domenica 28 dicembre 2014

ANNUNCIO DEL SINDACO: IL 25 APRILE 2015 VIA LE LAPIDI DELLA DISCORDIA

di Francesco Fiumalbi

Sabato 27 dicembre, a margine della commemorazione nel 70° anno dal passaggio del fronte, “San Miniato 1944-2014”, il Sindaco Vittorio Gabbanini ha dato un annuncio importante: il prossimo 25 aprile saranno tolte dalla facciata del Municipio “le due lapidi della discordia”. Lo stesso Gabbanini, aveva già anticipato l'intento nelle scorse settimane, dichiarando di voler destinare i due marmi al costituendo Museo della Memoria, che troverà spazio sotto i Loggiati di San Domenico. Adesso, si può parlare di ufficialità, dal momento che c'è pure una data: il 25 aprile 2015.

Una decisione “storica”, quella annunciata dal Sindaco. Storica perché, prima di tutto, si confronta con la storia, quella storia consumata fra mille lacerazioni, quella storia che sente, finalmente, la necessità di dover essere condivisa da tutta la comunità sanminiatese. Storica perché non era mai accaduto, a San Miniato, che un sindaco prendesse così le distanze da una decisione di un suo immediato predecessore. Infatti, il Sindaco Angelo Frosini (in carica per due mandati dal 1999 al 2004 e poi dal 2004 al 2009) nel 2008, al termine di una inchiesta che aveva accertato la responsabilità dell'esercito statunitense, aveva affiancato alla prima epigrafe, ormai giudicata menzognera, un secondo marmo che, invece, non raccontava la verità. O meglio, non la raccontava fino in fondo. E ciò aveva provocato ulteriori lacerazioni, rinfocolando quelle passate.


Il momento dell'annuncio del Sindaco Gabbanini
Video di Francesco Fiumalbi

Il prossimo 25 aprile, a San Miniato, dunque sarà veramente una festa di Liberazione, in più di un senso: la liberazione dal Nazi-Fascismo e la liberazione dalla menzogna e dalle mezze verità. A 70 anni da quei tragici giorni del luglio 1944, questa pare davvero essere la decisione più saggia, quella che può consentire ad una comunità di guardare alla storia per quella che veramente è stata, anche se dolorosa, drammatica, anche se non è quella che ci hanno raccontato, anche se non è quella che avremmo voluto che fosse. Posizionare una terza lapide avrebbe significato scendere nel ridicolo, aggiungere una terza macchia bianca sulla colorita facciata del Municipio. Ben venga, quindi, la coraggiosa decisione che ormai era reclamata da più parti. I marmi, come pare giusto, non saranno distrutti, ma troveranno posto nel costituendo Museo della Memoria.

Un momento della serata, con la conferenza del Prof. Cipriani
Foto di Francesco Fiumalbi

Le due lapidi della discordia
Foto di Francesco Fiumalbi

sabato 27 dicembre 2014

BOLLETTINO ACCADEMIA EUTELETI N. 81 – 2014

TORNA AGLI INDICI DEL BOLLETTINO DELL'ACCADEMIA DEGLI EUTELETI


INDICE DEL VOLUME:

Gianni Luzi - Lettera a mio padre
Luca Macchi - L'Accademia degli Euteleti per Mario Luzi
Nicoletta Mainardi - Luzi e Pontormo - Felicità turbate
Nino Alfiero Petreni - Pienza - Mario Luzi, don Fernaldo Flori, un'amicizia nella poesia e nel Vangelo
Stefano Renzoni - Settecento minore. Pittori a Pisa in cerca di gloria (Luca Bocci, Francesco Venturi, Vincenzo Giuria, Giuseppe Orsini, Cassio Natili, Baldassarre Benvenuti)
Luca Macchi - Firenze nei dipinti di Giorgio de Chirico. Prima parte: i primi quadri metafisici, 1910-1912
Michele Feo - Come sugli alberi le foglie. Gli ottanti e non si vedono di Milena Moriani
Ilaria Mariotti - Spazi - Luca Lupi
Patrizia Mello - Il progresso e le sue contraddizioni nella città contemporanea
Andrea Mancini - Le balie di Galileo. Tre testi per Veroli
Roberto Sabelli - Messa in sicurezza e valorizzazione della Tomba di Lazzaro in Betania (Palestina)
Veronica Becattini - Il Cassero per la scultura italiana dell'Ottocento e del Novecento a Montevarchi
Andrea Bacci - Giuseppe Alberto Centauro - Lo Spedale di San Giovanni Gerosolimitano a Prato. Il ritorno dei Crociati per la rinascita della città
Fabio Sottili - Il giardino sull'Arno di palazzo Ricasoli
Riccardo Spinelli - La committenza artistica e il collezionismo di Donato Maria Guadagni (1641-1718) nella Firenze di fine Seicento: il Volterrano, Giovan Battista Foggini, Francesco Corallo, Pietro Dandini e altri
Jacopo Mancini - La festa della luce
Claudia Maria Bucelli - Venturino Venturi e il Parco di Pinocchio a Collodi
Claudia Massi - Giuseppe Giorgio Gori architetto a Pescia
Tessa Matteini - Porcinai e il progetto di un giardino di pianura. Casa Korting Scarselli a Bagno a Ripoli (Firenze), 1957-1962
Francesco Fiumalbi - Le fonti narrative per la storia di San Miniato. Prima parte
Giovanni Biondi - Manuela Parentini - La Guerra di Firenze contro San Miniato
Marco Frati - Il romanico a San Miniato. Cantieri religiosi e modelli architettonici fra alto e basso medioevo
Marco Frati - Super platea Sancte Marie ante plebem. La medievale architettura dell'antica piazza del comune di San Miniato
Barbara Pasqualetti - La chiesa della SS. Annunziata di San Miniato (San Martino alle Carceri)
Eleonora Saraco - Il Vescovo Poggi e la Chiesa del Santissimo Crocifisso, la ragione e "li misteri divini"
Manuela Parentini - Oreste Caponi, fotografo
Bruno Bellucci - Giuseppe Chelli - Manuela Parentini - Come il Palazzo Roffia Degli Antelminelli divenne sede dell'Arciconfraternita di Misericordia di San Miniato
Alexander Di Bartolo - Appunti inediti dell'euteleta Renzo Cianchi dall'archivio della chiesa di SAn Bartolomeo a Streda: primi elementi per una storia parrocchiale
Franco Palagini - Storia della mia tipografia
Giovanni Benelli - Angiolo Canale - Sessualità e aggressività nel mondo degli insetti
Susanna Pietrosanti - Resurrection. Ripresa e variazione del mito di Skyfall
Saverio Mecca - La formazione universitaria del progettista in Italia nel primo ottocento
Rossano Pazzagli - Racconti del territorio. Le guide del Bel Paese dal Rinascimento al Touring Club Italiano
Riccardo Guarino - Annalicia Giacopelli - Marco La Rosa - Sandro Pignatti - Considerazioni floristiche per un nuovo manifesto del terzo paesaggio
Pietro Clemente - La smemoratezza del moderno. Note di antropologia del patrimonio, a partire dal riuso della Manifattura tabacchi di Milano
Costanza Lanzara - Creatività culturale. Processi e progetti nella vita quotidiana
Rossano Nistri - Mangiatori di sangue. Eziologia e antropologia del mallegato

