CASA
BRUCCI - PREMESSA
Uscito
dalla felice penna di Ines Vannini qualche anno fà, questo racconto
anticipa senza volerlo i tempi di cui al racconto di Nonno Nuti.
Ines
classe '23 unica nipote di Nonno Nuti, pennella con un linguaggio
spigliato un piacevole affresco dell'incontro tra sua famiglia e
quella di Oreste Brucci (mio nonno materno). Non avendo consuetudine
con gli strumenti moderni, affida a me il compito di pubblicare la
sua fatica letteraria. Vale la pena leggerlo per lo stile sottile e
ironico e per la proprietà di linguaggio non comune in persone di
quel periodo storico.
Giancarlo
Pertici
di Ines Vannini
CASA
BRUCCI - ossia VIA PIETRO BAGNOLI N° 21 (SAN MINIATO)
Via
Pietro Bagnoli n. 21 era il portone di una bottega però lo
adoperavano come ingresso alla cucina. E qui abitava una grande
famiglia, povera ma allegra scombinata e rumorosa.
I
genitori avevano due nomi bellissimi: Oreste e Livia; ed erano una
coppia singolare. Lei, il corpo pesante per le molte gravidanze,
aveva un'unica cosa stupenda: una lunga lucente magnifica treccia di
capelli neri e ricciuti. Poi con il passare degli anni si macchiarono
di fili bianchi, ma rimasero sempre folti e magnifici e nessuna
figlia ereditò dalla madre questa bellezza. Quando restava a casa,
libera dal suo lavoro di infermiera, con tanti bambini, aveva sempre
da brontolare e lo faceva piano, sottovoce, perché nessuno sentisse,
ma andava avanti per ore tanto che alla fine nessuno le badava più.
Lui invece lo conoscevano tutti per Musolino, forse per quell'aria
trasandata e decisa, intollerante e pronto alla discussione violenta,
ma generoso e disponibile a qualsiasi piacere gli chiedessero. Era
però all'opposto della moglie, facile a scoppi di collera fragorosi
e coloriti con ogni sorta di cristi e di madonne. Sempre fuori a far
legna o a sbrigare commissioni, svelto, a passo spedito, non
rifiutava mai un bicchiere di vino, così le suo sbronze erano quasi
giornaliere, ma innocue. Quando entrava in casa cantando...
"...l'acqua fa male, il vino fa cantare...", eravamo ormai
nella fase alticcia e Livia cominciava a brontolare; allora lui zitto
zitto se ne andava a letto e fino al giorno dopo non si vedeva più.
I
figli erano otto e si sgranavano l'uno vicino all'altro e per tutti
Oreste aveva trovato un soprannome pieno di fantasia che, non solo i
familiari avevano accettato al posto del nome ma anche fuori, così
che difficilmente si sapeva che Magnino in realtà di chiamava
Rodolfo e Barnaghino era Alberto, la Spagna era Maria Pia e la
Zanfera era Gina.
Quando
i miei decisero di comprare la casa e le simpatie andarono
all'attuale, l'unico neo erano i vicini che avremmo avuto. Con tanti
bambini la sicurezza del giardino e del pollaio sarebbe sempre stata
precaria. Però era un'occasione da non perdere e la casa fu comprata
e nei lavori di restauro pensarono di rendere più sicuro il muro di
divisione con una robusta, alta e bella inferriata di ferro, ma al
momento di piazzarla, battagliero si presentò Oreste a chiedere
spiegazioni. Si giustificò il lavoro come necessario accennando
vagamente ai bambini che sarebbero potuti entrare in giardino.
Allora
Oreste garantì: ".. niente ringhiera, e lei maresciallo stia
sicuro che i miei figlioli non le toccheranno mai neanche un fico per
terra, ché io li ammazzo di cinghiate". E il muro rimase così
senza niente ma non una volta mancò un frutto, né fu scavalcata la
cinta.
Alla
vigilia del Corpus Domini quando si usava cospargere di fiori la
strada dove sarebbe passata la processione e ognuno pensava al pezzo
davanti alla sua abitazione, Oreste partiva per la campagna e tornava
carico di sacchi di fiori, di gialle ginestre e foglie di ogni
sfumatura di verde ma incavolato per essersi dovuto arrampicare sugli
alberi e pungere tutto di ortiche e di spine. Però il suo pezzo di
strada fu sempre il più bello e il più abbondante anche se vi aveva
sparso in egual misura fiori e bestemmie.
Ricordo
una volta, eravamo già nel dopo guerra, e Oreste lavorava con una
squadra di operai del Comune a rimuovere le macerie del distrutto
teatro. Tra i sassi e i calcinacci trovava pezzi di velluto rosso che
erano state le tende dei palchi tutte strappate e sporche, e lui le
prendeva e le portava a casa; e qui lavate e stirate da Berta
venivano tagliate e cucite per farne vestiti e le ragazze uscirono
vestite tutte di velluto rosso come le vallette di un immaginario
palcoscenico.
Poi
i figli cominciarono ad andarsene. Per prima si sposò Gina. Poi
Gino, che aveva sempre amato il mare, si arruolò in Marina e partì
e trovò la morte nel suo sommergibile. Poi Adriana, la più bella,
si sposò e andò via anche lei. Passavano gli anni, la famiglia si
assottigliava sempre più. Venne la volta di Umbertina ad andarsene,
poi Eda, poi Rodolfo... Fu lasciata la casa dalla grande cucina,
oramai erano poche le persone rimaste.
E
ora il portone di Via Pietro Bagnoli n° 21 non esiste più. La
facciata ha due finestre normali per una famiglia normale. Oreste e
Livia da molti anni oramai riposano nel cimitero e sono anche lontani
l'uno dall'altra. Riuniti in un'unica tomba sono invece i primi tre
figli e di pochi giorni fà l'arrivo della quarta figlia Berta,
quella che era la sarta di famiglia, forse la più irrequieta,
certamente la più sfortunata.
Tante
cose sono cambiate da allora. E' cambiata la sincerità e l'onestà
come la intendeva Musolino; è cambiata l'amicizia e la solidarietà
come la intendevano in quella povera famiglia dove tutti erano pronti
ad aiutarti, a prendere le tue difese a parole e a fatti. E allora
addio grande e scombinata famiglia questa è la vita di oggi. Piena
di ansie e di paure, di dolori e di tanta solitudine. Bisogna
accettarla anche se ci porta via la parte migliore e ci lascia tanti
ricordi.
San Miniato, Via Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi
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