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sabato 15 aprile 2023

QUANTI ANNI HA LA ROCCA DI SAN MINIATO?


di Francesco Fiumalbi
 
La recente iniziativa promossa dal Comune di San Miniato per “celebrare” gli 800 anni della Rocca, mi ha offerto lo spunto per questo post. Quanti anni ha veramente la rocca di San Miniato? 800 come è stato detto? La domanda è semplice ma la risposta è abbastanza complessa.
 
Innanzitutto va detto che a San Miniato facciamo largo uso di una sineddoche, quella figura retorica per la quale si prende il tutto per una parte oppure una parte per il tutto. Infatti per “rocca” si deve intendere una fortificazione d’altura, un complesso militare difensivo costituito da varie strutture ed edifici, fra cui mura, torri, fossati, etc… per cui, in virtù della sineddoche, quando a San Miniato diciamo “rocca” molto spesso intendiamo la “torre”.

La Torre della Rocca di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Se consideriamo la definizione di “rocca” come fortificazione militare d’altura, allora, la prima attestazione di un castello sulla cima del colle sanminiatese risale all’anno 904. Il documento riguarda il monastero lucchese di San Ponziano e contiene la “dotazione” patrimoniale dello stesso cenobio, tra cui la curiam di Faognana, indicata nel territorio giurisdizionale della pieve di San Genesio, prope castrum Sancti Miniatis (01).
 
Quindi se facciamo riferimento a questo, la prima struttura difensiva sanminiatese avrebbe almeno 1119 anni! Dico almeno, perché la prima attestazione è del 904, ma vuol dire che il castello è stato costruito precedentemente. Tuttavia non conosciamo l’anno esatto.
 
Se poi per “rocca” intendiamo quella organizzata nell’ambito dell’amministrazione imperiale, allora arriviamo ad un periodo compreso fra il 1160-63 e il 1174.
 
Fra il 1160 e il 1163, infatti, a San Miniato viene insediato il primo vicario imperiale, con il passaggio dal sistema marchionale a quello vicariale promosso dall’Imperatore Federico I di Svevia “Barbarossa”. In proposito si veda il post: L’ARRIVO DELL’AMMINISTRAZIONE IMPERIALE A SAN MINIATO .
 
Al 1172, invece, risale il giuramento dei sanminiatesi con i fiorentini ed i pisani, i quali si proponevano di recuperare il controllo sul centro sanminiatese anche sine superiori incastellatura, ovvero anche senza la fortificazione d’altura (02). In proposito si veda il post: IL GIURAMENTO DEI SANMINIATESI E LA NASCITA DEL COMUNE .
 
Nel 1172 scoppiò la guerra contro Pisa, Firenze e San Miniato, da parte di Genova, Lucca e Siena assieme al cancelliere imperiale Cristiano di Buch, arcivescovo di Magonza, che portò alla distruzione di San Miniato, come concordano varie fonti (su tutti Bernardo Maragone). Nel 1174 invece i sanminiatesi sconfitti poterono rientrare a San Miniato, trovando una situazione ormai normalizzata. Ovvero l’abitato che un tempo si trovava attorno alla fortificazione d’apice, e che era stato distrutto con la guerra, fu ricostruito a distanza di sicurezza, lungo la strada di crinale del colle sanminiatese. In questo modo si creò un’ampia zona, corrispondente effettivamente con il complesso difensivo di epoca imperiale. Inoltre, è davvero significativo la circostanza secondo la quale, quattro anni più tardi, il 20 gennaio 1178 l’Imperatore Federico “Barbarossa” si trovasse a San Miniato, dove rilasciò un diploma all’Abbazia di San Salvatore ad Isola nell’odierno Comune di Monteriggioni (SI). L’atto fu registrato im palacio apud castrum sancti Miniatis, quindi all’interno del “palazzo” presso il castello di San Miniato, quindi l’amministrazione imperiale aveva provveduto ad organizzare la rocca. (03).
 
Come osservato da Emilia Marcori, entro la rocca va situato poi l’edificio atto ad ospirtare i funzionari imperiali e la guarnigione di presidio, descritto nelle relazioni cinquecentesche come un palazzo in grave stato di decadenza (04).
 
Quindi se facciamo riferimento a questa seconda fase della fortificazione, la rocca avrebbe all’incirca 850-860 anni, anno più, anno meno.
 
Ma allora perché sono stati celebrati gli 800 anni della rocca?
 
La cosa nasce da una notizia che non ha una fonte diplomatica, bensì narrativa. Si tratta della Cronica di Giovanni Villani, vissuto nella Firenze della prima metà del ‘300. Egli scrive la storia del suo tempo e dei tempi più antichi, a partire dalla fondazione della città di Firenze. Per gli eventi di cui è testimone diretto è considerato una fonte abbastanza attendibile, mentre è considerato attendibile solo parzialmente per tutte quelle informazioni più antiche, e sempre meno attendibile man mano che si allontanano dal periodo in cui egli visse. L’episodio in questione risale al 1220, quindi alcuni decenni prima della sua nascita e della compilazione della sua cronica, che inizia nel 1300 e porta avanti fino alla morte nel 1348.
 
In particolare Villani scrisse «Negli anni di Cristo MCCXX, il dì di santa Cecilia di novembre, fue coronato e consecrato a Roma a imperadore Federigo secondo re di Cicilia, figliuolo che fu dello ’mperadore Arrigo di Svevia […] Questo Federigo regnò XXX anni imperadore, e fue uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura e di senno naturale, universale in tutte cose; […] E più altre notabili cose fece fare: il castello di Prato, e la rocca di Samminiato, e molte altre cose, come innanzi faremo menzione.» (05)
 
Anche altri autori, contemporanei del Villani, riportano la medesima notizia, più o meno con gli stessi termini, come nel caso di Ricordano Malispini. Tuttavia questi autori, tutti fiorentini, sono debitori del testo di Giovanni Villani. I cronisti lucchesi, pisani, senesi, pistoiesi o di altri centri, non riportano questa notizia. E questo in qualche modo ci dovrebbe far suonare un campanellino. Si noti poi che si parla genericamente di rocca, del complesso fortificato d’altura, senza mai parlare di una torre. D’altra parte il binomio rocca e torre non è affatto scontato: esistono rocche senza torri, ma anche torri senza rocca.
 
