martedì 27 maggio 2014

L'ASILO DELLE MONACHE DI SAN PAOLO - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

L'Asilo delle Monache di San Paolo

La fondazione del monastero delle Suore claustrali di San Paolo si fa risalire a donna Margherita, vedova di messere Paolo Portigiani (morto il 15 agosto 1379) a 10 anni dalla “Sommissione” con il riconoscimento delle nuove sorelle dell'osservanza francescana. Agli inizi del 1800 con alcune ordinanze lo Stato Italiano sopprimeva ordini e congregazioni religiose. Mentre l'antico convento benedettino di Santa Chiara si era tramutato in Conservatorio.

"Particolarmente accidentate furono le vicissitudini del monastero di San Paolo in San Miniato. Fu soppresso nel 1808, i locali incamerati dal demanio e le monache riunite con le oblate di Santa Chiara. Non si rassegnò una Buonaparte […]che fece ricorso al suo imperiale congiunto. Il monastero con tutti i suoi beni fu restituito alle monache per essere di nuovo confiscato alla morte della Buonaparte. Dal 1817 al 1827 vi abitarono i Conventuali, in attesa che fossero completati i lavori di restauro del loro convento. All'uscita dei conventuali i locali furono acquistati da mons. Pietro Bagnoli, poeta cesareo, per 900 scudi. Nel 1889, alcuni benefattori, per consiglio di mons. Del Corona, riscattavano il monastero dagli eredi del Bagnoli (con l'eccezione della casa della famiglia – oggi Frosini, n.d.r.) e lo restauravano. Poco dopo ne prendevano possesso le Clarisse, precedentemente trasferite a Santa Chiara, che ripristinavano la clausura e la vita regolare lasciando però – in omaggio allo spirito dei tempi – uno spiraglio aperto con la istituzione di un apprezzato asilo per i figli del popolo.” Estratto da C. Cinelli, S. Desideri, A. M. Prosperi, San Miniato e la sua Diocesi. I Vescovi, le istituzioni, la gente, CRSM, Ed. Del Cerro, Pisa, 1989, p. 141.

E' questa in estrema sintesi la storia del monastero e dell'asilo di San Paolo che ha accompagnato alcune generazioni di samminiatesi, di padre in figlio, senza limiti di età. Spazi, quelli interni, suddivisi ed utilizzati per facilitare la frequenza simultanea di ogni fascia di età, non solo della prima infanzia. Si iniziava con bambini di pochi mesi e con quelli in età da materna. Ma spazi aperti al pomeriggio, per i bambini delle elementari e per i ragazzi dell'Avviamento e della Scuola Media. Tale era il clima accogliente e la sapiente opera di accompagnamento di quelle monache, che anche dopo Avviamento e Media, tante ragazze e ragazzi continuavano la frequenza, perché piacevole e utile per fare i compiti e per studiare. Ragazzi e ragazze, grandi, sia delle Magistrali che del Liceo per un legame, con noi bambini, che continuava anche fuori, per strada, in piazza come “Sotto il Ponte”.

