mirabile austerezza di vita per l'imitazione del
Redentore , dinanzi alla cui immagine pregava tanto e piangeva. Prima
testimone del suo fervore si fu la città di Firenze, dove trienne fu
condotta dal genitore presso gli zii, ed ebbe educazione religiosa
dai Padri Filippini, per la cui opera non è a dire quanto andasse
innanzi nelle vie del Signore. Fanciullina di sette anni sapeva
sottrarre qualche ora al sonno per occuparla nella preghiera; e nel
giorno quando trovavasi con le sue piccole compagne, era bello
vederla ripetere in sua maniera semplice e divota qualche utile
avvertimento imparato a scuola o in famiglia, e insegnar l'abbiccì
alle più ignorantelle, e mettere in mano con sorriso di gentil
carità alle più poverine qualche quattrinello con puerile industria
raccolto in famiglia; e tutte intrattenerle in certi giorni con
prieghi e buone letture. Le quali cose faceva con tanto garbo, che
innamorava solo a vederla; imperocché oltre alle rare doti
dell'animo, aveva sortito da natura avvenenza di aspetto e grazia
della persona. Di che non mai s'invanì: anzi come prima si accorse
di tendere per nativa inclinazione ad ornarsi con qualche eleganza,
scelse vesti grosse e dispette a velamento del suo corpicciuolo. Onde
non è meraviglia se l'esempio ebbe grande efficacia sull'animo pur
degli adulti, cominciando dalla sua zia, che cessò le troppo ricche
vestimenta, e certi fronzoli men convenienti a donna cristiana, per
indossare umili e semplici abiti, foggiati su quelli della buona
nipote. Il padre medesimo, assai viziato nel giuoco, derivò in
questo modo il suo emendamento dalla figliuoletta assennata. Una
volta essendo rimasto al tutto sfornito di mezzi per nutrire la
passione insaziabile, addimandò pecunia ai fratelli. Ma questi, per
non aggiugnere esca a quel fuoco, [159]
negarono. Non vi volle altro perché lo sciagurato venisse in
discordia con loro, e prendesse ferma risoluzione di abbandonare la
casa per non mai più vederli. Allora tra gli uni e l'altro
s'interpose, angiolo di pace, Maria, che aveva undici anni soltanto;
ma per questo primo atto d'intercessione amorosa n'ebbe in mercede
una pesante guanciata. Non per tanto s'inasprisce o sgomenta il suo
cuore ben fatto; anzi quel fiero trattamento la dispone ad opera di
più raffinata pazienza: si getta ginocchione per terra dinanzi al
padre adirato e gli addimanda perdono. Questi a tanta prova di
mitezza è commosso, piange egli pure alle lacrime della innocente
fanciulla, cede alle preghiere di lei con risoluta deliberazione di
fare il contrario di quello che era usato, in modo da non
riconoscerlo per quello di prima. Da quel dì abbandonò al postutto
i tavolieri, e le bische, per darsi agli affari e alle cure della
famiglia, in seno della quale, non passarono molti anni, rese l'anima
a Dio dopo aver bene acconciate le cose dell'anima sua.
Con
gli anni cresceva in Marietta il desiderio, il bisogno di beneficare:
perciò dove facea mestieri un conforto, dove abbisognava tergere una
lacrima, colà volentieri correva: e poiché negli spedali trova
pascolo copioso la carità, a quegli usava di frequente, per offrire
consolazione all' anima e salutari medicamenti al corpo degl'infelici
ammalati. Tra' quali si avvenne una volta in cotal donna affetta di
morbo sì stomachevole, che gl'infermieri le apprestavano con
ribrezzo assistenza. Non così la Marietta: che anzi la stessa
lordura del male valse ad avvicinarla all'inferma, e a prodigarle
tutte le cure di cui la sola carità è ispiratrice operosa. Ma coli'
andar del tempo la malata, o per fastidio del male o per cattività
di natura, abusando di tal mansuetudine, levò sulla caritativa
assistente siffatta arroganza, che il suo trattamento sarebbe paruto
villano anche a prezzolata [160]
infermiera. Eppure di quella bocca forbita dall'alito di Dio non
uscì parola meno che umile e santa, finché pel contatto pressoché
giornaliero dell'inferma la Marietta soggiacque a grave malore, da
cui mirabilmente uscì libera.
Ristorato
a salute il corpo , continuò a governarsi con ogni maniera di
mortificazioni: tra le quali primeggiava il contrasto alla propria
volontà, parendole questa l'abnegazione più accetta. Per tale
abitudine faceva sì che il volere di Dio fosse pur suo volere; e
studiavasi in tutto di soddisfare gli altrui onesti desiderj,
quantunque non fossero i suoi. Perciò riusciva carissima alla terra
e al paradiso, del quale era innamorata: e ben appariva in lei
quest'amore nel tempo della preghiera e del Sacrifizio: che allora
quasi rapita in soavissima estasi l'avresti somigliata ad un angiolo
assorto nelle visioni belle del Cielo.
