domenica 31 agosto 2014

I SANTUARI DEL GIOCO - 1 PARTE - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

I “SANTUARI” DEL GIOCO
e noi bambini, anni '50 e paraggi, testimoni e ….officianti…
PARTE PRIMA DI CINQUE

Non è, e non vuole essere, un racconto anche se ne contiene un buon numero. E' un viaggio nella memoria di un bambino anni '50 alla ricerca di giochi dimenticati e di quella magica atmosfera che ha contribuito a farne sopravvivere la memoria fino ad oggi, anche con l'auspicio che susciti il contributo e la memoria di altri bambini/e di quel periodo.

C'erano dei luoghi nella nostra infanzia, quella dell'immediato dopo guerra, dedicati al gioco… al gioco libero… creativo…. Spazi Liberi. Giocattoli e giochi costruiti direttamente da noi bambini… per strada… nella natura. Giochi… trasmessi di generazione in generazione... imparati dall'altro…modificati e adattati ai nuovi ambienti e alle nuove abitudini. Era il piacere di fare parte di un gruppo, di mettersi alla prova, di riuscire a superare le difficoltà quello della nostra generazione.
Generazione Fortunata… dopo anni di privazioni, sofferenze, miserie amplificate dal ventennio fascista che condusse i nostri padri e i nostri nonni al disastro della guerra… Fortunata perché nasceva in un clima di euforica ricostruzione sospinta dalla fondata speranza, quasi una certezza, di un futuro migliore potendo contare su un fattore del tutto nuovo rispetto al passato: La LIBERTA'.

Libertà di cui le successive generazioni non hanno più potuto fruire realmente, perché definitivamente defraudate in nome del progresso da una società genuflessa al Dio della motorizzazione di massa che ha occupato ogni spazio urbano, invaso il nostro ambiente e contaminato irreversibilmente le abitudini. Libertà la nostra goduta ‘inconsapevolmente' a pieni polmoni… come aria che si respira… non una conquista… per noi che ci siamo nati dentro. Libertà degli atti quotidiani i più semplici… senza la presenza assillante degli adulti… poche raccomandazioni… liberi sempre dell'ultima scelta. Era uno sciame il nostro che, iniziando già dal pomeriggio durante l'anno scolastico, in piena libertà si riversava “fuori”… girava, saliva, volteggiava, gridava, rideva ogni dove… pochi limiti di tempo e di spazio. L'assenza degli adulti evidente… i padri fuori a lavorare... le madri in casa indaffarate a “tenere” il fuoco… a fare scorta di acqua… a tutti quei lavori domestici lunghi e faticosi, soppiantati poi dall'avvento degli elettrodomestici. E noi in gruppi più o meno piccoli ‘liberi' fino all'ora limite… quella del rientro a casa… l'ora di cena… padroni assoluti dei nostri spazi, dei nostri angoli, “liberi” di vivere, sognare, creare, trasformare i nostri spazi in … “Santuari del Gioco” rispettati da noi bambini e dagli adulti.

C'era negli anni 50 un quadrilatero, nello Scioa (“noi di qua”) (assimilabile a qualsiasi quartiere come a qualsiasi piccolo borgo)…. noi allora bambini e ragazzi…, il cui valore “da tutelare” poteva essere paragonabile a quello di “patrimonio dell'umanità” … Quadrilatero nel concreto costituito da Piazza Santa Caterina – Sotto il Ponte – Pian delle Fornaci – Scacciapuce – entro il quale ci sentivamo chiamati a fare quel lavoro che ogni bambino ha il “diritto” di fare: il GIOCO. Che poi i confini non fossero rigidi andava anche bene, ma era in questi luoghi da noi considerati “sacri al gioco” che potevamo essere sempre trovati, recuperati, cercati da genitori e familiari …sempre sotto controllo diretto della rete tessuta di buon vicinato, anche se condotto con molto tatto e molta discrezione.

