giovedì 12 marzo 2015

L'ANNO SCOLASTICO 1965-66 - Racconto di Stefano Bartoli

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di Stefano Bartoli

L’anno scolastico 1965 – 66

L’anno scolastico 1965 – 66 ci portò in regalo una nuova scuola elementare in Via Rondoni. Io mi ritenni subito molto fortunato perché ero l’alunno che abitava vicino alla scuola. Affacciandosi a sinistra, dalla finestra della mia nuova aula, luminosa e spaziosa, si vedevano le scuole medie, poi il grande terrazzo e la casa di Corrado Rosi, il falegname e dietro potevi immaginare casa Mattei. Quella dove abitava la mia famiglia, in affitto.
Rimasi subito sorpreso di grandi banchi, con il piano di formica chiara, di un colore tipo verde acqua e le lunghe zampe metalliche. Le sedie di compensato di legno chiaro, di buon spessore, le zampe erano anch’esse di metallo. Tutte le zampe avevano i gommini in fondo, per non graffiare il pavimento.

Nella classe accanto a noi, l’altra quinta, che come insegnante aveva la sorella della mia maestra.
La mia insegnante si chiamava Paola Neri, i bidelli erano Ginetto Carli, il babbo della mia compagna di classe Catia Carli, poi Elvezia, altri non ricordo. Il nostro Direttore Didattico si chiamava Aquilini.
La mattina facevo a gara con Luciano Messerini a chi arrivava prima a scuola, lui abitava in una casa situata nel podere di famiglia, in Gargozzi, proprio sotto la scuola, faceva a piedi circa duecento metri di salita, io ne avevo circa ottanta sulla strada asfaltata.
Eravamo sempre entrambi lì, sul terrazzino che si affaccia sul vicolo di Gargozzi, appoggiati alla mezza ringhiera nell’attesa che arrivasse il custode ad aprirci il grande portone. All’epoca si entrava da lì, non dalla strada. D’inverno la valle ci soffiava addosso un gelido vento e noi ci riparavamo sotto i nostri berretti con gli orecchielli di lana che scendevano a coprirci le orecchie.

Ricordo il nonno del Messerini, un uomo anziano dagli occhi chiari, magro, sorridente, con una pipa sempre accesa fra le labbra che aveva un piccolo coperchio di alluminio sul fornello e il Suo cappello che proteggeva una testa canuta, coperta da pochi capelli bianchi.
Il nonno di Luciano ci sfidava sempre a un gioco di Suo gradimento. Apparentemente era semplice, dovevi arrotolare un po’ la lingua, raccoglierci una gran bella goccia di saliva e poi soffiar con forza, rapido per far volare la goccia il più lontano possibile da te. Non c’era verso, il nonno riusciva a far percorrere allo sputo un arco lungo sempre più di un metro, noi ragazzi ci disputavamo il secondo e il terzo posto.
Il nonno rideva dei nostri sforzi e si faceva bonariamente beffe di noi: Dovete crescere ancora un po’ per riuscire a battermi. Io non riuscivo a capire il Suo segreto, che sia stato il tabacco fumato a contribuire alla formazione di una “pallina” più densa e compatta, quindi più pesante, che viaggiava più veloce o più a lungo, oppure la capacità di raccogliere l’aria dei polmoni tutta insieme e scaraventarla fuori con una forza esplosiva. Certo è che tutte queste vittorie mettevano nonno Messerini di buon umore e si vedeva bene dagli occhi che sorridevano.

Arrivò l’estate e con essa il tempo degli esami di V a elementare. Ero un po’ ansioso, volevo fare bene. Non ho ricordi dei compiti scritti ma dell’interrogazione orale sì. La mia maestra, indossava sempre un grembiule nero, noi, con i fiocchi azzurri e i colletti bianchi, indossavamo, per le bimbe un grembiule bianco, per i bimbi nero.
Prima d’iniziare gli orali, la maestra disse che avrebbe iniziato con qualche volontaria o volontario. E così fu, dopo Anna Alessi, Cecilia Alessi, Vincenzo De Tata, Fabio Scali pensavo fosse il mio turno, ma non fu cosi.
L’insegnante ci fece sapere che saremmo stati interrogati quattro o cinque per mattina, prima le femmine, poi i maschi, il criterio di selezione era che s’interroga prima chi abitava più distante dalla scuola. Ero fregato, ero maschio e abitavo accanto alla scuola, sarei stato l’ultimo, il penultimo Renzo Ceccatelli, detto Marmellata, che abitava in piazza Bonaparte o piazza dei polli.

