a
cura di Anna Orsi
In questo post è
proposta la quarta ed ultima novella di Franco Sacchetti ambientata a
San Miniato o nel suo territorio. Franco Sacchetti, come è noto, fu
Podestà di San Miniato nel 1392 e Vicario nel 1400. Quindi era ben a
conoscenza dell'ambiente sanminiatese dell'epoca.
Il
protagonista della novella è Soldo di Ubertino Strozzi, fiorentino
dalla personalità vivace e arguta, nonché personaggio storico
realmente esistito. Fu infatti Capitano di Colle Val d'Elsa nel 1342,
nel periodo in cui, al termine di una serie di lotte intestine, il
borgo valdelsano si dette al Duca d'Atene da poco eletto Signore di
Firenze (Giornale
Storico degli Archivi Toscani che si pubblica dalla Soprintendenza
Generale agli Archivi Toscani,
vol. VI, Viesseux, 1862, p. 204, 29 ottobre 1342).
Troviamo Soldo di Ubaldino anche nell'elenco dei Priori
appartenenti
al cosiddetto “popolo grasso” nel periodo 1343-1348. Purtroppo,
allo stato attuale delle ricerche non è possibile stabilire se
effettivamente Soldo Strozzi abbia svolto una qualche carica pubblica
anche per il Comune di San Miniato.
Gli
altri co-protagonisti sono le due potentissime casate sanminiatesi
dei Ciccioni e dei Mangiadori, che per tutto il '300 fecero il bello
e il cattivo tempo all'ombra della Rocca. Due famiglie perennemente
in conflitto fra loro, come registrato anche da Giovanni Villani nel 1308,
ma anche nel 1345 come conseguenza del tentativo di ribellione nel castello di Fucecchio. Ed anche in questa novella appare in tutta la sua
evidenza l'elemento di reciproca conflittualità, che in qualche modo
dimostra della conoscenza dell'ambiente sanminiatese da parte di
Franco Sacchetti.
Lo
stesso Bindaccio Mangiadori che compare nella novella è un
personaggio realmente esistito. Fu infatti figlio di Geri di
Bindaccio di Jacopo Mangiadori. Nel 1340 lo troviamo eletto Podestà
a Volterra, mentre nel 1343-44 fu a Perugia in veste di Capitano del
Popolo. Rientrato in San Miniato, fu poi Vicario e Conservatore della
giurisdizione a Prato nei primi mesi del 1347. Tornò nuovamente come
Podestà a Volterra nel 1349 e di nuovo a Prato nel 1350 e ancora
Podestà di Perugia nel 1354. Nel 1360 risulta morto (Vieri Mazzoni,
Le
famiglie del ceto dirigente sanminiatese (secc. XIII-XIV). Seconda
Parte,
in Miscellanea Storica della Valdelsa, anno CXVII, nn. 2-3 (319-320)
2011, Ed. Polistampa, 2013, pp. 237-238).
Come
detto, gli unici due personaggi della novella indicati con nome e
cognome, sono persone esistite davvero e vissute nello stesso
periodo. Non c'è quindi da stupirsi se anche le vicende descritte
nella novella siano state ispirate da fatti realmente accaduti. Anche
in questo caso, così come nelle altre novelle, la storia non è
altro che è un pretesto per sostenere un insegnamento "morale".
Sacchetti, infatti, non fa altro che proporre, seppur in forma di
racconti, le meditazioni di carattere morale e religioso, che egli
stesso aveva elaborato negli anni '80 del '300.
Franco
Sacchetti
Immagine
tratta dal libro Novelle di Franco Sacchetti,
Tipografia
Borghi e Compagni, Firenze, 1833
NOVELLA
CENTESIMACINQUANTESIMOTTAVA
Soldo
di Messer Ubertino degli Strozzi, essendo capitano di santo Miniato,
usa certe astuzie con la malizia de' Sanminiatesi; e in fine, sanza
tenere la metà de' fanti, vinse le sette loro, ed ebbe onore.
Al
tempo che 'l Comune di santo Miniato in Toscana era in sua libertà,
come avea per usanza, mandava quasi continuo la elezione del capitano
a uno Fiorentino, e per la diversità degli uomini di quello, e per
lo male reggimento de' rettori, che là andavano, rade volte
interveniva che alli più di questi rettori non fosse fatta vergogna,
e talora tanta, che talora se ne veniamo in camicia, e talora erano
presso che morti. Soldo di messer Ubertino degli Strozzi, uomo
piacevolissimo e saputo e non abbiente, ed era forte gottoso, e quasi
di ciò perduto. Avendo costui la elezione, cominciò a pensare, e
dall'una parte il tirava il bisogno, e dicea: Io voglio andare;
dall'altra dicea; Io non voglio andare a morire; io son vecchio, e
sono attratto di gotte; li Sanminiatesi hanno fatto sì e sì al
tale, e così all'altrettale; egli è meglio ch'io rifiuti. Alla per
fine, combattendo molte cose nella sua mente, deliberò d'andare, per
sovvenire alla sua necessità, e con una sottile astuzia, per
riparare alle furie e alle sette de' Sanminiatesi; e così accettoe.
