sabato 13 luglio 2019

NON REVOCATE LA CITTADINANZA A MUSSOLINI

di Francesco Fiumalbi

Non revocate la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Si, avete capito bene e non mi sono bevuto il cervello. Sono stato io a creare questo “imbarazzo”, andando a rispolverare una vecchia delibera del 1924 con la quale il Comune di San Miniato concesse l’onorificenza al capo del fascismo. Adesso, con questo post desidero togliere i miei concittadini da un sì grave turbamento, proponendo un’argomentazione che spero possa essere facilmente e largamente condivisa. Ma andiamo con ordine.

A partire dal ritrovamento di quella delibera del 1924 si è aperto un vivace dibattito sull'opportunità di revocare il riconoscimento, un po' come avvenuto negli ultimi due anni nei comuni circonvicini: Empoli, Castelfiorentino, Vinci, Fucecchio, Montopoli e Santa Croce sull’Arno. Come era prevedibile si sono formate due “fazioni” contrapposte: da una parte i fautori della revoca, motivata dal fatto che l'Italia è una Repubblica democratica che annovera l’antifascismo fra i suoi valori fondanti (si veda la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, e la cosiddetta “Legge Scelba”, la n. 645/1952); di opinione opposta chi ritiene che un simile provvedimento sia un'inutile perdita di tempo, un'operazione nostalgia, buona a distogliere l'attenzione da problemi contingenti più gravi e imminenti, appellandosi anche alla “storicizzazione” del provvedimento.


L’aspetto che ha destato maggiore curiosità è stato proprio quello della storicizzazione dell’onorificenza. Per quale motivo la questione della cittadinanza onoraria a Mussolini è venuta fuori solamente nel 2019 – attraverso un post pubblicato su questo blog – e nessuno, in passato, si è mai sognato di toglierla? Come mai non nel 1945, non nel 1960, non nel 1985? Dobbiamo chiedercelo davvero, poiché il Comune di San Miniato è stato amministrato da sindaci che sono stati partigiani, cioè che hanno partecipato attivamente alla lotta contro il fascismo. Senza dimenticare che nel secondo dopoguerra i partiti che hanno governato il municipio – su tutti il Partito Comunista d’Italia – hanno goduto di un consenso larghissimo, con percentuali schiaccianti. Ed è proprio la risposta a tale domanda che ci fornisce la chiave per “leggere” la delibera del 1924 e proporre una convincente argomentazione sul perché oggi, nel 2019, non vada tolta la cittadinanza onoraria al duce del fascismo.

L’interrogativo è serio, ma non dobbiamo fermarci alle prime impressioni. Qualcuno ha parlato di “ignoranza”: nessuno avrebbe pensato a revocare l’onorificenza a Mussolini, semplicemente perché nessuno ne era conoscenza. L’ipotesi è suggestiva, ma non sta in piedi: figurarsi se nel 1945 non c’era possibilità di memoria per una delibera del 1924! È un po’ come se oggi, nel 2019, nessuno si ricordasse di una cosa accaduta nel 1998. Alcuni avranno dimenticato, ma non certo tutti. Va poi ricordato che il Comune di San Miniato ha una lunghissima tradizione archivistica e i documenti storici sono stati visionati, analizzati e studiati da centinaia e centinaia di studiosi dal 1945 ad oggi. Per favore, non raccontiamoci balle.

Altri hanno avanzato l’ipotesi che la mancata revoca sia il frutto di una scelta ben ponderata, al fine di condannare all'oblio la figura del capo del fascismo, considerando le polemiche che avrebbe suscitato l’annullamento della cittadinanza. Figuriamoci se chi aveva impugnato le armi contro il fascismo poteva farsi scrupolo di una eventuale polemica su una cosa del genere: chiunque avesse mosso anche una piccola obiezione ad una tale decisione, sarebbe stato subito bollato come fascista, con le inevitabili conseguenze del caso.

Insomma, affermare che sia stata una dimenticanza o una precisa strategia di gestione della memoria si fa offesa all'intelligenza dei nostri nonni e dei nostri padri, che hanno costruito l’Italia democratica in cui viviamo oggi. A nessuno è venuto il dubbio che una cosa del genere sia semplicemente inspiegabile con i soli nostri criteri contemporanei?