In ogni caso, nel 1223, l’accordo commerciale fra il Comune di San Miniato e quello di San Gimignano, venne stipulato in cassaro sancti Miniatis ante ecclesiam beati Michaelis, ovvero nel cassero della rocca, davanti alla chiesa di San Michele Arcangelo (06). Anche in questo caso si parla della fortificazione genericamente, senza documentare la presenza di una torre.
 
A partire dalla fonte narrativa di Giovanni Villani e considerando il termine “cassaro”, attestato per la prima volta nel 1223 in luogo di altri termini come castello o incastellatura, Maria Laura Cristiani Testi, ha proposto di inquadrare fra il 1220 e il 1223 il periodo in cui Federico II avrebbe promosso un considerevole intervento edilizio che avrebbe portato la fortificazione sanminiatese, ovvero la rocca, completa anche della torre, nella sua configurazione definitiva (07). Tuttavia non ci sono attestazioni documentarie certe, ma labili informazioni (provenienti solo da un autore e dai suoi seguaci) e ragionamenti più o meno sofisticati. Come detto esistono anche rocche senza torri.
 
E la faccenda non finisce qua. Se volessimo essere pignoli e trovare la prima attestazione documentaria relativa alla torre (indicata modernamente come Torre di Federico II) dobbiamo arrivare al XIV secolo…. Quindi, addirittura, allo stato attuale degli studi e delle informazioni documentarie disponibili, potrebbe anche darsi che Federico II con la torre non c’entri nulla!
 
Nel 1258, fra la morte di Federico II (1250) e la battaglia di Montaperti (1260), si ha notizia di come i lucchesi avessero la custodia, pagata a loro spese, della rocca di San Miniato (08). Ancora una volta si parla di rocca ma non della torre.
 
Nel Diario di Giovanni di Lemmo da Comugnori, che copre un arco temporale fra il 1299 e il 1319, ancora una volta non si parla mai di torre della rocca, bensì di fortiam Comunis, ovvero di fortezza comunale, del comune di San Miniato. (09).
 
Negli Statuti del 1337 si parla della campana rocche da suonare per radunare il Consiglio del Popolo nel nuovo palazzo comunale (domo nova leonis) (10). Negli stessi Statuti si dice anche di quando, in caso di incendio, i custodi della rocca debbano pulsare campanellam minorem que est super arce (11). Si potrebbe ammettere che un tale apparato campanario, costituito da una campana più grande ed una più piccola, non possa che avere come naturale collocazione la cella campanaria in cima ad una torre. In realtà esistono anche altri sistemi, come i cosiddetti campanili a vela. Tuttavia, in tutti gli Statuti del 1337, non è mai, e sottolineo mai, citata la torre della rocca. E’ invece attestata la turrim vel palatium populi – la torre o palazzo del Capitano del Popolo, con relativa campana, che corrisponde alla porzione occidentale dell’attuale palazzo vescovile (12).
 
Infine, la prima attestazione documentaria certa della presenza della torre è contenuta nella riforma degli Statuti del 1354, in cui si parla della custodia della rocca e della relativa turris roche, che per tre anni veniva affidata ad una guarnigione fiorentina (13).
 
Va detto, poi, che molti studiosi, negli anni, hanno osservato numerose assonanze formali fra la torre della rocca di San Miniato e la cosiddetta torre di Arnolfo, che campeggia sopra Palazzo Vecchio a Firenze e che fu costruita intorno al 1310. In almeno un paio di occasioni ho sentito dire che la torre sanminiatese avrebbe fatto da modello a quella fiorentina. Ora, considerando che la prima attestazione documentaria della torre di San Miniato è del 1354, potrebbe anche darsi che la situazione sia opposta: le forme della struttura sanminiatese potrebbero dipendere da quelle della torre fiorentina. Chi può escluderlo?
 
Infine, nei documenti trecenteschi, a partire proprio dagli atti di riforma degli Statuti datati 1354, si parla sempre di “torre della rocca” o “torre del castello”. Per trovare la torre associata all’imperatore Federico II si dovrà attendere la produzione storiografica della seconda metà del XIX secolo (prima Lami, Fontani e Repetti non accostano Federico II alla costruzione della rocca). È curioso osservare come si evolve la storia attraverso gli autori ottocenteschi… si passa dalle parole del proposto Giuseppe Conti, che parla della chiesa di San Michele dentro la fortezza (come dice il documento del 1223), alle parole più decise ma anche al punto interrogativo di Giuseppe Rondoni, fino alle certezze di Giuseppe Piombanti, ma ancor di più del Can. Francesco Maria Galli Angelini, per il quale la rocca e quindi anche la torre fu costruita per volontà di Federico II. Una circostanza che non è mai stata messa in discussione, ma, come abbiamo visto, priva di adeguati riscontri documentari.
 
Così il Conti nel 1863:
«1218. Corrado Spirense vicario di Federigo II (Tommasi, Storia di Siena) risiedeva in Sanminiato (Boninc. Hist. Sic. P.2) munisce a guisa di fortezza la chiesa di S. Michele. Ricordano Malaspina, Villani e Buoninc. All’anno 1226. Federigo II nel mese di Luglio di detto anno trovavasi in Sanminiate, come apparisce da un privilegio conceduto alla chiesa di S. Salvatore di Fucecchio, Datum apud S. Miniatum, e pubblicato dal Soldani nella storia di Passignano(14)
 
Così il Rondoni nel 1876:
«Corrado [di Spira] suo prefetto [di Federico II] innanzi di passare nell’Umbria, aveva munita a guisa di fortezza la chiesa di S. Michele posta sulla cima del poggio di S. Miniato, e vi faceva innalzare una rocca (1236?) che rimane anche oggi, benché quasi in rovina, e donde lo sguardo corre su mezza Toscana(15)
 
Così il Piombanti nel 1894:
«Concedeva [Federico II] quindi al nostro comune la terza parte delle alluvioni dell'Arno nel territorio samminiatese; ordinava vi risiedesse stabilmente il giudice degli appelli per la Toscana tutta; faceva circondare a guisa di fortezza, sulla cima del poggio, la chiesa di S. Michele, sopra edificandovi l'eccelsa rocca, d'onde tu puoi vedere mezza la Toscana.» (16).
 
Così il Galli Angelini nel 1928:
«Sulla vetta del colle Federico II fece costruire nel 1218 da Corrado da Spira la celebre rocca [intesa come torre per sineddoche), oggi monumento nazionale.» (17).
 
Quindi, per concludere, cosa rispondere alla domanda:
quanti anni ha la rocca di San Miniato?
 
