giovedì 10 marzo 2016

CLAUDIO BISCARINI: MISTERI, MISTERI: MA QUALI MISTERI? ANCORA SULLA STRAGE DEL DUOMO DI SAN MINIATO

[testo originariamente pubblicato sul sito www.dellastoriadempoli.it, che ringraziamo per la gentile disponibilità]

di Claudio Biscarini

Misteri, misteri: ma quali misteri?

Spesso le cose ci sfuggono ma poi le riacchiappiamo. Mi è capitato, in una delle mie frequentissime visite alla libreria Rinascita, di acquistare un volume ormai datato 2014 di Enzo Cintelli dal titolo San Miniato settant’anni dalla Liberazione. Come supponevo, la “liberazione” ha voluto dire, per l’autore, un lungo ragionamento sulla strage del Duomo.

Ringrazio Cintelli di aver specificato che, da storico di razza (parole sue e non mie) non mi guida nessun pregiudizio politico nell’affrontare questo tema. Nello stesso tempo, vorrei ancora una volta cercare di spiegare i misteri che Cintelli ancora ritiene ci siano in questo dramma.
Partiamo dalla questione dei partigiani che sapevano che ha fatto irritare, così mi è parso, l’autore del volume sopra citato. Tutto parte (carta canta) da quanto scritto nel rapporto americano che trovai anni or sono nei National Archives & Records Administration di Washington e che dice:
Message from Lookout 2: Partisan report that yesterday someone shooting in the vicinity of S. Miniato hit a church and killed 30 Italians and wounded about a 100. Wounded are in hospital at 4699/5998, not be fired upon. Town of S. Miniato is heavily mined and booby – trapped.

In buona sostanza, la comunicazione del posto di osservazione 2 statunitense riporta che: un partigiano (Partisan) riferisce che ieri (il documento porta la data del 23 luglio e quindi in maniera inequivocabile ci si riferisce al 22) qualcuno ha sparato vicino a S. Miniato colpendo una chiesa e causando 30 morti e 100 feriti. Tutto qui. Mai ho asserito che il partigiano, o i partigiani, avessero saputo che la granata era americana ma solo che durante un cannoneggiamento qualcuno aveva sparato sulla chiesa causando 30 morti. Che c’è di misterioso o di offensivo nei confronti dei partigiani non riesco a capirlo.

Del resto, lo stesso Cintelli riporta quanto scritto da Barzacchi sull’episodio di un tenente dei bersaglieri partigiano in borghese che cerca di radunare gente per portare aiuto ai feriti. Quindi, un combattente alla macchia seppe di sicuro subito quel che era accaduto, ovviamente senza conoscerne i particolari. Potrebbe essere lui il partisan ricordato nel rapporto. Quel che è strano, in quelle poche righe, è che l’uomo non dice agli americani che sono stati i tedeschi a fare la strage, cosa che, secondo Barzacchi e i fautori della mina, si seppe subito o almeno si suppose subito, ma un generico someone. Pensate che bella propaganda sarebbe stata per gli Alleati sapere che i perfidi germanici avevano straziato la popolazione dopo averla chiusa in una chiesa! C’è un altro particolare che mi induce a pensare che, almeno qualche dubbio sui responsabili della strage, il partisan doveva averlo perché comunica che i 100 feriti sono stati portati all’ospedale, di cui fornisce le coordinate, con l’invito a non spararci sopra (pare che abbia voluto dire come avete fatto con la chiesa).

Ricostruire una strage è come affrontare un delitto: se non si dà ai fatti una funzione logica è inutile pensare alla psicologia del criminale, in quanto non si avrà nessun colpevole.
La funzione logica è questa: intorno alle 10,15 del 22 luglio 1944, il 337th US Field Artillery Battalion tirò una prima salva di obici da 105 mm seguita da una nuova salva alle 10,30 sparata tra il Duomo, la chiesa del SS. Crocifisso e lo sdrucciolo dei Mangiadori. Punto. Queste salve di artiglieria sono ricordate da numerosi testimoni presenti in chiesa in pratica alle stesse ore, testimonianze che anche Cintelli riporta. Nello stesso tempo, una esplosione si ode nel luogo sacro ed è quella che causerà subito 28 morti (ricordate i 30 riportati dal partisan agli americani?). Ora, a meno che non si voglia dar valore all’assurda tesi che una bomba tedesca sarebbe scoppiata in concomitanza con il cannoneggiamento americano (un accordo sugli orari tra G.I. e Panzergrenadier?), come si spiega la cosa se non con l’arrivo di un proietto statunitense? Andiamo avanti.

