di
Giuseppe Chelli
Quando
il “doppio” si suonava a mano
La
Torre di Matilde è bella di giorno, e più di notte, illuminata!
Matilde
certamente non c’entra nulla con la Torre della Pieve di Santa
Maria Assunta e San Genesio Martire. Pare sia stato il canonico
Francesco Maria Galli Angelini (con quel nome lì poteva
permetterselo), a darle lustro, immaginando, su labilissime tracce
storiche, la Grancontessa gironzolare bambina, dentro quelle mura.
Ma
in fondo, che conta se la torre è o non è di Matilde: noi
(vecchietti in via d’estinzione) l’abbiamo sempre chiamata
i’ccampanile di’ddomo e,
da ragazzi, su e giù per quelle scale sgangherate si faceva a gara a
chi arrivasse per primo alle campane per accaparrarsene una da
suonare.
Era
il Luglioli, sagrestano, che dallo Sdrucciolo del Crocifisso ci dava
una voce per andare a suonare il doppio, ché da solo, anche se aveva
due buone braccia a compensare un occhio solo, non ce l’avrebbe
fatta.
Si
lasciavano sulla scalinata della chiesa le cappe
delle palline con cui si stava giocando, e via di gran carriera in
campanile.
La
gara a chi mandasse più in alto le campane era la disperazione del
Luglioli, che giurava e spergiurava che quella sarebbe stata l’ultima
volta a servirsi del nostro aiuto! Ma chi stava a sentirlo, presi
com’eravamo a dare più aìre alle cinque campane! E poi ce lo
ripeteva tutte le volte, un tormentone!
Prima
però di dare fondo al doppio, Giannino ce lo faceva accordare: si
cominciava con la campana di coro; poi con la prima campana; dopo con
la mezzana; si continuava con quella di mezzogiorno, per finire col
campanone. Da lì in poi era una gara a chi le buttava più fuori
dalle rispettive finestre. Voci bianche, tenorile, baritonali si
mischiavano in un canto che mutava continuamente intonazione, e il
coro prendeva fiato man mano che gli si dava voga…
Sono
risalito sulla torre settant’anni dopo. Arrivare alle campane è
oggi una passeggiata! Senza il rischio, come allora, di volar giù
dalle scale senza corrimano, saltando gli scalini ché non c’erano
tutti. Non l’ho riconosciuta!
Nessun
pericolo sarebbe stato tanto grande da fermarci quando il Luglioli ci
chiamava per il doppio, pentendosene subito dopo, se qualcuno
s’aggrappava al mozzo della campana a fare l’altalena. In mezzo a
quel frastuono lo sentivi sacramentare a modo suo: mica schiacciava
moccoli, inveiva contro sua moglie, la Lugliola, che non ne voleva
sapere di salire a suonare le campane - aveva paura: “Prima o poi a
forza di dondolare quello viene giù!”, ripeteva sempre.
Quando
le elettrificarono, ci si sentì dei disoccupati!
Lo
fecero nei primi anni ’50, e l’idea era venuta a don Franco
Malucchi, il Sagrista (così chiamavano il Cappellano del duomo) come
regalo dei fedeli al proposto monsignor Guido Rossi nel cinquantesimo
del suo sacerdozio.
Il
Luglioli si sentì riavere, più per non dover taloccare con noi, che
per la fatica risparmiata.
La
Lugliola invece non cambiò idea: nessuno le levò dalla testa che il
campanile, a forza di dondolare, prima o poi le sarebbe caduto
addosso. E continuò a uscir di casa non appena Giannino tirava su la
leva dell’interruttore.
Noi
ragazzi, era difficile che si salisse più su del solaio della cella
campanaria. L’ultimo tratto – quello che dalla cella sbuca
all’aria aperta sotto la banderuola –era pericoloso anche per noi,
con la scala a pioli appoggiata alla meglio tra l’ultimo ballatoio
e lo sportello dell’abbaino.
Da
quassù l’occhio s’appaga meglio che dalla Rocca! San Miniato,
subito sotto, si stende contorcendosi nel saliscendi delle strade e
nell’espandersi delle sue piazze; si divincola nel verde delle
forre, sotto i tetti di squame, e nel continuo cangiare dei colori
della campagna.
Nel
solaio sopra la cella campanaria c’è rimasta, sbiadita sul muro,
la sagoma - dipinta a rovescio - del quadrante dell’orologio che
dal 1438 misura, con l’approssimazione della sua unica lancetta, il
pigro avanzare del tempo per la gente della collina. L’usava il
Valentini quando doveva rimettere l’ora di tutti al passo con
quella del cipollone appeso alla catena che gli attraversava il
panciotto.
Questa,
però è un’altra storia.
Il campanile del Duomo di San Miniato
comunemente ed erroneamente detto "Torre di Matilde"
Foto di Francesco Fiumalbi
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