Vita dell'Accademia 2014

venerdì 26 dicembre 2014

G. PIOMBANTI - GUIDA DELLA CITTA' DI SAN MINIATO AL TEDESCO

a cura di Francesco Fiumalbi

La “guida” di San Miniato redatta nel 1894 dal sacerdote Giuseppe Piombanti (Siena, 1831 – Livorno, 1909) rappresenta, ancora oggi, una ricca miniera di informazioni e curiosità sanminiatesi. Nonostante sia priva di un apparato bibliografico vero e proprio, i riferimenti sono comunque individuabili nella documentazione conservata presso l'Archivio Storico del Comune di San Miniato, l'Archivio della Diocesi di San Miniato, oltre che dai lavori di Mons. Giuseppe Conti, Giovanni Lami e da Giuseppe Rondoni. Priva di immagini e disegni, a distanza di oltre un secolo dalla sua compilazione, è forse ancora oggi la "guida" più dettagliata e approfondita dedicata alla Città di San Miniato, pur con tutte le inesattezze che contiene.

Di seguito è proposto l'indice del testo e opportuni link rimandano alle pagine dove, integralmente, sono trascritti i vari capitoli di cui si compone la “guida”:

G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894.

INDICE DEL LIBRO
[005-006] PREFAZIONE
[057-057] DESCRIZIONE DI CIÒ CHE VI É, O CI FU DI PIÙ NOTEVOLE
[068-069] Teatri
[075-077] Seminario
[084-090] Duomo
[105-110] San Francesco
[116-123] Spedali Riuniti
[123-125] Santa Caterina
[131-145] Note e documenti



G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – NOTE E DOCUMENTI



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 131-145.

– DA COMPLETARE –

[131] NOTE E DOCUMENTI

(1) L'iscrizione dice così: – Ubi sacellum hoc, hisque in agris, pagus fuit olim insignis Vici Wallaris nomine prius; deinde a sancto Genesio noncupatus, in quo multa gesta negotia historia refert. Nempe hic anno 715 delegati, sub Luitprando Longobardorum rege, episcopi controversias de territorio inter senensem et aretinam dioecesim sententia dirimerunt. 1074 concilium, auctore divo Greforio VII, praeside sancro Petro Igneo, compescendo canonicorum lucensium in eorum episcopum schismate est habitum. 1160 dux Spoleti Guelfus plures e civitatibus Etruriae sibi per legatos in fidem et amicitiam adiunxit. 1172 huc Fridericus imperator, convocatis ex Etruria legatis, archipiescopum maguntinum archicancellarium imperii misit, qui pisanos inter et lucenses pacem componeret. Fere duodecimo ineunte saeculo, huc guelfi etrusci de suis rebus consultum convenerunt. Multa Genesianae ecclesiae privilegia atque insigna summi pontefices concesserunt, eamque triginta paroeciarum statuerunt principem. Alia, quae recenseri possent, sunt praetermissa. Ter miniatenses tenuere coloniam, ter recesserunt; sed et tertio, rebus et gentibus sanctum Miniatum ad arcem adsportatis, excursionibus ebnoxium pagum, tantum saeculo onsanire licuit, delerunt! [132] Anno 1248 parvulam hanc aedem, loci maioris ecclesiae ad signum in agro positam, vetustate confectam, a divinis abdicatam, Torellus Pierazzi civis et episcopus miniatensis, instaurandam curavit, et testem tantarum rerum, veterisque dignitatis, sacris restituit anno 1841.
PETRUS BAGNOLI scripsit

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – MONASTERI DI MONTAPPIO E DI S. BENEDETTO; S. MARTINO A CASTIGLIONE; CAPPUCCINI; S. GONDA E LA CATENA



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 125-130.

