mercoledì 4 giugno 2014

CASA BRUCCI - Racconto di Ines Vannini


CASA BRUCCI - PREMESSA
Uscito dalla felice penna di Ines Vannini qualche anno fà, questo racconto anticipa senza volerlo i tempi di cui al racconto di Nonno Nuti.
Ines classe '23 unica nipote di Nonno Nuti, pennella con un linguaggio spigliato un piacevole affresco dell'incontro tra sua famiglia e quella di Oreste Brucci (mio nonno materno). Non avendo consuetudine con gli strumenti moderni, affida a me il compito di pubblicare la sua fatica letteraria. Vale la pena leggerlo per lo stile sottile e ironico e per la proprietà di linguaggio non comune in persone di quel periodo storico.
Giancarlo Pertici


di Ines Vannini

CASA BRUCCI - ossia VIA PIETRO BAGNOLI N° 21 (SAN MINIATO)
Via Pietro Bagnoli n. 21 era il portone di una bottega però lo adoperavano come ingresso alla cucina. E qui abitava una grande famiglia, povera ma allegra scombinata e rumorosa.
I genitori avevano due nomi bellissimi: Oreste e Livia; ed erano una coppia singolare. Lei, il corpo pesante per le molte gravidanze, aveva un'unica cosa stupenda: una lunga lucente magnifica treccia di capelli neri e ricciuti. Poi con il passare degli anni si macchiarono di fili bianchi, ma rimasero sempre folti e magnifici e nessuna figlia ereditò dalla madre questa bellezza. Quando restava a casa, libera dal suo lavoro di infermiera, con tanti bambini, aveva sempre da brontolare e lo faceva piano, sottovoce, perché nessuno sentisse, ma andava avanti per ore tanto che alla fine nessuno le badava più. Lui invece lo conoscevano tutti per Musolino, forse per quell'aria trasandata e decisa, intollerante e pronto alla discussione violenta, ma generoso e disponibile a qualsiasi piacere gli chiedessero. Era però all'opposto della moglie, facile a scoppi di collera fragorosi e coloriti con ogni sorta di cristi e di madonne. Sempre fuori a far legna o a sbrigare commissioni, svelto, a passo spedito, non rifiutava mai un bicchiere di vino, così le suo sbronze erano quasi giornaliere, ma innocue. Quando entrava in casa cantando... "...l'acqua fa male, il vino fa cantare...", eravamo ormai nella fase alticcia e Livia cominciava a brontolare; allora lui zitto zitto se ne andava a letto e fino al giorno dopo non si vedeva più.
I figli erano otto e si sgranavano l'uno vicino all'altro e per tutti Oreste aveva trovato un soprannome pieno di fantasia che, non solo i familiari avevano accettato al posto del nome ma anche fuori, così che difficilmente si sapeva che Magnino in realtà di chiamava Rodolfo e Barnaghino era Alberto, la Spagna era Maria Pia e la Zanfera era Gina.
Quando i miei decisero di comprare la casa e le simpatie andarono all'attuale, l'unico neo erano i vicini che avremmo avuto. Con tanti bambini la sicurezza del giardino e del pollaio sarebbe sempre stata precaria. Però era un'occasione da non perdere e la casa fu comprata e nei lavori di restauro pensarono di rendere più sicuro il muro di divisione con una robusta, alta e bella inferriata di ferro, ma al momento di piazzarla, battagliero si presentò Oreste a chiedere spiegazioni. Si giustificò il lavoro come necessario accennando vagamente ai bambini che sarebbero potuti entrare in giardino.
Allora Oreste garantì: ".. niente ringhiera, e lei maresciallo stia sicuro che i miei figlioli non le toccheranno mai neanche un fico per terra, ché io li ammazzo di cinghiate". E il muro rimase così senza niente ma non una volta mancò un frutto, né fu scavalcata la cinta.
Alla vigilia del Corpus Domini quando si usava cospargere di fiori la strada dove sarebbe passata la processione e ognuno pensava al pezzo davanti alla sua abitazione, Oreste partiva per la campagna e tornava carico di sacchi di fiori, di gialle ginestre e foglie di ogni sfumatura di verde ma incavolato per essersi dovuto arrampicare sugli alberi e pungere tutto di ortiche e di spine. Però il suo pezzo di strada fu sempre il più bello e il più abbondante anche se vi aveva sparso in egual misura fiori e bestemmie.
Ricordo una volta, eravamo già nel dopo guerra, e Oreste lavorava con una squadra di operai del Comune a rimuovere le macerie del distrutto teatro. Tra i sassi e i calcinacci trovava pezzi di velluto rosso che erano state le tende dei palchi tutte strappate e sporche, e lui le prendeva e le portava a casa; e qui lavate e stirate da Berta venivano tagliate e cucite per farne vestiti e le ragazze uscirono vestite tutte di velluto rosso come le vallette di un immaginario palcoscenico.
Poi i figli cominciarono ad andarsene. Per prima si sposò Gina. Poi Gino, che aveva sempre amato il mare, si arruolò in Marina e partì e trovò la morte nel suo sommergibile. Poi Adriana, la più bella, si sposò e andò via anche lei. Passavano gli anni, la famiglia si assottigliava sempre più. Venne la volta di Umbertina ad andarsene, poi Eda, poi Rodolfo... Fu lasciata la casa dalla grande cucina, oramai erano poche le persone rimaste.
E ora il portone di Via Pietro Bagnoli n° 21 non esiste più. La facciata ha due finestre normali per una famiglia normale. Oreste e Livia da molti anni oramai riposano nel cimitero e sono anche lontani l'uno dall'altra. Riuniti in un'unica tomba sono invece i primi tre figli e di pochi giorni fà l'arrivo della quarta figlia Berta, quella che era la sarta di famiglia, forse la più irrequieta, certamente la più sfortunata.
Tante cose sono cambiate da allora. E' cambiata la sincerità e l'onestà come la intendeva Musolino; è cambiata l'amicizia e la solidarietà come la intendevano in quella povera famiglia dove tutti erano pronti ad aiutarti, a prendere le tue difese a parole e a fatti. E allora addio grande e scombinata famiglia questa è la vita di oggi. Piena di ansie e di paure, di dolori e di tanta solitudine. Bisogna accettarla anche se ci porta via la parte migliore e ci lascia tanti ricordi.

San Miniato, Via Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi


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