di
Giuseppe Chelli
LA
VERGINE RAPITA
Soltanto a una “testa calda” com’era il
canonico Francesco Maria Galli Angelini, poteva venire in mente di rapire alle
monache clarisse di San Paolo la statua della Madonna Addolorata!
La statua l’aveva regalata alla
Compagnia della Madonna dei Sette Dolori, fondata da prete Matteucci in
Cattedrale nel 1683, la signora Antonia Visdomini Cortigiani, madre del vescovo
Carlo. Quando, agl’inizi del ‘700 il vescovo Poggi fondò la Compagnia della
Misericordia con sede in Duomo, la statua, per suo volere, fu trasferita nel
convento di Santa Chiara. Lì rimase anche dopo la fusione delle due compagnie, nonostante
che la Misericordia ne fosse legittimamente proprietaria.
Nella chiesa di San Paolo, invece, la
statua ci giunse in compagnia delle monache di Santa Chiara quando vi furono
trasferite nel 1890. Erano tempi quelli in cui chi sedeva in alto si divertiva
a sopprimere conventi, ordini religiosi, congregazioni, salvo poi derogare
dalle proprie decisioni se fossero ricorsi interessi di famiglia o
intercessioni di matrone facoltose. Questa sorte, toccò anche ai due conventi
cittadini: uno soppresso, l’altro graziato!
Al canonico Galli non andava proprio
giù che il simulacro dell’Addolorata non ricevesse la devozione dei fedeli
nella chiesa della Misericordia: per l’Arciconfraternita lui vedeva e
stravedeva! Aveva percorso tutte le cariche all’interno dell’Associazione: da
semplice fratello era arrivato a Priore e poi a Provveditore, una specie di
amministratore delegato, carica adatta a lui per il suo energico carattere di
factotum! Pensate un po’: una trentina d’anni dopo il rapimento, arrivò persino a proporre ai Tedeschi, nel luglio del ‘44,
di minare la sua casa invece del palazzo Roffia che gli stava di fronte, dove
era la sede dell’Arciconfraternita.
Struffiava, il canonico, con quelli del
Consiglio che non si decidevano mai a richiedere la statua alle Clarisse e sopportava
a malincuore l’inerzia dei suo confratelli: ma un posto decoroso dove sistemare
la Vergine Addolorata la Misericordia non l’aveva davvero!
La morte di Benedetto Borsarelli,
capitò a fagiolo!
La mattina del 5 luglio 1914, per chi
non crede ai miracoli, il postino recapitò a Palazzo Roffia una busta
abbrunita, di quelle un tempo usate per tutto l’anno di lutto dalle vedove,
quando le vedove vestivano di nero da capo a piedi. Nella busta c’era una
lettera, anch’essa abbrunita torno torno, con la quale la signora Vincenzina
Risi ved. Borsarelli partecipava di voler adempiere alle volontà del defunto
marito, Conservatore dell’Arciconfraternita, versando la somma di lire cento da
impiegare esclusivamente per la chiesa della Misericordia.
Vuoi vedere il Canonico Galli:
dall’oggi al domani radunò il Magistrato e fece decidere all’unanimità che le
100 lire piovute dal cielo dovevano essere spese, testuali parole del verbale, per l’esecuzione di un’urna nella Chiesa
onde collocarvi la Venerata Immagine di Maria SS. Addolorata, di nostra
proprietà ora custodita dalle suore di San Paolo di questa Città!
Non mise tempo in mezzo: a settembre,
dato che i soldi non bastavano per costruire una teca come aveva stabilito il
Magistrato, aveva bell’e fatto fare una nicchia nella parete destra della
chiesa della SS. Trinità con tanto di stemmi gentilizi dei vescovi Cortigiani e
Pierazzi. A questo punto, il Magistrato non aveva più scuse, doveva far valere
presso le monache il diritto di proprietà
sul prodigioso Simulacro di Maria SS Addolorata.
