domenica 3 febbraio 2019

LA DISTRUZIONE DI PALAZZO GRIFONI E IL MEMORIALE DI FRANCESCO LAMI SUL PASSAGGIO DELLA GUERRA A SAN MINIATO. LUGLIO-AGOSTO 1944

di Francesco Fiumalbi

In questa pagina è proposto un testo molto interessante che è conservato nell'archivio privato di Alberto Lami, che lo ha gentilmente messo a disposizione, su segnalazione di Alessio Guardini. Ad entrambi vada il nostro più sentito ringraziamento.

Sommario del post:
PREMESSA
IL DOCUMENTO E IL CONTESTO
L’ACCUSA
PALAZZO GRIFONI
FRANCESCO LAMI
LE CASE DEI FASCISTI SONO STATE RISPARMIATE
I FASCISTI HANNO CONTRIBUITO ALLA DEMOLIZIONE DELLA CITTA’
PALAZZO GRIFONI DISTRUTTO, PALAZZO FORMICHINI NO
IL RUOLO DEL CANONICO GALLI ANGELINI
LA STRAGE DEL DUOMO
I FASCISTI DOPO LA LIBERAZIONE
LA LETTERA
IL DOCUMENTO
NOTE

PREMESSA
Si tratta di una testimonianza molto interessante, ma che risente inevitabilmente del clima convulso e drammatico dei giorni del passaggio della guerra. Nel giro di due mesi (luglio-agosto 1944) quasi 250 civili persero la vita a causa della guerra. La distruzione materiale e morale era palpabile ovunque. Il testo e le considerazioni che sono proposte in questa pagina mostrano in tutta la sua dimensione la complessità degli eventi. Purtroppo, in passato, troppo spesso sono state operate semplificazioni abnormi, oggi inaccettabili. Dunque, la testimonianza proposta è certamente preziosa e interessante, indicativa del clima di quei giorni, ma è una testimonianza parziale, particolare, inserita in un contesto assai difficile e drammatico.

La semidistruzione di Palazzo Grifoni
Foto di Cesare Barzacchi – Luglio 1944
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

IL DOCUMENTO E IL CONTESTO
Il documento è si intitola Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944 ed è una sorta di “memoriale” costituito da tre pagine formato A4, suddiviso in 13 “punti”, scritti “a macchina” dal Commendatore Francesco Lami. E’ preceduto da una lettera indirizzata ai parenti rimasti a San Miniato – presumibilmente i cognati Eugenio Anfossi e Bianca Barnini – ed molto interessante poiché è incentrato sulle distruzioni operate a San Miniato dall’esercito germanico in ritirata nell’estate del ’44 ed in particolare su Palazzo Grifoni. Pur non avendo una data precisa, possiamo presumere che sia stato compilato nelle prime settimane della Liberazione di San Miniato, dunque entro l’inizio del settembre 1944.
L’estate del 1944 è un periodo cruciale per la storia sanminiatese, poiché la popolazione conobbe in tutta la sua drammaticità l’orrore della guerra, sintetizzabile in questi brevi capitoli:
1) l’avvicinamento del fronte con le distruzioni operate dai cannoneggiamenti e dalle incursioni aeree alleate dalla primavera fino al mese di luglio;
2) i ripetuti ordini di evacuazione rivolti alla popolazione civile;
3) l’allontanamento da San Miniato delle personalità che avevano governato la città fino a quel momento, determinando l’assenza di autorità in grado di gestire sul piano civile l’emergenza di quei giorni;
4) l’eccidio del Duomo;
5) la ritirata dei militari germanici e la distruzione di parte della città nel tentativo di ostacolare e rallentare l’avanzata degli Alleati;
6) l’arrivo degli Statunitensi a San Miniato il giorno 24 luglio 1944;
7) i successivi 40 giorni con i due eserciti che si fronteggiarono lungo la linea della ferrovia e poi lungo le sponde dell’Arno (01).

L’ACCUSA
Tornando al documento, l’attenzione dell’autore è concentrata prevalentemente sui danni al patrimonio immobiliare ed in particolare sulla semi-distruzione di Palazzo Grifoni e dell’annessa fattoria, di sua proprietà. Infatti, fra il 18 e il 21 luglio 1944, i militari germanici presenti a San Miniato, ormai in procinto di ritirarsi, avevano provveduto ad allontanare la popolazione dalle abitazioni e a minare numerosi edifici lungo tutta la dorsale cittadina. Lo scopo era quello di sbarrare la strada con le macerie nel tentativo di ritardare l’avanzata agli Americani – che giunsero effettivamente a San Miniato la mattina del 24 luglio – confidando così di godere di una ritirata più agevole.
Francesco Lami cercando di comprendere la “logica” della distruzione degli edifici, formula un’accusa gravissima: La demolizione di S. Miniato è stata voluta dai tedeschi d’accordo coi fascisti samminiatesi (preti compresi). I sanminiatesi, ed in particolare i fascisti rimasti a San Miniato, con la complicità più o meno palese da parte anche di sacerdoti, avrebbero indicato ai militari della Wehrmacht quali edifici abbattere e quali risparmiare.
Certamente durante il passaggio del fronte, la popolazione viveva in condizioni drammatiche ed estreme, cercando di sopravvivere a tutti i costi, sebbene immersa in un generale clima di paura, caratterizzato da tensioni e sospetti, soprattutto rivolti ad alcune personalità sanminiatesi che avevano convintamente aderito al fascismo negli anni precedenti. Dunque, si tratta di un documento da leggere con molta attenzione, ma anche con spirito critico, confrontandolo, com’è d’obbligo in questi casi, con le altre fonti disponibili.