Il Gioco delle Cappe (palline di terracotta colorate) – Sotto il Ponte –
E' lì “Sotto il Ponte”, proprio sotto quell'arco, che unisce casa Migliorati con una terrazza e un giardino pensile alla sottostante valle di Gargozzi, che ci ritroviamo se piove, se tira vento di tramontana… qualche volta in estate quando il sole alto nel cielo ci cuocerebbe anche il cervello. L'orario è sempre variabile… diciamo dopo pranzo e da lì in poi per tutto il pomeriggio. Siamo i soliti… di età variabile… tutti dello “Scioa” o quasi… per giocarci una partita a “Cappe”… quelle palline di terracotta colorate che vende sia il Giorgi sia Pietro di' Menichetti. Quando vai in bottega da loro non ti puoi sbagliare le tengono dentro due enormi vasi di vetro, le puoi contare tutte… ti piacerebbe scegliere le più belle per avere un “Boro” di peso, arma vincente, ma ti devi accontentare di quelle che a sorte ti toccano. L'unico che non gliene importa un baffo delle palline del Giorgi o di Pietro è Berto di' Ferlin… lui non le compra mai, siamo noi a comprarle e lui ce le vince quasi sempre, quasi tutte. E noi imperterriti continuiamo il nostro gioco… noi, e cioè Orlando di' Gnoppa, Giancarlo Turini, Franco Geri, Piero Biagioni, Io Giancarlino di Eda, Gianfranco Matteucci, Paolo di Baggiacco, Giuseppe di' Gnoppa, qualcun altro che non ricordo e chi ogni giorno si aggrega come Alberto il Cingottini, Beppe di' Baglioni, Alberto Cheti… qualche volta anche se indesiderato “Cione” un po più grandicello di noi. Si gioca a Cappe, ognuno posta la sua (un castelletto di 4 palline come usavano già gli antichi Romani) proprio al centro del Ponte e tira per primo chi riesce con il proprio Boro ad avvicinarsi di più alla linea di partenza, all'altezza dell'arco esterno.

Non sempre Berto si piazza per primo, ma quando arriva il suo turno a tirare difficilmente fa cilecca… recupera sempre la sua e vince qualche cappa, a me soprattutto che ho ben poca mira. Quando il tiro è troppo ravvicinato allora il tiro deve essere fatto stando in piedi ben eretti e lasciando andare il Boro dopo aver preso la mira tenendolo all'altezza del naso. Berto non sbaglia mai un colpo. Al secondo giro qualche volta si raddoppia la posta… ognuno piazza due Cappe… si fa prima a perdere. Dopo pochi giri mi ritrovo con solo qualche pallina inutilizzabile, senza un soldo in tasca e con tanta rabbia in corpo che scarico frantumando le residue palline contro il muro del Migliorati e andandomene a casa piangendo. Quando poi entra in gioco Cione allora sono guai in vista per tutti, con quelle gambe lunghe e quei bracci arriva fin sopra le Cappe e le prende sempre. “Sei un leggino” grida Berto indispettito contro Cione, e si ritira dal Gioco seguito dagli altri.

E mentre giochiamo, da ‘Sotto il Ponte' transita tutta quella gente, uomini e donne, che da Calenzano viene in città passando per lo stradello di Casa Giusti, su per le scalette e davanti a Frillo per sbucare in Via Pietro Bagnoli. La noti appena, quando rasentando il muro passa oltre… spesso non prima di aver atteso che tu abbia fatto il tuo tiro per non infastidire…, a volte te ne accorgi perché chi ti conosce saluta, domanda di babbo e mamma. E' un passaggio mai invadente, …rispettoso dei nostri spazi e dei nostri giochi. Rispetto di cui nel momento non tieni conto. Solo col passare degli anni, delle abitudini. degli spazi, … adulto… ne fai memoria.

