18 [1396] Congiura di Benedetto Mangiadori
Per la venuta di tante genti nimiche i
Fiorentini cominciarono a temere, e subito condussono a soldo messer Bartolomeo
pratese e gli altri condottieri congregati insieme, come se la loro compagnia
fussi finita, e compartironli per le terre. Era venuto in questo tempo
Bernardone chiamato per capitano generale dal popolo fiorentino e diputato a
tutta la importanza delle cose, il quale era di nazione guascone, e
nientedimeno consueto lungo tempo per Italia al mestieri dell'arme. Costui menò
seco secento cavalli e più di dugento fanti pratichi alla guerra. Con queste
genti si fermò a Samminiato e
Fucecchio. Oltre di questo, richiesti i Bolognesi e gli altri collegati di
favore, mandarono alcuni ajuti, benché fussino pochi e venissino molto tardi.
In questo mezzo Paolo Orsino e
Ottobuono da Parma si mossono colle genti di quello di Pisa e entrarono nel
contado di Lucca: dove congiunti col conte Giovanni da Barbiano, aspettavano la
venuta del conte Alberigo di Lombardia, e scorrevano ostilmente tutto il paese.
Essendo i Lucchesi posti in gran pericolo, domandavano gli ajuti dei Fiorentini
: a’ quali deliberando i Fiorentini di sovvenire, ordinarono che Bernardone capitano
si muovessi da Santo Miniato e
passassi per la via di Fucecchio in quello di Lucca. Trovandosi adunque nel contado
de' Lucchesi l'esercito de' Fiorentini, e essendo ognuno vòlto a quelle parti,
messer Jacopo d'Appiano, che molto innanzi l'aveva fabbricato, fece impresa di
pigliare Samminiato.
Era Benedetto Mangiadori samminiatese uomo nobile a casa sua e insino
allora riputato fedele. Costui, trovandosi in quello tempo a Pisa, messer
Jacopo d'Appiano con grandi premj lo dispose a fare un grande e pericoloso
fatto: e questo fu di prendere subitamente Samminiato,
e levato il romore, pel mezzo dqgli amici suoi e degli ajuti che vi sarebbono a
tempo tórre quella terra a’ Fiorentini. La cosa pareva da riuscire, perché nessune
guardie de' Fiorentini erano rimase dentro, e grande numero di genti nimiche si
trovavano a Pisa e nelle circostanze da potere essere a Samminiato in poche ore. Il modo del trattato era ordinato in
questa forma. La residenza e casa del vicario posta in sulle estreme parti
della terra stava in maniera, che di dentro e di fuori si poteva entrare e
uscire. Deliberò adunque occupare questa, e mettere dentro per quella via il
soccorso de’ nimici. Il perché, composto la cosa a questo modo, Benedetto con
diciassette cavalli si mosse da Pisa, e in sulla prima ora della notte giunse a
Samminiato: e poi che fu nella terra
così armato e con quegli compagni che avea menati seco, se n’andò al vicario,
come se avessi a significare qualche cosa d'importanza e di necessaria
prestezza, e fu messo dentro senza alcun sospetto. Lui, come fu condotto
innanzi al cospetto del vicario, trattò fuori l'arme, l'assaltò insieme co’ suoi,
e non avendo sospetto di tal cosa, l’ammazzò: di poi, levato il romore e
chiamato i terrazzani alla libertà, fece segno a’ nimici che venissino con
prestezza. I terrazzani, spaventati da prima, stimando che fussino i nimici
collo esercito e non si fidando l’uno dell' altro, stavano in grande timore: ma
passato alquanto di tempo, non comparendo alcuno soccorso de' nimici, si
ragunarono insieme, e confortando l'uno l'altro, deliberarono assaltare quelli
del trattato. Il perché con grande impeto s’appresentarono alla casa del
vicario: e bench’ella fussi forte, e quelli che l'avevano occupata egregiamente
la difendessino, nientedimeno chi da una parte e chi dall'altra la combattevano
e mettevano fuoco nelle porte. Finalmente quegli che v'erano dentro, non si
confidando potere resistere a tanta forza e non vedendo comparire alcuno sussidio,
cominciarono a fare pensiero di fuggirsi. Benedetto di notte per certi precipizj
s’uscì della terra, e de’ suoi compagni ne fu presi alcuni, e gli altri
fuggendo e occultandosi scamparono. La casa del vicario fu ricuperata dopo
mezza notte, che era stata presa in sulle prime tenebre.
Era circa mezzanotte, quando a Firenze
venne la novella, come il vicario era suto morto e la sua casa presa, e i
nimici erano chiamati e aspettati. Il perché i magistrati per questa novella feciono
chiamare prestamente i cittadini, e tutta la città stette quella notte in
grande timore, perché pareva loro, se avessino perduta una terra fortissima di
sito e capace di grande moltitudine di gente, dove potevano fare la sedia della
guerra, correre pericolo della libertà: e stimavano certamente sì grande numero
di gente nimiche essere ragunate a questo fine. Consultando adunque quello
fussi da fare di questa cosa, e stimando senza dubbio la terra essere perduta,
in sul fare del dì venne un altro avviso, che riferì la terra essere conservata
e quegli del trattato cacciati fuori. Per questa seconda novella la città ne
prese tanto conforto, che gli parve essere liberata da grandissimo pericolo: e
maravigliandosi, come il soccorso non era venuto a quegli del trattato, si
trovò, che venendo di notte la fanteria
de' nimici, sì riscontrò negli aguati de’ nostri, che per altra cagione s'erano
posti a voler pigliare gli usciti: e per questo i nimici stimarono il trattato
essere scoperto, e tornaronsi addrieto. E in questa maniera più tosto a caso si
venne a salvare la terra che per alcuna providenza degli uomini. Ma fatto alto
il giorno, Ceccolino fratello di Biorclo, venendo colle genti d'arme a cavallo,
trovò quegli del trattato essere stati cacciati: il perché prestamente si
ritornò a Pisa.
Dopo il trattato scoperto a Santo Miniato, il capitano dello esercito
fiorentino si ritrasse di quello di Lucca a Fucecchio, e veduto il pericolo di
quello trattato, attendeva solo a guardare le terre. In questo mezzo il conte
Alberigo, capitano generale del duca Giovan Galeazzo, colle sue genti d'arme
era cavalcato in quello di Siena, e convocato appresso di sé tutti gli altri
condottieri: e in questa forma tutte le genti nimiche s'erano messe insieme.
L.
Bruni, Istoria fiorentina di Leonardo
Aretino tradotta in volgare da Donato Acciajuoli, Felice Le Monnier,
Firenze, 1861, pp. 568-571.
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