venerdì 27 giugno 2014

TANTI NONNI TANTI ZII - Racconto di Giancarlo Pertici

di Giancarlo Pertici

Tanti nonni..tanti zii.. lungo l’Egola d’estate.

Oramai anche nonno Nuti si era rassegnato. D’estate ero sempre altrove, mai a casa, ospite di qualche zia o di qualche nonno … tutti ‘acquistati’ perché quelli veri, quelli ‘di sangue’ cioè Lillo e Musolino erano impegnati per lavoro. Non so neppure se era geloso, … a me mancava, come mancavano le sue storie, le passeggiate insieme, le ore nell’orto. Alla chiusura della scuola, anche se io non avevo ancora iniziato ad andarci, c’era per me sempre un’occasione che babbo e mamma non mi negavano. E così partivo… mai la stessa destinazione. A volte era un viaggio con più fermate per un ritorno fissato per fine agosto o giù di li.

Come tutto ebbe inizio non ricordo con certezza, anche se alcuni flash impressi nella memoria fatti di immagini mi riportano quella (l’immagine) di mia zia Rosanna, ovvero la ‘fidanzatina’ di zio Alberto, detto Barnaghino, di età non superiore ai 16, mentre io di anni dovevo averne appena 2, quando per la prima volta mi ritrovai a passeggio tra loro, in giro per Santa Caterina. Uno dei pochi modi leciti, .. diciamo ‘consentiti’ per una ragazza di uscire con un ragazzo senza suscitare scandalo e soprattutto per ottenere il consenso necessario dei genitori. E mi ricordo anche perfettamente dove in San Miniato abitava in quel periodo, prima di trasferirsi agli Alberi…. in Via Paolo Maioli giusto prima della macelleria di ‘Topposo’ davanti alla casa del Dott. Braschi….Come mi ricordo della sua camera da letto in perfetto ordine.. del suo scrittoio in radica… quelle sue foto capelli sciolti ….incorniciate lì sullo scrittoio ad immortalare alcune gite. Una circondata da piccioni…’piazza San Marco a Venezia ??’ … non glielo ho mai chiesto.

Ma la sensazione ed il ricordo mi riportano indietro nel tempo e nello spazio anche al Leccio. Che sta per Corrazzano, come lo stava .. quando Rodolfo il giovedì sera nell’uscire di casa avvisava “Vado al Leccio a fare all’amore” ... Era un periodo in cui tutti sembrava mi volessero. Quando la sera in estate Magnino tornava da Firenze passava spesso da sua sorella Eda, aspettava che mi avesse cambiato e mi portava a spasso per San Miniato, non so se per vezzo o per attirare ancor di più l’attenzione delle ragazze: non ne avrebbe avuto bisogno. Mi ricordo di queste uscite fino “di là” spesso per un gelato. “Ma che hai già un figliolo?” era la domanda più frequente che sembrava voler sollecitare alle ragazze che incontrava. “No! È di mia sorella Eda” la risposta pronta a fugare ogni dubbio di fronte ad una sconcertante somiglianza. Ancor oggi…non più giovane, chi mi incontra avendo conosciuto Magnino e Barnaghino in maniera spontanea sottolinea “Ma tu sei un Brucci!!… sei nipote di Alberto ? oppure sei figliolo di Magnino?”.

Questa sensazione mi riporta all’arrivo in casa Brucci della “Guzzi 500”, color rosso vivo, acquisto a ‘di mezzo’ tra fratelli, Magnino e Barnaghino. Come non ricordare il giro di Piazza Santa Caterina ogni sera di ritorno da Firenze… prima di cena, stessa ora senza sgarrare di un minuto. Ci potevi rimettere l’orologio sulla puntualità di Rodolfo. Ed io in attesa e spesso, o meglio.. sempre… in compagnia di Nonno Nuti l’orecchio teso al rombo del motore che si avvicinava. Poi zio Rodolfo mi issava sulla moto, semisdraiato a cavalcioni al serbatoio, ad impugnare il manubrio o quella parte che riuscivo ad afferrare, per un intero giro di piazza. Passando nell’ordine davanti al Migliorati, quindi davanti alla casa della maestra Rossi…poi la Chiesa.. l’ospedale… di nuovo a casa. Soddisfatto!!!. Mentre Alberto era più giovane … era più ragazzo e meno zio e soprattutto era “più fidanzato”, più preso in questo suo ruolo o così io lo vivevo. L’Acquisto della Guzzi mise d’accordo le esigenze dei due fratelli Brucci nei giorni riservati alle fidanzate: la domenica e il giovedì. La Guzzi spettava una settimana per ciascuno a turno. Quando toccava a Alberto, si caricava dietro Rodolfo, lo scendeva al Leccio e lui proseguiva fino agli Alberi. Viceversa era Rodolfo a fare da guidatore. Nessuno rimaneva mai a piedi.