E venuto il tempo, andò nel detto oficio. Nel quale stando, apparì
una gran mortalità, la quale fu molto prosperevole al detto Soldo,
come appiede di questa novella si dimostrerà. Ora stando costui nel
principio del suo capitanato, apparve un caso, che uno da Coligarli
(Collegalli, n.d.r.),
o di quello paese, fu preso per alcuno eccesso, del quale, essendo
colpevole, meritava d'essere dicapitato. Come la setta di messer
Bindaccio Mangiadori il seppe, subito furono a lui, protestando, che
'l detto non morisse; e per opposito la setta de' Ciccioni con ogni
loro forza e argomento voleano che 'l preso non campasse. E questa
era un'aspra contesa, come spesso interviene tra due sette. Veggendo
Soldo questo, fra sé medesimo comincia a dire: Io non debbo essere
venuto qui per farmi uccidere, e sono poco adatto a combattere con
costoro, perocchè io sono vecchio e infetto; a me conviene aver
senno per la loro follia, e portermene quello che io avanzerò, che
n'ho bisogno. E così pensato, disse una mattina all'una setta e
all'altra, che la sera andassono al banco a lui, e che piglierebbe
lodo tale su' fatti del preso, che l'una parte e l'altra doverebbe
rimanere per contenta; e così si partirono. E venuto poi l'ora del
vespro, essendo Soldo al banco, l'una e l'altra setta comparirono
alla difesa e all'offesa, dicendo ciascuna parte ciò che voleano.
Disse Soldo: Io v'ho intesi, e serei molto contento della vostra
pace, e della vostra concordia, perocchè unitamente credo, se ciò
fosse, consigliereste che io facesse giustizia, la quale ho giurato
di fare, facendo ragione a ciascheduno; e di questo non me ne
storrei, se già per voi non si facesse una cosa. Udendo questo
quelli che voleano che 'l preso campasse, dissono fare ciò che
comandasse loro. Allora disse Soldo: Ogni parola che voi fate, è
vana, altro che quello che io vi dirò. Audate, e deliberate tra voi
quello che voi volete, che io faccia di costui, e di concordia
tornate a me; se mi direte che egli muoia, serà fatto; se mi direte
che io lo lasci, subito sia lasciato. Detto questo, ciascuno guarda
l'un l'altro, e chi soffiava di qua e chi di là, alla fine si
partirono, e dissono di tornare l'altra mattina. Elle furono tavole,
che non che s'accordassono, ma elli non s'accozzarono mai insieme,
che ne ragionassero. Tornati la mattina e l'una parte, e l'altra
procurando chi pro, e chi contro, disse Soldo: Io voglio spacciare
questo fatto; che mi rispondete voi a quello che io vi dissi ieri?
Rispose l'uno dell'una parte: Messer lo capitano, noi ne seremo mai
in concordia, perocchè noi vogliamo che campi, che ci pare che non
meriti morte; e costoro vogliono che muoia. Gli altri rispondeano: E'
dice il vero che noi vogliamo che muoia, come il peggiore uomo che
mai fosse in questo paese, e merita mille morti; e sapete, messer lo
capitano, che la iustizia è quella che conserva, non che questa
terra, ma il mondo; e però vi preghiamo che facciate ragione; e voi
volete che io faccia ragione, o no? A costoro parve essere nelle
pastoie, e dissono: E anco noi vi preghiamo che voi facciate ragione.
Disse Soldo. Voi diciavate poco fa che non eravate di concordia; in
questa parte voi siete uniti e in concordia, cioè che io faccia
ragione, e io così farò; e ancora vi dico così, ciò che prima vi
dissi, che se di qui a tre dì verrete di concordia l'una parte e
l'altra, o che io il salvi, o che io il danni, quello seguirò, se
bene direte, quanto che no, io farò ragione, come di concordia
m'avete detto. Così tutti si partirono, non sapendo che si dire, e
ma' s'accordarono. Di che Soldo seguì il suo corso, e fece morire il
preso, facendolo dicapitare. E così fece sanza fare alcuna …... o
morto, o torto. E così il buon rettore quivi vuolle fare quello che
dee …. non è mai cosa non abbia se non per l'altrui follia, e rade
volte, anzi non è mai, che se vuole fare ragione, che non possa.
Essendo dicapitato costui, la parte che n'era stata malcontenta,
alcuna volta pensava di nimicarlo in certe cattivanzuole, come nel
rassegnare la famiglia che non dovea, tenea quando sei, e quando otto
gonnelle in una sala dei fanti sopra una stanza. Venendo il
rassegnatore, il detto Soldo dicea; Rassegnate, come vi piace; e
mostrando loro le gonnelle, dicea: Io ne faci sotterrare istanotte
quelli che voi vedete; andate giuso alle letta, e troverete assai che
hanno il gavocciolo, e qual sta male, e qual si muore. Come il notaio
della rassegna vede e ode queste cose, parea cacciato da mille
diavoli, e turandosi il naso, si fuggia fuori del palagio, e andavasi
con Dio. Quelli che aspettavano che 'l detto Soldo fosse condennato,
udendo il rassegnatore, si segnavano, e non che gli mandassono il
rassegnatore, ma non passavano dal suo palagio per la pestilenza, la
quale udivano, v'era appresa.
E
così e di questo e d'altro si passò questo avveduto capitano con
l'altrui divisione e follìa, trattando li sudditi suoi, come
meritavano; e tornossi a Firenze sano e salvo e gottoso, come v'andò,
e forse con la borsa piena, e con molto onore, lasciando loro e con
le loro sette, e con le loro divisioni; le quali ciascuno, che le
segue, fanno venire a ultima e finale destruzione, come per sempre
per antico e per moderno s'è veduto nel mondo.
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