Cintelli riporta almeno tre casi in cui i tedeschi, in risposta ad attacchi a loro uomini, abbiano minacciato rappresaglie: i fatti della Catena, la morte del tenente in Chiecina e l’attacco ai Cappuccini. Tutto in perfetta sintonia con la strategia del massacro operata dai germanici che voleva che la punizione fosse palese in modo da rompere quell’equilibrio, se esisteva, tra Resistenza e popolazione e in modo da far vedere chiaramente che chi toccava un tedesco rischiava la morte. Tutto questo non si abbina né si potrà mai abbinare e chi si occupa di guerra ai civili, anche se fa finta di non saperlo, lo conosce benissimo – con quanto accadde in Duomo.

Altro argomento: la granata fumogena americana arrivata anch’essa in concomitanza con lo scoppio tedesco. Come dice giustamente anche Cintelli, un proietto fumogeno aveva la caratteristica di spezzarsi in schegge molto grandi, e non piccolissime come una granata esplosiva, e aveva un involucro più fine nonché sprigionava una tale quantità di fumo che ci sarebbero sicuramente stati dei morti per asfissia, cosa che non risulta (i morti per asfissia, anche ad occhio nudo, sono ben riconoscibili). In più, se è vero come è vero che tra le 10,15 e le 10,30 l’artiglieria statunitense stava sparando sulla città, ovviamente sotto l’occhio attento dei propri ufficiali osservatori, perché mai avrebbe dovuto usare proietti fumogeni che vengono utilizzati per mascherare un obiettivo?

Veniamo al fatto che i tedeschi avrebbero messo la gente in Duomo per poterla uccidere meglio. In realtà, la spiegazione logica che l’ufficiale comandante volesse tutelarsi da possibili attacchi partigiani mentre, con scarsi effettivi, doveva fronteggiare sia gli americani che minare le case, non piace a Cintelli e nemmeno a chi, mesi fa, ironizzando dichiarò che sarebbe stata la prima volta che un ufficiale tedesco si preoccupava di mettere al sicuro degli italiani.

Invece, rivendico questo fatto e lo stesso Cintelli me ne fornisce i motivi. Barzacchi, ad un certo punto, dichiarò che i partigiani venivano spesso, facevano la spola tra S. Miniato e il fronte alleato per tenere gli Americani al corrente di quel che si faceva in città. Quindi, la possibilità di attacchi alle spalle dei pochi tedeschi, o almeno la segnalazione dove essi avrebbero posizionato le mine, esisteva ed era concreta. Quindi, l’ufficiale che fa? Prima dice di radunare gli uomini in piazza e le donne e bambini in due chiese dove, ovviamente, servendosi di pochissimi uomini può controllarli. Gli uomini, invece, dovevano essere trasportati fuori città. Poi ci ripensa, forse perché si rende conto che per fare questa manovra egli avrebbe dovuto distaccare tripla guardia, una alle chiese e una per gli uomini, e non aveva le forze per fare tutto con il rischio che qualcuno gli scappasse e andasse dritto dritto dal suo avversario. Allora decide di concentrare anche i maschi in Duomo e in S. Domenico.

Quanti erano questi tedeschi e, soprattutto, come erano? Qualcuno, citato da Cintelli, parla di dieci soldati in tutta la città. Non è vero, erano di più. Circa 40 e dovevano minare le case, guardare i civili e contrastare gli americani. Non erano molti. Barzacchi li definisce dagli occhi diabolici, dalla faccia bestiale intenti a guardare l’orologio in attesa (lo si deduce) dello scoppio della mina a tempo. Ma lo stesso Barzacchi ci offre, invece, la possibile soluzione a questo piccolo mistero: ci tenevano chiusi per essere liberi di radere al suolo S. Miniato con la dinamite. Già, e se i biechi tedeschi avessero guardato l’orologio per capire quanto tempo ancora occorresse per piazzare le mine alle case? Del resto, già dal 20 avevano iniziato le demolizioni che ripresero all’alba del 23. E se il 22 gli fosse servito solo per finire di piazzare gli ordigni?

Mario Caponi, invece, ci descrive un militare dopo lo scoppio, in fondo al corridoio, prima dell’uscita, un soldato tedesco era appoggiato alla parete, mitra sul fianco con la canna rivolta a terra, immobile, con lo sguardo assente, fisso alla parete di fronte, bianco in faccia come un morto, sembrava non vedere nulla. La madre di Mario lo assale, questo militare giovanissimo non si difende, resta così, immobile, schiacciato dalla paura e dallo choc. Siamo distanti dagli sguardi diabolici, ma la reazione di questo ragazzo (lo si descrive molto giovane), per chi si occupa di “guerra” come me, è molto più logica di fronte ad un evento non previsto. Ci sono, poi, le strane testimonianze di Mons. Giubbi e di certo Fabio F., spia al soldo del nemico, che ricordavano l’intervento di militari tedeschi a soccorso dei civili feriti. Strano davvero, prima li ammazzano e poi, invece di finire l’opera come di solito facevano, vanno al soccorso. Oppure, siccome chi testimoniò esce dal novero di coloro che non appartenevano a una certa squadra di opinione (l’uno spia, l’altro quasi accusato di connivenza) le loro testimonianze, contrapposte ai ghigni notati dal Barzacchi, non hanno lo stesso valore?