La richiesta venne ufficializzata in
quattro e quattr’otto all’ora di cena, la sera del 25 settembre 1914. Bisogna
ora sapere che tutti gli anni, nella terza domenica di settembre, si celebrava
la festa della Madonna Addolorata e che in quella occasione la statua era trasferita
in duomo e poi riportata donde era partita, nella chiesa delle suore di San
Paolo, a festa finita. L’aveva stabilito il vescovo Poggi, assegnando l’incombenza
della traslazione ai fratelli della Misericordia.
Il canonico Galli aveva architettato un
piano per riprendersi la Madonna, ma sapeva che non sarebbe stata una
passeggiata. Conosceva bene i suoi polli: volevano mettere bocca in tutte le
faccende di chiesa; e la bocca, i canonici, l’avevano messa sempre, anche quando
si era dovuto decidere dove collocare la statua dopo la chiusura del convento
di Santa Chiara.
Per la sua duplice veste di Camarlengo del Capitolo e Provveditore
della Misericordia, il canonico Galli riteneva che il suo piano fosse troppo rischioso
per lui: doveva accollarselo il Magistrato. Lasciamo che sia il Canonico stesso
a raccontare:
“La
mattina del 28 settembre il Sacrista don Omero Guidotti in rappresentanza del
Capitolo partì in processione dalla Cattedrale per riportare l’immagine
dell’Addolorata al monastero di San Paolo da dove era stata presa una settimana
prima per celebrare l’annuale festa dell’Addolorata, con ottava.
L’immagine
era portata a mano da quattro fratelli dell’Arciconfraternita, ed accompagnata
da uno stuolo di fedeli.
Quando
giunsero davanti la Chiesa della SS. Trinità in via Umberto I, il Capo di
Guardia, quello che comanda la processione, batté le mani, fermò la processione,
tirò fuori di tasca un foglio e ad alta voce lesse: per ordine del Venerabile
Magistrato la Madonna sia depositata nella nostra chiesa. Don Guidotti liperlì
non si accorse di nulla. Quando si rese conto che la Statua veniva introdotta
in chiesa, tornò sui suoi passi e sull’uscio di chiesa trovò il Presidente
Antonio Ceccherelli, me, Provveditore e tutti i Membri del Magistrato vestiti
di cappa a ricevere la Venerata Immagine.”
In seguito, il Canonico ricordava l’episodio
con goduria, nasicando per via del diabete che curava col pane di segale, come
un capolavoro di furbizia: un vero scherzo da prete, come lui stesso celiava
con la sua nota ironia, ma tralasciando di dire cosa successe dopo!
Alle insistenze di Don Guidotti per
sapere se la cosa era stata permessa dal Capitolo, il Presidente Ceccherelli,
senza aprire bocca, consegnò una lettera da recapitare al Capitolo, ove erano trascritte
le decisioni del Magistrato, a proposito della statua. Apriti cielo, appena si seppe
che cosa c’era nella lettera! Si scatenò un putiferio tale che il canonico Galli
credette bene dimettersi da Provveditore per far vista che lui non c’entrava
nulla, e che anzi era contrario: salvo poi riprendersi la carica a bocce ferme.
Il Capitolo dei Canonici pretendeva il
rispetto del riservato dominio esercitato da sempre sulla Statua; le Clarisse,
per bocca della badessa suor Maria Pia Cipriani, difendevano l’inviolabile
privilegio della custodia della Sacra Immagine, affidata loro dal vescovo
Poggi; il vescovo Carlo Falcini ordinava che lo stesso simulacro fosse con ogni
cura e premura restituito alla sua “primiera custodia” presso le monache
clarisse di San Paolo.
Verrebbe da dire che il Magistrato non
se ne fece né qua né là: la statua apparteneva alla Misericordia! Gliela aveva assegnata
il Vescovo Pierazzi e la consegna l’aveva fatta il canonico Alessandro
Franchini, per conto del Capitolo, nel dicembre 1791, con tanto di verbale
d’inventario.
