Sommario
del post:
0.
INTRODUZIONE
1.
LE ELEZIONI DEL 1865
2.
LE ELEZIONI NEL COLLEGIO DI SAN MINIATO
3.
L'INCHIESTA SULL'ELEZIONE DEL “CATTOLICO” AUGUSTO CONTI
4.
L'ELEZIONE E LA “QUESTIONE ROMANA”
5.
L'ACCUSA DI INGERENZE DAL MONDO CLERICALE
6. LO STATO D'ANIMO DI AUGUSTO CONTI
DI FRONTE ALLE ACCUSE
7. L'INCHIESTA E IL DIBATTIMENTO ALLA
CAMERA
8. LA DICHIARAZIONE DI “AUGUSTO CONTI”
9. LA CONVALIDA DELL'ELEZIONE
10. L'ARRIVO DEL “DEPUTATO” ANGUSTO
CONTI
INTRODUZIONE
Augusto
Conti [San Miniato, 6 dicembre 1822 – Firenze, 6 marzo 1905] è stato un
filosofo, docente, politico e patriota. E' stato anche il primo sanminiatese a
sedere sui banchi del Parlamento italiano, eletto nel collegio di San Miniato
per la Camera dei Deputati alla seconda legislatura del Regno d'Italia
(considerata la IX includendo anche le sette del Regno di Sardegna). Durò dal
18 novembre 1865 al 13 febbraio 1867 e fu la prima legislatura con sede a
Firenze “Capitale Provvisoria”: le sedute della Camera, infatti, si tenevano a
Palazzo Vecchio presso il Salone dei Cinquecento.
In
occasione dell'elezione di Augusto Conti si verificarono alcuni episodi che
portarono alla costituzione di una vera e propria inchiesta, al fine di
accertare l'effettiva legittimità del voto e della sua affermazione elettorale.
Le varie accuse provocarono un forte risentimento in Augusto Conti, il quale
dimostrò tenacia e spirito battagliero, fino al definitivo buon esito
dell'inchiesta.
Augusto Conti
Busto collocato sulla facciata del Municipio di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi
LE
ELEZIONI DEL 1865
All'epoca
le elezioni stabilivano i componenti della sola Camera dei Deputati. I Senatori
infatti erano di espressione reale, cioè nominati direttamente dal sovrano. Le
consultazioni elettorali si svolgevano con il sistema del “maggioritario uninominale a doppio
turno” derivante,
seppur con piccoli aggiustamenti, dal Regio Editto sulla Legge elettorale (17
marzo 1848) emanata in conseguenza dello Statuto Albertino. Il territorio
italiano era suddiviso in 443 collegi, ciascuno dei quali eleggeva un proprio
deputato. Se nessun candidato avesse raccolto la maggioranza assoluta dei voti
(50%+1), si svolgeva un secondo turno col ballottaggio fra i due con più
preferenze. Potevano votare solamente gli uomini che avessero compiuto 25 anni
d'età, che sapessero leggere e scrivere, che avessero pagato un censo annuo
minimo o che disponessero comunque di una certa ricchezza o di un congruo
volume d'affari, oltre a rientrare in alcune categorie particolari (funzionari
pubblici, insegnanti, membri di accademie, laureati, etc).
La
Toscana eleggeva 40 Deputati, tanti erano i collegi assegnati alla regione,
suddivisi in 193 sezioni. Dati i requisiti molto stringenti, gli aventi diritto
in Toscana non raggiungevano le 50,000 unità (a fronte di 542,000 di tutto il
Regno d'Italia). La Provincia di Firenze poteva contare su 14 collegi, fra cui
quello di San Miniato, indicato con il n. 180. Le elezioni si svolsero il 22
ottobre 1965 (primo turno) e il 29 ottobre successivo (ballottaggi).
LE
ELEZIONI NEL COLLEGIO DI SAN MINIATO
Il
Collegio elettorale di San Miniato nel 1865 contava 4 sezioni e comprendeva 8
comuni: San Miniato e Montopoli (I Sezione), Santa Croce sull'Arno e Fucecchio
(II Sezione), Castelfranco di Sotto, Santa Maria a Monte e Montecalvoli che all'epoca era un comune autonomo
(III Sezione) e Montaione (IV Sezione, che comprendeva anche Gambassi), per una
popolazione complessiva di 53.654 unità. Gli elettori totali erano 1235 (690
per censo, 152 per titoli e capacità, 5 per commercio, arti e industrie e 388
per imposta sulla ricchezza mobile). Praticamente aveva il diritto di voto il
2,29% della popolazione. Al primo turno si presentarono al seggio 862 aventi
diritto (affluenza del 69,79%), mentre al secondo turno espressero il voto in
986 (79,84%).
Nel
Collegio di San Miniato si proposero diversi candidati: il prof. Augusto Conti
(indipendente, che ottenne 338 voti), l'avv. Tito Menichetti (moderato vicino
alla “Destra Storica”, 228 voti), l'avv. Gaetano Pini (candidato per il Partito
Liberale, vicino alla “Sinistra Storica”, 162 voti), il sig. Verano Casanova (66 voti) e il
marchese Luigi Ridolfi (31 voti).
Nessuno
raggiunse la maggioranza assoluta, pertanto fu indetto il secondo turno di
ballottaggio che segnò l'affermazione di Augusto Conti: con i suoi 607 voti
ebbe la meglio sull'avvocato Tito Menichetti con 352 preferenze. Di tale
episodio, rimane la memoria manoscritta di Antonio Vensi (Archivio Storico del
Comune di San Miniato, Scartafaccio di me Antonio Vensi dall'anno 1842 fino
all'anno 1893, cc. 144r-144v):
[1865]
22. Ottobre gran lotta per la nomina del Deputato da mandarsi per questo
circondario al Parlamento Italiano alla provvisoria Capitale Firenze,
chiedevano (che in oggi l'impieghi onorifici costuma chiedere) cinque candidati
Pini, Ridolfi, Casanova, Menichetti e Conti. Per non raggiungere i voti il
numero voluto dalla legge (la metà dei votanti tutti più uno) nessuno è stato
eletto ma i superiori restano Conti avv. Augusto e Menichetti Tito. Il 29 detto
[mese di ottobre] dopo otto giorni di briga dall'una e l'altra parte si
torna a votare ed eccone il risultato definitivo.
Conti Menichetti
S.
Miniato e Montopoli 346 87
Fucecchio
e S. Croce 109 77
Castel
Franco, S. Maria
a
Monte e Monte Calvoli 128 150
Montajone 24 45
607 359 (sic!)
Conti voti n. 607
Menichetti “
359 eletto Conti
Differenza 248
La Camera dei Deputati a Firenze
Immagine tratta da L'Emporio Pittoresco n. 68 del 1865
L'INCHIESTA
SULL'ELEZIONE DEL “CATTOLICO” AUGUSTO CONTI
L'elezione
di Augusto Conti sortì tre proteste ufficiali, presentate alla Camera dei
Deputati tramite altrettanti esposti alla Sotto-Prefettura sanminiatese. Le
accuse erano finalizzate alla verifica e all'eventuale annullamento dell'esito
della consultazione elettorale. Le prime due furono sottoscritte con firme non
autenticate e per questo non furono prese in considerazione. La terza, vergata
da 7 elettori, la cui firma risultava correttamente autenticata, fu giudicata
meritoria di essere valutata.
Secondo
i sottoscrittori della protesta, il Conti avrebbe ottenuto vantaggi rilevanti
attraverso gravi ed indebite pressioni del “partito clericale”, in
considerazione dell'effettivo sostegno degli ambienti cattolici sanminiatesi e
della particolare vicinanza del candidato al Vicario Capitolare Mons. Giuseppe
Conti (che tra l'altro morì il 5 novembre 1865, una settimana dopo le
elezioni).
Anche
di questo passaggio, rimane la memoria manoscritta di Antonio Vensi (Archivio
Storico del Comune di San Miniato, Scartafaccio di me Antonio Vensi
dall'anno 1842 fino all'anno 1893, cc. 145v-146r):
1865.
Novembre. Avvenuta l'elezione a nostro deputato del Prof. Augusto Conti,
principiasi da parte di un piccolo partito a fargli guerra, e chiamato
difensore dei preti, che ora a difender la Religione è delitto, sette individui
G.P., G.F., L.C., A.S., D.C., O.D.F., M.B., che l'opinione pubblica li dice i
più scimuniti, fanno un ricorso al Parlamento e addebitano il Conti di brogli
per parte di lui medesimo e del fu Proposto Conti, unitamente a diversi
parrochi (come se non fossero le brighe e il danaro in Parlamento li odirebbero
gli uomini che ora vi siedono).
Il
Parlamento ordina un'inchiesta giudiziaria e questa vien fatta a Montopoli dal
Coppi e per quanto abbia esaminati molti testimonj, non sia trovato nessuna
brigha a carico degli imputati. Una dichiarazione di 313 elettori in favore del
Conti è stata avanzata al Parlamento che ha dichiarata valida l'elezione.
Fu
pubblicato un articolo su «La Nazione», Anno VII, n. 335, del 1 dicembre 1865,
p. 3:
CAMERA DEI DEPUTATI
Nella seduta di ieri l’attenzione
della Camera fu richiamata a giudicare, fra le altre elezioni, su quella di San
Miniato in cui fu proclamato il prof. Augusto Conti.
I brogli che si
denunziavano alla Camera, le pressioni che si dicevano esercitate dal partito
clericale, accennando nomi e fatti, le gravi irregolarità di cui la elezione
era macchiata, condussero l’ufficio IV a proporre alla Camera che, sospendendo
ogni deliberazione sulla elezione medesima, ordinava una inchiesta giudiziaria.
L’onorevole Pissavini
propose l’annullamento della elezione, e poscia l’invio delle carte al
Ministero di Grazia e Giustizia. L’onorevole De Cesare parlò invece contro la
inchiesta e per la convalidazione.
Ha la camera, udita una
seconda orazione dell’onorevole Cordova in favore dell’inchiesta e contro l’annullamento,
ha votato ad unanimità di suffragi la inchiesta medesima.
