venerdì 13 febbraio 2015

LA DISFIDA DELLA TROTTOLA - Racconto di Giancarlo Pertici


di Giancarlo Pertici

Dal gioco alla 'DISFIDA' della TROTTOLA

Non era un gioco che avevano imparato dagli amici più grandi e nemmeno dai loro nonni. Sì! qualche volta ci avevano fatto anche un pensiero, qualcuno ci sapeva anche fare, qualcuno se l’era costruita da solo con l’aiuto del nonno, altri se l’erano comprata di legno dal Bagagli, lassù in cima alla salita di Santo Stefano. Ma nessuno aveva pensato di trasformarlo in disfida, in un gioco competitivo, fatto, oltre che di abilità, anche di colpi proibiti, di colpi inventati e soprattutto 'cruento'. Non so come definire la crudeltà nel gioco, anche se si trattava di giocare con le Trottole.

Quei bambini dello Scioa, era da poco passata la guerra, subiscono la discesa di un gruppetto di coetanei da ‘di là’, di famiglia bene. Sembrava arrivassero alla conquista di “sa-iddio-cosa”. Quando propongono loro il gioco, dopo aver invaso quello spazio in Santa Caterina sotto quell’Abete che si innalza davanti a Casa Nardini, non possono che accettare, per recuperare almeno lo spazio, senza tanta voglia di mettersi in conflitto aperto con quelli ‘di là’. Accettano senza conoscere regole e senza immaginare le conseguenze, che ci saranno.

Quello, un gruppetto piuttosto numeroso, nato tra il 1940 e il 1943, in quella porzione di San Miniato con addosso i segni dalla guerra. Pochi i ricordi diretti, molti quelli trasmessi da nonni e genitori che hanno continuato a parlarne, accompagnandoli nella crescita fino al momento di andare a scuola: ...La nonna che mostra una fede d’acciaio al dito, la sua d’oro l’aveva data alla Patria per concorrere alla 'Vittoria Finale'; così le avevano promesso, ma era finita con la sconfitta; quella artistica ringhiera in ferro battuto, tutta attorno al muro di cinta del palazzo Migliorati, 'ragnaia' compresa, che è stata fusa per farne cannoni... così avevano promesso; la tessera annonaria, che il Comune assegna ad ogni famiglia, nel periodo delle “Sanzioni” che le altre nazioni hanno comminato a l’Italia Fascista, con la quale viene assicurato a tutti una razione sufficiente di olio, farina, latte, carne etc. così almeno avevano promesso...

I loro spazi, quelli di cui, genitori e nonni, hanno sempre raccontato, sono "off limits"… conseguenze della guerra. O si tratta di zone di guerra, o vi hanno stazionato alcune postazioni d’artiglieria, o sono stati depositi a l'aperto, o c’è il rischio che siano stati qualcosa di simile. Il fatto è che non possono andare liberamente in Pian delle Fornaci, guai a mettere piede nei campi vicini. Figuriamoci se permettono loro di andare a Scacciapuce, ai Cappuccini o al Parterre. Hanno solo due reali posti, oltre l’orto delle monache di San Paolo: la Piazza di Santa Caterina e Sotto il Ponte. Sono diventati esperti nel riconoscere ogni tipo di bomba, antiuomo, anticarro, ogni tipo di proiettile inesploso sia di mortaio sia di cannone. Gli spazi usati per le 'reclames' del cinema, per la pubblicità del dentifricio e dell’ultima brillantina, oramai sono occupati in pianta stabile da immagini, foto soprattutto, di tutti questi tipi di ordigni. A scuola, spazi e orari condizionati dalla presenza d’esperti militari, artificieri in servizio in quella zona, ad illustrare i vari tipi di bombe, come riconoscerle e come comportarsi, come dare l’allarme.

Loro hanno voglia di altro. Hanno voglia di correre in strada, su per i campi verso i Cappuccini e verso Scacciapuce, di andare a fare merenda al Parterre sotto le fonti di Pancone, quando arriva quel gioco, anche a proposito, annoiati dei soliti giochi e dei soliti posti, che li coinvolge, anche se debbono imparare il gioco vero e proprio.
E chi sa giocare con le trottole ? chi sa lanciarle ? chi s’immagina tutte le possibilità? È un percorso affascinante, anche ad ostacoli, durante il quale scoprono nuovi limiti, ogni giorno, Cosa può fare o arrivare a fare una trottola è inimmaginabile, anche ai ragazzi di oggi, quelli del 2000! Ancor oggi una trottola può arrivare a meravigliare molto di più di qualsiasi gioco sul Pc e di qualsiasi gioco condiviso su Facebook. Il rischio vero è che oggi, anno 2015, non ci sia più nessuno in grado, non semplicemente di raccontarli, ma di ripeterli quei gesti, perché di gesti si tratta, che costituiscono e danno vita al gioco della Trottola.