Ricordi sfuocati i miei, io che, ancora in fasce, ho varcato quella soglia, per la prima volta, tra le braccia di mamma. Sempre una delle monache dietro l'uscio a fare accoglienza. Pronte ai bisogni, a dispensare consigli, ad ascoltare ogni famiglia: la prima stanza sulla destra a fungere da Ufficio e da centro di ascolto. Regole minime come la retta, senza scadenza. Tante le famiglie disagiate e con scarsi mezzi “dispensate” da certi obblighi, mai mandate indietro. Famiglie che per generazioni si sono succedute in quella Scuola Materna, conosciuta da tutti come l'Asilo di San Paolo, là in via Pietro Bagnoli nello Scioa, ma scuola materna per tutti i samminiatesi. E che tale era, lo si vedeva ad occhio nudo ogni mattino, quando per strada ti imbattesi in mamme che provenivano dal “di là”, per mano ai loro figli piccoli, dirette “di qua” dalle Monache di San Paolo. Come Lilia che, prima di aprire la sua cartoleria posta accanto al “Crocifisso”, davanti alle Elementari, arrivava presto portandosi dietro, mano nella mano, sia Luigi che Paolo. Quasi sempre per ultima, ben riconoscibile, arrivava la Calvani carica dei suoi figli. Faticoso e lungo il tragitto di tutti i giorni da e per l'asilo, per lei che arrivava da Shanghai. Gruppetto di Case Minime erette sotto le Magistrali, a metà percorso di quella strada bianca, pendenza difficile per qualsiasi mezzo, che portava in Gargozzi, e che in pochi si azzardavano a percorrere in salita, qualunque mezzo avessero, mai un carro con i buoi! Riconoscibile perché la vedevi sbucare all'altezza di Pancole, sempre un passeggino, un bambino dentro e uno con i piedi sul retro dello stesso a farsi trasportare. Uno per mano alla mamma, un altro in collo… quasi sempre in attesa (non ho ricordi di lei non incinta); i due più grandi, un maschio e una femmina, a rimorchio o di lato. Poi si arrivava noi, quelli più vicini, da Sant'Andrea, da Piazza dei Polli. Quelli che, quasi alla stessa ora, ci si incontrava per strada o in Piazza dell'Ospedale diretti dalle Monache di San Paolo, al nostro Asilo. I fratelli Vanni, i fratelli Ferlin, Rosaria, Maurina, Lisetta, Brunina, Maurizia, Daniela, Antonietta, Anna Maria e Mario Dainelli… solo per citarne alcuni; la Toni, la Brunelli, la Fiumalbi, la Peroni e altri e altre ancora.

Cartella in una mano e borsa porta-pranzo nell'altra. Ma anche dalla Via del Sasso e dalle zone attorno ai Cappuccini, sulla strada da Calenzano. Di quei primi momenti della giornata, vivo mi è rimasto soprattutto un ricordo. Suscitato da un legame, quasi epidermico, che per empatia pura mi spingeva verso un bambino, più piccolo di me e che mi sembrava bellissimo. So che non me ne vorrà, se solo da grande mi sono accorto che non era assolutamente bello come lo vedevo.
Bellissima ed intrigante invece la sua risata. Sembrava quasi un gorgheggio, quando lo rincorrevo nell'intento di sentire quella risata sonora, mentre tentava invano di scappare via, girando per l'aula grande, svoltando per il corridoio laterale e di nuovo nell'aula grande per un girotondo che continuava per minuti e minuti. Io che rallentavo la corsa per evitare di prenderlo e lui che continuava a scappare finché entrambi, senza fiato, prima di crollare a terra, ci accoccolavamo seduti dove capitava, l'uno accanto all'altro. Quando incontro ancor oggi Paolo, che abita in San Miniato, anche lui con i capelli bianchi, subito mi tornano in mente queste immagini, indelebili.

Come le immagini di quelle suore. Talune, …volti senza nome. Ma di altre, ricordi ripetuti anche nel tempo, come quelli legati a Suor Maria Maddalena Mosconi, Suor Anna Maria Quercegrossi, Suor Maria Luigia e Suor Maria Antonina sorelle, Suor Maria Pia, Suor Giacinta madre superiora. Ognuna nel proprio spazio e ruolo. Spesso tutte insieme nell'Aula Grande e nel refettorio per il pranzo. A quell'ora si attraversava la “Stanzina Rossa”, usata come sala giochi in caso di maltempo, e da lì nel refettorio. Tavolo lungo e basso, l'arredo, giusto a misura di bambino come pure le panche. Ognuno il proprio tegamino portato da casa, tutti assieme a mangiare. Si terminava con ciambelle o meringhe per tutti, quelle fatte dalle altre monache; quelle che, oltre quella porta da dove principiava la clausura, non vedevamo mai. E prima della Stanzina Rossa, una rampa di scale a sbalzo, ringhiera in ferro di lato, per salire da Suor Maria Luigia. Con lei i ricordi vanno soprattutto all'insegnamento della Messa per fare i chierichetti, a quelle formule in latino imparate a memoria, per poter “servire messa”, ma anche a quelle di cui era fatto il catechismo di Pio X. Formule indelebili che in età adulta si arricchiscono anche del significato. “Introibo ad altare dei” “Ad deum qui laetificat juventutem meam”: così cominciava la Messa in latino, come se la rammentava anche il mio babbo che prese giusto l'ultima il giorno che sposò. E su quella ringhiera, da lassù di ritorno, a scivolare a cavalcioni, se non visti, anche per giornate intere. E in fondo a quelle scale la “stanzina buia” per la penitenza, le punizioni quando combinavamo qualche guaio. Io ce la mettevo tutta, ...tutta la mia buona volontà per non combinare guai, sempre o quasi ubbidiente.

