di Giancarlo Pertici
Se "Un Diamante è per sempre"... per il resto, attenti alla data di scadenza!
Se "Un Diamante è per sempre"... per il resto, attenti alla data di scadenza!
Ovvero
la storia semplice di Lupinelli Maria.
È
ogni martedì mattina, presto, che Maria si prepara per andare al
mercato. Via il grembiule, via gli zoccoli, per il vestito quello
pulito e per le scarpe, anche se vecchie, quelle che le consentono di
camminare meglio, su e giù, tra salite e discese in quel tratto di
strada, in parte inghiaiata, tra casa sua, nei pressi di Scacciapuce,
e San Miniato. Ora che ha superato i 70 anni, per essere al mercato
in Piazza dei Polli prima delle 8, deve partire per forza presto,
frenata come è da quella lussazione alle anche che l'accompagna fin
da quando era bambina. Difficile a quei tempi accorgersi del male, e
ancor più difficile porvi rimedio per la gente di fine '800. E
Maria, l'infanzia, l'ha passata quasi tutta in compagnia della mamma
che le ha insegnato tutto quello che c'è da fare in casa, e come
stare dietro a polli e coniglioli. Ha imparato anche a leggere e a
scrivere andando a scuola fino in terza, come ha imparato a vivere da
sola dopo la fine dei genitori.
Ed ogni martedì è l'occasione per scendere in San Miniato per la spesa della settimana. La strada sempre la stessa, in discesa all'andata, passando per il viottolino dietro la Cappellina, per una prima fermata per quell'indulgenza di 40 giorni, impressa in una lapide affissa al muro... "concessa dall.Ill.mo e rev.mo Mons. Andrea Luigi Cattani. L'anno MDCCXXX", e che Maria non sa quale sia, ma che rilegge ogni qualvolta, prima di recitare le "Tre Ave Maria" richieste.
Qualche volta, se chiamata, una fermata anche da Marianna, in quella villetta che ora è diventata sua, proprio in mezzo al Pian delle Fornaci, per un saluto appena. All'andata Maria ha sempre fretta. Poi, la parte più facile. Il tratto in falso piano, o quasi, fino ai piedi di Vicolo Borghizi (per tutti 'Sotto il Ponte' allora come oggi) a ridosso di quelle scarelle consunte, sulle quali si siede, proprio all'ombra del melograno di Frillo, per riprendere fiato prima di affrontare quel tratto in salita che la separa dalla via con le lastre. Immancabile lo sguardo a vagare tra lo stradello percorso e il podere del Martelli, contadino ora il Giusti, quando fino ad appena avanti guerra ci stava Lillo e sua sorella Nunziatina, morta proprio laggiù in Pian delle Fornaci.
Ogni
martedì mattina era una fermata, caffè con pane abbrustolito. Al
ritorno, a portare via, quando patate, quando cipolle, sempre un filo
di pane fatto da Nunziatina. È quasi sempre con gli occhi lucidi che
si rialza, e siamo sul finire degli anni '50, per aggrapparsi a quel
canapo messo lì come fosse un corrimano, per superare quei pochi
scalini scivolosi e consunti dal tempo e dal calpestio, per arrivare
sull'aia di Frillo. A quell'ora, già nei campi gli uomini e al
mercato le donne.
Poi,
appoggiandosi al muro del Migliorati sulla destra, l'ultimo tratto di
salita, a passare davanti al Dainelli e 'Sotto il Ponte' sbucando
sulla via davanti al Giorgi. Di lato la bottega di commestibili del
Menichetti; Pietro, lì in attesa, seduto sulla panca a bordo strada,
a fermare clienti o passanti, per due chiacchiere e , chissà mai!
anche per un affare. – Vieni qua Maria! riposati un po' ora! Ti
posso dare qualcosa da bere? Di che hai bisogno? Mi paghi anche dopo!