A dar man forte agli uomini del
Magistrato, il canonico Galli, fedele al suo ruolo di burattinaio, credette
bene di coinvolgere nella faccenda l’intera fratellanza e tutti i Sanminiatesi,
facendo arrivare sul tavolo della Misericordia spontanee dichiarazioni giurate in Pretura e all’Ufficio del
Registro che, a memoria di decine di cittadini, la Sacra Immagine era sempre
appartenuta alla Misericordia. Mise su una specie di sommossa popolare che avrebbe
dovuto sostenere le ragioni del Magistrato e dare torto alle gerarchie religiose,
monache comprese, convinto che in quattro e quatr’otto tutto si sarebbe
sistemato.
Questa volta aveva fatto male i conti:
non aveva previsto la reazione del vescovo Falcini. Questi, alle prime
avvisaglie di sommossa non ci pensò due volte, butto giù un Decreto,
ingiungendo di riportare la statua a San Paolo, entro dieci giorni, dopo di che
l’Oratorio della Misericordia sarebbe, ipso facto, interdetto “cosicché non sia lecito ai sacerdoti di
celebrarvi i Sacri Misteri e qualsiasi funzione religiosa ed ai fedeli di
assistervi.”
Era troppo anche per chi aveva promesso
al vescovo obbedienza e rispetto nel giorno della consacrazione sacerdotale. Il
canonico Galli non voleva venir meno alla sua promessa, ma l’eventuale
interdizione dell’Oratorio, avrebbe reso inutile il rapimento della Vergine! Il canonico non ci dormì una notte. All’alba
però aveva già escogitato il modo di tenersi la Madonna senza disubbidire al vescovo.
Non era proprio sicuro di farla franca, ma non vedeva altra scappatoia. Doveva
tentare, era l’ultima carta da giocare. Azzardò, come sempre conoscendo i suoi
polli!
Convincere il Magistrato a sottoporre l’Interdetto vescovile e tutti gli
allegati documenti alla valutazione del Tribunale della Sacra Romana Rota, fu
questione di un amine!
Non si è saputo, e il Canonico Galli
non ha mai fiatato sull’argomento, se il ricorso alla Sacra Rota fosse
preparato per far sul serio o per celia, conoscendo il tipo. Per certo lui
sapeva che l’esposto prima di essere spedito doveva ricevere a una specie di
imprimatur del vescovo, altrimenti il Vaticano l’avrebbe rispedito al mittente.
Era quello che voleva: far sapere al vescovo, senza dirglielo, che il suo Interdetto era connotato da vizi di
legalità, in quanto si presentava come sentenza giudicata in assenza di un
dibattimento procedurale.
Il plico non partì per Roma. Il 27
marzo 1915, nell’episcopio, un incontro tra il vescovo Falcini e il presidente
Ceccherelli si concluse con una stretta di mano. La Vergine Rapita rimase dove ancora si trova!
Dimenticavo. Ci sono alcuni che dicono
che la faccenda non si sia chiusa così sbrigativamente a tarallucci e vino. Ci
vollero alcuni giorni prima di trovare un accordo. Può darsi che costoro
abbiano ragione. Per togliersi ogni dubbio basta verificare se nell’Archivio
della Misericordia esista ancora il fascicolo n. 30, foglio 13, con su scritto
“Vertenza Simulacro Maria SS. Decreto Vescovile”.
Io l’ho fatto.
in Piazza del
Seminario a San Miniato
Foto di Filippo Del
Campana Guazzesi – Fine XIX secolo
Immagine tratta
da Il silenzio del negativo. Filippo Del Campana Guazzesi fotografo in
San Miniato, a cura di G. Marcenaro, CRSM, Sagep Editrice, Genova, 1981, p.
121, n. 113.
Utilizzo ai sensi art. 70 comma 1-bis della
Utilizzo ai sensi art. 70 comma 1-bis della
Legge 22 aprile 1941, n.
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