Veniamo alla mina in Duomo. Cintelli, servendosi anche di un noto ”esperto” della materia, ci dice che un oggetto esplosivo (quale? mina antiuomo? mina Teller anticarro? plastico T4? con quali inneschi?) poteva essere stato posizionato sulla balaustra, che appare distrutta nelle foto Barzacchi, senza che nessuno se ne accorgesse perché poteva essere stata piena di pacchi e pacchetti dei reclusi. Bene, ammesso e non concesso che questo sia stato vero, quando i primi si posizionarono vicino alla balaustra, avrebbero notato sicuramente una borsa, un sacco solitario lì appoggiato anche solo per chiedere di chi fosse. Una mina non poteva essere stata messa sulla balaustra così, solo appoggiata. Da scartare è l’introduzione nella famosa cassapanca che si sarebbe trovata sotto la balaustra, o giù di lì.

Come giustamente dice Cintelli, citando la strage del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura a Milano, sul pavimento si creò una profonda buca perché la borsa con l’ordigno era stata posata a terra. Nelle foto Barzacchi non si riscontra nessuna buca (o fornello da mina) simile sul pavimento della chiesa. I tedeschi avevano timer? Certamente sì, ma per confezionare le booby traps, di cui erano maestri, usavano anche inneschi a tempo limitato (time fuze da 8 a 15 secondi). Uno degli orologi a tempo usati dai tedeschi, quando azionato, poteva far esplodere una carica da un minimo di un minuto a 21 giorni dopo. Ma doveva essere montato su un grosso ordigno. Certamente, si potevano utilizzare anche normali orologi ma, purtroppo per i fautori della bomba a tempo, per far deflagrare una carica avevano bisogno di fili elettrici che non furono visti da nessuno. Altri inneschi erano a pressione o a strappo, e questi ci pare improbabile che siano stati usati nel Duomo per azionare una carica: chi era vicino avrebbe visto il detonatore a meno che non fosse stato sotto il pavimento o piazzato, con dei fili, attraverso la stanza. Cintelli, nel volume, si rammarica di non aver avuto informazioni sui sistemi di innesco tedeschi. Voglio, pur rischiando di essere noioso, dargli informazioni in merito specificando che la quasi totalità degli inneschi si riferiscono a quelli a strappo, a pressione e a rottura usati prevalentemente nell’uso delle mine S, Schu, antiuomo, e Teller anticarro.

Accenditori tedeschi:
S.Mi Z 35 a pressione, usato sulla mina S; S.Mi.Z 44 a pressione, idem; ZZ42 a pressione usato con la mina Holz 42; R.Mi.43 Z a pressione, usato con la mina Riegel; Hebelzünder a pressione, usato con la mina Glass 43; chimico Buck a pressione, type I e II, usato con la mina A.200; D.Z. 35 a pressione Type A e B; ZZ 35 a strappo; ZUZZ 35 a tensione e a strappo; ZUZZ 35 modificato; elettrico E.S. Mi Z 40 a pressione; Zdschn Anz. 29 a frizione; Zdschn Anz. 39 a frizione, usato come sistema antirimozione con le Teller mine; BZE a frizione e con funzionamento ritardato (testa sferica di colore bleu ritardo di 4 secondi, testa rossa ritardo di 1 secondo, testa gialla ritardo di 7 secondi); B.Z 24 a frizione; ad asta Kippzünder 43 usato con le mine anticarro; ad asta Ki.Z 43 modificato, idem; a rottura Knichzünder 43/1; a rottura Kn.Z. 43/2; a rilascio di pressione E.Z. 44 (Entlastungzünder 44).

Tutti questi accenditori abbisognavano o di fili, o di pressione, o di strappo o di mine e non avevano nessun effetto ritardante. L’unica eccezione era l’accenditore ad orologeria a lungo ritardo J. Feder 504, usato con grosse quantità di esplosivo per distruggere abitazioni che i tedeschi presupponevano che gli alleati avrebbero usato (01). Aveva, come ho già detto, la possibilità di venire ritardato fino a 21 giorni e 24 ore grazie a due dischi che giravano in senso antiorario, posti nella parte superiore del congegno. Un disco agiva sui giorni l’altro sulle ore. La graduazione dei dischi si poteva controllare da una finestrina chiusa da un vetro dove, dentro, era scritto Rot= tage (giorni) e Shwar=Stunden (nero-ore) (02). Ma, come ho detto , questo innesco veniva adoperato, anche perché era abbastanza voluminoso, con grosse cariche di demolizione che, se fossero state usate in Duomo, avrebbero fatto danni e morti in misura molto maggiore. Spero di aver soddisfatto la curiosità di Cintelli, altrimenti il consiglio è di leggersi alcuni manuali stesi dall’esercito americano sul problema delle trappole esplosive (03).