– È sempre così con tutti, pur di vendere. E Maria non disdegna
mai una breve sosta, prima di riprendere il cammino fino a casa
nostra. Sempre gentile mamma con lei! Forse anche per quella
lussazione alle anche, di cui, piccolissima, aveva sofferto mia
sorella, e di cui mamma si era accorta preventivamente proprio in
virtù di quella di cui era affetta Maria, zia di babbo. Un grazie
postumo, ripetuto in ogni momento, quasi un debito di riconoscenza. –
Vieni zia Maria – Sempre un caffè. Ma anche altro, secondo le
possibilità del momento. Anche noi bambini abituati al massimo
rispetto per Zia Maria, come la chiamavamo, anche se nell'intimo di
casa era 'la zoppa', iniziando da babbo; ma solo quale appellativo
affettuoso, non certo irrispettoso.
Quando
la Zoppa si trasferisce appena dopo i Cappuccini, in due stanze sul
ciglione giusto dopo il bivio per San Maiano, proprio davanti a
quella Casina Rossa con gli smerli che quasi sembra un castello...
Quando, appunto, la Zoppa si trasferisce, da Scacciapuce, da quella
casetta incassata nel ciglione a confino con quella di Duilio di
Boldrino, la vita le muta in peggio, per la maggior lontananza da San
Miniato.
Casa
'risistemata' di recente, meno umida, a pieno sole, con tanti vicini
disposti a dare una mano, come si conviene sul finire di quegli anni
'50, tutta a piano terra, con il gabinetto dentro casa, ma "troppo
lontano per le mie povere gambe", come va a lamentarsi ogni
qualvolta incontra suo nipote Manlio, l'unico che, vicino di casa per
modo di dire, è abbastanza vicino anche per sensibilità per poterla
aiutare. Noi bambini siamo abituati, non solo a rispettarla, come lo
è in casa nostra, ma anche ad andarle incontro, sopratutto al
ritorno dal mercato, per aiutarla a portare fino a casa le borse
della spesa. Sempre più di una per il fabbisogno di una intera
settimana, per lei che ha difficoltà a camminare, per via della età
e di quella lussazione, sopratutto in salita e in discesa. E la via
per Scacciapuce prima e per i Cappuccini poi, è tutta salite e
discese, sia all'andata sia al ritorno.
Siamo
oramai ai primi anni '60 e l'età comincia a chiedere conto a zia
Maria, che in inverno, anche per il freddo, non scende più il
martedì al mercato. L'aiutano i vicini di casa, che quasi tutti i
giorni le portano un po' di spesa da San Miniato o da Calenzano.
Periodo che ricordo solo a sprazzi e legato sopratutto alla 500
giardiniera con la quale, in compagnia di babbo, in quell'estate del
'63 che ben ricordo, facciamo la spola tra casa e i Cappuccini quasi
ogni sera. Zia Maria ha sempre più difficoltà a camminare. Sono già
almeno due anni che non viene in San Miniato. Quelle poche volte che
viene per andare dal dottore o a pranzo da noi alla domenica, è
babbo che va a prenderla con la 500. Siamo i soli parenti rimasti,
oltre all'altra nipote, zia Norma, che abita a Le Colline, ma senza
macchina. Ben mi ricordo quell'estate del '63, io a studiare per il
cambio di scuola dopo essere uscito di Seminario, e le visite a zia
Maria che col tempo diventano quotidiane, in quell'agglomerato di
case appena dietro ai 'Cappuccini', dal quale i giovani sono scappati
tutti via per un lavoro in paese. Due sole le famiglie rimaste.
Vecchi e senza macchina. La casa di zia Maria ben impressa nei
ricordi. Quel piccolo corridoio a dividere, a destra la camera e a
sinistra la cucina. Il bagno non ricordo bene dove! E in cucina una
bella vetrina a giorno. Come dimenticarla! Farà parte dell'arredo
della mia prima casa da sposato! E di lato la cassapanca con dentro
il corredo, gelosamente messo insieme e conservato. In un angolo una
lunga fila di fiaschi. – 'Vino nero! In caso di bisogno!' – così
dice zia Maria che beve solo il nostro che le portiamo ogni sera,
mentre tiene il suo gelosamente per un'occasione, per un bisogno, non
si sa mai.