San Miniato. Palazzo Barnini e Cassa di Risparmio
Cartolina fine anni ’20 del ‘900
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

PALAZZO GRIFONI
Prima di entrare nel merito del documento, vale la pena spendere alcune parole su Palazzo Grifoni e su come ne era entrato in possesso (almeno in parte) Francesco Lami.
L’edificio più elegante e prestigioso di San Miniato fu fatto costruire da Ugolino Grifoni nella seconda metà del ‘500. Rimase di proprietà Grifoni fino al matrimonio celebrato nella seconda metà dell’800 fra Eleonora di Gaetano Grifoni e Giacianto Catanti Boezi, di famiglia originaria di Calci. Nel 1909 i Catanti alienarono il palazzo, che fu acquistato da Augusto Barnini. Quest’ultimo era una personalità di primissimo piano nella società sanminiatese del tempo: possidente, Pro-Sindaco di San Miniato dal 1908 al 1911, Direttore della CRSM dal 1915 al 1916, Presidente del Comitato di Mobilitazione Civile nel 1915, Socio della Società Storica della Valdelsa e Consigliere della Geofila “Società anonima agricoltura industriale”. Morì nel novembre 1916 e fu sepolto a Certaldo nella cappella di famiglia (02). Augusto Barnini aveva due figlie: Bianca sposò Eugenio Anfossi, mentre Engilda, detta “Gilda”, sposò Francesco Lami. Fu proprio il matrimonio con la figlia di Augusto Barnini che consentì a Lami di raggiungere un rango sociale elevato nel panorama sanminiatese.

FRANCESCO LAMI
Francesco Lami nacque a La Scala nel 1894. Diplomatosi in Ragioneria, conseguì la Laurea in Scienze Economiche e Commerciali e il suo primo impiego fu come “avventizio” negli uffici dell’amministrazione comunale di San Miniato. In breve tempo conquistò un ruolo sociale molto elevato, tanto da essere eletto Presidente del Comitato “Pro Caduti” di La Scala, che nel 1921 si adoperò per la realizzazione dell’epigrafe commemorativa, presso la chiesa di San Pietro alle Fonti, dedicata ai Caduti di quella frazione (03). Dal 30 dicembre 1926 al 26 dicembre 1933 fu Direttore della Cassa di Risparmio di San Miniato. Insignito dell’onorificenza di Commendatore, nei primi anni ’30 divenne Presidente della Commissione Amministratrice del Regio Conservatorio di Santa Chiara. E fu proprio Francesco Lami, il 6 novembre 1932, ad accogliere presso l’istituto di via Roma il Re Vittorio Emanuele III, giunto in visita a San Miniato per inaugurare la nuova sede della Misericordia a Palazzo Roffia e il nuovo Sacrario di Santa Maria al Fortino (04).
In seguito, fu Direttore della Banca Nazionale del Lavoro di Firenze e conseguì una seconda laurea in Agraria, dedicandosi con impegno all’azienda di famiglia. Infatti, oltre all’attività nel mondo degli istituti bancari, Francesco Lami fu impegnato anche nella gestione dell’azienda agricola e zootecnica che era stata del suocero Augusto Barnini. Nel 1931 partecipò alla I Rassegna della Razza Chianina a San Miniato nella qualità di Presidente del Consorzio Allevatori del Samminiatese con la Fattoria “Eredi Barnini” (05). La II Rassegna Zootecnica si tenne nella primavera del 1933 e vide ancora impegnata la “Eredi Barnini”, così come nel mercato del bestiame del 1934 (06). Nel 1940 la “Eredi Barnini” fu annoverata come esempio per il particolare contributo all’attività zootecnica nel territorio sanminiatese (07).
Francesco Lami non sembra prendere parte attiva alla politica sanminiatese e alle varie iniziative del regime fascista. Tuttavia, nel 1933 fu nominato presidente dell’Opera Nazionale Balilla di San Miniato (08). Non sappiamo se la sua fosse un’adesione convinta o dettata da una mera questione d’interesse. D’altra parte, in quegli anni, chiunque avesse un ruolo socio-economico di prestigio non poteva non essere coinvolto in una delle tante iniziative del regime fascista. Dunque, non sappiamo con quale animo affrontasse la notizia della caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 e il successivo Armistizio di Cassibile dell’8 settembre successivo. Dai toni con cui si esprime nel testo non sembra essere stato un fascista, ma non si esprime neppure con i toni propri dei membri delle formazioni antifasciste. Probabilmente era un “indipendente”, un uomo dell’alta borghesia, una personalità erudita, che rifuggiva dalla retorica della politica e difficilmente poteva sentirsi rappresentato da una specifica ideologia. Come è facile da immaginare, vista la sua elevata posizione sociale, era in contatto con i maggiorenti sanminiatesi del tempo, fascisti e non.
Nel Secondo Dopoguerra fece parte di molti enti culturali e assistenziali e fu accademico degli Euteleti. Il suo impegno nel campo agricolo lo vide contribuire al Consorzio Zootecnico di San Miniato e del Consorzio del Vino delle Colline Sanminiatesi. Morì il 4 dicembre 1963 (09).