Fu questo l’incidente
più notevole della seduta di ieri, e la Camera ordinando con unanimità di
suffragi la inchiesta nella elezione di S. Miniato e respingendo la immatura
proposta di annullamento dette prova di grande imparzialità, mentre compiè nel
tempo stesso un atto solenne di moralità pubblica.
AUGUSTO
CONTI E LA “QUESTIONE ROMANA”
Il
processo di unificazione nazionale aveva creato un clima di forte tensione tra
il Regno d'Italia e lo Stato della Chiesa. Non era solamente una questione
territoriale (l'annessione di Roma avvenne solamente nel 1870, a seguito della
“breccia” di Porta Pia), ma riguardava, più in generale, tutte le relazioni
socio-politiche tra i due Stati. In estrema sintesi, le consultazioni
elettorali – come quella del 1865 – furono l'occasione per il rinfocolarsi di
significative contrapposizioni: da una parte coloro che vedevano nel mondo
clericale la fonte di gravi tensioni e indebite ingerenze nella vita civile e
politica italiana, dall'altra quanti riconoscevano alla Chiesa il ruolo di
portatrice di valori morali e culturali fondanti la stessa identità nazionale.
A differenza degli altri candidati che si presentarono nel collegio
sanminiatese, Augusto Conti apparteneva proprio a questo secondo gruppo, come
aveva avuto modo di manifestare in varie circostanze:
«Deh! Pensiamo e amiamo fortemente,
operosamente; camminiamo col buon senso del popolo e con la sapienza degli avi;
abbiamo cara la fede; e l'Italia è fatta. Ed è fatta pure la scienza e l'arte,
non possibili senz'evidenza del vero, senz'amore del bene, e senza fede.»
[A. Conti, Evidenza,
Amore e Fede e Criterj della Filosofia – Discorsi e Dialoghi, Le Monnier, Firenze, 1858, p. 700].
L'ACCUSA
DI INGERENZE DAL MONDO CLERICALE
Nella
dettagliata descrizione dell'accusa, formulata dall'apposita commissione
d'inchiesta, si ricavano numerosi dettagli circa presunte ingerenze da parte
del mondo clericale sanminiatese, come risulta dall'estratto proposto di
seguito:
«I
fatti principali [...]
vengono da noi sottoscritti, elettori del collegio di San Miniato, enunciati
sommariamente [...]: 1° L'avere il vicario capitolare di San
Miniato diretta una lettera al clero, colla quale, dopo di avere narrato che il
professore Augusto Conti veniva raccomandato dall'arcivescovo di Firenze come
candidato, gli impegnava ad adoperarsi per quella elezione. […] 2°
Lo avere il medesimo vicario capitolare chiamati [...] diversi elettori di campagna facendogli credere che il
candidato di parte liberale per la sezione di San Miniato, avvocato Pini, era
caduto in censure ecclesiastiche, e perché votassero per l'avvocato Conti. 3°
L'avere il parroco di Staffoli insieme al suo cappellano fatto credere ai suoi
popolani elettori, che Roma aveva concesso 40 giorni di indulgenza a chi votava
per il Conti (Ilarità) mentre sarebbe stato peccato votare per l'avvocato
Menichetti, o per l'avvocato Pini. 4° L'avere il preposto di Stibbio
dichiarato anche nella farmacia di Montopoli che il candidato avvocato Pini era
caduto in censure ecclesiastiche, [...].
5° Il fatto di essere andati molti parrochi ed alcuni secolari,
specialmente nei due giorni precedenti il 22 ottobre, a ritrovare alla loro
abitazione gli elettori di campagna, facendo loro credere che l'avvocato
Menichetti e l'avvocato Pini erano protestanti, scomunicati, nemici del Papa e
della Chiesa, onde si badassero bene dal dargli il voto, mentre sarebbe stato
atto meritorio presso Dio favorire l'avvocato Conti. 6° Il fatto del
numeroso concorso dei preti, e degli analfabeti condotti dai primi nella sala
della votazione e scriventi per essi il bullettino; […]. Le quali
circostanze tanto più appariscono interessanti quando si rifletta al numero
esorbitante degli analfabeti iscritti contro la legge nella lista del comune di
San Miniato, [...]. I sottoscritti mentre dichiarano di non essere a
loro cognizione che il professore Augusto Conti favorisse quelle mene,
attestano per altro della loro esistenza e del loro concorso efficace a
procurargli i voti a carico degli altri candidati.»
LO STATO D'ANIMO DI AUGUSTO CONTI DI
FRONTE ALLE ACCUSE
Le
accuse avanzate contro l'elezione di Augusto Conti erano molto gravi e
minacciavano seriamente l'annullamento della consultazione elettorale nel
collegio di San Miniato. In tutto questo il filosofo sanminiatese, pur
rimanendo amareggiato dall'incresciosa situazione, si oppose con tenacia e
spirito battagliero. A tal proposito sono significative le parole riportate da
A. Alfani in Della vita e delle opere di Augusto Conti, Alfani e Venturi
Editori, Firenze, 1906, pp. 178-179.
Al
fratello Leopoldo Conti, in quei giorni scrisse: «Qui mi dicon propizj gli
animi della maggioranza, tuttavia i propositi di certuni sono tenacemente
contrarj. E' una pertinace ostilità. Ti confesso che la dolce quiete de' miei
studj mi ritorna in pensiero con mesto desiderio; ma ora bisogna combattere,
non foss'altro per ossequio agli elettori; se poi l'elezione venisse
annullata, tornerò a' miei libri, e aspetterò con pace la giustizia di Dio.
Tutti i miei voti sono per la felicità del nostro Paese, che è in gravissime
condizioni».
Nel
medesimo periodo scrisse all'avv. Filippo Formichini, Procuratore Regio del
Tribunale di San Miniato e suo grande amico: «Verrò presto a trovarla [a
San Miniato, n.d.r.] se, per altro, la visita di un 'clericale' potrà
nuocerle, m'asterro in progresso. Così è; a questo m'hanno pur condotto gli
studj, e le armi, e i pericoli tanti per amore di libertà».
L'INCHIESTA E IL DIBATTIMENTO ALLA
CAMERA
Durante
la seduta del 30 novembre 1865, a circa un mese di distanza dalla giornata
elettorale, la Camera dei Deputati affrontò la “questione” di Augusto Conti. Ne
emerse un dibattimento piuttosto lungo e articolato, che tuttavia merita di
essere riportato per intero. E' un documento molto interessante che, oltre alla
vicenda specifica, è rivelatore del clima e del dibattito politico del tempo.
[Seduta
30 novembre 1965]
[177] ELEZIONE
DI SAN MINIATO. — INCHIESTA GIUDIZIARIA.
CARBONI,
relatore. Passo ora a riferire sulla elezione del collegio di San Miniato, n°
180. In questo collegio sono iscritti 1235 elettori. Votarono nel primo scrutinio
862, nel secondo 986. Nel primp scrutinio i voti andarono ripartiti nel modo
seguente: il signor professore Augusto Conti ebbe 338 voti ; il signor avvocato
Tito Menichetti 228 ; il signor avvocato Gaetano Pini 162; il signor Verano
Casanova 66 ; il marchese Ridolfi 31 ; 11 voti andarono dispersi, 21 furono
dichiarati nulli.
Niuno
dei candidati avendo riportata la maggiorità dei voti prescritta dalla legge,
si aperse il ballottaggio fra i due che ebbero il maggior numero di voti, cioè
a dire fra il professore Conti e l'avvocato Menichetti. Nella votazione di
ballottaggio i voti andarono ripartiti fra i due candidati come segue: il
professore Augusto Conti ebbe 607 voti ; l'avvocato Tito Menichetti n'ebbe 352.
Credo,
signori, di non andare errato nel dire che forse fino a questo punto non venne
da alcuno degli uffici della Camera verificata alcuna elezione la quale
rigurgitasse di tante proteste, di tanti reclami quanti se ne trovano nella
presente.
Vi
furono proteste nelle quattro sezioni che compongono questo collegio.
In
alcune sezioni vi furono proteste al primo scrutinio: in altre quando si
facevano le operazioni di ballottaggio, vi fu una protesta sottoscritta da 30
elettori che si inviò alla Camera. Fuvvi un'altra protesta di 10 elettori che
tenne dietro alla prima; fuvvi finalmente un'altra protesta di 7 elettori, la
quale pervenne nei giorni scorsi.
Non
terrò conto, signori, delle due prime proteste che furono trasmesse alla Camera
e le quali accennano ad irregolarità e difetti di forma verificatisi nelle
operazioni elettorali, sia perché le stesse proteste non fecero altro che
confermare i reclami che a tal riguardo vennero fatti negli uffici delle
sezioni, sia perché le firme apposte alle stesse proteste, comunque numerose,
non si vedono autenticate. Per questi motivi l'ufficio vostro ha creduto
opportuno di non soffermarvisi.
Vengo
bensì all'ultima protesta, la quale, come dissi, è sottoscritta da sette
elettori, la cui firma è autenticata; e siccome questa accenna a mene
elettorali gravissime, ad atti di pressione, onde la Camera possa formarsi un
giusto concetto della rilevanza di questi fatti, credo mio debito strettissimo
di darvi testuale lettura della stessa protesta.
«Già
venne presentata a questa Camera una memoria firmata da n° 39 elettori tra i
quali cinque sindaci, tutti del collegio elettorale di San Miniato, affinché
venisse dichiarata nulla l'elezione del professore avvocato Augusto Conti a
cagione di gravissime irregolarità.
«Ora
i sottoscritti alle precedenti domande (qualora i fatti esposti non fossero
reputati sufficienti per la richiesta dichiarazione), vengono ad aggiungere
quella d'un'inchiesta giudiziaria, per porre alla luce mene elettorali
scandalosissime che hanno viziata quell'elezione.
«I
fatti principali su dei quali vuolsi appoggiare la presente domanda sono i
seguenti, e vengono da noi sottoscritti, elettori del collegio di San Miniato,
enunciati sommariamente e quanto basti a sostenere l'istanza che intendesi
fiduciosamente di presentare:
«1°
L'avere il vicario capitolare di San Miniato diretta una lettera al clero,
colla quale, dopo di avere narrato che il professore Augusto Conti veniva
raccomandato dall'arcivescovo di Firenze come candidato, gli impegnava ad
adoperarsi per quella elezione.
