Quella nevicata del '73
Quando
ci eravamo trasferiti al Molino d'Egola, in quel piccolo podere
appena fuori paese, conosciuto come podere del Monti, minimi erano i
servizi a rendere abitabile quella casa, rimasta vuota per anni. Solo
un grande camino in Cucina. Appena accennato l'impianto della luce a
rendere percorribile, di notte, i corridoi centrali. Il bagno, come
si intende oggi, inesistente. Solo un piccolo gabinetto fuori, sopra
un terrazzino, ingentilito da un Water al posto della 'buca'. E in
cucina, sopra l'acquaio, quell'unica cannella dell'acqua; acqua
corrente ma solo fredda. Per l'acqua calda, in quel periodo iniziale
ci accontentiamo del paiolo sul fuoco, come già facevano i miei
genitori e i miei nonni.
Ma niente lasciava presagire quello che sarebbe avvenuto quella notte di fine novembre. Non ero solito uscire la sera per andare a veglia. Da giovanotto, in San Miniato, mi incontravo con gli amici al Circolino dello Scioa per passare un'ora a bischereggiare del più e del meno, mentre si faceva una partita a biliardino. Ma dopo sposato e dopo aver anche cambiato paese, avevo perduto amici ed abitudini, anche quella di andare a veglia. Mi ritrovo così ogni sera, appena cenato, a giocare a 'ventuno' col mi' suocero, accanto al fuoco acceso, dopo aver sparecchiato. Un caffè con la moka. Lui il fiasco del vino in tavola, sempre di quello nero, pronto ad ogni scozzo a mescerne appena un dito. Quel tanto sufficiente a fargli sentire appena il sapore. Io, solo un assaggio, per tenergli compagnia. Partita incruenta la nostra, fatta per il piacere del gioco, senza nessun vero vincitore, che termina ben prima che quel vino centellinato faccia effetto apparente, anche se il fiasco alla fine viene riposto vuoto in cantina. Ed è così quasi tutte le sere, come quel venerdì, uno dei primi, se ben ricordo, che conclude la settimana lavorativa, mentre appena poche settimane prima, col vecchio contratto di lavoro, finiva a mezzogiorno del sabato. Piacere quindi, che è consapevolezza del "giorno dopo" completamente libero, e senza bisogno di rimettere la sveglia, che ti accompagna dentro il sonno con estrema leggerezza.
Sonno profondo abbracciato a mia moglie sotto uno spesso coltrone, fino alla mattina, quando la sveglia è quel pettirosso, lo stesso, che viene a suonarla, così come quasi ogni giorno. Non ho mai capito da dove passi. Ma in una camera a tetto, piena di spifferi, dove, dalle fessure tra correnti e mezzane si intravede anche un pezzetto di cielo, qualche posto dove passare, deve pur trovarlo! L'impressione, appena sveglio, col pettirosso appollaiato sul bandone di fondo del letto, è che sia molto tardi, il sole già alto nel cielo. Senza persiane e senza avvolgibili, a scuri accostati, in quella camera penetrano comunque lame di luce, di una luce intensa.
Nell'aprire quella finestra, la luce, moltiplicata da una coltre bianca che ricopre tutto con un manto uniforme, ci abbaglia letteralmente. È nevicato. A perdita d'occhio tutto è nascosto dalla neve. Lo stradello di casa che conduce alla via comunale, che sulla curva si fonde col ciglione sovrastante. Stradello impercorribile con la '500', neppure se ci fossero le catene. Pressoché isolati decidiamo di avventurarci a piedi, giusto per recuperare il pane e per la spesa dello stretto necessario. Un paio di stivali di quelli di gomma, che il mi' nonno chiamava 'chantillì', ma che non ho idea di come si possa scrivere, mezzo unico per percorrere quel chilometro di strada fino a Ponte a Egola. Senza guanti, armati di buona volontà e anche di entusiasmo ci avviamo, il sole compagno di viaggio. E per strada, a piedi, giovani e bambini a giocare, mamme a sorvegliare evidentemente divertite, gli uomini a spalare per liberare le porte di ingresso.
Davanti
al Mulino è Alvaro con il fratello Adamo a liberare il piazzale
davanti al magazzino, che salutano: primi e unici amici del momento.