Io personalmente risponderei:
bella domanda! Ma non ho una risposta certa!
Sicuramente c’era un castello nel 904, che diventa sede dell’amministrazione imperiale fra il 1160 e il 1163, strutturato e organizzato entro il 1174, al tempo di Federico Barbarossa. Il nipote Federico II non si sa bene cosa abbia fatto costruire, forse anche niente. Di sicuro la storia va fatta con i documenti, non con le chiacchiere o con le speculazioni storiografiche. E se si bada ai documenti la rocca (intesa come fortificazione d’altura) è sicuramente precedente al 1223. Mentre la torre (chiamata come rocca per sineddoche) è attestata per la prima volta nel 1354!
 
Quale data scegliereste?
 
NOTE E RIFERIMENTI
(01) Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, San Ponziano, 904; ed. Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, Tomo V, parte III, a cura di D. Barsocchini, Lucca, 1841, n. MLXXXV, p. 29.
(02) Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, San Miniato, n. 1, 1172, maggio 5; ed. Documenti dell’antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Documenti di Storia Italia, tomo X, Firenze, 1895, pp. 363-364.
(03) Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, S. Eugenio di Siena, 1178 gennaio 20; ed. T. von Sickel, Friderici I. Diplomata inde ab a. MCKXVIII ad a. MCLXXX., Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, Tomo X, Parte III, Hannoverae, 1985, n. 726, pp. 263-264.
(04) E. Marcori, Difesa da Santi, leoni e un Crocifisso. Appunti sull’origine civile e militare di San Miniato al Tedesco, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», n. 78, San Miniato, 2011, p. 163.
(05) Croniche di Giovanni, Matteo e Filippo Villani secondo le migliori stampe e corredate di note filologiche e storiche, Vol. I, Trieste, 1857, pp. 75-76.
(06) Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Comune di San Gimignano, 15 gennaio 1223; ed. J. Ficker, Forschungen zur reichs und rechtsgeschichte Italiens, Innsbruck, 1874, n. 304, pp. 338-339.
(07) M. L. Cristiani Testi, San Miniato al Tedesco. Saggio di Storia Urbanistica e Architettonica (Firenze, 1967, pp. 58-67.
(08) Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Archivio di Stato, Tarpea, 1258 febbraio 26.
(09) Ser Giovanni di Lemmo da Comugnori, Diario (1299-1319), a cura di V. Mazzoni, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2008, c. 36v, p. 48.
(10) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Fondo Comune di San Miniato, Atti Vari, Statuti, n. 2247, Libro IV, rubrica <13>, c. 116v; ed. Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco, a cura di F. Salvestrini, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, p. 295.
(11) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Fondo Comune di San Miniato, Atti Vari, Statuti, n. 2247, Libro V, rubrica 42 <43>, c. 198r; ed. Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco, a cura di F. Salvestrini, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, p. 443.
(12) Archivio Storico del Comune di San Miniato, Fondo Comune di San Miniato, Atti Vari, Statuti, n. 2247, Libro IV, rubrica 48 <51>, c. 139r; ed. Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco, a cura di F. Salvestrini, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, p. 337.
(13) Archivio di Stato di Firenze, Statuti delle comunità autonome e soggette, n. 734, Statuti di S. Miniato, Riforme di S. Miniato dall’Anno 1354 al 1496, c. 8v; ed. Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco, a cura di F. Salvestrini, Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, Comune di San Miniato, Edizioni ETS, Appendice II, p. 482.
(14) G. Conti, Storia della venerabile immagine e dell'Oratorio del SS. Crocifisso detto di Castelvecchio nella città di Sanminiato, M. Cellini, Firenze, 1863, p. 86.
(15) G. Rondoni, Memorie storiche di S. Miniato al Tedesco con documenti inediti e le notizie degl’illustri samminiatesi, Tip. Massimo Ristori, San Miniato, 1876, p. 47.
(16) G. Piombanti, Guida della Città di San Miniato al Tedesco. Con notizie storiche antiche e moderne, Tipografia M. Ristori, San Miniato, 1894, p. 20.
(17) F. M. Galli Angelini, San Miniato. La sveva città del Valdarno, Le Cento Città d’Italia, fasc. 86, Casa Editrice Sonzogno, Bergamo, 1928, p. 3.
 
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sabato 28 settembre 2019

ADDSM - 1209, 29 OTTOBRE - IMPERATORE OTTONE IV A SAN MINIATO

ARCHIVIO DOCUMENTARIO DIGITALE DI SAN MINIATO [ADDSM]
1209, 29 ottobre, l’Imperatore Ottone IV di Brunswick a San Miniato
In  questa pagina è proposta la trascrizione e il commento dell'atto rilasciato dall'Imperatore Ottone IV di Brunswick alla città di Siena il 29 ottobre 1209.

L’ORIGINALE. Il documento originale è conservato presso l’Archivio di Stato di Siena, Fondo Diplomatico, Diplomatico Riformagioni Balzana, Pergamena 009 – 1209 ottobre 29, casella 32. Il documento è visualizzabile on-line al seguente link >>>.

SPOGLIO. [Regesto ASSi] Ottone IV, volendo punire i ribelli e premiare i fedeli, riceve i Senesi suoi devoti sotto la sua protezione e rimette loro tutti i tributi non pagati dalla morte dell'imperatore Enrico VI fino a quel giorno. [J. F. Boehmer] Otto IV nimmt die von Siena wieder in seine gnade, erlässt ihnen alle seit dem tode Kaiser Heinrichs nicht geleisteten zahlungen und befreit sie vom ersatze inzwischen angerichteten schadens. San Miniato 1209 oct. 29. [G. Tommasi] (Ottone IV) si condusse da Chiuci a S. Miniato, dove a 27. Di Ottobre per mezzo degli Ambasciadori Sanesi, che lo havevan sempre seguitato, ricevè la Repubblica, e tutta la città nella pienezza della grazia sua, e promesse relassarle tutte le gravezze, e tributi soliti pagarsi agli Imperadori, ed in tutto liberarla, pur che mandassero seco in Puglia sua gente contro a Federigo: e pagassero i feudi decorsi dalla morte di Arrigo VI fin a quel giorno; e fù l’uno, e l’altro partito accettato.