«Questa
lettera fu pubblicata da tutti i giornali, almeno di Toscana, essendo stata,
ignorasi come, rinvenuta la copia di quella diretta al pievano di Ripoli nel
comune di Fucecchio.
2°
Lo avere il medesimo vicario capitolare chiamati, [178]
sempre prima dell'elezione, diversi elettori di
campagna facendogli credere che il candidato di parte liberale per la sezione
di San Miniato, avvocato Pini, era caduto in censure ecclesiastiche, e perché
votassero per l'avvocato Conti.
«3° L'avere il parroco di Staffoli insieme al suo cappellano
fatto credere ai suoi popolani elettori, che Roma aveva concesso 40 giorni di
indulgenza a chi votava per il Conti (Ilarità) mentre sarebbe stato peccato
votare per l'avvocato Menichetti, o per l'avvocato Pini.
«4° L'avere il preposto di Stibbio dichiarato anche nella
farmacia di Montopoli che il candidato avvocato Pini era caduto in censure
ecclesiastiche, per cui non solamente non gli si doveva dare il voto, ma anco
consigliare gli altri cattolici ad astenersi.
«5° Il fatto di essere andati molti parrochi ed alcuni secolari,
specialmente nei due giorni precedenti il 22 ottobre, a ritrovare alla loro
abitazione gli elettori di campagna, facendo loro credere che l'avvocato
Menichetti e l'avvocato Pini erano protestanti, scomunicati, nemici del Papa e
della Chiesa, onde si badassero bene dal dargli il voto, mentre sarebbe stato
atto meritorio presso Dio favorire l'avvocato Conti.
«6° Il fatto del numeroso concorso dei preti, e degli analfabeti
condotti dai primi nella sala della votazione e scriventi per essi il bullettino;
perloché alcuni dei detti preti (come deve constare da' registri) ne scrissero
moltissime: fatto che apparve scandaloso a tutti, e che motivò le proteste di
che nei verbali dei 22 e 29 ottobre.
«Le quali circostanze tanto più appariscono interessanti quando
si rifletta al numero esorbitante degli analfabeti iscritti contro la legge
nella lista del comune di San Miniato, la quale fu portata in questo anno 1865
a n° 502 elettori di 258 quale era nell'anno precedente, introducendovi non
meno di 150 analfabeti, la maggior parte dei quali votò nel modo detto di
sopra.
«I sottoscritti mentre dichiarano di non essere a loro
cognizione che il professore Augusto Conti favorisse quelle mene, attestano per
altro della loro esistenza e del loro concorso efficace a procurargli i voti a
carico degli altri candidati.»
Al cospetto di questo documento, prima cura dell'ufficio onde
formarsi una coscienza più matura e indi informarne la Camera fu di verificare
cogli atti della pratica alla mano se per avventura alcuno de' capi di reclamo
che vengono contenuti in questa petizione si trovasse accennato negli atti
stessi, e lo poté fare particolarmente in quanto riguarda gli analfabeti che
presero parte alla votazione, oggetto questo che, come avete veduto, è uno dei
principali elementi di doglianza. L'uffizio, fatta la numerazione degli
analfabeti che presero parte alla votazione nel ballottaggio, ebbe a rilevare
che furono in numero di 238.
Verificò pure se dagli atti apparisse alcuna traccia della
grandissima ingerenza che i reclamanti dicono aver preso in questa elezione il
partito clericale.
A dir vero, niuna se ne rilevò dalle carte trasmesse salvo
quest'una, che in una sezione si sollevò disputa piuttosto calorosa su di un
voto che la maggioranza dell'uffizio dichiarò nullo, mentre ad altri pareva
doversi attribuire al professore Conti; nella sala medesima l'arciprete del
Capitolo protestò doversi tener valido, e in tale senso reclamò più tardi.
Salvo quest'unico fatto, nel quale, per vero, l'arciprete usò di
un suo diritto legittimo, gli atti non inducono alcun elemento in appoggio al
fatto indicato dai reclamanti.
Ora è mio debito di rendervi conto del modo in cui si passarono
le operazioni elettorali tanto nel primo scrutinio che nel ballottaggio.
Nel primo scrutinio i processi verbali delle seguite operazioni
presentano le seguenti circostanze rimarchevoli.
Nella sezione principale di San Miniato si presentarono a votare
347 elettori. Chiusa la votazione, e venutosi alla verificazione delle schede
per praticarsi lo scrutinio, si ritrovò che il numero delle schede non
corrispondeva al numero dei votanti. I votanti erano 347, invece si ritrovarono
350 schede, cioè tre di più.
L'ufficio della sezione di San Miniato si fece carico di questa
circostanza, e riconobbe che tre schede non erano da calcolarsi, quindi che
cosa fece? Cercò di rimediare alla meglio a questa irregolarità. I voti
andarono ripartiti fra sei candidati, l'ufficio della sezione di San Miniato
argomentò a questo modo: tre voti devono essere certamente annullati, perché vi
sono tre voti di più: dunque per riuscire a fare che questi voti non compaiano
a favore di nessuno dei candidati, togliamone tre a ciascuno di essi: così fu
fatto: e fu per effetto di questa misura non meno comoda quanto perentoria che chi
ebbe quattro suffragi fu ridotto a uno, e chi ne riportava due, non ne ebbe più
alcuno.
Nella stessa sezione di San Miniato, dopo praticato lo
scrutinio, fuvvi una protesta del signor avvocato Francesco Falchi Martino, il
quale si lagna del numero stragrande di analfabeti che furono nella stessa
sezione ammessi a votare; osserva che l'ufficio ammettendoli non accertò
veramente la circostanza se i medesimi fossero analfabeti, la qual circostanza
era tanto più necessaria ad accertarsi in quanto che nelle liste elettorali
deve la qualità d'analfabeto essere segnata di rincontro ai nomi di ciascun
analfabeto, e questa nota non esisteva.
Di più si lamentava nello stesso ufficio che questi elettori
analfabeti non fossero stati portati nelle liste prima del 1860 e che quindi,
come male stavano inscritti nelle stesse liste, così non dovevano essere
ammessi a votare. L'ufficio credette opportuno di non dare ascolto a queste
ragioni per la semplice considerazione [179] che egli non poteva surrogare la facoltà di coloro ai quali
era affidata la compilazione e revisione delle liste elettorali; che gli
analfabeti, una volta che si vedevano portati nelle liste, dovevano essere
ammessi a votare, e sarebbe stato un atto non solo illegale ma arbitrario se
l'ufficio, per considerazioni le quali non entravano affatto nella sfera delle
sue attribuzioni, non avesse consentito a che i medesimi si valessero del
diritto che loro spettava.
Passiamo all'esame dei verbali della sezione di Montaione.
Si dice nel processo verbale del primo scrutinio di questa
sezione che venne presentata protesta da un certo signor Marcucci il quale si
lagnava di non essere stato riportato nelle liste elettorali. Sarebbe stato
dovere dell'ufficio di quella sezione di ammettere la protesta che veniva fatta
dall'elettore inscritto, e di annetterla al verbale, perché l'ufficio della
Camera e la Camera stessa ne tenessero il debito conto: non fu annessa.
Nella sezione di Fucecchio, allorché si numeravano le schede del
primo scrutinio fu parimenti verificata una diversità tra il numero dei votanti
e quello delle schede ritrovate, se non che venne verificata in senso affatto
opposto a quello che riportai per la sezione principale di San Miniato.
Perocché mentre in questa furono trovate tre schede in più, invece nella
sezione di Fucecchio si trovò una scheda di meno. Si rilevò cioè che dopo esser
andati all'urna 180 votanti, invece si ritrovarono 179 schede.
Finalmente nella sezione di Castelfranco di Sotto le operazioni
elettorali avrebbero proceduto con tutta regolarità se non fosse da notarsi che
fu ammesso a votare un elettore il quale non si trovava inscritto nelle liste
elettorali: fu ammesso sulla semplice considerazione d'aver prodotto la sua
fede di nascita dalla quale risultava che egli avrebbe compiuta l'età d'anni
25, e sulla presentazione di un certificato da cui si rilevava che egli era
avvocato ammesso a patrocinare. Quindi l'ufficio della sezione di Castelfranco,
ravvisando in quest'individuo i requisiti tutti che la legge prescrive perché
uno sia ammesso al diritto dell'elettorato, assunse le facoltà del Consiglio
comunale, e lo ammise a votare non iscritto.
Nella Votazione di ballottaggio le operazioni elettorali
andarono più spiccie, se non che tengo debito di accennarvi che nella sezione
di San Miniato il signor Falco appoggiato questa volta da altro elettore ripeté
la stessa protesta che aveva già fatto nel primo squittinio, cioè a dire contro
l'irregolare ammessione a votare degli analfabeti.
È questo, o signori, il risultato delle operazioni elettorali
del collegio di San Miniato che ho creduto mio dovere strettissimo di esporvi
minutamente appunto per i numerosi e forti reclami ai quali andò soggetta
questa elezione, affinché in vista di questa piuttosto minuziosa esposizione
dei fatti la Camera potesse giudicare con piena cognizione di causa.
L'ufficio dovendo esprimere il suo preavviso intorno alla
validità delle stesse operazioni elettorali ed intorno al partito che a suo
modo di vedere fosse più opportuno a prendersi riguardo a questa elezione, pose
innanzi in primo luogo la questione se le operazioni elettorali fossero
perfettamente regolari, oppure presentassero difetti tali per cui l'elezione
dovesse essere invalidata.
Dirò a questo proposito francamente che i pareri dell'ufficio
furono scissi; e non mancarono certamente coloro i quali giudicarono che le
carte di quest'elezione presentassero un tal cumulo di difetti e d'irregolarità
da doversi addirittura invalidare la elezione.
Si rifletteva in proposito che, sebbene la Camera in altre elezioni
non avesse posto mente ora all'una, ora all'altra delle irregolarità che si
presentavano nella fattispecie, non di meno egli era da considerarsi molto la
circostanza che la elezione di cui si tratta andrebbe soggetta a grandi difetti
e illegalità non meno rilevanti per il numero, che importanti per la gravità: e
che con esempio non molto frequente, non fuvvi sezione, particolarmente nel
primo scrutinio, la quale non abbia commesso una notevole violazione di legge.
