a
cura di Francesco Fiumalbi
In questo post è proposto un brano estratto da una pubblicazione della prima metà del '500. L'opera in questione è il Compendio delle Historie del Regno di Napoli redatto da Pandolfo Collenuccio, in cui sono riportate notizie interessanti riguardanti San Miniato alla metà del XIII secolo, nel periodo di Federico II. Tra l'altro, ancora una volta, emerge il carattere dei Sanminiatesi e questo aspetto non può far altro che aumentare la verosimiglianza di un episodio in particolare. Sembra destino, infatti, che San Miniato da castello forte e imprendibile quale dà impressione di essere, diventi alla prova dei fatti estremamente vulnerabile per lo scarso acume delle genti che lo popolano. In poche parole, stando a questa narrazione, i Sanminiatesi si fecero prendere per i fondelli dall'Imperatore.
Pandolfo da Coldonese, meglio noto come Pandolfo Collenuccio, fu un diplomatico, umanista, poeta e storico, nato a Pesaro nel 1444 e ivi morto nel 1504. Dopo gli studi in giurisprudenza presso l'Università di Padova, fece ritorno a Pesaro dove si ingraziò la protezione degli Sforza. Tuttavia, a causa di una lite, nel 1489 fu allontanato da Pesaro e i suoi beni confiscati. L'attività di diplomatico gli valse la protezione di Lorenzo il Magnifico che gli consentì, nel 1490, di ricoprire la carica di Podestà a Firenze. Qui entrò in contatto con gli ambienti culturali del tempo, ed in particolare con Angelo Poliziano e Pico della Mirandola. Successivamente si recò a Mantova e a Ferrara dove rimase fino al 1493. Nel novembre di quell'anno partì per la Germania con il corteo di Bianca Maria Sforza destinata a sposare Massimiliano d'Asburgo, dal quale aveva il compito di ottenere l'investitura per il duca Ercole I d'Este. Tornato in Italia, nel 1494 fu ambasciatore a Roma presso Papa Alessandro VI Borgia, dove tra l'altro sostenne la causa di Cesare Borgia. Tornato nuovamente a Ferrara, vi rimase fino al 1504. Morto Cesare Borgia, Giovanni Sforza gli permise di far ritorno in Pesaro. Si trattò di una trappola, in quanto non appena Pandolfo rientrò nella sua città natale, fu catturato, ancora per la lite del 1489. Fu giustiziato l'11 giugno del 1504, all'età di sessant'anni.
Pandolfo da Coldonese, meglio noto come Pandolfo Collenuccio, fu un diplomatico, umanista, poeta e storico, nato a Pesaro nel 1444 e ivi morto nel 1504. Dopo gli studi in giurisprudenza presso l'Università di Padova, fece ritorno a Pesaro dove si ingraziò la protezione degli Sforza. Tuttavia, a causa di una lite, nel 1489 fu allontanato da Pesaro e i suoi beni confiscati. L'attività di diplomatico gli valse la protezione di Lorenzo il Magnifico che gli consentì, nel 1490, di ricoprire la carica di Podestà a Firenze. Qui entrò in contatto con gli ambienti culturali del tempo, ed in particolare con Angelo Poliziano e Pico della Mirandola. Successivamente si recò a Mantova e a Ferrara dove rimase fino al 1493. Nel novembre di quell'anno partì per la Germania con il corteo di Bianca Maria Sforza destinata a sposare Massimiliano d'Asburgo, dal quale aveva il compito di ottenere l'investitura per il duca Ercole I d'Este. Tornato in Italia, nel 1494 fu ambasciatore a Roma presso Papa Alessandro VI Borgia, dove tra l'altro sostenne la causa di Cesare Borgia. Tornato nuovamente a Ferrara, vi rimase fino al 1504. Morto Cesare Borgia, Giovanni Sforza gli permise di far ritorno in Pesaro. Si trattò di una trappola, in quanto non appena Pandolfo rientrò nella sua città natale, fu catturato, ancora per la lite del 1489. Fu giustiziato l'11 giugno del 1504, all'età di sessant'anni.
Fu
autore di molti testi e componimenti in lingua latina e volgare. La
sua opera principale è senza dubbio il Compendio
delle Historie del Regno di Napoli,
che iniziò nel 1498,
su sollecitazione del Duca Ercole, che nel 1471 aveva sposato
Eleonora d'Aragona.