COMMENTO a cura di Francesco Fiumalbi
Il 4 ottobre 1209, a Roma, il Papa incoronò Imperatore Ottone di Brunswick [1175-1218]. Costui  era il rivale “guelfo” di Federico II per il trono del Regno di Sicilia, lo stesso Federico che lo priverà della corona imperiale con l’elezione a Re dei Romani (1211).
Il documento proposto in questa pagina, datato 29 ottobre 1209, si inserisce nei giorni immediatamente successivi alla sua incoronazione. Proprio la controversia per il Regno di Sicilia determinò lo scoppio dello scontro con Papa Innocenzo III, fautore di Federico II. Il novello Imperatore occupò militarmente vasti territori della Chiesa (fra cui Montefiascone, Viterbo, Perugia e Orvieto) ed aggredì il Regno di Sicilia in Puglia e in Campania. Fin dai primi giorni, dunque, l’Imperatore cercò di trovare sostegno nelle città della Toscana, in particolare con Siena e Pisa (indirettamente anche con Volterra), per poter realizzare il suo disegno politico e riunire l’Italia Meridionale con il resto dell’Impero. Tuttavia, questa sua attività politica e militare gli varrà l’inimicizia di Papa Innocenzo III, che lo scomunicherà il 18 novembre 1210, segnandone il declino.

L’atto presenta motivo di interesse poiché fu redatto presso San Miniato. Nel testo viene indicato solamente il nome del centro abitato, San Miniato, senza ulteriori indicazioni. Per cui non sappiamo se il termine utilizzato, apud (vicino, presso), indichi l’effettiva presenza di Ottone IV all’interno del castello che, a partire dal 1160-63 con l’intervento di Federico I Barbarossa, era diventato il centro dell’amministrazione imperiale per la Toscana. Tuttavia, ulteriori documenti, ci informano che Ottone rimase effettivamente a San Miniato almeno fino al 4 novembre 1209, mentre il 6 novembre successivo si era spostato a Fucecchio. Tale circostanza è significativa, poiché alla morte del Barbarossa, San Miniato aderì alla Lega di San Genesio (1197) e probabilmente, per un certo periodo, poté godere di una relativa autonomia. Il passaggio e la sosta dell’Imperatore da San Miniato segnò, dopo oltre un decennio, un netto riavvicinamento alla Corona. Verosimilmente, Ottone si preoccupò di riattivare la funzione amministrativa e militare del castello sanminiatese, in modo da raccordare con più efficacia la sua politica nella regione. Di questo ne è testimonianza l'accordo sancito con i Senesi (14 dicembre 1209), i quali si obbligarono a pagare un censo annuo alla Corona da pagare entro 15 giorni dopo la Pasqua presso il castello di San Miniato. Tuttavia, la necessità di favorire gli alleati Pisani – che disponevano di una flotta navale capace di effettuare una spedizione in Sicilia – costringerà l’Imperatore a sacrificare l’autonomia dei sanminiatesi.

Grazie alla serie di documenti pervenuti siamo in grado di seguire gli spostamenti di Ottone dopo la sua incoronazione: il 4 ottobre è a Roma, il 12 ottobre è a Montefiascone, il 21 ottobre è a Siena, il 25 ottobre a Poggibonsi, il 27 ottobre è a Castelfiorentino, il 28 è nuovamente a Poggibonsi, il 29 è a San Miniato fino al 4 novembre, fra il 6 e l’8 novembre è a Fucecchio e a partire dal 16 novembre è attestato a Lucca. Il 20 novembre è a Pisa, il 3 dicembre a Firenze, il 12 dicembre a Foligno.

Fonti e riferimenti bibliografici. G. Tommasi, Dell’Historie di Siena, Parte I, Venezia, 1625, p. 198; F. Salvestrini, Il nido dell’aquila. San Miniato al Tedesco dai Vicari dell’Impero al Vicariato Fiorentino del Valdarno Inferiore (secc. XI-XIV), in Il Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (Secoli XI-XV), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Atti del convegno di studi 30 settembre – 2 ottobre 2005, Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 2008, p. 245.
TRASCRIZIONE. Il testo del documento proposto di seguito è tratto da J. F. Boehmer, Acta Imperii selecta. Urkunden Deutscher Konige und Kaiser mit einem anhange von reichssachen, Innsbruck, 1870 n. 1068, pp. 764-765.

Otto quartus divina favente clementia Romanorum imperator et semper augustus. Imperatorie maiestatis nostre serenitas, sicut rebelles quosque debita animadversione ducit puniendos, ita devotos et fideles suos consueta benignitatis sue clementia iudicat respiciendos. Quapropter notum facimus universis imperii nostri fidelibus presentibus et futuris, quod nos inspecta ferventi devotione, quam fideles nostri cives Senenses circa sublimitatis nostre obsequia constanter se exibent exhibituros, ad instautem ipsorum postulationem universos et singulos in plenitudinem gracie nostre recepimus, pie et clementer remittentes singulis et universis omne tributum sive tributa annualia et debita, quecumque retinuerunt et non solverunt a tempore mortis antecessoris nostri Heinrici illustrissimi Romanorom imperatoris divi augusti usque nunc, et omnes exactiones, iniurias, molestias, maleficia et dapna facta sive illata ubique vel quibuscumque personis. Statuentes itaque imperiali decernimus auctoritate, quatinus predicti fideles nostri cives Senenses non teneantur in toto vel in parte inde alicui vel aliquibus personis de iure vel de facto aut aliquo alio modo respondere; volumus enim et sanccimus, ut inde sint in perpetuum liberi et absoluti. Ad cuius rei certam in posterum evidentiam presentem paginam inde conscriptam maiestatis nostre sigillo iussimus communiri.
Datum apud Sanctum Miniatem, anno dominice incarnationis MCCVIIII., indictione XIII., IIII. kalendas novembris.

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San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

martedì 1 aprile 2014

A SAN MINIATO IL TESORO DI TOSCANA DI FEDERICO II DI SVEVIA


Siamo felicissimi di comunicare in anteprima una scoperta che sembra avere dell'incredibile, di enorme portata e destinata ad aprire nuovi scenari di ricerca per San Miniato.
Ci ha contattato il Prof. Angelo Russo del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell'Università Federico I Barbarossa di Napoli, per comunicarci in via preliminare i risultati di una importantissima ricerca, che in forma ufficiale verranno presentati il prossimo 20 aprile. Inoltre, vista la straordinarietà, stiamo cercando di organizzare anche una presentazione a San Miniato nel mese di maggio.
Il Prof. Angelo Russo, assieme agli assistenti del suo gruppo di ricerca, hanno riportato alla luce uno straordinario documento all'interno dell'urna sepolcrale di Federico II di Svevia, collocata all'interno della Cattedrale di Palermo. Già fra il 1997 e il 1999 l'urna federiciana era stata oggetto di studi ed esplorazioni, ma solo nello scorso mese di settembre 2013 è stato possibile effettuare un'indagine più approfondita, i cui risultati saranno presentati a Palermo, come detto, il prossimo 20 aprile.