La prima volta a Corazzano probabilmente avevo 4/5 anni. Zia Gina l’avevo già conosciuta nelle sue visite in San Miniato. Fidanzati in casa, come allora si diceva, all’uscita dalle Magistrali si fermava talvolta a salutare la futura suocera, mia nonna Livia e qualche volta mi ero trovato a spasso in San Miniato proprio tra lei e zio Rodolfo. Ma la vera sorpresa, sorpresa gradita, fu l’incontro con Nonno PEO.. una specie di Nonno Nuti, senza orto, senza racconti, ma con tanti Cocomeri da vendere ed un’Ape sulla quale mi montava per portarmi in giro con se. “Così mi aiuti a vendere” mi diceva. “Chiamami Nonno PEO” e così l’ho sempre chiamato anche se ignoro tutto oggi quale fosse stato il suo vero nome. Un’altra gradita sorpresa .. un’altra zia .. o quasi, la sorella di zia Gina: Margherita la più bella di casa. L’ho incontrata casualmente a distanza di anni, ben dopo il mio diploma a Marina di Pisa, lei che abita a Pisa, e l’ho riconosciuta subito. Benché invecchiata l’incontro mi ha confermato la prima impressione avuta… era ed è rimasta la più bella di casa. Non ricordo con chi dormivo, se con Gina o con Margherita… ricordo solo che mi addormentavo “beato tra le donne” con il sorriso sulle labbra … l’emozione di sentirmi coccolato. Risveglio ancora più dolce, al sole che da una grandissima finestra affacciata sui campi e sull’Egola invadeva benigno la camera. Ci destavamo insieme… per una nuova e generosa giornata ….poi una tazza di latte e biscotti a volontà. Quindi di nuovo con Nonno Peo per alcune commissioni insieme. Non mi ricordo di amici nuovi in quel periodo, neppure di averne sentito il bisogno o di averne cercati.

Fra nonni e zii ogni tanto arrivavano anche Zio Renato e Zia Luisa dalla Serra, anche loro mugnai, ma con fare molto rispettoso senza particolari intromissioni o ingerenze a suscitare gelosie negli altri parenti ‘acquistati’. La loro era simpatia allo stato puro. Attirati forse da quell’aria seria, quasi taciturna che quel bambino sembrava assumere, come nelle foto?. Simpatia che si manifestò tutta quando entrai in seminario e che non è mai finita, anche quando ne uscii, fatta di rapporti continuati nel tempo… con Zia Luisa fino alla sua recente morte. Di loro il ricordo più bello è fissato in quella prima panca in Duomo, accanto a Nonno Nuti durante il pontificate delle 11 ….intenti a seguire la messa, gli occhi fissi quasi in adorazione di Giancarlino. Zii questi più che ‘acquistati’, direi ‘regalati’ …. in realtà zii di Rosanna Gennai nei Brucci, mia zia acquistata.

Ma il periodo più lungo, ripetuto negli anni a più riprese, rimane anche nei ricordi e nelle amicizie quello degli Alberi fino al giorno della mia prima comunione (agosto ’58), stesso delle nozze di Barnaghino con zia Rosanna. Agli Alberi .. altri due ‘nonni’, Nonno Gennai e Nonna Marina, ma io non sentivo quel ‘nonno’…. li chiamavo semplicemente per nome ’Marina’ o per cognome ‘Gennai’ . Senza sgolarmi più di tanto visto che la vita si svolgeva tutta a portata di voce su quella piazza, l’unica de gli Alberi. Su quella stessa piazza ci affacciavamo tutti e da lì partivamo per i nostri giri lungo l’Egola.

Renato viveva nello stesso palazzo dei Gennai, mentre sua mamma a piano terra aveva una Bottega di Commestibili …un grande scaffale in legno color blu pastello, con le sue cassette estraibili… tante quanti i tipi di pasta in vendita. Allora la pasta si vendeva sciolta e a peso.
Il figliolo della Venta, così il soprannome di una cugina di nonna Livia che faceva Malacarne di cognome, abitava nella casa ad angolo a ridosso del guado sull’Egola. Nostro compagno di giochi anche se più grande che però mancava il giorno in cui la sua mamma accendeva il forno per il pane.
Mi ricordo di un omino nel garage sotto casa che la sera prima riempiva di acqua grandi conche di terracotta, eppoi la mattina dopo che l’acqua nella notte quasi per miracolo si era trasformata in ‘acquetta’, come lui la chiamava, lui la imbottigliava mentre sulla bottiglia ci incollava un’etichetta con scritto non acquetta, ma “Varechina”.

Nella casa ad angolo vicino al Mulino abitava Pietrino che da grande voleva fare il parrucchiere per signora, e da grande ha fatto proprio quello. Ora, che abita a Montatone credo sia già in pensione. Sull’altro lato della piazza si era trasferita una famiglia, moglie e marito con la figlia più grande di me. Non mi ricordo nel momento il nome ma mi rimase impresso il cognome.. ‘Dell’agnello’ e soprattutto la fisionomia del padre. Ben lo riconobbi quando pochi anni dopo si trasferì definitivamente in Santa Caterina. Alla figlia non ho mai osato allora rivolgere la parola, tanta la timidezza che mi suscitava.…La vedevo così bella e lo è ancora che è nonna. Quando negli anni siamo entrati in confidenza, ma solo allora e lei già nonna, le ho confessato quanto la ritenessi bella sia da giovane che da nonna. Tante storie che in quegli anni si sono intrecciate su quella piazza e lungo le sponde dell’Egola durante l’estate …. noi appena ragazzi.