[125] MONASTERI DI MONTAPPIO E DI S. BENEDETTO; S. MARTINO A CASTIGLIONE; CAPPUCCINI; S. GONDA E LA CATENA

Sul colle di Montappio, fuori di porta S. Andrea, fu già un monastero di agostiniane. Malsicure anch'esse, nei tempi delle discordie e delle atroci vendette, dal vescovo di Lucca ottendevano nel secolo XIV di cambiare di loro abito nero in quello bianco di S. Romualdo, e di stabilirsi a S. Benedetto, sotto il castello di S. Miniato, vicino proprio al convento di [126] S. Caterina. Vissero quivi regolarmente fino al 1500, sotto la giurisdizione dell'abate dei camaldolesi di S. Bartolommeo e di S. Gonda, e furon quindi soppresse. Il pontefice Alessandro VI, ai 9 gennaio dell'anno suddetto, dette il monastero e i suoi beni al Capitolo di S: Miniato; e l'abate di S. Gonda che perciò gli mosse lite, fece opera vana. Fino al 1790 un canonico ne uffiziò la chiesa. Dipoi il capitolo otteneva di profanarla, e ridotto il fabbricato ad abitazioni, l'affittò. Presentemente è casa colonica e di S. Benedetto conserva il nome.
Fuori dell'antica porta Poggighisi si scende giù nella valle, e poi si sale l'opposto colle per andare al convento dei Cappuccini. In cima a quel colle, a sinistra, sorge una casa colonica, in luogo detto Castiglione, dove fu l'antica chiesa di S. Martino, nominata nella bolla di Celestino III del 1194, altrove citata. Ivi gli agostiniani, finché non andarono a S. Caterina, ebbero cura d'anime. La qual cura sino alle mura del castello di S. Miniato, si estendeva, come rilevasi da un istrumento del 30 aprile 1233, citato dal Conti, nel quale Enrico proposto di S. Genesio, fissava i confini delle tre parrocchie di S. Martino di Castiglione, dei SS. Giacomo e Filippo a Pancole, di S. Stefano a S. Miniato. In questo piccolo convento menò santa vita il beato Ghese, che a Lucca poi morì tra i suoi [127] confratelli. Dopo lungo tempo l'antica e cadente fabbrica e cadente fabbrica venne finalmente restaurata e ridotta come al presente si vede. Intorno a questa casa sempre con dispiacere si scorgono come a Fibbiastri le ossa dei poveri cristiani, che vi furono un tempo sepolti, sulle quale per necessità tu sei costretto a camminare. Ci pensi chi deve.
Dal poggetto di Castiglione scorgesi lì vicino, in fondo a un viale, pulito e raccolto il convento dei simpatici cappuccini, che fa colla sua chiesetta l'impressione d'una piacevole solitaria veduta. Per dimostrare con quanto favore fosse accolta la proposta di edificare un convento ai cappuccini, che ha tutta l'apparenza dello scioglimento di un voto, piacemi riportare la seguente deliberazione del 23 aprile 1602, tolta dallo archivio capitolare di S. Miniato, e favoritami dal sig. canonico Teologo Emilio Marrucci, alla cui gentilezza di altre notizie son pure debitore. – «Convocati et congregati nella lor solita aula l'illustre et molto rev. sig. Proposto della Collegiata Chiesa di S. Miniato alto desco insieme coll'infrascritti molto rev. sig. Canonici i nomi dei quali sono questi cioè: l'illustre e molto rev. M. Francesco Seragoni Proposto ante detto, il molto rev. M. Antonio Borromei, il molto rev. M. Thomaso Gucci, il molto rev. M. Federigho Franchini, il molto rev. M. Giov. batta. Buonaparte, il molto rev. [128] M. Genesio Spetiali, il molto rev. M. Valerio Ansaldi, il molto rev. M. Andrea Buonaparte; absenti non di meno M. Silvio Merchati, M. Vincenzo Machanti et M. Filippo Rophia; atteso la domandita fatta dall'ill. sig. Cosimo del sig. Piero Ridolfi che mosso da zelo et per degne et giuste cagioni in questo suo ritorno dalla guerra contro gl'infedeli, intende volere erigere et fondare a honor di Dio un convento di frati schappuccini a tutte sue spese nella Podesteria di S. Miniato, purché sia con beneplacito universale di tutta la terra; però per quanto s'aspetta a questo clero approvorno tal domanda per giusta et santa; et sapendo che per tale effetto quesat nostra magnifica Comunità intende sotto dì 24 stante far generale consiglio, però per aprire la strada a quei magnifici rappresentanti et prudentissimi consiglieri, et persuader loro quanto sia bene a esser pronti a favorire questa pia et santa opera elesseno li molto rev. M. Genesio Spetiali et M. Andrea Buonaparte lor concanonici con autorità di comparire in detto consiglio et mostrare l'animo pronto di questo clero intorno a questo negotio, et anche far sapere a detto sig. Cosimo quanto questo clero a favore di questa santa opera et satisfatione di sua Sig. Illma. habbia operato. Vinto per fave otto nere, nessuna bianca in contrario» (31) [VAI ALLE NOTE ↗]. – Venuta l'approvazione del magistrato, [129] del granduca e del vescovo di Lucca, pareva si potesse subito por mano alla erezione del convento; ma alcune difficoltà sopraggiunte fecero differire la posizione della prima pietra al 23 maggio 1609, in terreno donato al cav. Ridolfi dal cav. Giovacchino Ansaldi. Condotto presto a termine, lo abitarono lieti i