martedì 14 maggio 2013

AVERARDO GENOVESI E LA GUERRA POETICA DI SAN MINIATO

di Francesco Fiumalbi

Nel numero n. 20-21, anno 1938, del Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato, è pubblicato l’articolo di Francesco Ravaioli dal titolo Guerra poetica sulla Città di San Miniato. Nel brano sono riportati il celebre sonetto di Averardo Genovesi e le risposte che ne seguirono. Attraverso questo post ripercorreremo le vicende che portarono ad una vera e propria battaglia a suon di rima e di cui ancora oggi se ne avverte il riverbero.

Sommario del post:



Averardo Genovesi nacque a Santa Croce sull’Arno nella seconda metà del '700, e fu segretario della Giunta Toscana durante la prima Restaurazione fra il 1799 e il 1801. Nel 1821 ricevette l’incarico di professore di Umanità, e poi in seguito anche di Retorica e Lingua greca, nel Ginnasio di San Miniato (lo stesso in cui insegnerà Giosuè Carducci) (1) e fu insegnante di Augusto Conti. Fece parte dell’Accademia degli Euteleti (2) ed è rammentato anche dal Repetti come “erudito poeta” (3). Morì il 15 gennaio del 1843 e fu sepolto a Corniola presso la villa di suo nipote Vincenzo Salvagnoli (la sorella Silvia era la madre del Salvagnoli) (4). Fu autore di vari componimenti redatti in varie occasioni e di un opuscolo intitolato “Della utilità di un giornale d'arti e mestieri” stampato presso Antonio Canesi, a San Miniato nel 1839.

Per ricostruire la vicenda che dette avviò alla Guerra poetica, Francesco Ravaioli si avvalse della memoria del Cavaliere Prof. Luigi Ciardi, primo titolare della Cattedra dantesca a Ravenna, compaesano e discepolo del Genevosi nel Liceo sanminiatese. (…) Il sonetto fu scritto su rime obbligate e per scherzo ad una cena tenutasi nel palazzo del Nobile Cavaliere Pazzi in San Miniato (l’attuale Palazzo Piccolo in via IV Novembre, n.d.r.) nel Carnevale del 1841, e che il sonetto tra la unanime ilarità fu accolto ed applaudito, senza che destasse alcun risentimento da parte dei presenti, uomini di spirito superiori alla mentalità gretta del borghese campalinismo. Il Genovesi che non aveva alcuna intenzione di pubblicarlo, se lo infilò nella tasca del pastrano e lì rimase fino a quando lo stesso Genovesi non dette a riparare il soprabito ad una sarto che casualmente trovò il sonetto. Il sarto copiò il sonetto, ne fece varie copie e lo divulgò all’insaputa dell’autore. Il risentimento dei sanminiatesi fu “corale” e si manifestò in una serie di sonetti come appresso vedremo.

Fu da una tedesca mammalucca
Dichiarata città questa bicocca.
Che ha per insegna una sfasciata rocca
Per protettore un santo senza zucca*.

Il magistrato in ricci ed in parrucca;
Cittadina boriosa e sciocca.
Lustrissimi spiantati per la bocca;
Popol che nulla fa e tutto pilucca**.

Se piove o tira vento t’alza i panni,
Ti fa batter coi denti la diana;
Ci canta a mezzogiorno il barbagianni***.

Fu presa dalle capre in guisa strana
Dal valoroso capitan Giovanni
La notte, se non sbaglio, di befana ****.