Non
pertanto, vedi scelleraggine umana! a tanta purezza di vita non
mancarono persecuzioni ed accuse di magiche arti, come a colei che
sotto ipocrito manto di penitenza e pietà covasse mene turpi e
nefandi commerci. Allorché l'innocente verginella per queste
scellerate imputazioni fu citata dinanzi al S. Uffizio, vi comparve
rassegnata e umile come Cristo davanti al Pretorio: e ne uscì in
pieno concetto di esemplarissima vita, lasciando gli esaminatori
commossi di tanta moderazione e virtù; sì che tornò a sua gloria
la nota d'infamia onde i maligni tentaron macchiarla.
Già
di ventiquattro anni sentendosi chiamata alle solitudini del
chiostro, aveva indossato l'abito Domenicano nel convento
dell'Annunziata di San Miniato; ove sin da quando era soltanto
educanda osservava le regole dell'Ordine più che non facessero le
religiose medesime, le quali, per vero, tenevano poco all'austerità
de' primitivi statuti.
Il
suo bell'esempio, vivo rimprovero alla rilassatezza di quegli abusi
monastici, non ebbe sulle prime fortunata [161]
accoglienza; ma poi a grado a grado ricondusse l'istituzione a'
suoi principj, ripristinando l'osservanza delle regole cadute in
disuso. A queste le suore furono allettate dalle dolci maniere e
dalle soavi esortazioni della loro compagna, che ancora quando
parlava od operava solea tener sempre rivolta la mente a Dio, recando
gli atti più comuni della vita ad argomento di contemplazione
divota. Nel vestirsi levava il pensiero a quell'abito di gloria
immortale che indosseranno gli eletti; il versare delle acque la
richiamava alle vivaci sorgenti della grazia divina, che si spande
sull'anima e la feconda a virtù; la quiete della notte le rammentava
il silenzio del sepolcro; e da un breve sollievo preso a ristoro
dell'animo, quel pio intelletto facilmente saliva alla gioconda
immortalità dei beati.
Il
legno (usava ripetere) finché tiene dell'umido non è atto a
bruciare; né il cuore dell'uomo finché sente di mondo può ardere
dell'amore di Dio.
Simili
ammonimenti sulle sue labbra riuscivano di molta edificazione, perché
ne mandava innanzi la pratica: e le furono presto affidate alcune
fanciulle, che sotto la guida di siffatta maestra crebbero studiose
delle più elette virtù. Continuava ad esercitare con ardente zelo
il ministero dell'educazione, allorché avendo per ben tre anni dato
prova di molta prudenza, fu eletta a superiora del monastero. Al
quale ufficio avrebbe voluto sottrarsi, adducendo l' età di
trent'anni sempre minore al difficile incarico. Ma fu tolto
l'ostacolo da un Breve pontificio, che le dava gli opportuni
permessi: allora mise innanzi altre cause suggerite dalla sua rara
umiltà. Invano, bisognò che accettasse il malagevole ufficio. Seppe
quindi sostenerlo con tanta saggezza, che ogni qual volta cessava il
termine assegnato , veniva rieletta: e questo si rinnuovò finché
non cadde inferma di quel male, sopportato per varj mesi con vero
coraggio di cristiana eroina fino alla morte, che la colpì nell'età
di soli trentott'anni. Le sue [162]
spoglie vennero sotterrate in un luogo del monastero, poi ridotto
a sepolcreto comune delle monache: ma quando fu soppresso il
convento, le reliquie di lei passarono ai Domenicani di S. Miniato ,
che le riposero nella cappella di S. Vincenzo Ferreri. I medesimi
custodivano un quadro ov'essa è dipinta in atto di ricevere un Breve
pontificio dalle mani del suo Pastore; e possedevano ancora il
copioso manoscritto della sua vita, da cui furono estratte queste
notizie, assai brevi rispetto alle molte che in quello si narrano.
Ragguardevoli
personaggi del sacerdozio e del laicato la tennero in altissima
stima. Le sue consorelle affermavano aver ella un modo suo proprio di
farsi amare; fu sempre da esse rispettata e obbedita; i suoi consigli
erano tanto cari quanto quelli della loro madre medesima. Per queste
e altre doti merita essere proposta ad esempio di quelle femmine, a
cui per doveri di sangue o di ufficio viene affidato il governo di
una famiglia, il reggimento di un sodalizio».
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