cappuccini, occupati indefessamente della propria santificazione e del bene prossimo. Napoleone dal loro amato ritiro li cacciò, e il 23 ottobre 1814, sotto Ferdinando III, vi tornarono. Anche dopo la soppressione del 1866, per opera dei signori Giuseppe Antonini e Leopoldo Bertacchi, con generale soddisfazione lo riacquistarono. La ciesa, di semplicissimo stile come le altre dell'Ordine, è dedicata alla Concezione della Vergine e al martire S. Miniato, coloriti con S. Francesco nella tela dell'altar maggiore. La Madonna col bambino, che trovasi nella sua prima cappella a sinistra, era prima venerata in una cappelletta dello stesso luogo sulla pubblica via, di proprietà del medesimo signor Ansaldi. In coro, dietro l'altar maggiore, v'ha un antico ritratto di S. Francesco, attribuito a Margheritone d'Arezzo, familiare e devoto del santo. Le due iscrizioni latine, con farsi studiate e non comuni, indicanti la fondazione e consacrazione della chiesa, che sotto il portico della medesima si leggono, le dettò, qui studente, il cappuccino Francesco Casini d'Arezzo, [130] il quale fu poi predicatore apostolico del sacro palazzo e cardinale di S. Chiesa (32) [VAI ALLE NOTE ↗].
Presso il borgo, anche oggi detto la Catena, esisteva dicono, prima del mille, una badìa di camaldolesi, dedicata a S. Bartolomeo e a S. Gioconda, le cui memorie però non sono anteriori al secolo XIII. Leone X nel 1514 la soppresse, riunendo i suoi monaci a quelli di S. Benedetto fuori le mura di Firenze, e suoi beni a quelli del capitolo di S. Miniato. S. Pio V, dice il Lami, la fece commenda dei cavalieri di S. Stefano. Appartiene presentemente allo speda di S. Giovanni di Dio di Firenze, e la sua chiesa è sempre uffiziata. La Catena sta sotto il castello di Cigoli, alla cui parrocchia appartiene, ed ebbe questo nome perché, trovandosi sul confine samminiaese, quivi le merci, entrando, pagavano un pedaggio. Vi fu, come dicemmo, anche uno spedale, di cui si ha memoria in un istrumento del 1354.

L'Abbazia di Santa Gonda a La Catena
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – SANTA CATERINA



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 123-125.

[123] SANTA CATERINA

L'epoca della fondazione della chiesa di S. Caterina vergine e martire non è nota, ma sembra assai antica. Gli eremitani di S. Agostino della congregazione di Lecceto, presso Siena, ebbero dapprima un piccolo convento a Gello di Corniano, che dopo il mille, abbandonarono, per venire alla parrocchia di S. Martino a Castiglione, a S. Miniato più vicino. Dalle scorrerie militare anche qui molestati, a S. Caterina, nel secolo XIII si rifugiarono, dove fabbricarono il convento, ingrandirono la chiesa, e trasportarono la parrocchia, sempre ritenendo il possesso dei conventi di Gello e di Castiglione. Nel 1338 il comune assegnò loro un annuo sussidio di lire centocinquanta. Questa chiesa parrocchiale venne ampliata e ornata, come al [124] presente si vede, nel secolo XVII coll'aiuto di benefattori, e particolarmente della nobil famiglia Migliorati, della quale anche parlano le iscrizioni latine, che sulla sua facciata e dentro la chiesa stessa si leggono. Il granduca Pietro Leopoldo, perché i religiosi eran pochi, e non potevano a cagione delle limitate rendite crescer di numero, nel 1774 li soppresse. Parte del convento e delle rendite assegnò al vicino spedale dei trovatelli, come dicemmo, e parte ad uso di canonica e al mantenimento del curato, sacerdote secolare. Nove anni dopo, soppressero la parrocchia di Pancole, come pure abbiam detto; di questa crebbe allora la popolazione e venne dichiarata parrocchia inamovibile. Bella è la sua posizione, e la canonica ha vedute incantevoli. La popolazione che le appartiene in parte è dentro, e in parte fuori dalla città. Questa chiesa a S. Caterina vergine e martire è dedicata, e al gran dottor S. Agostino, i cui figli per meglio di cinque secoli la uffiziarono. Non è grande, ma ben tenuta e linda, e contiene cinque altari in pietra, più una cappella interna. Il primo a destra, entrando, è sacro a S. Niccola da Tolentino, intorno al quale alcuni santi agostiniani son dipinti. Il secondo è dedicato al SS. Crocifisso, e vi si vedono S. Agostino e S. Tommaso da Villanova. Eresse l'altar maggiore la famiglia Migliorati, nel cui quadro Simone Pignoni fiorentino colorì lo sposalizione di S. Caterina [125] col bambino Gesù. Segue la cappella interna, fatta da Persio Migliorati, a S. Michele Arcangiolo e all'Angiolo Custode dedicata, che contiene le reliquie del martire S. Bonifazio, e venne dal fondatore destinata a sepoltura della famiglia sua. Sull'altare che viene sta la Divina Pastora con S. Luigi Gonzaga e S. Stanislao Kotska, e sopra l'ultimo S. Giuseppe coll'Annunciazione nel quadro. Ai lati dell'altar maggiore sono dipinti alcuni fatti della vita di S. Caterina, beati Ghese e Lapo agostiniani, S. Agostino e la santa sua madre (30) [VAI ALLE NOTE ↗].