* La tedesca mammalucca è Maria Maddalena d’Austria, Granduchessa Reggente di Toscana che nel 1622 fece innalzare San Miniato al rango di Città affinché vi fosse istituita una nuova diocesi, da staccarsi da quella di Lucca. A quel tempo San Miniato era un piccolo centro di provincia, di nessun interesse economico o militare e da almeno un paio di secoli versava in condizioni decadenti, tanto da essere definita una “bicocca, termine dispregiativo per indicare un luogo fortemente disagiato e/o disabitato (5). Sulla “sfasciata Rocca”, il riferimento è alle condizioni manutentive del principale monumento sanminiatese, lasciato in stato di abbandono da almeno tre secoli, e colpito numerose volte dai fulmini. Di incerta interpretazione il “santo senza zucca” protettore della città, in quanto i patroni San Miniato e San Genesio furono entrambi martirizzati per decapitazione.
** Questa è la quartina che fece più male ai sanminiatesi, colpiti nell'orgoglio. Accusati di essere attenti alla forma, di badare poco alla sostanza e di parlare troppo. Altezzosi, con spocchia, sempre a vantarsi degli antichi fasti di un tempo che fu, salvo poi piagnucolare per le contingenti condizioni economiche, di cui si dichiarano vittime. Invece di rimboccarsi le maniche, come da buonsenso, i sanminiatesi sono additati di non far niente per migliorare la propria situazione e, anzi, di stare immobili ad aspettare aiuti, come in attesa della caduta della manna dal cielo oppure di approfittarsi dell'ingenuo di turno. In altre parole “piluccano”.
*** In questa terzina, Genovesi coglie alcuni aspetti “climatici” della Città di San Miniato. La dipinge come un luogo ventoso e freddo, tanto che gli animali notturni come il Barbagianni, cantano a mezzogiorno. Battere la Diana è un espressione del gergo militare: i soldati venivano svegliati col rullo di tamburi poco prima dell'aurora, quando la luce appariva riflessa sul pianeta Venere, detto “Stella Diana” (6). Anche in questo caso, si tratta di un'allusione alle rigide temperature della notte e del primo mattino, tali da far battere i denti dei poveri sanminiatesi.
**** L'ultima terzina è una citazione del poema eroicomico di Ippolito Neri “La Presa di Samminiato” in cui si narra la fantasiosa ricostruzione dell'assedio sanminiatese, risolto con l'espediente dei lumini attaccati al collo delle capre, di cui, stando al poema, fu autore il capitano Giovanni Cantini da Monterappoli. In effetti San Miniato fu presa dalle truppe fiorentine il 9 gennaio 1370, quindi in prossimità del giorno di Befana, anche se riguardo al Cantini sappiamo che fu protagonista durante il tentativo di rivolta di Benedetto Mangiadori del 1397. Anche in questo caso, si manifesta in tutta la sua evidenza lo sberleffo verso il carattere ingenuo e credulone di cui sono accusati sanminiatesi.


La "sfasciata rocca" alla fine '800


Le risposte al sonetto di Averardo Genovesi furono almeno sei, redatte nell'arco di quasi un secolo:
RISPOSTA DI ENRICO BUONFANTI
RISPOSTA DI ANONIMO – 1
RISPOSTA DI ANONIMO – 2
RISPOSTA DI RAFFAELLO GIANNONI – 1876
RISPOSTA DI PADRE SILVIO DA PISA – 1912
RISPOSTA DI ERCOLE PAROLFI

NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Boldrini Roberto (a cura di), Dizionario Biografico dei Sanminiatesi (secoli X-XX), Pacini Editore, Pisa, 2001, p. 130.
(2) Lotti Dilvo (a cura di), San Miniato nel Tempo, Arti Grafiche Pacini, Pisa, 1981, p. 253.
(3) Repetti Emanuele, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, Tofani, Firenze, 1833, Tomo V, v. Santa Croce s/A, p. 111.
(4) Ravaioli Francesco, Guerra poetica sulla Città di San Miniato, Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 20-21, San Miniato, 1938.
(5) Pianigiani Ottorino, Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana, Roma, 1907, v. Bicocca, si veda anche http://www.etimo.it/?term=bicocca

1 commento:

  1. Destino ha sempre voluto che gente di fuori abbiano detto male dei sanminiatesi, cosa che essi non fanno, generalmente, cercando di vivere e lasciar vivere. Il sonetto del Genovesi tuttro sommato è anche simpatico, certamente scherzoso per le circostanze in cui fu scritto e come venne divulgato. La "Guerra poetica" che scatenò, in fin dei conti, è uno spaccato originale della società indigena di quegli anni. Del resto se non finì proprio a taralucci e vini, finì con lo scambio di doni per Befana, come saggiamente suggerì Ercole Parolfi. Di ben altro tenore e valenza fu invece lo studio del Dott.Francesco Alfonso Talinucci di Barga, scritto nell'anno 1769,"" per servire d' istruzione e comodo al ministero del cancelliere comunitativo di Samminiato"".Mica scrisse delle "stornellate" a fine cena, magari un po' su di giri! Scrisse che i sanminiatesi sono ""..ignoranti, poco ingegnosi,molto inerti e poco sobri nel bere e nel mangiare.....l'ozio e l'ignoranza in cui vivino produce la maldicenza...e l'invidia è un seme che molto produce in questa città" Non aggiungo altro perchè è bastante per dire al Genovesi, al Talinucci e ai loro "discendenti" vivi e vegeti: ma fatevi i cazzi vostri!

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