Disegno tratto da T. A. Arcer e C. L. Kingsford, The Crusades. The story of the Latin Kingdom of Jerusalem, New York, 1894, p. 289. A sua volta tratto dal manoscritto De arte venandi cum avibus, conservato nella Biblioteca Vaticana (Pal. Lat. 1071)

Fra i vari reperti, uno di questi sembra far luce su una importante pagina della storia sanminiatese. Si tratta di una pergamena, contenuta in un piccolo cilindro marmoreo adagiato sul fianco sinistro del corpo dell'Imperatore. Il Prof. Russo ci ha brevemente accennato alla fase di analisi, che non è stata per niente semplice, e grazie alla quale è stato possibile riconoscere quello che è il “testamento” di Federico II. Non sembrano esserci dubbi sull'autenticità. Dall'analisi stilistica e linguistica, il testo è risultato perfettamente attinente alla metà del XIII secolo e anche i contenuti sono riferibili ai possedimenti imperiali fin qui documentati dalla storiografia.
Il Professore ci ha spiegato che nel documento vengono ordinate le ultime disposizioni dell'Imperatore, da cui se ne ricava un quadro molto articolato, composto da una moltitudine di proprietà, mobili e immobili. Fra queste, colpisce la frase costituita dalle seguenti parole:

[…] et Tuscia thesauri sub ecclesia Sancti Michaelis
in cassaro imperialis de Sancti Miniatis, et […]
pro abbatia Beati Galgani sita in loco dicto a la rotonda
in disctrictum senense, pro meo remedio animae.

[…] e il tesoro della Toscana che si trova sotto la chiesa di San Michele
nella fortezza imperiale di San Miniato […]
vada all'abbazia di San Galgano che si trova alla Rotonda (di Montesiepi)
nel territorio senese, per il riscatto della mia anima.

Il Prof. Russo, ci ha chiesto dell'effettiva esistenza della chiesa di San Michele all'interno della fortezza sanminiatese, di cui non aveva trovato riscontri. E noi siamo stati molto felici di comunicare al docente che in effetti la chiesa esisteva ed era proprio dentro le mura del castello! Documentata già nell'XI secolo, la chiesa seguì la sorte del castello e venne unita alla chiesa di Santo Stefano, prima della demolizione dell'edificio.
Dal testo, sembrerebbe che il “tesoro” della Toscana fosse custodito sotto la chiesa di San Michele, in un locale sotterraneo, che doveva funzionare da cripta, o qualcosa del genere. Purtroppo abbiamo dovuto spiegare al Prof. Russo che la “rocca” di San Miniato non è mai stata oggetto di ricerche e indagini archeologiche, per cui non conosciamo niente della chiesa di San Michele, se non le poche informazioni desunte dalla documentazione d'archivio.

Il “tesoro” di San Miniato sembra che fosse destinato, per motivi spirituali (pro remedio animae) all'Abbazia cistercense di San Galgano che si trova nel Comune di Chiusdino (SI). La comunità monastica venne fondata intorno al 1200. E la chiesa, famosissima per la sua straordinaria architettura gotica, fu costruita nella seconda metà del XIII secolo, con la consacrazione che avvenne nel 1288. L'enorme struttura non sarebbe stata possibile da realizzare senza uno straordinario intervento economico, ipotizzato da vari storici, ma privo di riscontri fino ad oggi.
Tra l'altro è interessante perché il ritrovamento sembra confermare quanto affermato da Mattew Paris, monaco benedettino inglese morto nel 1259, autore della Chronica major, (pubblicata da Hartmann Schedel nel Liber Chronicarum, Norimberga, 1493). Egli afferma che Federico II, in punto di morte, avesse voluto indossare l'abito cistercense e dettare le sue ultime volontà. Fino ad oggi non erano stati trovati riscontri in proposito, ma questa straordinaria scoperta sembra confermare, almeno parzialmente, la bontà di tali affermazioni.

La ricerca tende quindi ad arricchire, indubbiamente, l'importanza di San Miniato, quale centro per la raccolta dei tributi dovuti dalla Toscana all'Impero e rilancia l'ormai non più rinviabile campagna archeologica sulla Rocca. Il Prof. Russo afferma che San Miniato doveva essere un luogo strategico, di importanza vitale per l'amministrazione imperiale sull'Italia centro settentrionale, tanto da essere il luogo dove veniva custodito il “tesoro” toscano, di cui sappiamo pochissimo. Eventuali scavi archeologici potrebbero davvero riportare alla luce straordinarie testimonianze architettoniche e militari, e ci potrebbero dare un'idea dell'entità stessa del tesoro imperiale.
Per il momento non possiamo aggiungere altro, e rimandando gli approfondimenti alla presentazione ufficiale della ricerca, auguriamo un buon pesce d’aprile a tutti i sanminiatesi e non! E comunque anche se non esiste un documento che lo prova, il tesoro di Federico II esiste davvero, ed è la nostra rocca, che custodisce i suoi segreti, come un enorme forziere ancora tutto da esplorare!

AVVERTENZA: Se ancora non fosse chiaro... questo post è un "pesce d'aprile"! Come si vede in alto è stato pubblicato il 1 aprile 2014.

venerdì 1 novembre 2013

SAN MINIATO NEL “COMPENDIO” DI PANDOLFO COLLENUCCIO – XVI SEC.

a cura di Francesco Fiumalbi

In questo post è proposto un brano estratto da una pubblicazione della prima metà del '500. L'opera in questione è il Compendio delle Historie del Regno di Napoli redatto da Pandolfo Collenuccio, in cui sono riportate notizie interessanti riguardanti San Miniato alla metà del XIII secolo, nel periodo di Federico II. Tra l'altro, ancora una volta, emerge il carattere dei Sanminiatesi e questo aspetto non può far altro che aumentare la verosimiglianza di un episodio in particolare. Sembra destino, infatti, che San Miniato da castello forte e imprendibile quale dà impressione di essere, diventi alla prova dei fatti estremamente vulnerabile per lo scarso acume delle genti che lo popolano. In poche parole, stando a questa narrazione, i Sanminiatesi si fecero prendere per i fondelli dall'Imperatore.