La chiesa di Santa Caterina
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – SPEDALI RIUNITI



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 116-123.

[116] SPEDALI RIUNITI

Prima di parlare degli Spedali riuniti, che in piazza S. Caterina di sé fan bella mostra, si dirà un cenno di quelli, che anticamente fuori di S. Miniato e in S. Miniato stesso esistevano. – A S. gonda, nel borgo detto la Catena, fu uno spedale, del quale si parla in un istrumento del 1354, citato dal Lami nell’Odeporico. – Nel secolo XVI esisteva sempre lo spedale di S. Lazzaro, presso la Bastìa, nel quale si ricevevano e si curavano i poveri lebbrosi; anche oggi vi è in quel luogo una cappella allo stesso santo dedicata. E’ questa probabilmente quella casa dei lebbrosi, di [117] cui fa parola nella sua bolla al proposto di S. Genesio il papa Celestino III nel 1194, esistente allora in quel borgo. – Fuori della porta Ser Ridolfo, sul bivio conducente da una parte al Camposanto, e dall’altra alle colline, dove anticamente fu un fortilizio a difesa di S. Miniato, era uno spedale per gli appestati, detto delle colline, di S. Maria Annunziata, ed anche di S. Maria a Fortino, che il Conti dice probabilmente eretto in occasione della pestilenza del 1327, dagli operai di quell’oratorio, che pure lo amministravano. A questo spedale si trovan fatte donazioni, da benefattori di S. Miniato, in diversi testamenti del secolo quattordicesimo e quindicesimo. Anche il Comune gli pagava un annuo sussidio. Non sappiamo quando cessò di esistere. Nel 1459 trovo che lìillustre medico Giovanni Chellini, il quale in S. Domenico ha quel bel monumento, lasciò, con suo testamento, ai domenicani l’oratorio di S. Maria a Fortino coll’obbligo di farci la festa della Natività della Madonna, cui è dedicato, e di celebrarvi alcune messe. Quei religiosi poi, dai tempi di Pietro Leopoldo sino all’ultima soppressione, a propria sepoltura lo destinarono. V’ha sull’altare una tavola, che, in alto, racchiude la Vergine col bambino, intorno alla quale son dipinti diversi santi di vivace espressione. Appartiene presentemente all’Arciconfraternita della Misericordia; potrebb’essere meglio tenuto, e bene [118] ci starebbe un’iscrizione commemorativa. – Il medesimo benemerito cittadino Giovanni Chellini, difaccia alla Costa di S. Cosimo, in via Faognana di sopra, fondò nel secolo XV uno spedale od ospizio pei poveri sacerdoti pellegrini, in cui doveva pur dimorare un sacerdote del luogo per riceverli ed averne cura. Il suo ingresso era difeso da logge, perché i pellegrini potessero dirci messa. E' dedicata alla SS. Annunziata e ai santi Cosimo e Damiano. L'Annunziata è dipinta nel muro sull'altare, ed ai lati si vedono i profeti Isaìa ed Ezechiele. Pietro Leopoldo lo soppresse nel 1784 e coi suoi beni si fondò un benefizio ecclesiastico col titolo: Spedale della SS. Annunziata e S. Cosimo e Damiano. Gli eredi lo hanno conservato e il cappellano investitone soddisfa gli obblighi. – Nella stessa via, prima di entrare in piazza Taddei, leggesi un'iscrizione latina, la quale ricorda che il sacerdote Giacomo Vanni, nel 1708, ivi edificò uno spedale pei poveri, che non si sa qual esito avesse, e quanto tempo durasse (28) [VAI ALLE NOTE ↗]. – Nella piazzetta del Fondo esisteva già, nel secolo XIV, lo spedale pei poveri, detto di S. Croce del Fondo, e un sacerdote ne aveva la direzione; il comune gli dava un annuo sussidio di venticinque danari. Un tal Bartolommeo Buonaparte nel 1331 gli lasciava il suo letto; e nel caso che i suoi eredi [119] venissero a mancare, i suoi beni dichiarava che passassero a questo spedale. – Accanto alla chiesa di S. Stefano esisteva da tempo antico la Percettoria dei canonici regolari di S. Antonio di Vienna, nel Delfinato, presso la quale nel 1352 l'antoniano fra Giovanni Guidotti, del baliato di S. Antonio in Toscana, edificò un ospedale pei lebbrosi. Esso si estendeva dal vicolo delle fornaci (ora murato presso il Ginnasio) fino alla suddetta chiesa. Avevano per insegna un T, il quale, scolpito in marmo, tuttavia si conserva nella parete esterna della chiesa medesima, sullo sdrucciolo che va in piazza Buonaparte. Nemmeno di questo spedale sappiamo l'epoca della cessazione. – Nel secolo XIII, a quanto sembra, la compagnia di S. Martino, esistente nella chiesa degli Agostiniani a Castiglione, la quale poi si unì a quella di S. Caterina, fondava nella contrada di Poggighisi, presso Borghizzi, lo spedale di S. Martino pei poveri abbandonati e pei viandanti, a similitudine di quello del Bigallo di Firenze, al quale poscia fu unito e ne divenne succursale. Ebbe approvazione e sussidi dal comune, e trovasi pur citato col nome di casa dei poveri. Fu accresciuto, dice il Conti, coll'eredità di Meo Strasoldo, che nel 1298 lasciò ai poveri di Gesù Cristo case e terre, colla patria carità di Manno di Guidone donati nel 1378, e coi legati di Giovanni Chellini nel 1459. Per legge di Cosimo I, i [120] capitani del Bigallo dovevano rivedere i conti, ogni anno, agli spedali della Toscana, e, coi loro risparmi, raccogliere e mantenere i figliuoli abbandonati. E sebbene dallo spedale di S. Martino, colle loro revisioni, avessero ritratto oltre tremila scudi, di esso nessuno cura si davano. Onde abbiamo una lettera dei deputati della compagnia di S. Caterina e di S. Martino riunite, del 10 maggio 1714, ai capitani del Bigallo diretta, nella quale si sollecitano a restaurarlo e provvederlo, come dovevano, poiché minacciava rovina, ed era l'unico luogo pio che allora in questa città si trovava. Il restauro alla peggio si fece, ma i poveri non vi potevano alloggiare. Intervenne la carità e lo zelo del vescovo infaticabile mons. Francesco Poggi, il quale nello stesso 1714, accanto alla chiesa di S. Iacopo e Filippo di Pancole, dette principio ad uno spedale pei poveri infermi, a S. Niccolò di Bari dedicato, dal titolo della cappella di questo santo, ivi esistente, eretta dallo Spagliagrani. Due anni dopo, avendoci riunito lo spedale di S. Martino, lo benedì e lo inaugurò affidandolo ai frati di S. Giovanni di Dio. Poche rendite aveva, e i malati si mantenevano dal vescovo, dai cittadini, da sussidi del governo. L'anno seguente lo tolse ai frati, e due di loro, terziari, andavano cercando limosine per lo spedale. Soppressa la parrocchia di Pancole, esso fu alquanto ingrandito; ma poi a quello [121] di S. Maria della Scala venne riunito, come vedremo. Il locale lo comprò il comune nel 1864 per uso di caserma, ed ora è affittato. – Coll'approvazione del comune di S. Miniato, lo spedalingo di S. Maria della Scala di Siena apriva nel 1333, presso la chiesa di S. Caterina, uno spedale per accogliervi i gettatelli. Era amministrato e diretto dai religiosi ospitalieri di Siena, che portavano sul petto una piccola scala a tre sbarre, da una croce sormontata, la quale è rimasta come stemma di questo spedale. Vi tenevano un rettore, che loro rendeva conto della sua amministrazione, e Ildebrandino Buonaparte fu il primo. Molti furono gli orfanelli dell'uno e dell'altro sesso raccolti e mantenuti, nel corso di tanti anni, e poté dirsi davvero una provvidenza pel comune. Aveva una chiesetta interna con tre altari e campanile. Per lo zelo del vescovo Cortigiani, aiutato dal sacerdote Agostino Pecorini e da altri, parte dello spedale dei gettatelli veniva destinato a ricevere, nel 1696, anco i malati adulti, e si acquistarono a tal fine alcuni letti. – Finalmente il granduca Pietro Leopoldo volle dare a S. Miniato uno spedale, che al bisogno veramente corrispondesse, e di cui era privo. Data la maggior parte del soppresso vicino convento di S. Caterina e dei suoi possessi a quello dei gettatelli, soppressi, nel 1786, gli altri spedali che ancora esistevano, tutti li univa in questo solo [122] col nome di Spedali riuniti di S. Miniato, ordinando però che l'amministrazione di quello dei malati dall'altro dei gettatelli fosse separata. Quindi si pose mano alla riduzione delle vecchie fabbriche in quella che presentemente si vede. I seguenti benefattori aumentaron le rendite, che il detto granduca gli aveva assegnato. Pietro Fenzi da Empoli oltre centomila lire gli lasciava, con obbligo di cinque doti, e sussidi ai malati particolari; un'iscrizione marmorea in sua lode nel 1829 vi posero. Dal conte Galli Tassi ebbe più di diecimila lire nel 1852, e dal suo medico direttore Giuseppe Maria Berni quindicimila nel 1873. Anche a quest'ultimo, nell'atrio, posero una memoria. – Bello, comodo, pulito, ben situato e arieggiato è ora lo spedale di S. Miniato, e di tutto ciò che la scienza medica ha saputo trovare a sollievo della umanità sofferente saggiamente provvisto. Ha due grandi sale simmetriche a pianterreno, pel trasporto dei malati comodissime, una per gli uomini, per le donne l'altra, di bei letti di ferro igienici a rete metallica forniti, ciascuna delle quali può contenerne meglio di venti. Essendo esso assai grande per gli ordinari bisogni, il suo piano superiore, fino al 1886, venne destinato ai dementi cronici d'ambo i sessi, che in numero di trentasei dall'amministrazione del manicomio di Firenze sonoci mantenuti, del quale questo può dirsi una succursale. [123] Ha unito il ricovero dei gettatelli, che più vicino alla chiesa di S. Caterina si trova. Fino al 1879 amministrava questi spedali un rettore; presentemente v'ha una commissione amministratrice. Vi risiede un bravo direttore medico e un cappellano (29) [VAI ALLE NOTE ↗].