E
quindi tutte le sere, al ritorno da lavoro di babbo, anche se tardi,
a volte anche dopo le otto, gli portiamo una sporta con dentro il
mangiare già fatto. Mamma calcola che basti sia per il pranzo sia
per la cena. Che non soffra la fame, quindi sempre abbondante. E zia,
che da tempo si è abituata ad un pasto al giorno, credo sopratutto
per 'rispiarmare' come dice lei, si mangia sempre tutto in una volta
col mezzino di vino nostro. Se l'aiuto doveva servire anche per una
sua maggiore autonomia nei movimenti, questo si rivela in breve tempo
un danno. E siccome l'appetito vien mangiando zia Maria ingrassa a
vista d'occhio. Ininfluenti i rimedi successivi, come la razione
calibrata dei pasti. Col peso acquisito, in breve vengono fuori tanti
problemi di salute, che col tempo, ad inizio d'autunno, la portano al
ricovero in ospedale nel reparto cronici. Oramai allettata o quasi
del tutto, anche per mamma diventa molto più facile assisterla, a
due passi da casa. Per noi bambini è una visita quasi tutti i
giorni, ora che non stiamo più in piazza, fissi a giocare, ma in
casa, io a studiare e Maurizia ad aggiuntare. Mamma il giorno e la
sera ad imboccarla, e ad aiutare l'infermiera di turno, ogni mattina,
per lavarla a prevenire piaghe da decubito. Mamma, figlia e sorella
di infermiera, è brava in questo. Fino alla fine annunciata da
tempo.
–
'Voglio
la tomba murata, non voglio andare in terra' – confessa un giorno a
suo nipote. E tomba murata gli assicura babbo. Per me è la prima
volta a lavorare nel camposanto, in aiuto di babbo, a murare la tomba
di Zia Maria, la tomba della 'Zoppa', morta serenamente accanto a
mamma ad inizio inverno, dopo aver ricevuto l'estrema unzione. Non
lascia detto nulla. Non ha nulla da lasciare, se non quei pochi e
modesti mobili che con babbo nei giorni successivi, prima che finisca
il mese, andiamo a portare via, liberando la casa e riconsegnando la
chiave al padrone.
Quella
sera a cena mettiamo in tavola un fiasco di vino della Zoppa. – '
Manderebbe un treno, da quanto è forte! '– Esclama babbo al primo
assaggio e tale resta il commento anche negli anni successivi nel
raccontare quei momenti. Ma non da buttare! Va tutto a finire in
cantina nella damigiana dell'aceto, con tanto di 'madre' che si è
formata in quasi tutti i fiaschi. Ma non è questa la vera sorpresa
che Zia Maria ci ha lasciato in serbo. Meraviglia il corredo quasi
tutto intatto, almeno quello che le tarme hanno risparmiato. Alcuni
teli andranno negli anni successivi a costituire il corredo mio, da
sposato e sui quali mia moglie farà i primi preziosi ricami, le
prime tende. È come una caccia al tesoro, ad ogni strato, mai usato,
ma tenuto lì per un bisogno che evidentemente non è mai arrivato.
Fino alla sorpresa finale inimmaginabile, impensabile, di cui non
riusciamo a capire il valore, ma che sopratutto suscita una domanda
istintiva, che mai ha trovato risposta – "Come ha fatto a
mettere da parte tanto?" –
Riposte
e ben dispiegate sul fondo, rimpiattate ad arte, tante banconote di
tutti i tagli, sopratutto di avanti guerra e del periodo
dell'occupazione, alcune del periodo immediatamente successivo in
piena inflazione, banconote tutte fuori corso legale. Nei giorni
successivi facciamo le somme, sono quasi duecentomila lire l'importo
facciale. Un vero tesoro tutte quelle banconote per il periodo in cui
erano in corso legale, ma oramai scadute. Ignoro quale fosse stato il
loro vero valore reale o numismatico. So che come tale a babbo gli fu
offerto, e lui accettò, il valore facciale che corrispondeva a
duecentomila lire. Fu così che babbo riprese il costo del trasporto,
del marmista anche se non quello del posto al camposanto.
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