Pandolfo da Coldonese, meglio noto come Pandolfo Collenuccio, fu un diplomatico, umanista, poeta e storico, nato a Pesaro nel 1444 e ivi morto nel 1504. Dopo gli studi in giurisprudenza presso l'Università di Padova, fece ritorno a Pesaro dove si ingraziò la protezione degli Sforza. Tuttavia, a causa di una lite, nel 1489 fu allontanato da Pesaro e i suoi beni confiscati. L'attività di diplomatico gli valse la protezione di Lorenzo il Magnifico che gli consentì, nel 1490, di ricoprire la carica di Podestà a Firenze. Qui entrò in contatto con gli ambienti culturali del tempo, ed in particolare con Angelo Poliziano e Pico della Mirandola. Successivamente si recò a Mantova e a Ferrara dove rimase fino al 1493. Nel novembre di quell'anno partì per la Germania con il corteo di Bianca Maria Sforza destinata a sposare Massimiliano d'Asburgo, dal quale aveva il compito di ottenere l'investitura per il duca Ercole I d'Este. Tornato in Italia, nel 1494 fu ambasciatore a Roma presso Papa Alessandro VI Borgia, dove tra l'altro sostenne la causa di Cesare Borgia. Tornato nuovamente a Ferrara, vi rimase fino al 1504. Morto Cesare Borgia, Giovanni Sforza gli permise di far ritorno in Pesaro. Si trattò di una trappola, in quanto non appena Pandolfo rientrò nella sua città natale, fu catturato, ancora per la lite del 1489. Fu giustiziato l'11 giugno del 1504, all'età di sessant'anni.

Fu autore di molti testi e componimenti in lingua latina e volgare. La sua opera principale è senza dubbio il Compendio delle Historie del Regno di Napoli, che iniziò nel 1498, su sollecitazione del Duca Ercole, che nel 1471 aveva sposato Eleonora d'Aragona. Fino alla sua morte portò avanti la stesura di quest'opera che, incompiuta, fu stampata postuma a Venezia nel 1539. Il Compendio conobbe molte ristampe anche se non fu accolto con benevolenza dalla critica del tempo. La storia del Regno di Napoli, così come descritta da Pandolfo, può essere facilmente riassunta nel continuo tentativo di costituzione di uno Stato, ostacolato da varie circostanze, su tutte l'azione dello Stato Pontificio. In questo senso, Pandolfo sottolinea il ruolo di quelle rare figure che invece sembrano superare le difficoltà e avviare alla costituzione di uno Stato autonomo e ben regolato. Su tutti emerge la figura di Federico II. Proprio all'Imperatore svevo sono legate le notizie e le informazioni riguardanti San Miniato, come l'edificazione della Rocca (circostanza riportata anche da Giovanni Villani e Ricordano Malispini). Sfortunatamente questi episodi rimangono, al momento, privi di riscontri, per cui devono essere considerati con le dovute cautele.


Disegno tratto da  T. A. Arcer e C. L. Kingsford, The Crusades. The story of the Latin Kingdom of Jerusalem, New York, 1894, p. 289. A sua volta tratto dal manoscritto De arte venandi cum avibus, conservato nella Biblioteca Vaticana (Pal. Lat. 1071)

Stando alla narrazione di Pandolfo, nel 1249 la Toscana vide un periodo favorevole alla Parte Guelfa con le città e i castelli impegnati nel conquistarsi l'autonomia dall'autorità imperiale. Fra questi c'era anche San Miniato. Federico II, sceso in Toscana, era deciso a riprendersi l'antica roccaforte, e lo fece con un espediente particolarmente arguto. Fece vestire alcuni dei suoi soldati migliori come se fossero prigionieri. Inoltre caricò i muli con grossi forzieri, riempiti di armi, ma nascosti sotto a delle coperte, come se si trattasse di materiale personale dell'Imperatore. Inviò i prigionieri e i materiali a San Miniato chiedendone la custodia temporanea, in attesa di riprenderne possesso, avendo intenzione di tornare al più presto. I Sanminiatesi, dal canto loro, vedendo l'Imperatore chiedere loro questo favore, pensarono di aver tutto da guadagnare. Magari proprio liberando i prigionieri e impossessandosi del prezioso carico. Fecero buon viso a cattivo gioco e acconsentirono alla richiesta di Federico II facendo entrare gli uomini e il carico. Ben presto dovettero pentirsene. I prigionieri si rivelarono per quello che erano, uomini bene armati, e in breve tempo presero il controllo delle porte cittadine. Uccisero diversi uomini e fecero entrare l'esercito imperiale, che stabilì il controllo sul castello.
Ma ancor più significativa è la notizia, probabilmente qui per la prima volta pubblicata, dell'accecamento del Cancelliere che aveva tradito Federico II, il celebre Pier delle Vigne, il quale poco dopo si sarebbe suicidato. Secondo Panfoldo tali episodi sarebbero avvenuti a San Miniato.
Come detto precedentemente, i fatti narrati rimangono privi di riscontri documentari oggettivi. Anche sulle ultime vicende terrene di Pier delle Vigne il dibattito è ancora aperto e, nonostante permanga la forte la tradizione sanminiatese, il luogo del suo accecamento e del suo suicidio, rimangono ad oggi sconosciuti. Essendo la prima pubblicazione che ne parla, forse la tradizione sanminiatese legata a Pier delle Vigne potrebbe essere stata avviata proprio da questo testo. Al momento non lo sappiamo. Approfondiremo.

Pandolfo Collenuccio,
Compendio delle Historie del Regno di Napoli,
Venezia, 1541, frontespizio

Di seguito è proposto l'estratto con le notizie sanminiatesi: Pandolfo Collenuccio, Compendio delle Historie del Regno di Napoli, Venezia, 1541, Libro IV, pp. 91-94.