"Spedali Riuniti" e Piazza XX Settembre, già Santa Caterina
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – MONASTERO DI S. PAOLO



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 113-116.

[113] MONASTERO DI S. PAOLO

L’abate Giovanni Lami e il proposto Conti raccontano che questo monastero lo fondò per le clarisse Margherita Portigiani coi beni suoi in onore dell’apostolo S. Paolo. A far questa fondazione l’illustre benefattrice venne autorizzata con bolla di Urbano VI del 1379, a quanto sembra. Per la qual cosa il monastero di S. Paolo sarebbe sorto dopo quello di S. Chiara, perché [114] Urbano VI fu papa dal 1378 al 1389. Ed uno dei principali motivi della fondazione di questo secondo monastero di clarisse a S. miniato, si fu che quelle di S. Chiara, quando per cagione delle guerre e delle scorrerie delle soldatesche, si vedessero malsicure o pericolanti, avessero in S. Paolo un sicuro luogo di rifugio, finché tranquillamente al loro monastero non potessero tornare. Esso ebbe vita fino all’anno 1808. Ai 21 maggio di quest’anno, dice il Conti, il demanio del governo francese occupò il convento ed i beni, riunendo le monache a quelle di S. Chiara; ma siccome per fortuna viveva ancora fra loro una Buonaparte, avendo essa ricordo a Napoleone I, il 24 aprile 1809 furono restituite al convento di S. Paolo e nel possesso dei loro beni. Morta la Buonaparte il convento fu di nuovo soggetto alla soppressione. Dal 1817 al 1827 vi stettero, come abbiamo detto, i minori conventuali, finché il loro grande convento non fu restaurato. Usciti i francescani, comprò questo monastero per novecento scudi mons. Pietro Bagnoli, e, ridottolo ad abitazioni, colla famiglia sua vi tornò, affittando il resto. L’esempio non fu bello. E poi, come a tutti ha già dimostrato l’esperienza, l’acquisto dei beni di chiesa non ha mai portato fortuna. – L’anno 1889, per iniziativa del vescovo zelantissimo mons. Del Corona, alcuni benefattori dagli eredi Bagnoli quasi tutto il monastero comprarono, [115] riducendolo presso a poco al primiero suo stato, affinché tornassero a pregarvi e a cantarci le lodi del Signore quelle figlie del poverello d’Assisi, le quali, quantunque reiette dal mondo, che nemmeno conosce il suo vero interesse, pur sopra di lui fanno discender copiose le benedizioni celesti. Alcune clarisse infatti, uscite da S. Chiara, vennero a prenderne possesso e ad abitarlo; ed anco vi aprirono un numeroso asilo pei piccoli figli del popolo, del quale il popolo stesso è soprammodo contento. – La sua chiesetta, la cui volta è tutta ornata, e dipinta con santi francescani, ha tre altari. Sul maggiore sta un quadro rappresentante la conversione di S. Paolo, cui è dedicato, coi santi Pietro, Francesco e Chiara. Nel mezzo di questo quadro, in una nicchia coperta, si conserva e si venera un’immagine della Madonna col bambino, fatta di carta pesta a mezzo rilievo, che prima stava in corridoio del monastero. Alquante religiose, in tempi diversi, da varie e gravi malattie afflitte, alla sua intercessione con viva fiducia ebbero ricorso, e la grazia ottennero della guarigione perfetta. Dall’autorità ecclesiastica di queste segnalate grazie si fece regolare processo, e il vescovo di Lucca Alessandro Guidiccioni, il 7 novembre 1619, quella taumaturga immagine in detto altare solennemente collocava perché avesse maggior venerazione e culto. Gli altri due altari sarebbero dedicati a S. Antonio [116] di Padova e a S. Bonaventura, ma non ci sono le loro immagini. Havvi in fondo una tavola col Crocifisso, S. Paolo, S. Francesco e S. Chiara, che alcuni hanno giudicato di buona scuola; sotto questo quadro è una statua di Gesù morto molto espressiva. A destra dell’altar maggiore vedesi il monumento del Bagboli col suo somigliante busto, morto il 22 ottobre 1847 e qui sepolto.

Monastero di San Paolo
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – S. GIACOMO E FILIPPO A PANCOLE



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 111-113.

[111] S. GIACOMO E FILIPPO A PANCOLE

Dove una tradizione racconto essere stato un tempio pagano, al dio Pane dedicato, fu eretta una chiesa parrocchiale in onore dei santi apostoli Giacomo e Filippo, forse nel secolo XII. Il nome del luogo, dicono, ricorderebbe pure quella tradizione, poiché Pancole significherebbe culto reso a Pane. V’ha anche chi racconta che lo stesso antico tempio pagano fu dipoi a chiesa cristiana ridotto. Comunque sia, sta il fatto che detta chiesa esisteva dov’è ora quella casa di due piani, rimpetto alla chiesa presente di S. Paolo, ed aveva l’ingresso dalla parte della piazzetta di S. Niccolò. Nel 1484, come da una pietra a croce si rilevava, la chiesa venne restaurata. Il pontefice Innocenzo VIII al capitolo [112] della collegiata l’ammensava, per aumentargli le rendite, a condizione vi mantenesse un vicario per le funzioni parrocchiali (1491). Sembra però che l’unione avvenisse alquanto tempo dopo. Leone X nel 1518 anche la vicarìa unì al capitolo, e ordinò che il servizio della parrocchia lo facesse un canonico o un altro prete idoneo. Lo zelante vescovo mons. Poggi nel 1715 la fece nuovamente restaurare, la consacrò, e sulla sua porta laterale pose un’iscrizione latina, che ricordava il tempio dell’antica superstizione pagana essere stato trasformato nel tempio di Dio vivo in cui egli in ispirito e verità veniva dalle redente generazioni adorato (27) [VAI ALLE NOTE ↗]. Aveva questa chiesa tre altari: sul maggiore stava un crocifisso sul muro dipinto; degli altri due, uno era dedicato a S. Tommaso vescovo di Canterbery. V’era poi la cappella in onore di S. Niccolò di Bari dal parroco Spagliagrani edificata, del quale abbiamo già parlato. Fu egli sacerdote veramente benemerito della sua città nativa e in detta cappella ebbe la sepoltura. Questa parrocchia, d’accordo coll’autorità ecclesiastica, da Pietro Leopoldo nel 1783 venne soppressa, e la sua popolazione divisa tra quelle di S. Caterina e di S. Stefano. Il vescovo Brunone Fazzi, non ostante la soppressione, ordinava al capitolo che la chiesa fosse uffiziata. Ma il capitolo, esposte sue ragioni alla santa [113] sede, otteneva nel 1800 la permissione di profanarla e venderla. Allora l’obbligo Spagliagrani venne nella cattedrale trasportato. Dopo la soppressione della parrocchia ingrandirono alquanto l’ospedale di S. Niccolò, che accanto a lei sorgeva, come vedremo. Nel 1807 tutto fu alienato e ridotto ad abitazioni. – Presso la chiesa di Pancole trovasi fatta menzione di un oratorio, dedicato a S. Giovanni Battista, detto S. Giovannino, il quale coi suoi possessi fu pure al capitolo della collegiata ammensato nel 1526, e non si sa precisamente ove fosse e quando cessasse di esistere. Era forse di faccia alla casa già Portigiani, ove anche al presente chiaramente si vede esserci stato un oratorio?

Chiesa dei SS. Jacopo e Filippo di Pancole
Fotomontaggio di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – CHIESA DI S. SEBASTIANO E S. ROCCO



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 110-111.

[110] CHIESA DI S. SEBASTIANO E S. ROCCO

In questa piazza, che or dal suo nome s’intitola, aveva la famiglia Buonaparte una loggia, che essa trasformò nel 1524 in piccola chiesa in ordine del martire S. Sebastiano, per averlo protettore contro la pestilenza, la quale spesse volte aveva sparso la desolazione e la morte nel bel paese. Nel 1718 vi fu portata ed esposta anche la reliquia di S. Rocco, invocato esso pure, in Italia e fuori, nelle pestilenziali invasioni, e sempre si continuò di poi a solennizzarne la festa. Ora comunemente è chiamata la chiesa di S. Rocco. I conventuali di S. Francesco avevano in essa un’uffiziatura giornaliera; e il magistrato, nel giorno sacro [111] a S. Sebastiano, ogni anno vi si portava a presentare un’offerta. Passata in proprietà del Comune, ei dette nel 1714 il permesso che vi fosse eretta una compagnia con lodevole scopo di accompagnare solennemente il S. Viatico agl’infermi della città. Essa pure andò soggetta alla generale soppressione.

Chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – SAN FRANCESCO



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 105-110.