LE CASE DEI FASCISTI SONO STATE RISPARMIATE
Francesco Lami, motivò l’accusa che vedeva il diretto coinvolgimento dei fascisti sanminiatesi nella distruzione delle abitazioni di San Miniato, con alcune constatazioni. La prima di queste fu che le case dei fascisti furono tutte risparmiate (Capponi, Novi, Formichini, Panfin, Vescovo e Galli Angelini), mentre quelle degli antifascisti furono tutte demolite. L’affermazione non è veritiera e alcuni dettagli meritano di essere approfonditi.
La casa di Sabatino Novi (già Segretario Politico del Fascio di San Miniato) si trovava in Piazza XX Settembre e la sua eventuale distruzione non avrebbe procurato quella “barriera” di macerie che i tedeschi volevano utilizzare per sbarrare la strada. La casa Pietro Panfin (Agente agrario del Conservatorio di Santa Chiara e noto fascista) era situata in via Carducci e si trovava “aggrappata” alla costa della strada per cui, se fosse stata demolita, le macerie sarebbero andate in valle e non sulla strada. Stesso discorso per la casa di Ugo Capponi (1903-1964, membro del direttorio del fascio sanminiatese) poiché distante da via Roma e quindi la sua distruzione sarebbe stata inutile.
Sulla casa del Vescovo, cioè l’Episcopio, forse altre ragioni spinsero a non demolirlo: su tutte il fatto che la Curia Vescovile rimase l’unico punto di riferimento istituzionale per i sanminiatesi durante i giorni del passaggio del fronte. Su Palazzo Formichini e sull’abitazione del Canonico Galli Angelini, invece, torneremo in seguito.
Tuttavia, Francesco Lami in questa sua osservazione ad ampio spettro, “dimentica” anche gli episodi in senso contrario: infatti anche alcune abitazioni di fascisti o di personalità che erano state legate al fascismo furono ugualmente demolite o seriamente danneggiate dalle mine tedesche. Su tutti vale la pena di ricordare il Palazzo Pellicini, la residenza appartenuta a Giuseppe Pellicini podestà fascista di San Miniato dal 1935 al 1941 (10). Anche il Palazzo Ansaldi-Braschi, rimasto semidistrutto, era appartenuto ad Antonio Braschi, che il 30 ottobre 1922 fu inviato a controllare l’operato del Commissario Prefettizio Attilio Masiani durante la mobilitazione nazionale per la cosiddetta “marcia su Roma” (11).

La semidistruzione di Palazzo Grifoni
e della Cassa di Risparmio di San Miniato
Foto di Cesare Barzacchi – Luglio 1944
Utilizzo ai sensi dell’art. 70 comma 1-bis, della Legge 22 aprile 1941, n. 633

I FASCISTI HANNO CONTRIBUITO ALLA DEMOLIZIONE DELLA CITTA’
La seconda constatazione riguarda il fatto che i fascisti sanminiatesi avrebbero guidato i tedeschi nell’opera di demolizione, di saccheggio e di depredazione. Questo aspetto risulta plausibile e, in definitiva, veritiero. Numerosi testimoni, fra cui l’impiegato comunale Giuseppe Zucchelli e il Maresciallo dei Carabinieri Pietro Conforti, dichiararono di aver visto l’elenco delle abitazioni da demolire: una lista scritta in italiano, con ottima calligrafia, contenente l’indicazione dei nomi e dei cognomi dei proprietari, gli indirizzi e i numeri civici.  Non è noto l’autore dell’elenco, ma l’ipotesi più verosimile – avanzata da Paolo Paoletti – è che sia stato compilato dal Commissario Prefettizio Genesio Ulivelli, prima di allontanarsi dalla città, nei giorni che precedettero le demolizioni e quindi la Liberazione di San Miniato. C’è da dire che le conclusioni della Relazione Giannattasio esclusero responsabilità delle autorità civili, ma va anche ricordato che Genesio Ulivelli, nonostante fosse stato l’ultimo Commissario Prefettizio nominato dalla RSI, sedeva nei banchi della nuova Giunta di Liberazione! (12). Inoltre, è del tutto ragionevole che i militari germanici si facessero coadiuvare dai fascisti rimasti, anche e soprattutto per requisire beni e materiali da destinare alle truppe – che agivano in ranghi ridotti e con ampio razionamento di materiali e cibo – ma anche in operazioni di vero e proprio sciacallaggio. Va ricordato, tuttavia, che alcune personalità vicine alle posizioni dei fascisti si comportarono ugualmente in favore della popolazione. Ad esempio, lo stesso Ugo Capponi si impegnò, assieme al Vescovo Ugo Giubbi e alla Cassa di Risparmio, per la liberazione degli ostaggi che era stati catturati dai militari tedeschi a seguito dell’uccisione di un maresciallo germanico presso La Catena. L’intervento di Ugo Capponi risultò determinante nel salvataggio degli innocenti che rischiarono di morire per rappresaglia (13).