Viviamo in un tempo in cui in Italia, ma anche in Europa e in buona parte del mondo, in molti gridano ad un possibile ritorno del fascismo. Nel recente saggio Chi è fascista oggi [Laterza, 2019], Emilio Gentile – uno dei maggiori storici del fascismo italiano – sostiene che si stia assistendo alla formulazione di una teoria che propugna l’esistenza di un “fascismo eterno”, basata sull'uso di analogie che spesso tendono a produrre falsificazioni della conoscenza storica, in un processo che tende a sostituire la storiografia con una sorta di astoriologia, dove il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alle speranze, alle paure attuali.
Emilio Gentile mette in guardia sulle conseguenze di un tale fenomeno: penso che la tesi dell’eterno ritorno del fascismo possa favorire la fascinazione del fascismo sui giovani, che poco o nulla sanno del fascismo storico, ma si lasciano suggestionare da una visione mitica, che verrebbe ulteriormente ingigantita  dalla presunta eternità del fascismo. Lo storico va oltre e spiega che se oggi siamo di fronte al ritorno del fascismo, dobbiamo allora riconoscere che l’antifascismo non ha veramente debellato il fascismo nel 1945. Se così fosse, la celebrazione della Festa della Liberazione sarebbe la celebrazione di un falso storico, o comunque un abuso celebrativo, perché nel 1945 l’antifascismo avrebbe vinto una battaglia contro il fascismo e non la guerra.

Partendo da questo assunto, ricordiamo che il 25 aprile 1945 il fascismo è stato sconfitto storicamente e definitivamente. Dalle macerie del ventennio, è nata una nuova Italia: il 2 giugno 1946 il popolo italiano scelse l’istituzione repubblicana e dall’Assemblea Costituente nacque una nuova Costituzione, basata su valori democratici e, perciò, antifascisti.
Checché se ne dica la Repubblica Italiana è un nuovo Stato. Tuttavia, è anche vero che giuridicamente le leggi e i contratti in vigore precedentemente hanno continuato a valere, ma solo perché la nuova Italia non piombasse in un nuovo caos. Non hanno continuato a valere le determinazioni politico-ideologiche e anticostituzionali, cioè in contrasto con la nuova Costituzione, che sono decadute. E quindi sono decadute anche tutte le determinazioni, tutte le onorificenze e tutto ciò che poteva essere legato alla sfera propriamente fascista. E’ questo il motivo per cui nessuno ha mai pensato di togliere la cittadinanza a Mussolini. Perché è decaduta, in automatico, con la nascita della nuova Italia democratica.

I nostri nonni, i nostri padri, coloro che hanno costruito l'Italia democratica, non erano né ignoranti, né sprovveduti, né avevano la memoria corta. Il fascismo è stato sconfitto e il 25 aprile è un giorno di festa, indiscutibile e irrevocabile. Associandomi al ragionamento proposto da Emilio Gentile, trovo pericoloso pensare che quella delibera abbia un valore oggi. Sarebbe come voler affermare che il fascismo, in realtà, non sia stato sconfitto storicamente e definitivamente. Nessuno oggi si sognerebbe di revocare una deliberazione ideologica del Granducato di Toscana o del Regno delle due Sicilie. Sono due stati che, storicamente, sono stati aboliti, così come storicamente è stato sconfitto e abolito il fascismo, il suo apparato istituzionale e il suo corpo ideologico.

Per dimostrare la fondatezza di questa tesi, porterò un esempio sanminiatese. Durante il ventennio i nomi di alcune strade e piazze cittadine subirono una ridenominazione in senso fascista: piazza Giovacchino Taddei (già Piazza San Domenico) divenne piazza dell’Impero, la piazzetta di fianco al Municipio nel 1933 fu dedicata ad Arnaldo Mussolini, l’antica via di Sant’Andrea venne denominata viale Umberto Pontanari (un “martire” della rivoluzione fascista), la via di San Francesco fu ribattezzata viale 9 maggio, a memoria della data dell’annessione dell’Etiopia e della costituzione dell’impero. Queste denominazioni furono cambiate nel dopoguerra con due provvedimenti che presentano modalità diverse. Per capire bisogna fare attenzione alle date.

Il 2 agosto 1945 il Sindaco Concilio Salvadori comunicò all'Ufficio di Stato Civile che con la Deliberazione dell’11 ottobre 1944, n. 18, venne provveduto alla modifica delle seguenti denominazioni di alcune Vie e Piazze del Comune fra cui via 9 Maggio posta in Parrocchia di S. Stefano prenderà il nome di via Don Minzoni, [...] Viale Umberto Pontanari posto in Parrocchia di S. Stefano, prenderà il nome di Viale Giacomo Matteotti, Piazza dell'Impero posta in Parrocchia di S. Iacopo e Lucia prenderà il nome di Piazza del Popolo, […] Piazza A. Mussolini posta in Parrocchia della Cattedrale, prenderà il nome di Piazza Beccaria [il documento è pubblicato in San Miniato durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Documenti e cronache, Amministrazione Comunale San Miniato, Biblioteca Comunale San Miniato, Giardini Editori, Pisa, 1986, p. 259]

Occorre notare che la prima delibera è dell’11 ottobre 1944, quando l’Italia era ancora divisa in due dalla guerra. La comunicazione del Sindaco all’Ufficio di Stato Civile è del 2 agosto 1945, a guerra conclusa, ma con il medesimo apparato istituzionale: l’Italia era ancora un regno, sul trono sedeva ancora Vittorio Emanuele III e il Governo era di unità nazionale, sotto la guida di Ferruccio Parri. Lo Stato di diritto era il medesimo, pertanto alle deliberazioni fasciste si oppone una nuova deliberazione antifascista.