[105] SAN FRANCESCO

La chiesa e il convento di S. Francesco, dice il Repetti, sono un colosso, che sulle balze s’inalza d’un colle tufaceo, da immensi fondamenti sostenuto e da [106] muraglie a barbacane, tutto in mattoni edificato. Essa è la fabbrica più gigantesca di quante altre ne conta S. Miniato. Qui, dove ora sorge questo colossale edifizio, fu in antico il piccolo tempio di S. Miniato, dato in dono dalle autorità del luogo al patriarca d’Assisi nel 1211. E il famoso fra Elia, come narrano, di cose grandi amatore, e chiesa e convento sopraedificò col suo disegno, finiti nel 1276, restando sempre la chiesa dedicata al santo martire Miniato. Nel secolo XV, come ben chiaro rilevasi anche dalla facciata, la chiesa venne molto ingrandita da Francesco Viti Rondinelli e dall’opera di Guccio di Pasqua di Guccio, benefattore del secolo precedente, la cui amministrazione fu tolta ai laici da Sisto IV e data ai francescani detti conventuali. Le nobili famiglie del paese vi concorsero edificandone gli altari (25) [VAI ALLE NOTE ↗]. E insieme alle tombe gentilizie li possedevano i Portigiani, i Roffia, i Buonaparte, i Ciccioni, i Mercati, gli Spadalunghi, i Migliorati, gli Stefani. L’architettura poi della chiesa e del convento, dice il Rondoni, sebbene deturpata dai raffazzonamenti di quel secolo, serba tuttora la maestà dello stile romano col quale venne edificato, per modo che anticamente, a testimonianza di artisti valenti, dovette essere un vero lavoro di arte bella. Anco i potestà samminiatesi ci avevano la sepoltura; vi si vedono tuttora le tombe di Nerlo dei Nerli e di Baldo dei [107] Frescobaldi, ed ogni anno ci veniva la Signoria ad offerire al beato martire Miniato. A tal proposito l’antico Statuto samminiatese dice così: - La festa del beato martire Miniato difensore e patrono, il cui nome venerando a questa terra fu dato, sarà celebrata ogni anno in perpetuo ai 25 d’ottobre dai signori potestà, capitano, e dagli altri ufficiali nostri nella chiesa dei frati conventuali, con tutti gli abitanti della detta terra, con riverenza devota e solenne munificenza. – Il convento è ampio e grandioso: ha due chiostri, numerose celle, belle sale e corritoi, coi ritratti degli uomini illustri dell’ordine, e dai suoi finestroni si ammirano vaste, variate e incantevoli prospettive. Possedeva oggetti d’arte e opere egregie; ma ai tempi della soppressione napoleonica sparirono. Chiusa la chiesa e il convento, alienati i possessi, ogni altra cosa fu pur manomessa o venduta, comprese le campane, che Giovan Battista Stefani rifuse nel 1845. Ripristinati nel 1817 i benemeriti religiosi, che alle vicende dell’antico castello avevan preso parte quasi messaggeri di concordia e di pace, per dieci anni dimorarono nell’abbandonato monastero di S. Paolo. Nel 1827 all’amata loro dimora tornarono, dopo che e chiesa e convento coll’aiuto dei benefattori furono restaurati. Di nuovo soppressi nel 1866, provvisoriamente lasciarono aperta la chiesa con due custodi. Ma [108] quell’antico ricordo di S. Francesco d’Assisi, che fu il santo più popolare dei suoi tempi; quel tempio dedicato al patrono della città, dove pur riposano le ceneri d tanti illustri concittadini; quel monumentale avanzo di architettura toscana non poteva essere dimenticato e abbandonato dai samminiatesi. Per toglierlo dalle mani del demanio, che lo poneva in vendita, un comitato di cittadini si formò, il quale raccolse circa diecimila lire; ed efficacemente i religiosi, nel 1872 venne riacquistato. Il dì 8 dicembre dell’anno stesso fu solennissima festa. Riaperta la chiesa, mirabile per la sua magnificenza e per la sveltezza degli archi, cantato il Te Deum dal vescovo, dal clero, dal popolo, i figli di S. Francesco tornarono al possesso di quel grandioso sacro monumento, che piccolo e umile, sette secoli prima, al loro santo patriarca era stato donato. Prendendone un’altra volta possesso, i minori conventuali ne fecero un collegio di studenti per inviarli poi, fatti sacerdoti, alle missioni estere. – Entrando, per la porta maggiore, nella vasta chiesa, il primo altare a destra è sacro a S. Biagio e Gaetano, e appartenne alla famiglia Stefani; dopo il quale incontrasi quello della SS. Annunziata, eretto dall’opera di Guccio di Pasqua, quivi fondata nel 1392. Viene l’altare di S. Giovanni decollato, che alla famiglia Franchini [109] appartenne, e poi quello dedicato a S. Bernardo e al beato Sorore, fatto a spese dello spedale della Scala di S. Miniato. Rimpetto all’organo sorge l’altare del transito di S. Giuseppe di proprietà della famiglia Roffia. La cappella del Crocifisso, che è pur quella del Sacramento, ed era della famiglia Migliorati, ha dietro l’altare una grande e bella immagine di Gesù Crocifisso in rilievo del 1593. Viene la cappella del patriarca d’Assisi, che ha la statua del santo in una urna, della famiglia Portigiani. Sui pilastri, ai lati dell’altar maggiore, sono in marmo le mezze figure del patrono S. Miniato e di S. Francesco d’Assisi. Questo principale altare lo fecero nuovo nel 1796, di sopra togliendoci la statua del Redentore risorto, che, nel 1723, vi era stata collocata, e si vede presentemente sotto la chiesa del SS. Crocifisso, rimpetto al palazzo comunale. Si pare al suo lato destro la cappella della Concezione di Maria, il cui altare lo fece la famiglia Ansaldi. Scendesi quindi nella sacrestia, che ha un altare dedicato al Crocifisso, la quale, per lo zelo dei religiosi, di molti e bei parati è fornita. Sotto l’organo magnifico, che questa chiesa possiede, sembra esistesse una cappella, forse della famiglia Borromei, dove si vedono i guasti avanzi di buoni affreschi, alla scuola di Giotto attribuiti. Viene, dopo l’organo, l’altare dedicato all’Assunta, fatto dalla compagnia [110] omonima, che in questa chiesa esisteva (26) [VAI ALLE NOTE ↗]. Gli altari di S. Antonio di Padova, dov’è una statua del santo fatta dal Giacobbi, e quello in onore del santo patrono Miniato li edificò la famiglia Buonaparte, e i Mercati eressero l’ultimo, che è sacro all’Arcangelo Michele. Fatto cadere l’intonaco, comparve lì presso l’immagine di S. Cristoforo; ma eseguite altre prove non riusciron felici.

Chiesa di San Francesco
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – SAN MICHELE ARCANGIOLO E S. STEFANO PROTOMARTIRE



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 103-105.