I primi rudimenti del gioco si imparano dagli altri, mentre maneggiano la trottola, cercando di imitarne i gesti. A guardarli sembra facile e lo è. Ma quando ti ritrovi in mano la trottola, quei gesti semplici, si fanno difficili, e ti senti legato, innaturale, a volte anche goffo.
Per me, nato alcuni anni dopo, la trottola richiama alla mente situazioni diverse. Ben ricordo quella mia prima trottola di ulivo e che maneggio già da alcuni giorni. La riconoscerei tra tutte le altre, sia perché è nuova e più chiara delle altre, sia per le venature e i nodi che rendono unica ogni trottola.
Quella trottola, la riconoscerei per quel minuscolo forellino, al centro di un piccolo nodello anch'esso minuscolo, proprio all'attaccatura della punta, nell'ultimo anello della spirale, che la rendono veramente unica per me, anche al solo tatto. Lo sento anche al tatto, ad occhi chiusi, dove partire con la corda, dello stesso spessore della spirale incisa nel legno. Pollice della mano destra a tenere la corda sull'ultimo anello, e l'indice a tenerne l'estremità, avvolta alla punta, per finire in alto, nella parte più larga. Mentre con la mano sinistra, partendo dall'attaccatura della punta stessa, riavvolgo strettamente tutta la corda in senso antiorario, seguendo il corso delle spirali che ne dettano il verso. Impossibile sbagliare. Al momento del lancio, tante le posizioni e le posture, tutte valide, tutte possibili a rilasciare la trottola che, quando tocca terra, gira e si fa un percorso, oppure resta fissa in un punto. Tutto dipende dal lancio. A questo punto è un gioco di vera abilità che si conquista solo con l'esercizio, provando e riprovando. Un gioco di polso che la memoria ancor oggi tenta di suggerirmi, ma che il polso, forse invecchiato, non ricorda più perfettamente. Difficile oggi una riprova sul campo, anche se ben ricordo i movimenti, anche se non tutti i percorsi di allora. Per noi, che i primi lanci li facevamo sulle lastre, sul monumento ai caduti, sugli scalini del 'Migliorati' alla ricerca delle superfici più facili da usare, qualche volta anche sotto l'abete davanti a casa Nardini con la sua superficie ridotta a terra battuta dai nostri giochi e dal nostro continuo scalpiccio.

Superficie facilmente addomesticabile, ma meno scorrevole, per gli attriti 'sensibili', a ridurre velocità e tempi di rotazione. Molto meglio il marmo del monumento e le lastre, quelle lisce, quelle più vecchie, non quelle appena scalpellate dal Pantani e compagnia bella.
Quando, pochi giorni fa, ho incontrato Elio, un vecchio amico e anche 'datore di lavoro', in quella fabbrica a Castelfranco che mi ha visto iniziare e poi arrivare alla pensione, mi sono venuti subito alla memoria “corsi e ricorsi” apparentemente dimenticati, che invece erano solamente sopiti, in attesa di essere risvegliati. Elio infatti, negli anni immediatamente dopo la guerra, si ritrova spesso a
San Miniato, in Santa Caterina, dalla zia, di cui non ricordo il nome, che abita in canonica, quando parroco è allora il Bellaveglia; certamente durante tutto il periodo estivo, al temine della scuola, lui classe '37, con memorie di persone e di giochi.

Ben ricorda, e non poteva essere diversamente, Liliana Giolli, forse anche coetanea, 'bellissima', come lui la definisce e come anche io la ricordo, nonostante i dieci anni di scarto tra noi due. Ma non è questo il ricordo che mi ha destato curiosità. Elio si ricorda nel dettaglio, dopo aver letto I RACCONTI DELL'ORTO, delle 'disfide' cruente con la trottola sotto l'abete. Un Cerchio disegnato sulla terra battuta, a delimitare il punto di lancio entro il quale lanciare la Trottola, per poi uscire dal cerchio dopo alcuni giri anche minimi. È tutta qui l'abilità, nel far scorrere la trottola, nonostante la superficie non uniforme e anche molle, fino ad uscire dal cerchio. Ad ogni giro, cambio delle modalità di lancio, sempre più difficili. Inalterato l'obbligo di uscita dal cerchio. Dal lancio semplice, al lancio verso l'alto, al lancio stando in piedi sopra la panchina o stando in ginocchio, al lancio girati di schiena, con tutte le possibili variabili Quelli 'di là', quasi tutti con esperienza da vendere. Loro abituati a giocherellare con la trottola, giusto per il gusto di vederla volteggiare il più a lungo possibile, per applaudirsi a vicenda, per reciproca gratificazione. Per un “disfida cruenta” che si consuma in maniera quasi innaturale, anche nei ricordi di Elio, più grande degli altri... 'dilaisti' e 'diquaisti'. Neppure Elio si ricorda il percorso esatto, l'esito finale della disfida, i vincitori e gli 'sconfitti', mentre ha ben a mente la sorte di questi ultimi.

La trottola lanciata, che non riesce a girare o ad uscire dal cerchio, che se ne resta lì a prendere i colpi delle trottole avversarie. Non uno solo! Tutti assieme ai lati del cerchio a scagliare la propria trottola su quella ferma nel cerchio, mirando proprio alla testa con la punta di ferro, quasi fosse un trapano. E per finire, impugnando la trottola come fosse uno scalpello, a percuotere quella inerme al centro del cerchio, fino a penetrare e spaccare il legno, talvolta aprendolo del tutto e rendendo la trottola inservibile. Lo sconfitto che se ne va via tra le lacrime e il perno di ferro al 'vincitore' come trofeo.

Abituato a disfide pacifiche, per il gusto dell'abilità, non mi ha mai divertito questa 'disfida' cruenta. Continuo a preferire il gioco incruento senza vincitori né vinti.




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