[p.91v] «[…] Partito poi dal Borgo S. Donino Federico, tuttavia provvedendo al rimettere de l'esercito, si ridusse a Cremona l'anno 1249 del mese di settembre, ove ebbe avviso il re di Sardegna aver espugnato un castello di Regio chiamato Arolo & haver impiccato innanzi a le porte d'esso novantasette ribelli de l'imperio, quali dentro li avea trovati; nondimeno vedendo tutta la Lombardia volta a rebellione e la difficoltá grande in quelle parti e tra alcuni de li suoi qualche spirito di prodizione, & intra li altri in Piero da le Vigne, il quale era giudice de la corte e secretario, e fu il primo uomo che appresso di sé avesse, lo fece pigliare, e del mese di aprile sequente si partì di Lombardia con intenzione di andare in Puglia e poi tornarvi l'Agosto sequente.
Passando adunque per Toscana trovò il principe di Antiochia suo figliuolo con li fiorentini a campo a Caprara ove si erano ridotti li guelfi suoi ribelli, i quali si ingegnavano di far rebellare tutta Toscana e massime il castello S. Miniato li fece dar la battaglia et espugnarlo e li guelfi fatti prigioni ordinò si menassino con seco nel reame.
E perché quelli di S. Miniato corrotti da' guelfi avevano già preso il veneno della rebellione e titubavano [p.92r] in modo che non era da aver fede in loro, e non voleva l'imperatore perderli tempo attorno, deliberò con astuzia haverli, la qual fu in questo modo. Imperocché dissimulando la perfidia loro, tolse buon numero de li suoi migliori soldati fedeli, & animosi, & feceli chatenare in modo che parea fussino prigioni lombardi, e fece cargare li muli di molti forzieri pieni d'arme d'ogni sorte e coprire le some de tapeti, e coperte, in modo che pareva la camera e la salva robba sua; e quelli simulati prigioni con Piero da le Vigne innanzi, il quale era veramente prigione e ben legato, e tutte dette some di forzieri le mandò con suoi messi fidati a S. Miniato, che dicessino a quelli uomini da parte sua, che non havendo in Toscana l'imperatore la piú fidele terra di S. Miniato né in che piú si fidassi, volendo andar con prestezza senza impedimento nel reame con intenzione di tornar presto, li mandava questi prigioni che erano di importantia e la più chara roba sua, e li pregava volessino conservarli ogni cosa con diligenza sino a la sua tornata. I Samniatesi vedendosi l'Imperatore armato appresso, anchora che si sentissino sospetti, estimando, che non poteano perdere in tutto, partendo lo Imperatore e lasciandoli quella robba e quelli prigioni, dissimulorono anche loro e dimontrandosi molto fedeli acceptorono ogni cosa con buon volto, e in la terra li intromiseno. Li buoni soldati, quando li parse il tempo secondo l'ordine dato, in un momento buttorono in terra le chatene, le quali erano in modo aconcie che subito si scioglierno, e preseno l'arme virilmente gridando imperio imperio, ammazando homini e pigliando le porte [p.92v] & intromettendo l'essercito, presono subito il castello, e li traditori morti e le lor case ruinate, fu stabilito quel loco al dominio de l'Imperatore.
Fatto questo nel medesimo castello S. Miniato fece cavare gli occhi à Piero da le vigne, el quale essendo stato il primo huomo di corte, e notissimo a tutto il mondo, non potendo sostenere di vivere più senza occhi, e stimolandolo la coscientia del haver tradito il suo signore, se medesimo in conspetto pubblico ammazzò. Questo fine ebbe Piero da le vigne, iurista di molta dottrina & esperientia, tra li pochi di quelli tempi nominato grandemente e avuto in gran reputazione.
Lasciando S. Miniato Federico per il camin dritto, senza toccare il territorio Fiorentino, se ne andò a Siena, e di lì in Puglia a Foggia l'anno 1250, ove intese il re di Sardegna suo figliuolo, essendo stato chiamato da' modenesi per sussidio contra bolognesi, due miglia lontano da Modena virilmente combattendo esser stato preso e menato a Bologna in prigione il mese di maggio. E per questo il legato apostolico e l'altre genti ecclesiastiche e guelfe per Lombardia e per Romagna e per Toscana, come libere per l'assenza sua e prigionia di Entio, scorrevano il paese e per prodizione e per forza e per accordo tutti li stati imperiali ribellando, e voltando, onde Federico con piú animo che mai si diede a far denari, e gente d'arme per tornare potentissimo in Lombardia e far aspra vendetta de' suoi nemici.
[…] [p94v] Magnifico, liberale e magnanimo, grandissimo rimuneratore de' benefici e di uomini fedeli, severissimo vendicatore de la perfidia; per tutte le nobili cittá del regno di Puglia e de l'isola di Sicilia fece fare nobilissimi edifici che saria superfluo a raccontarli: ma tra li altri in Abruzzo la cittá de l'Aquila, in Napoli il castello di Capuana, la torre e il ponte di Capua, il castello di Trani, in Toscana il castello di Prato e la rocca di S. Miniato, in Romagna la rocca di Cesena, di Bertinoro, di Faenza e di Cervia, palazzi e chiese per tutto.»



martedì 4 giugno 2013

DALLA ROCCA SI VEDE IL MONDO

a cura di Francesco Fiumalbi

Dalla Rocca si vede il Mondo”. E' questa una delle frasi ricorrenti quando un sanminiatese, con occhi illuminati, invita qualcuno a salire sul punto più alto della propria Città. Ed è, probabilmente, anche uno degli aspetti che suggerirono agli imperatori germanici di eleggere San Miniato quale propria sede. Tutti i popoli toscani vedevano (e vedono) San Miniato e il suo castello imperiale, e da San Miniato i regnanti, o i loro vicari, potevano gettare gli occhi sulla Toscana e controllare, almeno visivamente, le altre città.

La “Rocca” di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

L'alta torre è uno dei principali motivi di orgoglio nei sanminiatesi, oggi, così come nei tempi passati. Ce ne fornisce prova Augusto Conti, celebre filosofo nonché Patriota d'Italia, nel suo Evidenza, Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi, Ranieri Guasti, Prato, 3° Edizione 1872 (1° Edizione, Firenze, 1862).