Invece, nella seduta del Consiglio Comunale del 22 giugno 1946, l'Assessore Giulio Mario Conforti spiegò che la Piazza Vittorio Emanuele, la piazzetta adiacente al Municipio e la via che va dall'Arco del Seminario alla via Mangiadori, erano attualmente prive di targa e di nome, per avvenuto abbattimento delle targhe indicative. Pertanto propose al Consiglio:
(1) che la Piazza Vittorio Emanuele venga denominata Piazza della Repubblica;
(2) che la piazza adiacente al Municipio venga denominata Piazza Giuseppe Mazzini;
(3) che il tratto di via del Capoluogo, dall'arco del Seminario alla via Mangiadori venga denominata Via Martiri del Duomo, in omaggio alle Vittime innocenti che ignare della sorte che le attendeva, furono spinte in chiesa dai tedeschi e quindi massacrate nel modo che tutti sanno. Il Consiglio approvò la proposta all'unanimità, anche se la Prefettura di Pisa impose una variazione: da via Martiri del Duomo a via Vittime del Duomo, visto che la vicenda, già all'epoca, presentava contorni poco chiari e che solo dopo molti anni è stato possibile far luce sul drammatico episodio che vide la morte di 55 civili la mattina del 22 luglio 1944 all'interno della Cattedrale [ASCSM, Archivio Postunitario, Deliberazioni del Consiglio Comunale, F200 S010 UF19, Delibera n. 21 del 22 giugno 1946].

In questo caso osserviamo che la delibera del 22 giugno 1946 fu approvata a pochissimi giorni dal Referendum Istituzionale e dalla proclamazione della nascente Repubblica Italiana. Lo Stato istituzionale era cambiato e per cambiare il nome alle vie e alle piazze non venne cancellata alcuna deliberazione precedente. Semplicemente erano rimaste prive di denominazione, per avvenuto abbattimento delle targhe indicative ed erano spazi lasciati “vuoti”, dalla definitiva sconfitta della vecchia Italia fascista e monarchica, che furono riempiti dalla nuova Italia democratica e repubblicana. Non c’era più il bisogno di negare il passato, poiché il passato aveva già perso il proprio valore. L’Assessore Conforti non nomina nemmeno due delle tre vecchie denominazioni (piazza Arnaldo Mussolini e via Umberto I) poiché, essendo cambiato lo Stato, non avevano più ragione d’esistere. L’unico citato è Vittorio Emanuele, considerato un padre del Risorgimento, ma è stato un monarca e l’Italia era ormai diventata una repubblica democratica, distante dal vecchio modello di Stato monarchico e liberale.

In conclusione, la deliberazione del 1924 non ha più alcun valore dal 1946, poiché le forze antifasciste hanno vinto la guerra e il fascismo è stato sconfitto storicamente e definitivamente. Dalla guerra è nato un nuovo Stato: repubblicano, democratico e antifascista. Revocare la cittadinanza a Benito Mussolini, ovvero annullare la delibera del 1924, significa affermare che quella determinazione ha conservato la propria validità fino oggi, in aperta contraddizione con quanto affermato fin qui.

A chi sostiene che il Comune di San Miniato non possa sottrarsi, dal momento che gli altri comuni della zona hanno revocato le rispettive cittadinanze onorarie, rispondo che gli “errori” altrui non devono giustificarne altri. E per errore mi riferisco a quel fenomeno, descritto da Emilio Gentile, che vede la sostituzione della storiografia con l’astoriologia. E’ corretto usare la storia per aggiornare i nostri criteri e cercare di comprendere il presente attraverso le esperienze del passato, ma lasciamo il passato dov’è.

Sono consapevole che probabilmente queste mie parole cadranno nel vuoto. Mi piacerebbe sapere cosa penseranno gli storici se fra cent’anni troveranno una deliberazione sanminiatese del 2019 che revoca un provvedimento del 1924. Se va bene ci si faranno una grassa risata, ma se va male esprimeranno un giudizio molto severo. Fate vobis, ma non dite che non ve l’aveva detto nessuno.

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