E su quella piazza. impressa nella memoria, l’immagine del Gennai mugnaio, quello che alla mattina presto la attraversava tutta per entrare nel suo mulino. Vestito di tutto punto, giacca, panciotto, cravatta e cappello stessa tinta come se avesse un appuntamento importante… ma destinato a prendere dal mulino quello che il mulino da, la farina. Era inconfondibile quel suo paradossale vestire fuori luogo, tutto imbiancato ad ogni ora, anche nel cappello che calcava anche dentro lo stesso mulino. Di Marina invece conservo due immagini vive che mi parlano di lei ancor oggi. Le carte in mano, all’inizio del pomeriggio a giocarsi una partita a scopa con me sul tavolo di cucina ancora ingombro dei resti del pranzo e alla sera con i lembi del grembiule in mano a dispensare scarti di verdura e di pane raffermo alle nane che la seguivano come un’ombra. Oltre le nane come non ricordarsi anche di quei galletti destinati ad una fine ingloriosa, quella di ‘capponi’. Si andava fino alla Chiesa e lì dietro si attraversava l’Egola e si arrivava giusto a Casa Masi dove una donna di mezza età che conosceva bene Marina, si prendeva cura di quei polli e dopo aver loro ‘tagliato’ non so bene cosa, ce li restituiva … ‘Ecco i Capponi’. Ma se dovessi farne un ritratto,… se ne fossi capace, la ritrarrei seduta a tavola intenta a giocare a carte, la tavola ingombra di tutto e l’immancabile sigaretta pendente dalle labbra.

Quegli anni agli Alberi si consumarono anche troppo in fretta, tanto erano piacevoli, come le giornate che volgevano subito al termine …in compagnia di Pietrino, di Renato e di altri le cui fisionomie in qualche modo ho conservato, ma dei quali ho dimenticato il nome. Giornate vissute lungo ….. soprattutto dentro l’Egola, spesso scalzi, fracichi di tutto ed indaffarati in caccia o in cerca di tutto tra quelle due sponde che per noi non avevano segreti dagli Alberi in su fin verso La Sughera. Percorso costellato di pescaie anche profonde nelle quali facevamo il bagno, rocce dalle quali lanciarsi in tuffo, piccole cascate a contrassegnare i dislivelli da superare, piccoli bozzi nei quali cacciavamo i pochi pesci rimasti prigionieri. Poi le more che generose crescevano regine dentro le sponde, dal colore vivido lontano dalle polveri che rendevano immangiabili quelle lungo la strada. Ne portavamo a casa sempre a grappoli per farne marmellate e mangiarle col gelato.. quando c’era. Facevamo fatica a tornare a casa per l’ora di pranzo. La sera era la luce del sole a costringerci al rientro, anche se in ritardo. Finché nonno Peo ne ebbe la forza passava due volte alla settimana annunciando il suo arrivo con il ripetuto ed insistito suono del Clacson fino al mio arrivo di corsa per montare nel cassone come consueto. E via verso la Sughera a vendere cocomeri ed anche poponi dove all’ombra di un enorme tiglio ci fermavamo per fare vendita a ‘piazza morta’, giusto davanti ad un circolo di campagna. Insieme ad una fetta di cocomero per merenda c’era sempre una bella granita. Io preferivo quella alla menta, nonno Peo quella al limone.

Poi la sera a veglia col Gennai, al circolo proprio accanto alla chiesa… anche se io talvolta avrei preferito restare a casa per andare a letto presto, dopo una giornata sull’Egola. Solo da grande ho capito….. la sera arrivavano zio Alberto e zia Rosanna libera dai suoi impegni oltre la scuola …quando tornavo da veglia li trovavo spesso tutti e due già addormentati, io che dormivo con loro da piedi.

L’estate finiva sempre troppo presto e all’improvviso con i primi temporali di agosto. Ben prima che cominciasse di nuovo la scuola, quando zia Rosanna riprendeva servizio presso la sua io rifacevo il mio bagaglio con la tristezza nel cuore….. la nostalgia degli amici da lasciare…

Spesso era la corriera che mi riportava a San Miniato, seduto accanto al finestrino a curiosare, gli occhi spesso persi nel vuoto….. all’idea dell’incontro imminente con Nonno Nuti e del ritorno alla vita di sempre, delle preghiere dimenticate, delle vicende di Tonino e del nostro letto da una piazza e mezzo.

"Giancarlino" Pertici sulla Guzzi 
di Magnino e Barnaghino, fratelli Brucci
Foto Collezione Giancarlo Pertici

"Giancarlino" Pertici un'estate agli Alberi
Foto Collezione Giancarlo Pertici


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