Suor Maria Maddalena la più solerte, a volte anche troppo severa, a sentenziare peccati e a comminare penitenze. L'Aula Magna il suo regno, finestre che davano su via Pietro Bagnoli e una grande porta a vetri che si affacciava nel giardino dei "4 cantoni". È così che utilizzavamo i 4 alberi posti a quadrato in maniera simmetrica. E quando ci interrogava Suor Maria Maddalena o ci faceva fare degli esercizi di matematica... erano dolori, non solo figurativi. Usava la "vetta" e per punizione ci faceva stare in ginocchio dietro la lavagna, talvolta dentro lo stanzino buio.
Col sorriso sulle labbra, in qualsiasi momento della giornata, Suor Anna Maria dietro ai suoi ragazzi grandi; chi a studiare latino, chi francese, sia maschi che femmine. Sempre un bel gruppetto ogni giorno... la cui immagine mi riporta alla mente tanti volti senza nome, mentre alcuni sembrano danzare tra l'ombra del ricordo e quella dell'immaginazione… e mi fanno affiorare alcuni nomi, solo alcuni... pochi… Giovanna Giolli, Marta e Alberto Senesi già al tempo “quasi fidanzati” e poi sposi. Di Suor Maria Antonina il ricordo si ferma allo stupore, nel giorno della sua morte improvvisa, di fronte a quel pianoforte vuoto che condivideva con suor Maria Maddalena.

Suor Maria Pia e suor Giacinta, a quei tempi madre superiora, giunte indenni agli anni '80, ad Asilo oramai chiuso, hanno continuato nel tempo a ricevere visita da quei bambini diventati grandi, diventati genitori… i primi della loro “dinastia” a non poter dire al proprio figlio “vieni, che ti porto all'Asilo, dalle monache di San Paolo”. Quando in quegli anni ci ho accompagnato i miei, Cristiano nato nel 1983 e Tiziana nata nel 1985, viva la sensazione di far visita a “casa”, a presentare i propri figli, come vivo il senso di impotenza espressa in... “Qui ci venivo io da bambino, quando c'era l'Asilo”. E suor Maria Pia e suor Giacinta ad aprire la porta di quella stanzina laterale, parlatorio per un contatto vero, e le loro ciambelle e meringhe ad addolcire un giorno bellissimo, anche nel ricordo. Rimasto tale anche dopo l'ultimo, quando le condizioni di salute di suor Maria Pia si aggravarono definitivamente, fino alla morte. E a memoria il ricordo di quelle emozioni, la certezza delle loro preghiere, la concretezza che nelle loro mani magiche si tramutava in “cuoricini benedetti” che prima le nostre nonne, dopo le nostre mamme, ci cucivano strette sulla camiciola a carne, quasi ché le preghiere potessero trasmutare dall'aria alla carne stessa. Ben poca cosa il contraccambio che in ogni epoca ha segnato le visite alle “nostre monache di San Paolo” dei nostri nonni e bisnonni, e di noi, bambini di allora, diventati adulti, almeno per Natale: zucchero e caffè, merce preziosa negli anni 50.




Monastero di San Paolo, i bambini dell’Asilo
Collezione Giancarlo Pertici

Monastero di San Paolo, l’Aula Magna
Collezione Giancarlo Pertici

Monastero di San Paolo, il Refettorio
Collezione Giancarlo Pertici 


San Miniato, Monastero di San Paolo, via Pietro Bagnoli
Foto di Francesco Fiumalbi



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