giovedì 13 giugno 2013

IL GELSO A SAN MINIATO E IN TOSCANA

di Francesco Fiumalbi

Il gelso è una pianta arborea molto diffusa in Toscana, ed anche nel nostro territorio sanminiatese. A differenza di altre varietà, su tutte il cipresso e l'olivo, nonostante l'ampia diffusione non è granché conosciuta, almeno non fra i meno esperti.

Il gelso […] ha un tronco arboreo, scorsa screpolata, rami diffusi, foglie alternate, picciolate, quasi lisce, frutta nel mese di Giugno. Egli è originario dalla China e dalla Persia ove spontaneo vi cresce”.
[Angelo Peroni, La coltivazione del Gelso. Trattato Pratico, Gaetano Venturini Tipografo, Brescia, 1832, p. 21]

L'ampia diffusione in Toscana è dovuta al fatto che le foglie del Gelso costituiscono la dieta pressoché esclusiva del baco da seta e quindi la coltivazione di questo albero è direttamente legata alla produzione del prezioso tessuto.
Ci sono vari tipi di gelso, catalogati a seconda del tipo di foglia, oppure della varietà del frutto: a mora nera o a mora bianca. Questo piccolo frutto, che l'albero produce in notevole quantità, assomiglia molto alla più nota mora di rovo, anche se ha un sapore decisamente più dolce. Oggi trovare un gelso è diventata quasi un'impresa, ma, quando i gelsi erano in ogni podere, la sua mora costituiva un gustoso spuntino da consumare nella prima metà del mese di giugno.

More nere di gelso
Foto di Francesco Fiumalbi

Nella Firenze del tardo medioevo una delle principali corporazioni cittadine era proprio l'“Arte della Seta”, che faceva parte del gruppo delle “Arti Maggiori” insieme a quelle dalla Lana, dei Mercanti, dei Giudici e Notai, del Cambio, dei Medici e Speziali e dei Vaiai e Pellicciani.
Per rinnovare l'impulso della manifattura legata alla seta, nel 1423 la Repubblica Fiorentina (quindi il provvedimento riguardò anche il territorio sanminiatese) tolse la gabella sulle foglie di gelso ed, anzi, ne proibì l'esportazione. Inoltre fu fatto obbligo ad ogni contadino di piantare 5 gelsi all'anno, fino al raggiungimento del numero di 50. [Rapporto degli Studi accademici fatti nell'anno 1839-40, letto dal segretario degli Atti, avvocato Celso Marzucchi, nell'adunanza solenne del 29 novembre 1840, in Continuazione degli Atti dell'I. E R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, vol. XVIII, Dispensa Seconda, G. P. Viesseux, Firenze, 1840, p. 179].

Emblema dell'Arte della Seta,
Firenze, Piazza SS. Annunziata
Foto di Francesco Fiumalbi

Facciamo un salto di oltre tre secoli, nella Firenze della seconda metà del '700. Salito al trono il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, la città gigliata contava circa 80.000 abitanti, di cui 47.000 occupati. Di questi, quasi 9.000 (cioè quasi un quinto del totale) erano impiegati nell'industria della seta [Giuseppe Conti, Firenze dopo i Medici, R. Bemporad & Figlio Editori, Firenze, 1921, pp. 549-550.]. E questo dato ci dà un po' un'idea dell'importanza di tale indotto nell'economia di Firenze e dell'intero Granducato, in particolare della zona pratese e alcune parti dell'aretino.
Lo stesso Pietro Leopoldo promulgò una legge, attraverso la quale autorizzò la piantumazione dei gelsi lungo le strade regie (fra queste c'era anche l'attuale via Tosco-Romagnola Est) e le vie pubbliche, e i cui frutti sarebbero stati goduti dai frontisti, cioè dai proprietari dei terreni che confinavano con le strade [Rapporto degli Studi... Cit., p. 179]. In pratica era un modo per rendere produttive anche quelle superfici di risulta, che di fatto erano destinate a rimanere incolte. Un provvedimento che per certi aspetti potrebbe far ricordare la “Battaglia del Grano” durante il periodo fascista, dove in alcuni casi il grano venne piantato anche nelle aiuole. Ma questa è un'altra storia.
Nel 1779, in occasione della nascita del suo undicesimo figlio, Antonio Vittorio, Pietro Leopoldo concesse vari provvedimenti a vantaggio di diversi settori, fra cui la facoltà di contrattare liberamente le foglie di gelso e i bozzoli del baco da seta, permettendone il trasporto e la vendita senza il rischio di incorrere in gabelle o, peggio ancora, in sanzioni. Una sorta di “liberalizzazione”, fatta passare come una concessione, ma che di fatto costituiva un nuovo impulso a quella che all'epoca era una delle poche attività redditizie dell'intero Granducato.

More di gelso
Foto di Francesco Fiumalbi

Nella Relazione dello stato delle arti e manifatture per la comunità infrascritta sottoposta alla cancelleria della città di San Miniato e alla giurisdizione civile di detta città [Paolo Morelli, Aspetti dell'economia e della società di San Miniato durante il regno di Pietro Leopoldo, in P. Morelli (a cura di), San Miniato nel Settecento. Economia, società, arte, pp. 40-42), datata 1768, traspare in maniera evidente come la manifattura della seta non sia fra quelle praticate nel territorio sanminiatese. Tuttavia la coltivazione del gelso, che rientrava in campo agricolo (e non manifatturiero), doveva essere molto diffusa: ogni podere o quasi aveva le sue piante di gelso, i cui rami venivano letteralmente privati di ogni foglia nel momento in cui si schiudevano le uova del baco da seta. E l'attività di “sfogliatura” dei gelsi divenne uno di quei lavori stagionali come la vendemmia, la mietitura o la raccolta delle olive.

Gelsi nella campagna sanminiatese
Foto di Giuseppe Chelli

Al giorno d'oggi, con la scomparsa delle coltivazioni promiscue e con un tessuto agricolo incentrato sul modello monocolturale di tipo aziendale, i gelsi sono quasi del tutto scomparsi dalle nostre campagne. Tuttavia qualcuno riesce a sopravvivere, magari nei pressi di una vecchia casa colonica o sul ciglio di una viottola. D'altra parte il gelso è una pianta che supera facilmente il secolo di vita.
Se qualcuno volesse gustare le prelibate more di gelso, può andare nel bel mezzo di San Miniato Basso. Nella prima metà di giugno, gli alberi del parcheggio di Piazza Vincenzo Cuoco, antistante la sede della Misericordia, si riempiono delle tipiche more nere. Sono ad una media altezza, e soprattutto sono un'ottima merenda completamente gratuita. Provare per credere: sono dolcissime!
C'è da dire che queste piante sono state utilizzate per il parcheggio perché richiedono poca manutenzione, non diventano troppo grandi (come, per esempio, i platani) e d'estate fanno un bel fresco.

Una piccola avvertenza: le more macchiano e se ci lasciate l'auto parcheggiata sotto, anche solo per un'ora, farete la gioia di un autolavaggio.

Gelsi a San Miniato Basso, Piazza Vincenzo Cuoco
davanti la sede Misericordia
Foto di Francesco Fiumalbi

Visto che il gelso sta scomparendo dal nostro paesaggio agreste, si propone di fare il “censimento del gelso”. Per indicare dove si trovano le piante sopravvissute potete scrivere un commento qua sotto, oppure inviarci una e-mail al solito indirizzo smartarc.blogspot@gmail.com

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