PALAZZO GRIFONI DISTRUTTO, PALAZZO FORMICHINI NO
La terza constatazione riguarda l’atteggiamento di Piero Formichini. Quest’ultimo consigliò al Lami di abbandonare la città e di lasciare i beni mobili e gli indumenti presenti a Palazzo Grifoni in custodia presso il suo palazzo. Tale circostanza fece ipotizzare al Lami che il Formichini avesse la certezza che il suo palazzo non sarebbe stato distrutto e questa sarebbe stata la prova provata che egli agisse in accordo con i militari germanici. Tale circostanza, tuttavia, non è veritiera.
Piero Formichini era il padre di Filippo Formichini, podestà fascista di San Miniato dal 1933 al 1935, che era rientrato a San Miniato dopo l’8 settembre, dopo essere stato in guerra poiché era capitano di vascello. La figlia, invece, era crocerossina. Quel che successe a Palazzo Formichini è degno di nota, poiché fu effettivamente minato dall’esercito tedesco, ma fu salvato grazie ad un’operazione di sabotaggio da parte di un soldato intenzionato a disertare. La vicenda è narrata in una lettera che lo stesso Piero Formichini scrisse al Prof. Gimmelli, pubblicata nel 1986. Queste le sue parole (14):

Il 19 luglio potei mettermi in contatto con un polacco della squadra dei distruttori tedeschi, riuscendo così, in collaborazione col dott. Cassata, a far sparire l’esplosivo già portato per far saltare la casa Donati […]. Avevo combinato anche che sarebbe stata sabotata la cassa di esplosivo posta nella nostra casa di Via 4 Novembre 16, e la diserzione del polacco stesso che la sig.ra Laura Mori durante la notte, coraggiosamente, avrebbe guidato verso Collebrunacchi ove lo avrei fatto nascondere; ma purtroppo all’ultimo momento la carica che doveva essere sabotata non lo fu ed esplose, distruggendo quella nostra casa, e il polacco non si presentò. Quello scoppiò provocò gravi danni anche alla nostra casa di via 4 Novembre 15 […].

Palazzo Grifoni, oggi sede della Fondazione CRSM
Foto di Francesco Fiumalbi

IL RUOLO DEL CANONICO GALLI ANGELINI
La quarta constatazione di Francesco Lami riguarda il fatto che i militari germanici non avessero alcuna intenzione di demolire Palazzo Grifoni, poiché distante dalla strada e dunque tale circostanza sarebbe stata voluta dai fascisti del luogo per vendetta nei suoi confronti. In realtà la demolizione della parte orientale del palazzo e della sede della Cassa di Risparmio era funzionale al blocco di via di Borgonuovo, la strada che corre parallela a via IV novembre.
In questo scenario entra in gioco il Canonico Francesco Maria Galli Angelini, che era stato notoriamente vicino alle posizioni dei fascisti, accusato di non essersi adoperato per salvare Palazzo Grifoni, dichiarato “Monumento Nazionale”, dato il suo ruolo di Ispettore onorario della Soprintendenza, e tenuto presente che all’interno dell’edificio si trovavano oggetti provenienti da un non meglio precisato Museo di Pisa.
Com’è noto il Palazzo Grifoni fu scelto quale luogo “sicuro” ove sistemare alcune opere, così come vennero rinvenute dagli ufficiali del governo alleato incaricati di verificare lo stato di conservazione delle opere d’arte italiane. Il 24 agosto 1944 giunse a San Miniato il Capitano Deane Keller, in servizio al Monument, Fine Arts and Archives Office del 5° Armata Statunitense, che redasse un sintetico rapporto sulle condizioni della città. Soffermandosi su Palazzo Grifoni annotò la semidistruzione del palazzo, ma anche il buono stato di conservazione delle opere qui conservate. Lami, nel suo “memoriale”, parla di quadri e statue del museo di Pisa, ma il militare statunitense rinvenne solamente casse contenenti libri, manoscritti e quadri provenienti da Livorno. Può darsi che nel mese intercorso alcune opere fossero state spostate altrove. Di seguito il rapporto del Capitano Keller (15):

The right alf of this Rennaissance Palace is absolutely flat on the ground. Yje other half is preserved almost perfectly – hardly a shrapnel nick. In this half the 32 boxes of books, mss., etc., and the pictures from Livorno are preserved in perfect condition. The Germans opened one of the sealed boxes, but apparently took nothig. In contained books. The place may be mined and booty-trapped. The caretaker blocked all access to the deposit with salvaged doors and beams, and the rooms are under lock and key. Seams safe.

Tornando al Canonico Galli Angelini, nel suo diario personale, affermò di aver tentato di salvare la città dalle distruzioni, almeno per quanto riguardava i suoi monumenti. Purtroppo, ottenne una risposta evasiva e, nella drammaticità di quei giorni, probabilmente gli fu impossibile fare di più. Queste le sue parole riportate nel suo Diario (16):

20 Luglio. […] Io, circa le ore 12 (legali) mi reco al Comando tedesco, nel Villino Fiore, per scongiurare la distruzione della rocca, del duomo, del Palazzo Grifoni e degli altri edifici storici e monumentali della città. Mi si risponde che il Comandante partirà la sera stessa e di non potere assumersi responsabilità con promesse che non può garantire, dovendo lasciare ad altri il comando. Nella sera inoltrata e nella notte dal 20 al 21 luglio, sono state fatte saltare con le mine molte case di San Miniato.
21 Luglio. Nella mattinata si apprende che sono state fatte saltare con le mine, la notte precedente, la Cassa di Risparmio e metà del Palazzo Grifoni e molte altre case di San Miniato. Con grande perplessità sono uscito di Seminario e sono andato fino al Ponte della vecchia pretura [la porta “Toppariorum”, fra la Torre degli Stipendiari e l’Hotel Miravalle, n.d.r.] e ho vedute salve la casa mia e la misericordia.
Queste sue ultime considerazioni – ho vedute salve la casa mia e la misericordia – lasciano intendere che il Canonico Galli-Angelini non avesse avuto materialmente la possibilità di “salvare” la propria abitazione, che si trovava al di sotto dell’Hotel Miravalle e il cui accesso avveniva da via Augusto Conti, di fronte al Palazzo Roffia sede della Misericordia. Dalle testimonianze dell’epoca sappiamo che sia il Palazzo della Misericordia che l’edificio di fronte (ovvero l’ingresso alla casa del Galli Angelini) vennero effettivamente minati. Tuttavia non furono demoliti.