Lungo la via, dentro il paese, pochi in casa, i più per strada, con
la scusa della neve, a chiacchiera e a godere del tepore inaspettato
di quel sole limpido di fine novembre. Quasi deserta la via Vecchia
del Mulino coperta da una compatta coltre a rendere faticoso il
procedere fino a Ponte a Egola. E da lì direttamente alla Coop,
quella accanto alla scuola, deserta la via del mercato retrostante.
Tra pane, frutta e verdura, un po' di pasta, la stagnina dell'olio e
appena un po' di carne, quattro sono le borse riempite, di quelle di
stoffa, i manici di ferro rivestito in plastica. Clima quasi di festa
a bottega e in piazza, per un popolo più divertito dall'imprevisto
che infastidito dai disagi, che ti fa dimenticare questi ultimi
mentre scambi battute, opinioni, previsioni, saluti, auguri e mentre
il tempo scorre. Scorre veloce ogni qualvolta è tempo che dona
piacere e ti accorgi che è ben oltre mezzogiorno. Stesso percorso,
ma quanta fatica, sembra quasi in salita!
Le
mani intorpidite dal freddo, segnate dal peso delle borse, i piedi in
via di letargo dentro a quegli stivali sempre più freddi, senza fine
la via vecchia del Mulino. Pochi dentro il paese, quasi tutti in
casa, camini e stufe accese, l'acre odore di legna bruciata nell'aria
e bianche colonne di fumo a salire veloci nell'immobile aria
risparmiata dal vento. L'aria che comincia a raffreddarsi del sole
timido di autunno, già calante alle prime ora del pomeriggio. In
casa, Vincenzo, il mi' suocero, ha sistemato due ciocchi sul
focolare, di quelli che si serbano per le occasioni, tipo Natale o
Ultimo dell'anno. E sul fuoco tra la brace salsicce ad arrostire. Di
primo uno spaghetto con 'salsa' sul coniglio. Pranzo che si consuma
veloce, per la voglia di andare a scoprire nuovi aspetti, colori,
luci sia di casa, sia dei nostri campi, nel bosco, fino in fondo al
podere e in vetta alla collina, anche se il piacere della tavola ci
farebbe indugiare accanto al fuoco. Armati di macchina fotografica,
una modesta reflex - una Zenith russa - con indosso gli stessi
'chantilli', ma riscaldati da un pranzo a bollore, ce ne andiamo
senza una meta precisa in giro per il podere; io, Graziella e
Vincenzo. Una sosta ogni tanto a scattare una foto, nel silenzio più
assoluto, a guardarsi attorno, addentrandoci fin dentro il bosco
innaturalmente luminoso. Spaurite lepri ben visibili anche da
lontano.
Montebicchieri
e Stibbio che svettano bianche in primo piano in controluce al sole
che volge al tramonto. Bianco tutto il blocco del Serra. È un
periplo quello fatto, percorrendo il lato esterno di tutto il podere,
lungo il rio di Paesante, fino all'altezza di casa "Chini"
(così mi pare si chiamasse quella casa in fondo alla vallata,
disabitata da anni), per risalire verso la via di Paesante, e per
rientrare sulla vetta a confine con l'uliveta del Giusti. Poi a
ridiscendere sul ciglione a confine con l'altra proprietà Giusti,
che sta diventando vigna. Forse appena poco più di un'ora il
tragitto a raccogliere foto e pungitopo, qualche orchidea
miracolosamente risparmiata dalla neve, e qualche legno secco buono
per il camino. Poi tutti e tre in casa, attorno al fuoco, a
riattizzarlo, la moka sul gas per un caffè e un gotto di vino. Lì
seduto sul canto del fuoco, la reflex in mano quasi a volerla
riscaldare, lentamente riavvolgo tutto il rullino, apro lo sportello
e lo estraggo. Pronto per lo sviluppo e per la stampa delle foto, lo
sigillo con la scritta, a promemoria, "Nevicata del 29 novembre
1973".
Foto
collezione Giancarlo Pertici
Foto
collezione Giancarlo Pertici
Foto
collezione Giancarlo Pertici
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