[103] SAN MICHELE ARCANGIOLO E S. STEFANO PROTOMARTIRE

Questa chiesa antica, indicata comunemente col solo nome di S. Stefano, è nominata nella bolla di Celestino III del 1194, più volte citata. Dicono esistesse prima del mille e fosse a S. Isidoro dedicata; dipoi a S. Stefano. [104] Mons. Michele Mercati avendo, nel 1583, dal vescovo di Lucca ottenuto, come dicemmo, di poter demolire la cadente chiesa di S. Michele in rocca, già edificata per servizio religioso dei soldati, il suo titolo a quello di questa parrocchia venne unito. Piccola era la prima chiesa, ed aveva l’accesso dalla via di Castelvecchio per un cavalcavia sullo sdrucciolo dei Mangiadori. Tutto col tempo corressero, dando migliore sistemazione, e facendo anche più grande la chiesa. Nel maggio del 1715 mons. Poggi la consacrava. Innocenzo VIII, oltre la chiesa di Pancole, ammensò al Capitolo di S. Miniato anche la cappella di S. Anselmo vescovo di Lucca, che in questa chiesa esisteva. Fra i molti illustri e benemeriti suoi parroci, Gregorio Buonaparte è da annoverarsi come suo particolare benefattore. Poiché non solo tutta la chiesa quasi cadente generosamente restaurò, ma eziandio la provvide di molti sacri arredi. Il vescovo Domenico Poltri in attestato di gradimento e di riconoscenza, nel 1758, dichiarava prioria questa parrocchia. Altro suo benefattore si fu il priore Carlo Pescini, poi vicario generale della diocesi come il Buonaparte; il quale, aiutato efficacemente da popolo, l’allungo del presbiterio (1862), pulita e linda la ridusse, come al presente vien mantenuta, migliorando ed accrescendo anche la canonica. – Il suo altar maggiore ha un quadro con S. Michele Arcangiolo e S. Stefano, [105] in mezzo ai quali vedesi un tabernacolo colla Madonna del Buon Consiglio. Quello, a sinistra di chi entra, al SS. Crocifisso è dedicato, l’altro a S. Francesco Saverio. Quando si celebrava la festa di questo santo, uno dei patroni della città, interveniva anche il magistrato. L’altare era prima dedicato a S. Anselmo vescovo di Lucca. Nell’anno 1701 il parroco della chiesa, insieme con Filippo Ansaldi, chiesero al capitolo del Duomo di potervi collocare un quadro con S. Francesco Saverio. Il capitolo, consentendo, poneva la condizione che pur vi fosse dipinto S. Anselmo, ed anche quello antico si conservasse in S. Isidoro. Tutto ciò non sembra sia stato eseguito. – Illustri famiglie samminiatesi in quest’antica chiesa ebbero sepoltura, e il sig. Antonio Vensi ne conserva la pianta. Anche vie è sepolto il livornese conte Giuseppe Finocchietti, già generale del re Carlo III di Napoli, morto a S. Miniato nel 1782, del quale il prof. Pera fa parola nelle Biografie Livornesi.

Chiesa dei SS. Stefano e Michele
Foto di Francesco Fiumalbi

G. PIOMBANTI – GUIDA DI SAN MINIATO – MONASTERO DI S. TRINITA, ARCICONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA, GINNASIO E SCUOLA TECNICA



Estratto da G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, pp. 101-103.

[101] MONASTERO DI S. TRINITA, ARCICONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA, GINNASIO E SCUOLA TECNICA

Aveva ottenuto il comune di S. miniato dal pontefice S. Pio V, nel 1566, di poter aprire un monastero di agostiniane per l’istruzione delle fanciulle coll’assenso di Cosimo I, che cedé a tale scopo l’antico palazzo del potestà, in una parte del quale erano allora le stinche, cioè le prigioni dei condannati per debiti. Non sappiamo per quali ragioni, il vescovo di Lucca si oppose a questa fondazione, e fu necessario che il duca Cosimo, per vincere tutte le difficoltà, a Roma direttamente scrivesse. Concorsero alla erezione e dotazione del nuovo monastero il comune, le compagnie del castello, i privati, e in modo particolare la famiglia Mercati, della quale poi due sorelle ci vestirono l’abito religioso (24) [VAI ALLE NOTE ↗]. Anche il capitolo della propositura volle averci parte; e cedé il materiale col terreno della cadente chiesa di S. Giusto e Clemente a condizione che in memoria di essa c’inalzassero una croce e il nuovo monastero dalla sua giurisdizione dipendesse. Si fecero quindi venire alcune agostiniane dal monastero di S. Niccolò di Prato, e, intervenutevi le autorità civili ed [102] ecclesiastiche, con molta festa lo inaugurarono. Le religiose eran dedite all’istruzione e tenevano anche il convitto per le signorine. Vestivano abito bianco con croce celeste sul petto. Avevano clausura, e nello spirituale dipendevano dal proposto. L’amministrazione era nelle mani del comune; e, per la festa dell’Assunta, dovevan mandare ogni anno una candela di cera bianca d’una libbra al consiglio dei priori per riconoscerne l’alto dominio. Dopo due secoli e mezzo di benefica esistenza, nel 1810 venne soppresso. – Nel 1818 la chiesa di questo monastero fu smembrata dall’autorità ecclesiastica dalla parrocchia di S. Stefano e data alla confraternita della Misericordia, soppressa da Pietro Leopoldo nel 1785. Così la cappella di S. Filippo Benizi, che ad essa apparteneva, passò al capitolo della cattedrale. La benemerita confraternita prese possesso della chiesa, dell’unito coro delle monache e di alcune stanze annesse, e con maggiore comodità e zelo continuò ad eseguire, in mezzo all’universale amministrazione, le sue opere di carità. Essa poi, riformati che furono i suoi statuti, nel 1834 ottenne meritatamente il titolo di Arciconfraternita, e ai 20 novembre 1885 il re Umberto accettò di esser suo protettore e presidente onorario. La chiesa, dal vescovo Cortigiani consacrata, ha tre altari in pietra. Sul maggiore è dipinta nel muro una Madonna col bambino, che dicono qui trasportata [103] da Gargozzi. Stanno ai lati i protettori della città. L’altare a destra è dedicato a S. Carlo Borromeo, quello a sinistra alla Madonna della cintola. Essa è unita al vecchio coro della monache, ora aperto e un poco più alto, sul quale stava quello delle educande. Qui l’Arciconfraternita fa le sue adunanze. Ed anche continua collo stesso amore a fare in Duomo l’annua festa dell’Addolorata colla processione devota per la città. – Abbiamo già detto che il soppresso monastero divenne nel 1818, proprietà del comune, il quale, d’accordo col governo, lo trasformò e ridusselo a Scuole pubbliche. Presentemente vi sono le Scuole elementari, le ginnasiali e le tecniche. Nel 1892 vi aprirono anche un Asilo infantile, ove, con caritatevole pensiero, al vitto pur si provvede dei poveri bambini che lo frequentano.

L'ex-Monastero di S. Trinità
Foto di Francesco Fiumalbi