Dove furono ammessi a votare individui non elettori; dove si riconobbe che il
numero delle schede trovate nelle urne fosse o maggiore o minore del numero dei
votanti. Ora questi fatti sono l'effetto di una disattenzione, la quale
d'altronde sarebbe molto grave o piuttosto di alcun meno scusabile motivo? Una
volta che la questione si deve portare su questo terreno, diceva la minoranza,
la Camera del decidere non potrà connettere quelle irregolarità con gli altri
elementi estrinseci che risultano nella pratica di pressioni e di mene
elettorali, di cui si dolgono quaranta rispettabili cittadini.
A questo riguardo non può tener conto della viva e fervidissima
lotta che ebbe luogo in questa elezione, della quale si hanno tracce persino
nell'incartamento?
E se per questi elementi la Camera può convincersi, che se non
fuvvi malizia vi fu almeno gravissima negligenza da parte dei membri degli
uffizi, di modo che i medesimi non ispirino alcuna fiducia sulla regolarità,
sull'esattezza delle altre operazioni praticate, non sarà questo un motivo per
invalidare la elezione?
Aggiungeva la minoranza: sappiamo che la Camera è giuri, e se vi
ha circostanza, nella quale possa far uso di questa facoltà è la presente, in
cui la questione verserebbe puramente su circostanze di fatto, sul morale
apprezzamento di esse, sui motivi per cui le medesime circostanze ebbero vita e
nascimento, e se la Camera dall'insieme dei fatti, e dalle irregolarità che si
sono trovate nell'incartamento potesse attingere la persuasione che queste
irregolarità sono da ascriversi a motivi meno che morali, non sarebbe questo un
caso in
[180] cui la Camera
potesse far uso della sua eminente facoltà di giurì, e perciò annullare questa
elezione?
Sono queste le ragioni, per cui la minoranza credeva che
addirittura si potesse proporre l'annullamento dell'elezione.
Se non che la maggioranza credette più regolare e più prudente
di accogliere una diversa decisione.
La maggioranza dell'ufficio non volle per alcun verso
allontanarsi dai precedenti della Camera stessa, e quando trovava che in
circostanze simili al cospetto di irregolarità quali emergono dalle carte, di
cui ti ho presentato il sunto, al cospetto di cotali irregolarità, la Camera
non trasse mai dalle medesime motivo per invalidare l'elezione di che si
trattava, la maggioranza dell'ufficio non credette che nella presente elezione
si potesse recedere da questo sistema.
Piuttosto la maggioranza dell'ufficio si preoccupò assai del
tenore dei fatti annunciati nel reclamo presentato alla Camera.
Alla coscienza dell'ufficio parve che questi fatti fossero di
tal natura che, giustificati, dovessero portare con sé assolutamente la nullità
dell'elezione.
Un arcivescovo e un arciprete s'impongono ai loro subalterni, e
indicano loro il candidato a cui si debbono dare i voti; i curati girano per i
casolari delle parrocchie accaparrando voti al minuto a favore del proprio
candidato; ed accaparavano voti non solo, ma per ottenere questi voti
promettevano indulgenze e premi spirituali; né ciò bastando, o signori, per
distrarre gli stessi dal dare i voti agli avversari, minacciavano pene, e pene
fortissime spirituali, le quali, quando voi ricorderete che vi sono 238
analfabeti paesani, che non hanno molta coltura, comprenderete quanta efficacia
possano avere. Promettevano premi da una parte, minacciavano pene dall'altra, e
ciò non è ancora tutto, o signori: per escludere i voti dalla parte opposta,
screditavano apertamente gli stessi candidati, e dicevano che erano
protestanti, che erano scomunicati, che erano nemici della Chiesa.
A fronte di questi fatti, o signori, qualora i medesimi
venissero ad essere giustificati, potremmo noi nella nostra coscienza dubitare
per un momento che si siano qui adoperate delle mene immorali, che vi siano
state pressioni e mezzi, ai quali o non si poteva o difficilmente si poteva resistere?
E se di tutto ciò non possiamo dubitare, potremo dire che sia stata libera la
volontà degli elettori, influenzata da tanto potenti ragioni di pressione, di
raggiri e di seduzioni? All'appoggio di queste considerazioni, signori,
l'ufficio credette necessario e indispensabile, pel risultato definitivo della
pratica, della quale vi ho finora intrattenuto, che sia fatta piena luce.
I fatti enunciati nella protesta, se venissero chiariti nel modo
in cui vennero esposti, porterebbero certamente con sé l'annullamento
dell'elezione; quindi l'ufficio IV vi propone, per mio mezzo, che sospesa
qualunque deliberazione sull'elezione di che si tratta, sia aperta un'inchiesta
per verificare i fatti contenuti nella detta protesta.
PRESIDENTE. Il deputato Pissavini ha la parola.
PISSAVINI. Signori, appartengo alla minoranza dell'ufficio IV.
La quale si fece a sostenere e votò, prima per l'annullamento dell'elezione del
collegio di San Miniato avvenuta nella persona del signor professore Conti,
sulla di cui onestà non dirò una parola contraria essendo estraneo ai fatti
avvenuti; ed in secondo luogo perché siano mandati al signor ministro di grazia
e giustizia i verbali dello stesso collegio, onde vegga nella sua saggezza se
non avvi luogo ad istituire un procedimento giudiziario.
Signori, dopo che il partito clericale ha abbandonato la sua
bandiera sulla quale aveva scritto il motto: Né eletti, né elettori, non a
mancanza del suo zelo indefesso, e dell'attività spiegata nelle generali
elezioni, ma piuttosto al patriottismo della gran maggioranza del paese, noi
dobbiamo essere grati, se non vediamo questi scanni occupati da molti candidati
da esso proposti e sostenuti in varii collegi dello Stato.
È strano, signori, e dirò meglio, è doloroso che mentre da una
parte il governo con lodevole circolare ha dichiarato di lasciar la più ampia
libertà agli elettori nella scelta dei loro deputati, sorga un arcivescovo, il
quale, non per cose spirituali, ma unicamente per motivi politici dirami una
circolare agli elettori d'un collegio, facendosi a raccomandare vivamente un
candidato a favore del quale egli dice di adoperare tutta la sua autorità,
tutta la sua influenza.
È strano, o signori, è doloroso che parroci dipendenti da questo
arcivescovo duplicando, quadruplicando le istruzioni dal medesimo ricevute,
vadano due giorni prima della elezione di casa in casa di elettori campagnuoli,
di elettori inesperti ed analfabeti, facendo loro credere che essi avrebbero
compito un atto meritorio presso Dio, quando votassero pel candidato Conti, e
che commetterebbero un peccato mortale, e sarebbero dannati alle pene
dell'inferno, quando votassero per gli altri candidati proposti ch'erano posti
fuori del grembo della Chiesa per essere incorsi in censure ecclesiastiche.
Per chi conosce, o signori, le coscienze timorate degli elettori
specialmente di campagna, i quali, se non hanno alcun riguardo e ben poco
temono le leggi civili e penali, rimangono però sempre attoniti alle minacele
delle pene del purgatorio e dell'inferno, si persuaderà di leggieri quanto
pesino tali parole dirette da parroci alle loro pecorelle.
Ciascheduno di voi sa quanto sia ancora grande ed efficace
l'influenza del clero, principalmente nelle campagne, per dubitare un solo
istante che le loro parole hanno potuto esercitare una pressione morale sopra
gli elettori, tanto più ove pongasi mente che gli altri due onorevoli
candidati, Menichetti e Pini, venivano [181] da parroci di alcune sezioni del collegio qualificati
protestanti, nemici del papa e della Chiesa. (Ilarità)
Ma, signori, vi sono pure altri fatti che, come io spero,
indurranno In Camera ad annullare questa elezione: vi sono alcune irregolarità,
sulle quali, quando si passasse sopra, io non saprei persuadermi quale elezione
potesse ancora invalidarsi dalla Camera.
L'onorevole relatore, che ad onore del vero deggio constatare
alla Camera avere votato colla minoranza dell'ufficio, vi ha già fatto
conoscere che in questo collegio si annoverano 238 elettori analfabeti, ma una
cosa che forse è sfuggita all'onorevole relatore di notare alla Camera si è che
soli 88 trovassi inscritti legalmente, perché già figuravano nelle liste del
1860, ma 150 di questi elettori vennero inscritti unicamente perché
acquistarono il censo dopo l'attuazione della legge sulla ricchezza mobile. Non
v'ha quindi dubbio alcuno che questi ultimi vennero iscritti illegalmente.
Contro questa aperta violazione di legge risulta bensì, o
signori, dai verbali che si è portato riclamo. al prefetto, ma non risulta
quale esito abbia avuto questa giustissima istanza. Io credo quindi che sarà di
gran peso nella deliberazione che sta per prendere la Camera, il conoscere come
poco tempo prima che dovessero aver luogo le elezioni generali, si iscrivessero
in questo collegio 150 elettori che dovevano essere esclusi, perché analfabeti.
Ma notate ancora, o signori, che consta da quella protesta che i
parroci messisi a capo di questi elettori intervennero alle singole sezioni, e
che vennero ammessi in vece loro a scrivere sulla scheda il nome del candidato
proposto, senza che, come prescrivo la legge, vi preceda l'autorizzazione
dell'ufficio.
È quindi ragionevole o quanto meno è lecito poter supporre che
la scheda scritta dal parroco per gli elettori analfabeti non poteva portare
altro nome che quello del candidato proposto e propugnato dal partito
clericale. Sarà questa una supposizione, ma è una supposizione che trova
appoggio e fondamento nei fatti avvenuti nel collegio di San Miniato.