LA STRAGE DEL DUOMO
Secondo Francesco Lami, ad ulteriore riprova circa la presenza di un accordo fra i tedeschi e i fascisti sanminiatesi, secondo una vera e propria “strategia della vendetta”, ci sarebbero stati anche i gravi episodi riguardanti la popolazione ed in particolare la Strage del Duomo. Lami osserva come che l’esplosione di “bombe” all’interno della Cattedrale doveva far parte di un tale diabolico disegno e che il Vescovo – a suo dire noto filofascista o fascista – avrebbe avuto un ruolo non secondario, seppur forse costretto al silenzio dai militari germanici. Lami non è testimone diretto di tali avvenimenti, in quanto si trovava presso le sue proprietà agrarie in Valdegola, ma si limita a riportare quello che apprende dalle altre persone. La storiografia, negli ultimi anni, ha accertato che la Strage del Duomo fu determinata dall’esplosione di un proiettile d’artiglieria statunitense che centrò la Cattedrale durante il cannoneggiamento operato la mattina del 22 luglio 1944. Anche il ruolo del Vescovo Giubbi è stato analizzato in ogni dettaglio ed è risultato completamente estraneo alla strage.

I FASCISTI DOPO LA LIBERAZIONE
Oltre a quanto detto nei paragrafi precedenti, risultano interessanti alcune osservazioni a proposito dei giorni immediatamente successivi alla Liberazione di San Miniato (24 luglio 1944). Infatti, secondo quanto annotato da Francesco Lami, alcuni fascisti sanminiatesi avrebbero continuato a collaborare con i militari germanici – che si attestavano nella pianura tra la ferrovia e l’Arno – attraverso opere di sabotaggio, come il taglio di fili telefonici, piccoli sabotaggi, attività di segnalazione. Ciò è del tutto plausibile. Per rimanere in Toscana, è nota la vicenda dei “franchi tiratori” a Firenze nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione e che provocarono un clima di terrore fra la popolazione appena liberata (17). Su questo aspetto, tuttavia, la storiografia sanminiatese è carente e non sono disponibili, al momento, ulteriori testimonianze.

LA LETTERA
Di seguito è proposta la trascrizione della lettera inviata da Francesco Lami ai suoi congiunti, a corredo della quale fu inviato anche il “memoriale”.

Genovini, 1° Sett. 1944
Carissimi,
Vi ringrazio sentitamente per le vostre lettere tanto affettuose per me e per la piccola.
Sono state giornate, giornate e notti veramente terribili e piene di sofferenze atroci, centuplicate al mio cuore di padre dalla presenza della piccola e dal pensiero che essa pure, a quella tenera età, soffriva, vittima innocente di tanta crudeltà e feroce bestialità!
Dal 24 Luglio, giorno in cui lasciammo S. Domenico a tutto ieri, le giornate non sono state buone, specialmente per me (che, non avendo più venti anni, sento più acutamente le preoccupazioni dei pericoli, i guai e gli incomodi) e per la Lallina, dato anche il suo deperimento: innumerevoli e fragorosissime cannonate in partenza e purtroppo alcune anche in arrivo ogni giorno e ogni notte, mosche in numero enorme che non danno tregua e, in mancanza di cibo, pinzano anche attraverso le calze e la camicia, caldo insopportabile, polvere, se si scende in istrada, che mozza il respiro, impossibilità di prendere un bagno ecce cc.
Speriamo che il mese di Settembre che oggi si inizia ci liberi da alcuno di questi flagelli! Io, per ciò che mi riguarda, cerco di dimenticarli colla rassegnazione e scrivendo comparse conclusionali, memorie ecc.
Vi do la buona notizia che tutti i libri, registri, documenti riguardanti l’amministrazione, comprese le cartelle che erano in biblioteca, sono stati salvati e asportati dal palazzo nel giorno in cui io e la consorte ci parlammo colà per sapere se era vera o non la notizia, che circolava in città, che i tedeschi avrebbero fatto saltare il palazzo.
Vi mando poi un rapporto supplementare riguardante gli avvenimenti del mese di agosto: vi prego di rendermelo e di farmene una o due copie (sarebbe bene mi mandaste, se potete, un po’ di carta carbone: non avendone non posso contemporaneamente all’originale, battere qualche copia. Grazie per i giornali.
Vi confermo che, per ciò che concerne la campagna, i guai nostri, sino ad oggi, non sono enormi, come risulta dalle relazioni che vi ho inviato e da quella di cui sopra (per quanto ivi non siano indicati tutti i danni: per es. Armando mi diche che nel grano appare la gatta porcina: inoltre nulla vi posso ancora dire dei fondi di Roffia, per quanto, secondo le ultime notizie, le case coloniche sono sì aperte, ma tuttora in piedi, le bestie sono state salvate da noi. Il tabacco fiorito sì, ma in istato discreto, l’uva pure in istato discreto).
Per ciò invece che concerne il palazzo, la fattoria e la casa dei RR.CC. i guai sono ben gravi!
P.S. Prego di dire all’avv. Arrighi, se non ancora ha liberato quella somma di 500/m, di liberarla subito, perché dal 9 giugno sono passati oramai tre mesi e anche la più grande pazienza ha un limite.