Fino alla sua morte portò avanti la stesura di quest'opera che,
incompiuta, fu stampata postuma a Venezia nel 1539. Il Compendio
conobbe molte ristampe anche se non fu accolto con benevolenza dalla
critica del tempo. La
storia del Regno di Napoli, così come descritta da Pandolfo, può
essere facilmente riassunta nel continuo tentativo di costituzione di
uno Stato, ostacolato da varie circostanze, su tutte l'azione dello
Stato Pontificio. In questo senso, Pandolfo sottolinea il ruolo di
quelle rare figure che invece sembrano superare le difficoltà e
avviare alla costituzione di uno Stato autonomo e ben regolato. Su
tutti emerge la figura di Federico II. Proprio all'Imperatore svevo
sono legate le notizie e le informazioni riguardanti San Miniato,
come l'edificazione della Rocca (circostanza riportata anche da
Giovanni Villani e Ricordano Malispini).
Sfortunatamente questi episodi rimangono, al momento, privi di
riscontri, per cui devono essere considerati con le dovute cautele.
Disegno tratto da T. A. Arcer e C. L. Kingsford, The Crusades. The story of the Latin Kingdom of Jerusalem, New York, 1894, p. 289. A sua volta tratto dal manoscritto De arte venandi cum avibus, conservato nella Biblioteca Vaticana (Pal. Lat. 1071)
Stando
alla narrazione di Pandolfo, nel 1249 la Toscana vide un periodo
favorevole alla Parte Guelfa con le città e i castelli impegnati nel
conquistarsi l'autonomia dall'autorità imperiale. Fra questi c'era
anche San Miniato. Federico II, sceso in Toscana, era deciso a riprendersi l'antica roccaforte, e lo fece con un espediente
particolarmente arguto. Fece vestire alcuni dei suoi soldati migliori
come se fossero prigionieri. Inoltre caricò i muli con grossi
forzieri, riempiti di armi, ma nascosti sotto a delle coperte, come se si trattasse di materiale personale dell'Imperatore. Inviò i
prigionieri e i materiali a San Miniato chiedendone la custodia
temporanea, in attesa di riprenderne possesso, avendo intenzione di
tornare al più presto. I Sanminiatesi, dal canto loro, vedendo
l'Imperatore chiedere loro questo favore, pensarono di aver tutto da
guadagnare. Magari proprio liberando i prigionieri e impossessandosi del
prezioso carico. Fecero buon viso a cattivo gioco e acconsentirono
alla richiesta di Federico II facendo entrare gli uomini e il carico.
Ben presto dovettero pentirsene. I prigionieri si rivelarono per
quello che erano, uomini bene armati, e in breve tempo presero il
controllo delle porte cittadine. Uccisero diversi uomini e fecero
entrare l'esercito imperiale, che stabilì il controllo sul castello.
Ma
ancor più significativa è la notizia, probabilmente qui per la
prima volta pubblicata, dell'accecamento del
Cancelliere che aveva tradito Federico II, il celebre Pier delle
Vigne, il quale poco dopo si sarebbe suicidato. Secondo Panfoldo tali episodi sarebbero avvenuti a San Miniato.
Come
detto precedentemente, i fatti narrati rimangono privi di
riscontri documentari oggettivi. Anche sulle ultime vicende terrene
di Pier delle Vigne il dibattito è ancora aperto e, nonostante
permanga la forte la tradizione sanminiatese, il luogo del suo
accecamento e del suo suicidio, rimangono ad oggi sconosciuti. Essendo la prima pubblicazione che ne parla, forse la tradizione sanminiatese legata a Pier delle Vigne potrebbe essere stata avviata proprio da questo testo. Al momento non lo sappiamo. Approfondiremo.
Pandolfo
Collenuccio,
Compendio
delle Historie del Regno di Napoli,
Venezia,
1541, frontespizio
Di
seguito è proposto l'estratto con le notizie sanminiatesi: Pandolfo
Collenuccio, Compendio
delle Historie del Regno di Napoli,
Venezia, 1541, Libro IV, pp. 91-94.
[p.91v]
«[…]
Partito poi dal Borgo S. Donino Federico, tuttavia provvedendo al
rimettere de l'esercito, si ridusse a Cremona l'anno 1249 del mese di
settembre, ove ebbe avviso il re di Sardegna aver espugnato un
castello di Regio chiamato Arolo & haver impiccato innanzi a le
porte d'esso novantasette ribelli de l'imperio, quali dentro li avea
trovati; nondimeno vedendo tutta la Lombardia volta a rebellione e la
difficoltá grande in quelle parti e tra alcuni de li suoi qualche
spirito di prodizione, & intra li altri in Piero da le Vigne, il
quale era giudice de la corte e secretario, e fu il primo uomo che
appresso di sé avesse, lo fece pigliare, e del mese di aprile
sequente si partì di Lombardia con intenzione di andare in Puglia e
poi tornarvi l'Agosto sequente.