Il Giro d'Italia coi tappini – Sotto il Ponte … da Frillo –
Se poi da “Sotto il Ponte” in senso stretto prosegui la corsa ti ritrovi giusto davanti a casa di Frillo, forse 20 metri appena, e all'altro lato il fienile che nel pomeriggio dona ombra a quella piccola conca a mezza strada dalla casa Morelli, dietro al podere del Giusti. In quello slargo, perché di questo si tratta, composto di sabbia tufacea depositata dalle piogge nel punto più basso, è un po' come giocare al mare sulla sabbia (e chi ci era mai stato! In quei primi anni 50!). Si aspetta sempre che Frillo esca con il Bove e il carro dalla stalla per essere sicuri di avere il campo libero. Inizio dei giochi, o meglio inizio delle costruzioni… per il nostro “Giro d'Italia” , corsa a tappe che ogni giorno richiede percorso diverso da costruire nuovamente. Per mezzo di strumenti semplici come le mani si modella tutto il tracciato, piccole salite… qualche galleria (un barattolo vuoto e sfondato), e tanta fantasia a volontà. Quasi una corsa contro il tempo come quando oggi si preparano i campi di gara per una olimpiade o per un campionato del mondo… e noi prepariamo il nostro “Giro d'Italia”. Ai nastri di partenza Coppi e Bartali, ma anche Luison Bobet, Koblet, Nencini… le migliori biciclette del momento targate… o meglio “stappate” Coca Cola, Birra Peroni. Generosa… che diventano le casacche che indossano i corridori in gara, alloggiati alla bene meglio nella parte interna del Tappino. Il dito medio rilasciato dopo contrasto con il proprio pollice è un “biscotto”. A forza di biscotti impressi al proprio corridore… tra uscite di strada, sorpassi, squalifiche, rimonte, si giunge fino al traguardo... per un vincitore di Tappa e per assegnare la Maglia Rosa costituita quasi sempre da un tappo speciale, il più bello e il più grande, un tappo tipo quello dei primi omogeneizzati della Nipiol Buitoni, o giù di lì. Non mi ricordo di aver mai vinto una tappa, ma di aver tifato spesso per Koblet… o comunque questo è il nome rimastomi impresso nella mente fino ad oggi, per un gioco incruento dove la mancata vincita non escludeva mai dal gioco successivo, come invece avveniva per il gioco a “cappe” quando avevi esaurito le tue palline di terracotta.

davanti a Casa Morelli …sempre Sotto il Ponte –
Tra la casa di Paolino Morelli e il podere Giusti c'è sempre stato e c'è ancora un piccolo rettangolo libero, non recintato che mette in comunicazione le due case. Ci si giunge sempre partendo da Frillo, un'occhiata in alto verso la Casa delle Bricciche attratti soprattutto dai miagolii insistiti e ripetuti delle decine di gatti che lì abitano, penzolano dalle finestre, si affacciano alle inferriate, dormono sui davanzali. Sono dappertutto. E' uno spettacolo che ci attira irrimediabilmente ogni volta, come fosse la prima… quasi il timore che qualcuno ci caschi in testa… seguito spesso dalle imprecazioni di una delle sorelle che immancabilmente ci urla contro “Che c'avete da guardare??”. E noi via di corsa! a volte rasentando il muro, a volte quando siamo in gruppo rischiando di finire nella fossa dalla parte opposta. Ce ne accorgiamo subito, ...le gambe ignude ...a contatto con l'ortica che durante quasi tutto l'anno invade tutta la fossa, quasi fosse casa sua ...pronta a lasciare generosa i segni. La rammento tuttora quella fossa, e all'altezza di Casa Morelli il callare, a raccogliere le acque fluviali, presidiato nell'angolo da un sambuco, ...maestoso, anche generoso … a donare le sue “canne” che fumiamo imperterriti, come fossero sigari o sigarette. Che giramenti di testa!! E Davanti a Casa Morelli ci ritroviamo, senza un vero programma preciso, senza un gioco fisso… (non ne ricordo nessuno in particolare) quasi sempre perché attratti anche se inconsapevolmente dalla posizione. Siamo spesso ai primi di Marzo, in quell'angolo protetto dal muro di cinta del Bastardaio, in una conca lontana dai venti di tramontana, ma anche da quelli di maestrale… temperatura ideale, i primi caldi a ristorare dai brividi di freddo, noi sempre vestiti a gambe ignude. C'è anche un ulivo non giovane, ma piccolo di fusto con una grande forcella sulla quale è facile issarsi e sedersi, proprio nell'angolo a confine con la carciofaia di' Dainelli. Faccio le corse per arrivare primo, mi ci isso mentre chiacchieriamo, e resto li ad ammirare gli altri intenti in qualche gioco. Poi basta un'idea, l'ora della merenda… o il Giusti a farci scendere da quell'Ulivo e da nostri sogni. Si parte per altra destinazione, per altro programma … che ci porti all'ora di cena.

FINE PRIMA PARTE

San Miniato, il “ponte” di Palazzo Migliorati su vicolo Borghizzi
Foto di Francesco Fiumalbi

San Miniato, vicolo Borghizzi
Foto di Francesco Fiumalbi


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