C’è poi tutta una dotta disamina sulla granata P.D. Fuze M48 da cui si deduce che il tempo intercorso tra lo sparo, la penetrazione in chiusa, la carambola sul marmo dei Maestri Comacini e lo scoppio finale, sarebbe stato troppo lungo per un proietto con spoletta ritardata a 0,05 secondi. La cosa è opinabile, in quanto proprio la velocità di uscita del proietto dalla bocca dell’obice da 105 mm, uno dei migliori della seconda guerra mondiale tanto che viene usato anche oggi, dimostra che esso aveva tutta la possibilità di agire anche in quei pochi decimi di secondo. Non solo, ma come mi confermò un ufficiale dello stesso 337th US Field Artillery, gli americani usavano anche proietti antifanteria che scoppiavano non all’impatto primario ma dopo essere penetrati dentro un edificio. La lettera è a completa disposizione degli “esperti”.

Interessanti (già noti a chi ha letto il nostro Arno-Stellung) i rapporti dell’ufficiale 1c della 14. Armee. Peccato che, ad esempio, nel TM (04) del 23 luglio non si sciolga la numerazione relativa al 26/19 che si collega a quella di Castelnuovo. Infatti, a quella data il 26/19 era l’incrocio che da La Dogana porta a Coiano e, verso la statale 429, a Granaiolo. Siamo un po’ lontani da San Miniato. I TM del 22 luglio riportati da Cintelli a p. 51 non possono costituire prova in quanto si riferiscono all’intero settore operativo della 14. Armee che andava dal Tirreno ai Monti del Chianti.

C’è, infine, un’ultima cosa: a p. 26 del suo libro, Cintelli ha pubblicato una foto e nella didascalia dichiara priva di fondamento la tesi mia e di Lastraioli relativa al punto di penetrazione del proietto in Duomo, e non capisco perché visto che, pagine prima, si era sperticato a dimostrare che, se oggi il rosone da cui entrò la granata è chiuso, tale non lo era nel 1944.
Concordo con Cintelli che gli esperti di cose militari ( quelli veri e non improvvisati (05)) spiegano con dotta competenza traiettorie, scoppi, potenze, ritardi e che al semplice cittadino abbia il diritto di avere dei dubbi. Purtroppo, la vicenda di San Miniato ha bisogno anche di questi riscontri per essere capita. Fu un dramma collettivo, e questo può assolutamente essere una giustificazione a chi ancora oggi crede alla bomba tedesca: il dolore è spesso cattivo consigliere. Avere dei dubbi può essere, quindi, lecito ma cercare addirittura dei misteri mi pare eccessivo.

La Cattedrale dei SS. Maria e Genesio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

NOTE
(01) Il 7 ottobre 1943 uno di questi ordigni fece saltare le Poste Centrali di Napoli causando diversi morti. Di solito, questi inneschi ad orologeria, per causare più danno, venivano posti con l’esplosivo nelle cantine e nei sotterranei.
(02) Ministero della Guerra, Ispettorato Bonifica Immobili da ordigni esplosivi, Mine e bonifica dei campi minati, vol. I, mine, ordigni esplosivi e congegni vari di accensione, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato 1946, pp. 227-273.
(03) Cito solo due: Booby traps, Bureau of Naval Personnel, Navy Department, Washington D.C., United States Government Printing Office, 1944; Department of the Army Field Manual FM 5-31, Boobytraps, Headquarters, Departments of the Army, September 1965.
(04) Tagesmeldungen, rapporti giornalieri della 14. Armee.
(05) A questo proposito, a p. 218 del suo volume, Cintelli riporta la lettera di un soldato americano che ha combattuto a San Miniato. Pur servendosi di esimi noti “esperti”, Cintelli non è riuscito a sciogliere le sigle che si riferiscono ai reparti dove militò quest’uomo, scrivendo, ad esempio, 362 nd Int st Divisione, al posto di 362nd Infantry 91st Division, ovvero 362° reggimento fanteria della 91a Divisione, e st Inp F comp B 362 ud inp, al posto di 91st Infantry, Company B, 362nd Infantry, ovvero 91a Divisione fanteria, compagnia B, 362°reggimento. Senza polemica, l’amico Cintelli si serva di veri esperti in ogni caso.

1 commento:

  1. Un grande grazie all'autore sempre convincente e all'editore che non manca di dare voce alle "cose serie" sui fatti del duomo

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