Ma si può dire: questi fatti allo stato delle cose non sono
provati, dunque non si deve annullare l'elezione, ciò sta bene, o signori, ma è
però anche bene riflettere che una delle circolari dirette al parroco di Ripoli
per un caso accidentale cadde nelle mani del partito liberale. In allora il
giornalismo s'impadronì della medesima e dimostrò l'importanza che essa poteva
avere nella prossima elezione del collegio di San Miniato, e nessuno di tutti
quelli che si fecero a sostenere e propugnare l'elezione del Conti, sorse a
smentirla od a rettificarla. Dunque è certo che la circolare esisteva, e che
per logica conseguenza veri, reali e sussistenti sono i fatti enunciati nella
protesta. Ma l'onorevole relatore disse che questi fatti vennero semplicemente
portati a cognizione della Camera da sette soli elettori, mentre l'ufficio non
ha creduto tener calcolo di altre due proteste sottoscritte nientemeno che da
cinque sindaci dei municipi componenti le sezioni del collegio e da moltissimi
membri delle Giunte e dei Consigli comunali, perché non autenticate le firme.
Credo, signori, che ciò urti coi precedenti di questa Camera.
Ieri, se non erro, il signor Bargoni a proposito dell'elezione
del collegio di Soresina, sostenne, e ben a ragione, che quantunque le firme
apposte alla protesta presentata contro quell'elezione non fossero
autenticate...
BARGONI. Scusi, quelle firme erano autenticate.
PISSAVINI. ...tuttavia, avuto riguardo all'autorità dei nomi che
portavano, si doveva avere la massima deferenza, essendo impossibile od assurdo
il solo supporre che sindaci, membri di Giunte municipali, maggiori della
guardia nazionale venissero ad asserire fatti che non fossero conformi al vero.
Non è dunque soltanto sopra una semplice protesta che la Camera
deve formare la sua attenzione, ma su tutte e tre le proteste annesse ai
verbali.
Vi sono ancora, o signori, altre irregolarità derivanti appunto
dalle confusioni avvenute in diverse sezioni del collegio di San Miniato.
Infatti come è possibile che nella principale sezione si
presentino a votare 347 elettori e si trovino nell'urna 350 schede, e quindi
tre schede in più? Per darsi ragione di questo fatto non si può sfuggire dal
seguente dilemma: o tre elettori deposero nell'urna due schede in luogo di una,
o coloro che erano incaricati di prendere nota nell'apposito registro degli
elettori che presentavansi all'urna, non compirono il loro mandato colla dovuta
diligenza dimenticando di segnare col nome loro tre elettori che intervennero
al la votazione.
Io tengo per la prima ipotesi, ma in qualunque caso è sempre una
grave irregolarità.
Vi è un'altra circostanza, che l'ufficio non fu in grado di
constatare, ed è che un parroco iscritto in una sezione votò in un'altra. A
questo riguardo si volevano spingere le indagini a conoscere per quali cause
non si presentasse a votare nella sezione a cui realmente apparteneva; o se
iscritto in entrambe, in entrambe fosse stato ammesso a votare.
L'ufficio, dico, non poté spingere fin là le sue investigazioni,
ha però ritenuto che anche in questa parte havvi una vera violazione di legge
per essersi ammesso il parroco a votare in diversa sezione di quella in cui
trovavasi realmente inscritto.
Oltre a queste, molte altre irregolarità son poste in piena luce
dalle risultanze dei verbali ; ma io credo di non dover più oltre intrattenere
la Camera. Io sono intimamente convinto, o signori, che, come la Camera
ogniqualvolta potè avere l'intima convinzione che una elezione venne fatta o
sotto l'impulso di minaccio o sotto l'impulso di violenze, o con raggiri, o con
danaro [182] non esitò un istante a
pronunciarsi pell'annullamento, così vorrà pure invalidare quest'elezione la
quale venne fatta sotto l'incubo d'una vera morale pressione.
Rifletta la Camera che i fatti denunciati contro questa elezione
sono di tale e tanta importanza, che annullandola verrà a dimostrare al paese,
che se è lecito ai preti di raccomandare agli elettori l'uno a preferenza d'un
altro candidato, non è però lecito, per ottenere dei voti, di minacciare alle
più timorate coscienze censure ecclesiastiche e le pene del purgatorio e
dell'inferno. (Ilarità)
Noi vogliamo lasciare ad essi la più ampia libertà come la
desideriamo per noi, ma dobbiamo impedire che si servano di armi spirituali per
far pressione sull'animo degli elettori ed indurli a votare piuttosto a favore
di uno che di un altro.
Io credo quindi, o signori, che quantunque a semplice
maggioranza di voti l'ufficio IV abbia soltanto conchiuso perchè si faccia
luogo ad un'inchiesta giudiziaria, vi siano però più che sufficienti prove, più
che sufficienti argomenti per ritenere già allo stato attuale delle cose accertati
i fatti indicati in quelle proteste, che accennano alla pressione esercitata da
alcuni preti sopra elettori di campagna ed analfabeti.
Io ritengo adunque che la Camera vorrà, e direi quasi vorrà
unanime, votare anzi tutto l'annullamento dell'elezione del collegio di San
Miniato, avvenuta nella persona del signor Conti, e deliberare in seguito la
trasmissione degli atti al ministro di grazia e giustizia, perchè vegga se non
sia il caso di far luogo ad un procedimento giudiziario contro chi ha abusato della
sua autorità, e del suo ministero.
DE CESARE. Non ricorderò alla Camera come l'onorevole Conti
combattesse in Lombardia nel 1848 qual semplice soldato volontario; non
ricorderò come egli sia uno dei più stupendi ingegni d'Italia; non dirò, come
egli sia scrittore d'opere egregie; non dirò infine come egli sia stato uno dei
più illustri professori dell'università di Pisa; queste sono cose che
riguardano la personalità dell'onorevole Conti, ed io le lascio da parte.
L'onorevole relatore, quando ha voluto percorrere tutte le
nullità o le irregolarità...
LAZZARO. Domando la parola.
DE CESARE... che diconsi verificate in questa elezione, ha
dovuto per debito di coscienza con la maggioranza dell'ufficio, conchiudere che
queste, non portavano ad alcun risultamento.
Né la parola dell'onorevole Pissavini ha resa sicuramente più
forte la minoranza, inquantochè egli parlò di elettori iscritti prima, e di
elettori iscritti dopo; ma senza indicare le date precise della iscrizione
degli uni e degli altri.
Ma queste sono ipotesi, poiché nell'incartamento non vi sono le
liste elettorali.
Può dirsi forse che i preti abbiano avuto mano allaformazione
delle liste elettorali? Ciò non si può dire, perciocché i preti sono esclusi
dai consigli comunali; quindi non potevano esercitare alcuna influenza, sia
nell'ammettere gl'iscritti di antica data, sia nell'aggiungere gli altri dopo
in forza della legge della ricchezza mobile.
Irregolarità dunque in questa elezione io non ne veggo, tranne
che in una sezione si sono trovate tre schede di più, ed in altra una di meno.
Togliete le tre schede al numero dei votanti per Conti, aggiungete al suo
competitore un altro voto, e voi vedrete che il risultamento dell'elezione non
avrà nessuna variazione.
Laonde nel terreno delle irregolarità, delle illegalità, non si
può combattere quest'elezione.
Ma ci sono state delle pressioni, si dice, ci sono state delle
violenze, ed è perciò che la maggioranza dell'ufficio è venuta nell'idea di
proporre alla Camera un'inchiesta giudiziaria.
Ma, signori, quali sono le pressioni? quali le violenze? Sono
quelle ordinarie raccomandazioni che tutti gli amici d'un candidato sogliono
fare agli elettori. Il clero ha creduto che il Conti fosse un suo candidato,
sebbene questi non sia clericale. Io lo ritengo invece qual cattolico sincero;
almeno tale l'apprendo dai suoi scritti, da tutti i fatti della sua vita. In
questo caso, cosa doveva fare il clero, una volta che si decideva ad entrare
nelle elezioni? Manifestare a tutti che il suo candidato era il migliore, che
gli altri candidati eran credenti o non credenti: insomma fare tutto quello che
dai diversi partiti suole farsi quando avvengono le elezioni.
Oltracciò, da quattro anni noi stiamo dicendo «libera Chiesa in
libero Stato» ripetiamo ogni momento la formola del conte di Cavour; ma in
fatto vedo che vogliamo la libertà solamente per noi, e non vogliamo accordare
ad altri l'uso della stessa libertà. Invece io dico libertà per tutto e per
tutti, ecco la mia formola. Contrasteremo noi dunque la libertà ad un arcivescovo
di dire : io voglio Tizio per deputato? Ma queste raccomandazioni le hanno
fatte tutti i vescovi d'Italia; le ha fatte monsignor Speranza di Bergamo, il
vescovo di Piacenza, i vescovi napoletanti, i vescovi toscani, tutti i prelati
della libera Italia. Scambieremo noi le raccomandazioni per pressioni; le
sollecitazioni per violenze; le lodi per comando? Definiremo noi come pressioni
le raccomandazioni dell'arcivescovo di Firenze fatte nell'interesse
dell'onorevole Conti?
Se gli elettori hanno creduto di andare in paradiso, votando per
il signor Conti, questo tutt'al più dimostrerà la buaggine degli elettori, ma
non si può dire in buona coscienza che sia una pressione.
Io non vedo adunque violenza, non vedo pressioni, non vedo
alcuna cosa che possa indurci a votare un'inchiesta giudiziaria, nella elezione
dell'onorevole Conti, ed è perciò che prego la Camera a voler dare segni
visibili d'imparzialità, di piena libertà nel giudizio delle [183] sue deliberazioni, ed
approvare l'elezione dell'onorevole Conti
CORDOVA. Avendo l'onore di presiedere il IV ufficio, ed avendo
votato colla maggioranza di esso, vengo a propugnare le conclusioni
dell'ufficio stesso.
A me pare, signori, che si può fuorviare il criterio che si deve
fare di queste conclusioni sempre che avvenga come nella discussione attuale
che si confondano due ordini di idee che sono assolutamente diversi e che vanno
distinti. Ho udito il relatore il quale apparteneva alla debolissima minoranza
di soli quattro voti che pensò di richiedere alla Camera un annullamento
immediato; egli trova che gli atti di questa elezione non presentan affatto gli
elementi di quel broglio, di quelle speranze suscitate, di quelle minacce fatte
che sono annunciate in un modo abbastanza preciso da cinque o sette elettori che
protestarono, e le cui firme sono riconosciute; ho sentito molto bene che lo
stesso onorevole Carboni trova che prese ad una ad una le irregolarità commesse
nelle varie sezioni secondo la giurisprudenza della Camera non porterebbero
nullità.