La mattina della mia interrogazione dovevo presentarmi poco dopo le otto e attendere il mio turno, insieme ai miei compagni. Mia nonna Terzilia mi aveva lucidato lungo le scarpe, Lei lo sapeva fare bene, era stata tanti anni a servizio dalla nobile Signora Morali Stoja, nel palazzo sull’angolo di via Ser Ridolfo e lì aveva saputo rendersi utile in tante faccende. Lì sveva imparato molto bene come si lucidano a dovere scarpe e stivali ed io ero il bambino con le scarpe più lucide di tutto il vicinato.
Nottetempo avevo deciso di portare con me il mio atlante geografico con cartine a rilievo, una vera meraviglia, era un regalo della Signora Mancini Fedora Mattei, la maestra che abitava sopra di me, che era anche la nostra padrona di casa e la moglie del datore di lavoro di mio padre, l’impresario Primo Mattei della ICEM, Impresa costruzioni edili Mattei.

Faceva un gran caldo, il tempo non passava mai e le interrogazioni di chi mi precedeva parevano durassero tutte un’infinità. Finalmente, quasi all’una, Renzo uscì felice per correre a casa ed io entrai. La mia maestra mi accolse sorridente e mi disse: “Caro Stefano, oggi sarà con noi il Direttore Aquilini, anzi T’interrogherà proprio Lui, sei contento?” Il Direttore era un uomo autorevole ma buono, non avevo timore perché lo conoscevo, frequentavo la Sua casa accompagnando mia madre che faceva piccoli lavori di cucito per tutta la famiglia del Direttore, abitava vicino alla piazzetta del Fondo, Lui, la moglie, una signora piccolina di statura, carina e gentilissima, le figlie: Donatella, più grande di me di circa un anno, Eleonora Aquilini, più piccola di qualche anno e il Loro fratellino Nico.

Ogni prova di abito, ogni vestito riconsegnato dopo aggiustature o riparazioni o ogni capo ritirato per dei lavoretti da fare io ero lì, insieme a mia madre. Questa conoscenza mi mise a mio agio ed anche il Direttore ci mise del Suo nel pormi domande in modo piacevole, non mi pareva proprio di essere al temuto esame. Alle domande di geografia trovai il modo di tirar fuori il mio atlante per mostrarlo al Direttore e alla Maestra, era veramente bello, feci presente che era un regalo che avevo ricevuto per la mia Prima Comunione e dissi anche da chi. Entrambi i miei ascoltatori conoscevano e stimavamo la Maestra Fedora Mancini. Conclusi benissimo, direi in crescendo, ormai avevo scaricato la tensione ed ero quasi euforico per come stava scorrendo l’esame.
Adesso basta, fermiamoci qui e mandiamo a casa questo bravo giovanotto, è già molto tardi. Sono molto soddisfatto di questo esame e immagino che la Sua sarà la migliore pagella di tutte.
Quando il Direttore Aquilini disse questo, pensavo di toccare il cielo con un dito, raccolsi atlante e appunti e corsi verso casa.

Le lezioni, per me, non erano ancora finite. Alcuni giorni dopo andai a ritirare la pagella, accompagnato da mia madre. Paola Neri mi chiamò e mentre lo faceva, si stropicciava le mani, l’una con l’altra, segnate dal tempo, le mani che usava per spiegarci le lezioni, sottolineando con ampi gesti ciò che usciva dalla Sua bocca. Caro Stefano, ecco la Tua bella pagella. Sappi che ho ben presente ciò che ha detto il Direttore Aquilini alla fine del Tuo esame ma non sarebbe giusto se io dessi a Te i voti per farti avere la pagella più bella. Ci sono compagni di scuola che meritano molto e che, in cinque lunghi anni di scuola, di cui quattro con me, hanno dimostrato molto e si sono espressi a eccellenti livelli, con continuità. Tu sei stato bravo e hai fatto un bellissimo esame ma è giusto che Tu sappia che c’è qualche pagella più bella della Tua.

Devo dire che, anche se ci avevo sperato, non ci avevo mai creduto; ero consapevole del grande valore di alcune e alcuni compagni di scuola e, francamente, ero felice perché eravamo riusciti, tutti a prendere la licenza elementare, come direbbe Don Milani eravamo riusciti a superare il traguardo tutti insieme.

Le mie compagne e i miei compagni di grande valore sono cresciuti: Vincenzo insegna all’Università di Pisa, facoltà di medicina, Fabio è diventato un bravo ingegnere meccanico, Anna è un bravissimo medico, Cecilia fa lo stesso lavoro di Paola, insegna in una scuola elementare, Angelo insegna matematica al Liceo Scientifico, Lucia è un bravo architetto ……… potrei continuare con gli altri ma credo che ciò sia sufficiente a far passare il messaggio che i buoni insegnanti e i bravi dirigenti scolastici sono veri maestri di vita ed è dai Loro preziosi insegnamenti che può dipendere un miglior futuro per i nostri figli.



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