IL DOCUMENTO
PRIME OSSERVAZIONI SUGLI AVVENIMENTI DEL LUGLIO – AGOSTO 1944
La demolizione di S. Miniato è stata voluta dai tedeschi d’accordo coi fascisti samminiatesi (preti compresi). Infatti:
1) Le case appartenenti a fascisti, salve pochissime eccezzioni, sono state risparmiate (casa del Capponi, del Novi, del Formichini, del Panfin, del Vescovo, del Can. Galli ecc.). Le case appartenenti a persone contrarie al fascismo sono state invece tutte demolite.
2) Persone degne di fede (fra le quali il parroco di Moriolo) sono venute a riferirmi che i fascisti guidavano i tedeschi nell’opera di demolizione, di saccheggio, di depredazione, (per es. il Capponi indicò ai tedeschi l’esistenza di due cavalli nella mia stalla e li condusse egli stesso ivi mostrando loro i due cavalli dei quali infatti i tedeschi si impossessarono, ecc.)
3) Allorquando il giorno 18 luglio, dopo la parziale demolizione della mia fattoria, io, unitamente ai miei, minacciati al pari di me, di fucilazione, vi feci ritorno accompagnato dal Panfin per chiedere ai tedeschi se potevo rimanervi e fui nuovamente minacciato di fucilazione se non avessi subito abbandonato S. Miniato, notai che il Formichini rimaneva invece indisturbato davanti al suo palazzo. Il Formichini stesso mi consigliò di abbandonare S. Miniato. Egli, rimase invece ivi tranquillamente, il che sta a significare in modo indubbio che egli erasi messo, come il Capponi ed altri daccordo con i tedeschi nel senso che le loro persone non sarebbero state toccate, come non lo furono, dai tedeschi. E’ resultato inoltre che la figlia del Formichini era ritornata il giorno prima da Firenze, vestita da crocerossina e munita di documenti del Comando tedesco che assicuravano al Formichini, famiglia e cose sue, l’incolumità e la intangibiltà.
4) Il comando tedesco non aveva alcuna intenzione di far saltare con la dinamite il palazzo, sia perché questo era lontano dalle vie che i tedeschi intendevano ostruire con macerie, sia per il gentile trattamento da noi fatto ai militari tedeschi che avevano chiesto ed ottenuto alloggio ivi, come ripetutamente ebbero a dichiararsi i graduati e soldati tedeschi che ivi alloggiavano. La demolizione effettuata diversi giorni dopo fu pertanto l’effetto, evidentemente, di nuove disposizioni date dai fascisti del luogo.
5) Allorquando io, per eccesso di prudenza, asportai i mobili e indumenti dal palazzo, nel giorno 20 luglio (essendo corsa la voce che sarebbe stato demolito dai tedeschi) il Formichini ci invitò a lasciare parte dei mobili e indumenti ( che difficilmente avremmo potuto trasportare fino al convento di S. Domenico) nel suo palazzo, il che sta nuovamente a significare che egli aveva la certezza che il suo palazzo non sarebbe stati, come non lo fu, minato. Ora egli cercherà di farsi amici gli Americani, fingendosi americanofilo, ma si spera sarà smascherato.
6) Il palazzo dell’Avv. Taviani, noto antifascista, fu fatto saltare nonostante egli avesse tentato di salvarlo versando una cospicua somma (£. 100.000.) ai tedeschi.
7) Il Can. Galli, noto fascista e filotedesco – tanto che arrivò al punto di arringare sotto i chiostri, il popolo samminiatese e di incitarlo a portarsi, in Germania a lavorare ivi – temendo per la sua casa, provvide a porre sulla porta della stessa un cartello nel quale, a caratteri cubitali, era scritto che detta casa era sotto la protezione della Città del Vaticano e, come tale, intangibile. Invitato per ben due volte dal Giunti Aldo, custode dei quadri e statue del museo di Pisa esistenti nel Palazzo Grifoni, a porre un cartello sulla porta del Palazzo Grifoni attestante il carattere di monumento nazionale del palazzo stesso, fece – nonostante la qualifica di sopraintendente ai monumenti nazionali e nonostante avesse presenziato, in tale qualità, alla introduzione nel palazzo dei siccitati quadri e statue del museo di Pisa, orecchi da mercante, dimostrando così, non solo di preporre sfacciatamente e vigliaccamente (data la sua veste di fascista e filogermanico e inglesofobo) il suo individuale interesse a quello collettivo, ma di calpestare quest’ultimo e di infischiarsene della demolizione del Palazzo Grifoni, della quale demolizione egli è pertanto, col suo contegno volutamente negativo, complice e responsabile civilmente e penalmente (avendo inteso, evidentemente di vendicarsi, così delle giuste pubbliche accuse mossegli anni ora sono dal Lami).
8) L’introduzione in alcune chiese (Duomo – S. Domenico) e l’esplosione di bombe nel Duomo, fu l’effetto di un accordo fra fascisti e tedeschi e, per lo meno, i fatti stanno a dimostrare che i primi erano al corrente dell’introduzione di dette bombe in tali chiese e colpevoli di aver cooperato, col loro contegno volutamente negativo a tale scempio. Si afferma da parecchi samminiatesi scampati miracolosamente allo eccidio che i tedeschi e anche il Vescovo, noto filofascista o fascista, che nel Duomo invitò i “fratelli dilettissimi” a pregare, “potendo la morte essere imminente”, consultavano, sino a pochi minuti prima dello scoppio delle bombe, i propri orologi e che il Vescovo, pochi minuti prima dello scoppiò, abbandonò il tempio. Posta anche che se al Vescovo fosse stato dai tedeschi imposto di tacere, egli non avrebbe dovuto – se quanto si afferma risponde a verità – entrare nel Duomo, poiché la sua presenza determinò indubbiamente molti ad entrarvi, e non avrebbe dovuto, comunque, abbandonare il suo gregge al momento fissato per l’eccidio, il che forse avrebbe evitato lo scempio.