Ma egli poi soggiunge che la ragione, per cui si determinava a
proporre all'ufficio l'annullamento immediato di questa elezione sta in ciò che
tutte queste irregolarità congiunte insieme portano a fare un criterio di
questa elezione totalmente contrario ad essa, portano a far supporre che vi
siano state tali influenze illegittime che l'elezione si debba annullare.
Da un'altra parte ho udito l'onorevole Pissavini sostenere la
tesi che queste irregolarità sono tali da portare la nullità, che sarebbero a
suo avviso veramente sostanziali, e come queste irregolarità debbano far
presumere che vi sia stata pressione, che vi siano state minacene, e lusinghe,
che vi siano stati illegittimi mezzi adoperati e quindi si debba andare
all'annullamento, procedendo la Camera come giurì, giusta la frase adoperata
dall'onorevole relatore Carboni.
La maggioranza numerosa dell'ufficio, perché come dissi quattro
soli opinarono per l'annullamento immediato, portò opinione diversa, perché
distingueva perfettamente i due ordini di idee che si riferiscono alla forma
dell'elezione, oppure ai brogli od ai mezzi illegittimi che possono aver
coartato il consenso ola spontaneità del voto negli elettori
Io non ammetto il principio che la Camera debba pronunciare come
giurì se non che in rapporto al secondo ordine di idee, vale a dire quando si
tratta di valutare i fatti incolpabili che possono viziare una elezione.
Quando però si tratta di pronunciare della validità di un atto,
di quella validità che dipende unicamente dalla sua forma stabilita dalla leggo,
io non riconosco nella Camera il diritto di pronunziare come giurì. Essa
altronde nel potrebbe, perché non vi è materia a verdetto di giurati.
Dove si è mai veduto chel giurì pronunziassero sulla validità
delle forme degli atti? Neanche in materia giudiziaria il giurato è mai
chiamato a pronunziare sovra la validità di quelle forme che sono prescritte
testualmente dalla legge ex animi sui conscientia.
L'esame dei vizi degli atti i quali dipendono da violazione di
ciò che la legge prescrive è un esame sempre deferito ai giudici che compongono
le Assise, giammai è attribuito ai giurati. Se mai si andasse in questo
sistema, vale a dire di pensare che la Camera potrebbe pronunziare sulla
validità delle forme come giurì, vale a dire trasportandosi in un altro ordine
di idee, perché crede che siano stati adoperati dei mezzi illegittimi,
dichiarare che le forme le quali non portano nullità per disposizione di legge,
portar debbono a nullità, allora vi sarebbe un tale sconvolgimento, un tale
arbitrio, che, nell'ordine del nostro Statuto fondamentale in cui tutti i
poteri sono limitati, anche quello della Camera, porterebbe ad annullare la
nostra costituzione politica.
Prendiamo dunque, o signori separatamente questi due ordini di
idee; prendiamo dapprima le forme di questi atti. Noi troviamo, per esempio,
che in una sezione un tale che non è elettore ha votato. Troviamo che in
un'altra sezione,come osservava l'onorevolePissavini, tre schede di più si sono
trovate di quello che fosse il numero degli elettori votanti.
I votanti erano 247 e si trovarono 250 schede. Abbiamo un voto
viziato in una sezione, ne abbiamo tre in un'altra.
Troviamo nell'altra sezione che mentre i bollettini dei votanti
erano 180 non si trovarono che 179 voti.
L'onorevole relatore vi ha detto con molta esattezza, con quanta
diligenza la sezione di Fucecchio scemasse i tre voti che erano esuberanti al
numero dei votanti per ciascuno dei candidati. Ma la Camera giustamente ha
ritenuto sempre, ed in questo non v'è eccezione, che quando le irregolarità non
valevano a mutare i risultati delle elezioni non dovessero produrre nullità,
perché in questo caso non erano sostanziali, perché le forme non essendo
prescritte a pena di nullità nella legge bisognava che fossero sostanziali,
perché la loro violazione avesse a produrre l'annullamento.
Ora noi troviamo che nello squittinio di ballottaggio il signor
Conti ebbe 200 o 300 voti di più che il suo competitore. In quello del 22
ottobre ne ebbe 110 di più; numero che di gran tratto oltrepassa la differenza di
4 o 5 voti ingiustificabili.
In conseguenza, come in molti altri casi simili, di cui si
potrebbe citare la giurisprudenza, non si è mai annullato per questo una
elezione, così non si può annullare neppure nel caso nostro.
Ma, si dice, riferendo quest'ordine d'idee all'altro dei fatti
che possono aver coartato il consenso degli elettori, e tolta la spontaneità
del voto, queste irregolarità [184] lasciano presumere che siano stati adoperati dei mezzi
illegittimi.
Ed ecco la ragione per cui l'ufficio vi propone l'inchiesta. Si
debbono considerare queste irregolarità, come altrettanti principii di prova,
che rendono verisimili i fatti addotti dai reclamanti, i quali non si
articolano poi tanto precisamente d'indicare gli uomini, a cui fosse diretta la
seduzione, come altrettanti principii di prova che rendendo verisimile il fatto
allegato, possono abilitare la Camera ad ordinare l'inchiesta.
Mi varrò d'un esempio per rendere più evidente il mio pensiero.
Io credo che nessuno dei giuristi di questa Camera abbia mai
potuto immaginare che certe irregolarità sommate insieme, se nessuna di esse è
elevata a nullità dalla legge, possano produrre una nullità relativa, né mille
nullità relative non faranno mai una nullità assoluta di forma, né mille altre
nullità di forma arriveranno giammai a costituire una nullità di ordine
pubblico. Ognuna di queste irregolarità si deve prendere isolatamente e
valutare per quel che vale; né si può sommare l'irregolarità di un atto con
quella di altri atti preparatore, per produrre in definitiva una nullità con
quell'ordine d'idee, con cui si giudica della validità degli atti dipendente
dalla forma prescritta dalla legge. Ma queste irregolarità si sommano benissimo
insieme per formare il criterio di fatti criminosi che possono averle cagionate.
LA PORTA. Domando la parola.
CORDOVA. Per esempio se un testamento mancherà di data, mancherà
della firma dei testimoni, o del notaro, nessuno potrà mai essere abilitato a
provare che questo testamento è valido, imperocché se la data fu dimenticata,
tuttavia è noto, è evidente, che il testamento fu scritto il tale giorno e tale
ora; poiché si sa che quando si tratta di validità di forma acta per se ipsa
validitatis /idem facete debent, non si può cercare una prova estrinseca: al
contrario vi sarà un testamento che la legge non colpisce di nullità, sarà
scritto con due inchiostri diversi, si troverà una pagina bianca intercalata
tra due pagine scritte, vi sarà qualche altro vizio di questo genere, e nessuno
potrà mai ricavare da un vizio di questo genere, o di tutti i generi sommati
insieme che non producono annullamento, una nullità che la legge non prescrive.
Ma se questo testamento è attaccato di suggestione o captazione perché dai
parenti, dagli amici, dal prete, dal medico che assistevano l'ammalato furono
insinuate delle disposizioni testamentarie che egli non voleva fare, allora
tali irregolarità saranno bastanti per fare ordinare la prova testimoniale,
onde poi si annulli il testamento, saranno tanti principii di prove, perché
indicano la confusione, l'imbarazzo in cui si era nel momento nel quale il
testamento fu scritto.
Dunque, io ripeto, non confondiamo questi ordini d'idee diverse;
l'elezione del Conti nel collegio di San Miniato non appare che sia viziata di
altre irregolarità, oltre quelle che l'onorevole relatore ha dimostrato; che
per quanto si congiungano insieme non faranno mai una nullità secondo la
giurisprudenza della Camera.
Queste nullità però trovansi, quando si accertino le accuse che
si sono fatte di mezzi illegali, adoperati per carpire i voti degli elettori.
Ecco la ragione, per cui la Camera può sentirsi benissimo
autorizzata, e deve, a mio avviso, ordinare l'inchiesta che metta in chiaro
questi fatti. Se questi fatti saranno dimostrati, come sembra promettere una
protesta, la Camera sarà venuta finalmente in chiaro di questa questione
clericale, di cui tanto si parla: arriveremo finalmente al punto da poter dire:
le mene clericali di cui tanto si è parlato sono pur troppo vere; in verità ci
purgheremo dalle accuse che ci si movono da questa parte, la quale dice: voi
parlate sempre di brogli, d'intrighi del clero; ma le sono queste allegazioni
senza fondamento che nulla provano; e non venite mai alla conclusione di
cercare la prova che questi fatti sono realmente intervenuti.
Ordinare un'inchiesta dopo che l'elezione sia annullata, si vede
bene che la Camera non lo potrebbe.
La Camera non fa atti frustranei, e non sarebbe della sua
dignità, deferire l'affare all'autorità giudiziaria dopo che l'elezione è
annullata, dopo che è cessato l'interesse per cui si fa quest'esame. Noi
sappiamo pur troppo a che riescono. Quindi credo che l'inchiesta si dee dalla
Camera pronunziare, sospendendo ogni giudizio sull'elezione e riserbandosi
d'annullarla quando l'inchiesta sia per dare risultati affermativi. Non credo,
come sembrava credere l'onorevole De Cesare, che i fatti allegati sieno tali da
precludere la via all'inchiesta.
L'onorevole De Cesare-diceva: chi mai può proibire ad un
arcivescovo, chi può proibire al capo d'un'associazione religiosa di dire:
eleggete quelli che professano i nostri stessi principii, ed opponetevi
all'elezione di coloro che si allontanano da questi principii e li combattono?
Certamente il ragionamento dell'onorevole De Cesare è di molto valore, e di
grandissimo peso.
Non ho mancato di considerare anche tale questione quando si
discuteva in ufficio e molto tempo prima. Effettivamente nello stato della
legislazione nostra non possiamo dire che sia proibito di promettere delle
indulgenze, e non v'è neanco legge che vieti di minacciare le pene
dell'inferno. È permesso a tutt'i cittadini di credere all'inferno ed alle
indulgenze, come non è vietato di credere altrimenti nello stato della
legislazione nostra. Vi sono anzi degli articoli dello Statuto che danno una
specie di sanzione a queste credenze.