Passando
adunque per Toscana trovò il principe di Antiochia suo figliuolo con
li fiorentini a campo a Caprara ove si erano ridotti li guelfi suoi
ribelli, i quali si ingegnavano di far rebellare tutta Toscana e
massime il castello S. Miniato li fece dar la battaglia et espugnarlo
e li guelfi fatti prigioni ordinò si menassino con seco nel reame.
E
perché quelli di S. Miniato corrotti da' guelfi avevano già preso
il veneno della rebellione e titubavano [p.92r]
in modo che non era da
aver fede in loro, e non voleva l'imperatore perderli tempo attorno,
deliberò con astuzia haverli, la qual fu in questo modo. Imperocché
dissimulando la perfidia loro, tolse buon numero de li suoi migliori
soldati fedeli, & animosi, & feceli chatenare in modo che
parea fussino prigioni lombardi, e fece cargare li muli di molti
forzieri pieni d'arme d'ogni sorte e coprire le some de tapeti, e
coperte, in modo che pareva la camera e la salva robba sua; e quelli
simulati prigioni con Piero da le Vigne innanzi, il quale era
veramente prigione e ben legato, e tutte dette some di forzieri le
mandò con suoi messi fidati a S. Miniato, che dicessino a quelli
uomini da parte sua, che non havendo in Toscana l'imperatore la piú
fidele terra di S. Miniato né in che piú si fidassi, volendo andar
con prestezza senza impedimento nel reame con intenzione di tornar
presto, li mandava questi prigioni che erano di importantia e la più
chara roba sua, e li pregava volessino conservarli ogni cosa con
diligenza sino a la sua tornata. I Samniatesi vedendosi l'Imperatore
armato appresso, anchora che si sentissino sospetti, estimando, che
non poteano perdere in tutto, partendo lo Imperatore e lasciandoli
quella robba e quelli prigioni, dissimulorono anche loro e
dimontrandosi molto fedeli acceptorono ogni cosa con buon volto, e in
la terra li intromiseno. Li buoni soldati, quando li parse il tempo
secondo l'ordine dato, in un momento buttorono in terra le chatene,
le quali erano in modo aconcie che subito si scioglierno, e preseno
l'arme virilmente gridando imperio imperio, ammazando homini e
pigliando le porte
[p.92v]
& intromettendo
l'essercito, presono subito il castello, e li traditori morti e le
lor case ruinate, fu stabilito quel loco al dominio de l'Imperatore.
Fatto
questo nel medesimo castello S. Miniato fece cavare gli occhi à
Piero da le vigne, el quale essendo stato il primo huomo di corte, e
notissimo a tutto il mondo, non potendo sostenere di vivere più
senza occhi, e stimolandolo la coscientia del haver tradito il suo
signore, se medesimo in conspetto pubblico ammazzò. Questo fine ebbe
Piero da le vigne, iurista di molta dottrina & esperientia, tra
li pochi di quelli tempi nominato grandemente e avuto in gran
reputazione.
Lasciando
S. Miniato Federico per il camin dritto, senza toccare il territorio
Fiorentino, se ne andò a Siena, e di lì in Puglia a Foggia l'anno
1250, ove intese il re di Sardegna suo figliuolo, essendo stato
chiamato da' modenesi per sussidio contra bolognesi, due miglia
lontano da Modena virilmente combattendo esser stato preso e menato a
Bologna in prigione il mese di maggio. E per questo il legato
apostolico e l'altre genti ecclesiastiche e guelfe per Lombardia e
per Romagna e per Toscana, come libere per l'assenza sua e prigionia
di Entio, scorrevano il paese e per prodizione e per forza e per
accordo tutti li stati imperiali ribellando, e voltando, onde
Federico con piú animo che mai si diede a far denari, e gente d'arme
per tornare potentissimo in Lombardia e far aspra vendetta de' suoi
nemici.
[…]
[p94v]
Magnifico, liberale e
magnanimo, grandissimo rimuneratore de' benefici e di uomini fedeli,
severissimo vendicatore de la perfidia; per tutte le nobili cittá
del regno di Puglia e de l'isola di Sicilia fece fare nobilissimi
edifici che saria superfluo a raccontarli: ma tra li altri in Abruzzo
la cittá de l'Aquila, in Napoli il castello di Capuana, la torre e
il ponte di Capua, il castello di Trani, in Toscana il castello di
Prato e la rocca di S. Miniato, in Romagna la rocca di Cesena, di
Bertinoro, di Faenza e di Cervia, palazzi e chiese per tutto.»
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