9) Dopo l’occupazione di S. Miniato da parte degli americani è continuata e continua l’opera di ostilità alle forze e operazioni militari americane e di collaborazione alle operazioni militari germaniche da parte dei fascisti iscritti e non iscritti al partito repubblicano, per esempio: taglio di fili telefonici, segnalazioni ai tedeschi, furti di oggetti appartenenti alle forze americane, ecc. Orbene, è resultato che costoro sono quasi esclusivamente quei tale le cui case sono state salvate totalmente o quasi totalmente. Ciò è altra conferma che lo scempio di S. Miniato fu l’effetto di un accordo fra fascisti e tedeschi e che, in virtù di tale accordo, ai fascisti si impegnarono ad aiutare nell’avvenire i tedeschi, in corrispettivo del salvataggio delle loro case e a titolo di gratitudine verso i tedeschi (divenuti strumento delle loro antipatie, odii, e vendette) per aver essi demolito le case delle persone loro invise.
10) Quando nella mattina del 20 luglio 1944 io mi portai nel palazzo per evitare che questi venisse demolito dalle mine tedesche, rilevai una strana contraddizione tra quanto a noi era stato riferito dai sanmminiatesi sulla sorte del palazzo, e le affermazioni dei graduati tedeschi ivi banchettanti. Mentre cioè in paese ci era stato assicurato, sulla base di un elenco che diversi samminiatesi avevano visto e nel quale figuravano le case di S. Miniato che dovevano essere demolite con la dinamite, che la nostra casa era nel novero delle case da demolire, i tedeschi che si trovavano nel palazzo non solo negarono ciò, ma mostrarono la più alta meraviglia e quasi mi trattarono di visionarlo e solo dichiararono che non potevano escludere che il palazzo venisse in avvenire non demolito, ma danneggiato da qualche cannonata americana o tedesca. Ciò adunque starebbe a dimostrare che la demolizione del palazzo non fu tanto voluta dai tedeschi quanto dai compilatori dell’elenco (sergente paracadutista ed altri) in combutta coi fascisti o filofascisti samminiatesi, o, comunque, ostili a noi rimasti a S. Miniato.
11) Quando il 30 luglio andai a Corazzano e trovai diversi samminiatesi (Scali, Corsi, figlio di Marianelli eCo) nessuno mi fece le condoglianze del caso occorsomi. Quando ai primi di Agosto ricevetti la visita dell’Avv. Gazzini e della sua fidanzata, costui mi disse che da Marzana, ove attualmente dimora, aveva notato la demolizione parziale del mio palazzo e ciò era spiaciuto tanto a lui come samminiatese! Nessun dispiacere aveva dunque provato per coloro che si erano sempre adoperati per il bene di S. Miniato e che fino agli ultimi momenti di permanenza nel palazzo si erano prodigati per i samminiatesi, ma unicamente aveva sofferto come cittadino di S. Miniato!
Può darsi che la parola abbia tradotto male il suo pensiero e che egli avesse inteso significare quale fu il suo precipuo dolore, comunque, se così parla un amico, si può pensare come parlerà una persona indifferente, o peggio, ostile a noi e giova concludere che è bene seguire il consiglio (da me dato anni addietro) di vendere tutto e abbandonare S. Miniato i cui cittadini hanno evidentemente l’abitudine di compensare colla ingratitudine, colla maldicenza e con la sadica gioia per le sventure altrui, coloro dai quali sono stati costantemente beneficiati.
12) Il guardia mi ha riferito che i tedeschi giorno or sono hanno acciuffato tre uomini, dei quali due sessantenni, li hanno obbligati a lavorare indi di notte li hanno rinchiusi in una casa in prossimità dell’Arno ed hanno cannoneggiato ferocemente detta casa fino a demolirla. Questi tre disgraziati si sono salvati miracolosamente in un sottoscala e nella mattinata successiva hanno potuto raggiungere le truppe americane. Questi delitti bollano per l’eternità il popolo e l’esercito germanico con marchio dell’infamia e del disonore.
13) I tedeschi hanno pubblicato dei bollettini nei quali hanno comunicato al mondo…. Degli imbecilli, che S. Miniato, essendo stato demolito quasi completamente dalle bombe degli aeroplani anglo-americani, hanno dovuto essere abbandonato dalle truppe tedesche. E pensare che su S. Miniato non è caduta neppure una bomba degli anglo-americani.
La menzogna elevata a sistema, la beffa aggiunta ai danni apportati alle terre occupate ecco un'altra delle salienti virtù di questo miserabile esercito di delinquenti, meritevole di essere distrutto unitamente al popolo da cui deriva, ab imis fundamentis.


Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 1
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità

Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 2
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità

Francesco Lami, Prime osservazioni sugli avvenimenti del Luglio-Agosto 1944. Pagina 3
Archivio privato Alberto Lami, per gentile disponibilità

NOTE
(01) Per un quadro generale sul passaggio del fronte della Seconda Guerra Mondiale dal Medio Valdarno Inferiore e dal territorio sanminiatese (escluso episodio della Strage del Duomo) si veda: San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) Documenti e cronache, Amministrazione Comunale di San Miniato, Biblioteca Comune di San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986; C. Biscarini e G. Lastraioli, «Arno-Stellung». La quarantena degli Alleati davanti a Empoli (22 luglio – 2 settembre 1944), «Bullettino Storico Empolese», vol. IX, anni XXXII-XXXIV, Associazione Turistica Pro Empoli, Tip. Barbieri, Noccioli & C., Empoli, 1991.
(02) R. Boldrini, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, pp. 160-161; Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 293 del 14 dicembre 1916, p. 1623.
(03) «La Vedetta», Anno III, n. 32, del 14 agosto 1921, p. 3.
(04) «Il Corriere del Tirreno», anno LXI, n. 263 del 7 novembre 1932, p. 2
(05) «Il Ponte di Pisa», Anno XXXIX, n. 39 del 24-25 ottobre 1931, p. 2; n. 41 del 7-8 novembre 1931, p. 2; n. 42 del 14-15 novembre 1931, p. 2.
(06) «Il Ponte di Pisa», Anno XLI, n. 21 del 20-21 maggio 1933, p. 3; «Il Ponte di Pisa», Anno XLII, n. 12 del 24-25 marzo 1934, p. 3
(07) V. Palmarocchi, Il Comune di S. Miniato e la sua importanza agricola, Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, Pisa, 1941, in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Documenti e cronache, Comune di San Miniato, Biblioteca Comunale di San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986, pp. 10-14: 14.
(08) «Il Ponte di Pisa», Anno XLI, n. 27 del 1-2 luglio 1933, p. 3.
(09) La scomparsa del Comm. Francesco Lami, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. 36, San Miniato, 1964, pp. 165-166.
(10) R. Boldrini, Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 223.
(11) «La Voce Fascista», Anno I, n. 21 del 4 novembre 1922.
(12) P. Paoletti, 1944 San Miniato. Tutta la verità sulla strage, Mursia Ed. Milano, 2000, pp. 25-27.
(13) E. Cintelli, Un baule per la libertà. La Catena 1944. Un borgo prima, durante e dopo il passaggio della Seconda Guerra Mondiale. Fatti, testimonianze, documenti, FM Edizioni, San Miniato, 2013, pp. 31-33.
(14) Archivio Privato Alessio Alessi, in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) Documenti e cronache, Amministrazione Comunale di San Miniato, Biblioteca Comune di San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986, pp. 128-131.
(15) National Archives, Washington DC, Holocaust-Era Assets, Roberts Commission – Protection on Historical Monuments, Monuments, Fine Arts and Archives Brunch (MFAA) Field Reports, Tenth Monthly Report, August 1944, n. 1537270, p. 169.
(16) Archivio dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, Fondo Galli Angelini, Note di Diario  di Francesco Maria Galli Angelini; ed. F. Mandorlini, Diaristica religiosa nella diocesi di San Miniato. La guerra vista in parrocchia, in convento, in monastero, in Abbiamo fatto quello che dovevamo. Vescovi e clero nella provincia di Pisa durante la Seconda Guerra Mondiale, a cura di S. Sodi e G. Fulvetti, Edizioni ETS, Pisa, 2009, pp. 176-178.
(17) P. Paoletti, Firenze Agosto 1944. Alleati, Tedschi, C.T.L.N., partigiani e franchi tiratori nel mese più sanguinoso della storia fiorentina, Edizioni Agemina, Firenze, 2004, pp. 161-176.

2 commenti:

  1. Il Lami é stato anche studioso del Landeschi su cui ha scritto un libretto e condotto i Georgofili a una gita a Montorzo, con pubblicazione sul loro bollettino. Il documento Lami misembra frutto di istanze personali affrettate e di una certa acredine. Quando con Beppe Chelli preparammo la pianta degli edifici demoliti dalle mine del 44 (la pianta é in rete sulla pagina moti carbonari) si vide benissimo che tutte le mine erano state messe agli innesti di strade e vicoli, per ostacolarne l'accesso. Quindi non una cosa casuale e connessa a indicazioni di questi o quelli e non credo potesse essere cambiato nulla. E'opportuno guardare bene. In merito alla citazione di mio nonno Antonio Braschi fascista, vorreti precisare che la sua complessa e importantissima figura morale di grande umanità e cultura, ha attraversato esperienze di vita diverse, che lo vedono, direttore di riviste di agraria, direttore della scuola di agraria all'Umanitaria di Milano, direttore della scuola agraria di Castelletti a Signa, fino all'ultimo minuto attivo nella didattica e nell'organizzazione sociale e per poco tempo (é morto nel 24) parte della vita politica di San Miniato. Nella nostra casa, minata econ l'antistante casa Falai, interruzione in corrisponcenza del Bellorino a ovest , come casa Taviani lo era ad est, nel 44 abitavamo mia nonna Ester, la mia mamma Maria Leproni ed io. Mio padre e mio zio erano prigionieri di guerra e sono tornati tra gli ultimi. A mio zio Ariberto é stata presa anche la topolino. Al loro ritorno, come tanti, avevano solo le mani per lavorare.

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  2. Chelli Giuseppe
    Il resoconto di Lami è dettato da una rabbia troppo eccessiva da poter prendere per buone anche alcune vicissitudini accadute veramente e da lui raccontate. Se fosse vero che le case dei fascisti furono tutte risparmiate non si capisce perchè il palazzo di Giuseppe Pellicini come la ex Casa del fascio (Palazzo dott .Piccolo) siano state minate..

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