Domando se vi possa essere nel regno d'Italia, al momento
attuale, un uffiziale del Pubblico Ministero che possa procedere contro un
prete, applicandogli articoli del Codice penale che puniscono come rei di abuso
di confidenza coloro che abbiano suscitato delle [185] false speranze, o
dei falsi timori, perché il prete avrà promosso le delizie del paradiso, o
minacciato le pene dell'inferno. Ciò allo stato della nostra legislazione non
si può; non si può, perché la legge riconosce una religione dello Stato. Ma da
tutto ciò non posso desumere, come pare abbia voluto fare l'onorevole mio amico
De Cesare, che non abbia a riputarsi come criminosa, come illegittima
l'influenza che il clero esercitò nelle elezioni, abusando delle armi religiose.
Verrà il tempo in cui quella influenza sarà permessa, in cui
sarà ancho lecito ricorrere ad argomenti spirituali nelle lotte politiche.
Verrà quando quella separazione della Chiesa dallo Stato che tanto si proclama,
e che è tanto difficile attuare, sarà un fatto compiuto; quando con la
organizzazione attuale delle cose temporali colla Chiesa sarà rotta quella rete
di intrighi che c'involge in tutte le provincie del regno. (Applausi) Ma nel
momento attuale, con una organizzazione ecclesiastica forte, ricca, potente,
più antica e più solida di quella dello Stato, non è possibile lasciar agire
quel Governo rivale delle nostre libere istituzioni, senza seguirlo passo a
passo, senza esaminare i mezzi di cui si serve, senza discutere i suoi
procedimenti; annullare quegli atti che fossero il risultato delle sue mene.
(Applausi)
PRESIDENTE. Il deputato La Porta ha facoltà di parlare.
LA PORTA. Dopo l'eloquente discorso dell'onorevole Cordova
sembrami che altri argomenti non vi siano per appoggiare l'inchiesta, quindi mi
limito ad una semplice e breve dichiarazione.
Malgrado che l'onorevole De Cesare, il quale oggi ha voluto
farci l'onore di sedere e parlare da questo lato della Camera (Ilarità),
credette esordire col posare una questione personale al candidato, io rifuggo
dall'accettare la questione nei termini in cui egli la posava.
È una questione di legalità per la Camera. Noi siamo contenti
che tutti i partiti si agitino sul terreno legale, noi siamo contenti che il
partito clericale, abbandonando lo cospirazioni del confessionale, del pergamo,
della sacristia, venga sul terreno legale a contenderci innanti l'urna
elettorale i nostri candidati; noi permettiamo che egli usi della libertà
legale contro la libertà; quello che non vogliamo, o signori, è che egli abusi
della libertà contro la libertà, quindi appoggiamo l'inchiesta, perché essa
constati i fatti precisi, come sono, perché si esamini se il partito clericale
abbia abusato della sua autorità spirituale in modo da viziare la libertà del
voto. Quando ciò siasi verificato noi saremo per l'annullamento dell'elezione;
quando non siasi verificato lascieremo che il candidato del clero, come di
diritto, rappresenti in questa Camera il suo partito.
Per noi, lo ripeto, è questione di legalità; noi vogliamo tutti
i partiti liberi sul terreno legale; se il partito clericale sta sul terreno
legale, i suoi candidati possono essere accettati da noi; ma quando vi sono
indizi sufficienti di abuso di libertà, quando vi sono dello proteste, e
risultano dai verbali delle molteplici irregolarità, come nella presente
occasione, allora è d'uopo che si appurino i fatti, onde poter decidere con
coscienza e con piena conoscenza di causa. (Bravo! Benissimo!)
PRESIDENTE. La parola è all'onorevole Lazzaro.
Voci. Ai voti! ai voti!
PRESIDENTE. Metto allora ai voti le conclusioni dell'ufficio.
Metto cioè ai voti la sospensione della conferma della elezione
del collegio di San Miniato, sottoponendola ad una inchiesta giudiziaria.
(La Camera delibera alla quasi unanimità la sospensione e
l'inchiesta giudiziaria.)
(Applausi dalle gallerie.)
Silenzio
delle gallerie!
LA DICHIARAZIONE DI “AUGUSTO CONTI”
A
quattro giorni di distanza dell'infuocata seduta della Camera dei Deputati, il
3 dicembre 1865 Augusto Conti prese carta e penna e inviò una dichiarazione al
quotidiano «L'Opinione». Con ciò ribadì il suo programma politico non
“clericale” e, al contempo, la sua assoluta estraneità a qualsiasi episodio di
favoritismo. Il testo è riportato da A. Alfani, Della vita e delle opere di
Augusto Conti, Alfani e Venturi Editori, Firenze, 1906, pp. 180-182.
«Pregiatissimo
Signor Direttore, mi consenta di grazia che a lei, non sostenitore della mia
elezione, me né avversatore, io, fra tante avversioni, manifesti l'animo mio.
Gli avvenire giudicheranno di certi maneggiatori che gridano contro i maneggi,
e io, a tempo migliore, narrerò i fatti per disteso, ma con animo tranquillo,
perché mi farei strappare la lingua piuttostoché dare nuovi esempj al mio paese
di rancori e divisioni: ricaccerò nel profondo que' crucci e dispregi che mi
sorgono dall'anima sdegnosa e fieramente sdegnata. Le dirò bensì che per tutto
l'oro del mondo non vorrei non aver provato sì dura prova, che meglio m'ha
fatto conoscere me stesso e altrui; e ho caro che altri n'abbia posto in
berlina, perché ho saputo come ci si sta col cuore intemerato e non vinto. Due
voci son corse pe' diarj e per le bocche di molti, ch'io sia 'clericale' o
favorito dai 'clericali'. Quanto a essere clericale, accetterei questo nome, se
clericale significasse cattolico; ma poiché ciò non è vero, io clericale non
michiamerò mai, benché non possa impedire chi così voglia chiamarmi.
Significato 'naturale' di tal parola è 'deputato del clero'; ma i deputati sono
deputati della nazione, non d'una classe qualunque. Significato apposto si è:
per creduta utilità del clero voler disfare tutto quel che s'è fatto in Italia,
odiare o temere la libertà, e vengan pure i tedeschi: e tal nome allora è
infame, ed io lo rifiuto dal più vivo dell'anima, e tutta la mia vita ne è una
protesta. Da chi vuole libertà interna ed esterna del nostro paese si va
dicendo: gioverebbe che i cattolici mostrasser d'unire in un amore solo
religione e patria, fede e libertà; or bene, questo è il proposito, l'ardore
mio, in ogni mio scritto, in ogni mia parola e in tutto me stesso. Però lodai
come a lei è noto, il 'programma' politico dell'Opinione: regno italico,
costituzionale, compiere l'indipendenza d'Italia, e pacifici accordi con Roma:
togliendo il vocabolo 'accordi' nel senso più proprio e più preciso,
senz'ambiguità e senza restrizioni. Purché l'Italia si componga in pace,
purché, terminata l'agitazione delle coscienze, prendiamo forza in noi stessi e
ci prepariamo ad assicurare l'Italia, snidando l'Austria, che aspetta
l'opportunità, come lupo affamato, io per me son contento di tutto: ques'è il
'programma' mio, e vedano gl'Italiani se quest'è clericalume. Pace con Roma per
sentimento di coscienza e per politica necessità, liberazione d'Italia dagli
stranieri; questo è l'intendimento mio perenne, voluto conseguire già con la
confederazione, ora col regno italico, sempre con Casa di Savoia e mercé i
nostri fratelli subalpini. Chi una parola, uno scritto, un atto mio trovasse
non conforme a ciò, lo dica, e mi do vinto. Quindi nel '48 combattei da
principio alla fine in Lombardia, dal '48 al '58 scrissi nello 'Spettatore”,
nel '59 pubblicai la 'Liberazione d'Italia' contro la 'Civiltà Cattolica', e
malgrado proibizioni del governo granducale. Si è affermato aver io lodato i
gesuiti, e tutti capiscono il perché di quest'accusa; or dissi a taluno e
ridico qui: 2000 lire di premio a chi trova l'elogio dei gesuiti o ne' libri
miei, o negli opuscoli, o anche il lettere manoscritte, o comecchessia. Sono
diciott'anni che insegno; dicano i miei scolari se ho loro inspirato sempre
l'amore d'Italia e delle libertà. Quanto ai favori dei clericali, me ne sbrigo
più presto. I loro favori, o veri o no, protestai non volere, nell'Opinione del
1° ottobre, cioè 22 giorni avanti l'elezione mia; protesta non mai avvertita
da' miei contrarj. Più, scrissi e stampai lettera politica, dove accettavo il
programma dell'Opinione, non clericale davvero. Più ancora, i preti tedescanti
non erano per me, e a suo tempo lo proverò. Dunque, non la fazione clericale
dové favorirmi, bensì parte del clero, che dai clericali si distingue
assolutamente; ovvero se qualche clericale fu per me, o egli era pentito, o non
sapeva quel che faceva. Ma parmi assurdo cercare in mene di sorta il perché
dell'elezione mia o di 607 voti. Il perché vero si è: la gente di que' Comuni
m'ha visto nascere, poi sempre mi conobbe d'una medesima faccia, di libero
sentire e di parola non serva; per varj anni m'elesse ad ufficj comunali ed a
provinciali, né parve a' miei paesani o a' miei vicini, che si troverà essere
la cagione che il collegio elettorale samminiatese ha eletto un samminiatese,
non oscuro forse, non certamente indegno. E cono osservanza mi ripeto. Suo
devotissimo, Augusto Conti»
LA
CONVALIDA DELL'ELEZIONE
Nella
seduta del 23 dicembre 1865 il relatore Scolari comunicò ai Deputati l'esito
dell'inchiesta che vedeva coinvolto Augusto Conti. Il filosofo sanminiatese
risultò totalmente estraneo ai fatti e agli episodi contestati, che tra l'altro
risultarono inconsistenti. In conseguenza di ciò, l'elezione fu convalidata,
come si rileva dagli atti della Camera, nelle parole riportate di seguito:
[Seduta
del 23 dicembre 1865]
[460] VERIFICAZIONE DI ELEZIONI
SCOLARI, relatore. Sono incaricato dall'ufficio di riferire
sull'elezione del collegio di San Miniato nella persona del signor professore
Augusto Conti.