«Già i Samminiatesi son tutti a quel modo, né stanno bene che all'ombra della rocca; e si tengono tanto della lor terra, che presso i vicini destano gelosia».
[A. Conti, Evidenza... cit., p. 546]

Senza entrare troppo nei dettagli, con questo suo lavoro egli propone una serie riflessioni di filosofia su tutti i campi del sapere, dalla religione alla scienza, fino alla politica e all'arte, sotto forma di dissertazioni o di dialoghi. A conclusione dell'opera, divisa in due volumi, lascia spazio ad una “Lieta Brigata composta da un Romano, un Napoletano, un Siciliano, un Piemontese, un Lombardo e un Toscano. A primo acchito potrebbe sembrare una barzelletta, ma non lo è affatto. Guarda caso il Toscano è un Sanminiatese ed è un po' il capoccio della compagnia, che egli conduce a fare un “Viaggetto” di cinque giorni passando per le Pizzorne, Empoli, Vinci, Castelfiorentino, Certaldo, Gambassi, San Vivaldo giungendo, infine, a Cigoli e a San Miniato, che è la tappa conclusiva. E, al termine dei cinque giorni, proprio lassù, sulla cima della Rocca, i sei protagonisti si soffermano ad ammirare il panorama. Il discorso cade su un tema assai caro ad Augusto Conti: l'Unità d'Italia, non solo politico-amministrativa, ma anche culturale, e il difficile rapporto fra Stato e Chiesa. «Deh! Pensiamo e amiamo fortemente, operosamente; camminiamo col buon senso del popolo e con la sapienza degli avi; abbiamo cara la fede; e l'Italia è fatta. Ed è fatta pure la scienza e l'arte, non possibili senz'evidenza del vero, senz'amore del bene, e senza fede.»
Per risolvere quello che all'epoca era davvero una problema nazionale (il Conti scrive nel 1862, ma la Legge delle Guarentigie è del 1871!), Augusto Conti, intrinsecamente, suggerisce di guardare la questione dall'alto, per dominare il mondo che ci circonda, per meglio poter apprezzare la ricchezza e l'intensità culturale, religiosa e scientifica dell'Italia. Aveva bisogno, quindi, di una ambientazione in posizione d'altura. Ed egli scelse un punto preciso, la Rocca di San Miniato, situata al centro della Toscana, quella terra, culla del Rinascimento, considerata dal Conti un po' come il cuore d'Italia. Quindi al centro della Penisola e del mondo caro alla brigata.

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Ecco le parole di Augusto Conti:

«Già il sole s'avvicinava al tramonto, e, nunzio della sera, si levò un venticello, per cui sussurravano leggermente le foglie odorate degli allori. In tutta l'ampiezza del cielo non vedevasi che dolce serenità; però il Samminiatese invitò i giovani a seguirlo, ché gli avrebbe condotti sul vertice del monticello, ove s'inalza la rôcca. La lieta brigata sorse in piede, rientrò in Samminiato, e per un viottolino scosceso salì su quella cima, che serba dell'antico una torre sfasciata e pochi rudere, ma di lassù che veduta! A ponente il mare, a levante il Casentino e i monti senesi, a tramontana gli appennini di Pistoia, a mezzogiorno i poggi di Volterra e della maremma toscana! Chi sta su quella punta, gli pare come il centro d'un circolo, la cui periferia non chiude la vista, ma n'è termine naturale che la riposa. Da una parte fan semicerchio i selvosi appennini che dall'Alpi apuane su pe' monti di San Marcello, di Firenze, del Casentino e di Siena, girano a' colli maremmani; e si distende nel mezzo la Valdinievole, seminata di castelli, e il Valdarno, e il pian di Lucca e di Pisa, e la lontano il mare che brilla al sole cadente. Dall'altra parte è un ondeggiare di colli, com'onde marine, fin a Volterra ed a Montenero, sicché lì diresti una pianura solcata in valli dal diluvio, fuggendo l'acque all'oceano. Ed ogni cima di colle ha la sua chiesetta, ed ogni pendice le sue case rusticali o ville signorili, ed ogni valle il suo fiumicello; e tutte le convalli si girano verso la valle dell'Arno che specchia in sé fitti, e, quasi direi gremiti, castelli e villaggi senza numero. Oh che be' luoghi! Oh luoghi divini!»

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

«Mirate, diceva il Samminiatese, siam quasi nel mezzo d'Italia. Sotto quel monte aguzzo che si chiama la Verruca, giace Pisa, terra natale di Galileo, antica signora del mare; lungo i monti più là è Genova, patria del Colombo; varcate que' monti si va nel Monferrato, e poi a Torino, la piccola nostra Macedonia, fatta grande dalla pietà e dal costume guerriero dei suoi re e del suo popolo. Quelle son le montagne del Pistoiese ove la lingua è sì pura ed armoniosa; e là è San Marcello e Gavinana ove Francesco Ferruccio prodigò l'anima grande alla patria. Indi si valica in Lombardia bella, che ha scontate a sì caro prezzo le discordie di sue cento città, un dì sì potenti e fiorite; e là vive il Manzoni e là nacquero Virgilio e l'Ariosto. Su quel nodo di monti sorge Fiesole, città etrusca, ond'ebbe Roma tanta parte di civiltà; e più sotto è Firenze, che vide le spalle d'Arrigo imperatore e di Carlo re, patria dell'Alighieri, Atene d'Italia. Su' gioghi più lontani 'l poverello d'Assisi rinnovò l'immagine di Cristo e s'offerse a Dio per questa patria sua piena di peccato e di discordia. Di là si scorge l'Adriatico sposo infedele alla cara Venezia, che fiaccò la superbia ottomana e fu novella Roma; e giù per que' monti da un lato discende l'Arno, presso ad Arezzo, cuna di mecenate del Petrarca, del Cesalpino e del Redi; e dall'altro si muove il Tevere per la città di Quirino e di San Pietro, per la sublime Roma di cui negli antichi e ne' nuovi tempi, dopo quello di Dio, non sonò mai nome più grande sotto la volta de' cieli. Volgetevi in qua; vedete nel sereno dell'orizzonte le torri dell'etrusca Volterra, e, movendo l'occhio per la cerchia de' colli, mirate, noi andiamo a terminare in quella punta ch'è Montenero; e là sorge Livorno. Da quel porto movendo le navi, e costeggiando le piaggie di Roselle e di Populonia, rasentano poi Fiumicino. Il navigante salutata di lontano la cupola di San Pietro, dopo non molto vede le colline di Posilippo e di Mergellina, e il biforcuto Vesuvio e ricorda gli antichi popoli de' quali non ebbe Roma più valorosi soldati e le glorie della Magna Grecia, e la battaglia di Velletri, e la divina musa del Tasso, e l'Aristotile santo d'Aquino. Fuggono poi d'innanzi agli occhi 'l capo Miseno, baia, Cuma e Sorrento, e sorgonsi i monti di Sicilia, sprone d'Italia, margherita del mare, tesoro di stupende rovine, patria d'Empedocle e d'Archimede, la quale aspetta glorie novelle quando noi, fatti migliori, placheremo lo sdegno di Dio.»

Augusto Conti, Evidenza, Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi, Ranieri Guasti, Prato, 1872, Volume II, pp. 582-584.

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

Panorama dalla “Rocca”
Foto di Francesco Fiumalbi

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