Questa elezione è stata riferita alla Camera in altra seduta. La
Camera ordinò sulla medesima un'inchiesta, in seguito ad una protesta
sottoscritta da sette elettori, nella quale si affermava che la nomina del
professore Conti fosse dovuta a brogli ed a pressioni da parte del partito
clericale.
Vengo, a nome dell'ufficio I, a riferire alla Camera sui
risultamenti di questa inchiesta, in seguito alla quale l'ufficio stesso venne
nuovamente nella deliberazione di proporre la convalidazione della nomina del
Conti.
La protesta affermava in primo luogo l'esistenza di una
circolare del vicario capitolare diretta ai parroci, nella quale si sarebbe
detto che il Conti doveva eleggersi come amico del clero e della Chiesa, e che
il Pini pel suo programma elettorale era incorso nelle censure ecclesiastiche.
L'inchiesta dimostrò che la circolare non esiste. Esiste
soltanto una lettera privata del vicario medesimo ad un solo parroco. L'indole
privata di questa lettera si deduce dal suo principio e dalla sua chiusa; dal
suo principio, inquantochè vi si diceva di restituire un giornale che quel
parroco aveva prestato allo scrivente; dalla chiusa, in quanto diceva che fosse
comunicato il tenore della lettera anche a questo e quel parroco.
Ma se fosse anche stata una circolare, questa lettera per il suo
contenuto non presenta niente di appuntabile, in quanto in essa non si dice
altro, se non che il Conti è una persona modesta, che nulla chiede, e che
perciò dovrebbe essere raccomandato agli elettori.
Si affermava inoltre che anche l'arcivescovo avrebbe in una
conferenza manifestata opinione favorevole all'elezione del Conti. Ma non c'è
nessuna sollecitazione e nessun consiglio di adoperarsi con la minaccia di
censure ecclesiastiche per far accettare il candidato dagli elettori.
La protesta diceva pure che eransi fatte molte minacele da parte
di preti e di parroci. Ma anche in questo l'inchiesta ha dato un risultato
negativo, in quanto si è riconosciuto che il solo prevosto di Montebicchieri [461] avrebbe in uno dei
soliti convegni serali nella farmacia del paese detto che dopo la pubblicazione
del suo programma elettorale il Pini era incorso nelle censure ecclesiastiche.
E non è da far meraviglia che così pensasse quel prevosto, perché è certo che
il programma, in cui si parla della separazione della Chiesa dallo Stato e
della soppressione degli ordini religiosi non incontra il favore della Chiesa
di Romane dei suoi preti. Era dunque naturale che dicesse doversi eleggere piuttosto
il Conti, il quale era conosciuto come sincero cattolico, e come tale si
proponeva. Ma nello stesso tempo il prevosto soggiungeva: che non si sarebbe
immischiato in cose politiche e che non avrebbe adoperato della sua influenza
sopra gli elettori; anzi avrebbe sconsigliato chiunque a dirigersi a lui per
averne pareri o proposte.
Di un altro prevosto si parla, ma come di tale che avrebbe
influito sulle mogli di alcuni elettori, dicendo loro che, se i loro mariti
avessero votato in un senso piuttosto che nell'altro, sarebbero incorsi nelle
censure ecclesiastiche.
Ma assolutamente di queste pressioni e minacce non c'è che una
vaga voce. Il processo non ha potuto provar nulla positivamente. Non e' è altra
deposizione se non di una donna che dice d'avere udito ciò che racconta da un'
altra; e di un elettore che dice di riferire quanto seppe dalla moglie di un
altro elettore. Sono dunque semplici voci, che non si sono potute constatare.
Risulta soltanto che le pretese minacce dei tre prevosti
sarebbero puri consigli dati nel senso di votare pel candidato cattolico; e
l'inchiesta esclude affatto che fossero accompagnati da illegittima pressione.
Eliminata questa pressione, l'ufficio osservò che, quand'anche
l'influenza di questi tre sacerdoti avesse prodotto qualche effetto, non
avrebbe potuto influire sull'esito definitivo della votazione, imperciocché il
collegio di San Miniato comprende 68 cure, e le tre, a cui appartengono i
sacerdoti in discorso, sono delle più piccole ed hanno popolazione sparsa.
La protesta che diede materia all'inchiesta giudiziaria accusava
ancora il prevosto di Stibbio di avere scritto molte schede per elettori
analfabeti. Ora sta in fatto che questo prevosto scrisse alcune schede, ma lo
fece sempre dopo esserne richiesto, ed i testimoni che deposero su questo punto
dissero che ad ogni volta egli interrogava l'elettore analfabeto intorno alla
sua volontà, e non c'è alcuna prova o induzione fondata che mettesse sulla
scheda un nome diverso da quello indicatogli dall'elettore.
I testimoni poi non cadono d'accordo sul numero delle schede che
il detto prevosto avrebbe scritte per mandato di elettori analfabeti; chi dice
quaranta, chi cinquanta, chi cento.
Nei processi verbali consterebbe invece che il primo sumero solo
sarebbe vero; ma quand'anche fossero veri tutti, e
fosse provato che le schede dovessero dichiararsi nulle per cagione di abuso
commesso da chi le scrisse, l'esito finale della votazione non sarebbe
alterato, e non sarebbe alterato nemmeno se tutte le cifre asserite si
sommassero insieme, perché il professore Conti ebbe 607 voti, ed il suo
competitore non ne ebbe che 352.
Quanto alla osservazione fatta dai firmatari della protesta che
molti sacerdoti andassero a votare, non è a farne meraviglia come che in Italia
i preti siano molti dappertutto; ma non consta che abbiano esercitata alcuna
pressione o si siano comportati illegittimamente.
Insomma, l'ufficio, a cui nome ho l'onore di riferire, è venuto
nell'intima convinzione che pressione non ci sia stata, che abuso di potere per
parte dei sacerdoti di quel collegio non abbia avuto luogo; che essi non si
adoperarono con quelle armi che facilmente possono adoperare a intimidire le
deboli coscienze. Soltanto è provato che i preti si adoperarono a manifestare
la loro opinione favorevole per il Conti, poiché attribuivano a lui opinioni
conformi a quelle da loro professate.
Inoltre dobbiamo osservare che quest'inchiesta venne ordinata in
seguito ai richiami di sette elettori; e di questi soltanto sei fecero
legalizzare la propria firma, per cui è da tener conto di questi soltanto. I
reclamanti poi consentono in fatti separati; e il più spesso si riferiscono a
cose che hanno sentito dire.
Ciò che vi è di vero, e che tutti consentono, si è che correva
voce nel paese dell'adoperarsi del clero per far riuscire il candidato
cattolico. Questo è un fatto naturale e che si può credere anche senza la
deposizione di testimoni, poiché il clero avendo abbandonato il suo programma,
né eletti, né elettori, e avendo deliberato di agire nella sfera costituzionale,
doveva certamente usare di quei mezzi che la legge a tutti concede, e vedere
quel che meglio a lui tornasse.
Un fatto che esercitò molta influenza sulle decisioni
dell'ufficio I è l'esistenza d'una controprotesta firmata da 310 elettori,
esclusi da questo numero i preti e gli analfabeti. Questi elettori che in
numero pareggiano quasi i voti dati al competitore del Conti, dichiarano d'aver
votato per quest'ultimo, persuasi che non appartiene al partito clericale, ma è
soltanto un sincero cattolico.
Tralasciando di apprezzare questo loro modo di vedere, dobbiamo
pur tener conto dell'esplicita loro affermazione d'aver votato con piena
libertà. Aggiungono che sarebbe difficile a credere che i preti con minaccie
ecclesiastiche potessero influire nientemeno che sopra 607 elettori. Tutti i
firmatari della controprotesta, come anche i sette firmatari della protesta,
convengono in ciò che il signor Conti non ha preso parte alcuna in
quell'agitazione elettorale, ed è rimasto intieramente passivo. La qual cosa si
spiega con l'integrità del suo carattere e l'elevatezza del suo ingegno. [462] Dove alcuno potrebbe
invero compiacersi che non essendo il clero col suo molto dimenarsi riuscito a
mandare in questa Camera tanti candidati del suo colore da bastare a renderci,
noi d'altro colore, più uniti e ordinati, sia riuscito a mandarvi, tra i
pochissimi, alcuni valenti, perché in questa maniera si vedrà che i principii
d'altri tempi non possono ricevere né dalla storia, né dal diritto, e nemmeno
dalla filosofia, tanto vigore da vincere la battaglia che certo loro daremo
presto in nome della libertà politica e del perfezionamento morale del nostro
paese.
Per queste considerazioni e per questi fatti propongo alla
Camera d'accettare le conclusioni a cui è venuto l'ufficio I, colle quali si
chiede sia convalidata l'elezione del professore Conti a deputato del collegio
di San Miniato.
(L'elezione è convalidata.)
L'ARRIVO
DEL “DEPUTATO” ANGUSTO CONTI
Calmate
le acque, alla fine di dicembre del 1865, Augusto Conti poté fare una breve
sosta a San Miniato, alla sua città natale, al territorio che lo aveva eletto
deputato alla Camera. Fu un'iniziativa
estemporanea, ma che ottenne il plauso della popolazione sanminiatese
che non mancò di tributargli una calorosa accoglienza. Anche di questo
episodio, rimane la memoria manoscritta di Antonio Vensi (Archivio Storico del
Comune di San Miniato, Scartafaccio di me Antonio Vensi dall'anno 1842 fino
all'anno 1893, cc. 146r):
29.
Dicembre. Saputosi in S. Miniato che proveniente da Pisa sarebbe arrivato a S.
Pierino al 1° treno il nostro Deputato Conti, la Società Operaia, la Banda e
molti cittadini si andò a incontrarlo. Giunto a S. Miniato fece un breve
discorso parlando degli obblighi che ha il deputato e di ringraziamento ai suoi
cittadini, la sera vi fu qualche casa di cittadino illuminata.
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