13 [1369-70] Assedio di San Miniato
Dopo la partita di Carlo, gli usciti
di San Miniato, già molto innanzi
prese alcune castella, facevano guerra a quella terra. Era dentro una compagnia
di gente tedesca dello esercito di Carlo, e con loro i terrazzani della parte
avversa: ma gli usciti si fidavano nel favore e forze del popolo fiorentino. La
qualcosa vedendo gli avversarj , rifuggirono a messer Bernabò, domandando
l'ajuto suo, e sì gli dettero la terra. Messer Bernabò adunque, il quale già
molto innanzi era vòlto col pensiero alle cose di Toscana, deliberò di
sovvenire a’ Samminiatesi. E parve
che facesse ingratamente, perocché i Fiorentini poco innanzi erano venuti in
disgrazia di Carlo imperadore e del sommo pontefice, per avere ricusato di fare
lega contro lui, riputandoselo amico; e
lui da altra parte , senza alcun riguardo della pace e senza alcuna legittima
cagione, prendeva ad ajutare il nimico, e appiccare la guerra contro al popolo
fiorentino.
Conosciuto adunque i Fiorentini il
proposito di messer Bernabò, con maggiore sforzo che prima ossidiarono San Miniato. Ma non molto di poi
sopravennero gran numero di gente d'arme di messer Bernabò: e era capitano
messer Giovanni Aguto, uomo famoso nella guerra, e già molto innanzi noto per
Italia. Il quale, sentito l'ordine del campo e il modo dello assedio, perché
non si fidava potere soccorrere per forza quelli di dentro, si fermò in quel di
Pisa, non lontano dal campo de' Fiorentini più che dieci miglia.
Il capitano de' Fiorentini era messer
Giovanni da Reggio, uomo egregio e singolare nella guerra: il quale, vedendo le
genti nimiche essere ferme e non venire più oltre, seguendo ancora lui la
ragione della cosa, deliberò stare fermo e strignere la ossidione, e non si
fare loro incontro, dimostrando il campo esser posto in luogo sì opportuno, che
se i nimici lo venissero a trovare, potrebbero essere ributtati con loro grande
danno; e se non venissero, non gli potrebbero fare nocimento: e avendo in
questa forma la vittoria certa, non gli pareva da metterla in dubbio e alla
varietà della battaglia. Il suo consiglio era ragionevole e prudente: ma alcuni
cittadini nel magistrato fiorentino tanto lo stimolavano, che ogni suo
proposito riferivano a pigrizia e timidità. Ancora la infima moltitudine,
seguitando la ferocità del magistrato, riprendeva la negligenza e timore del
capitano. Le quali cose venendogli a notizia, ebbe a dire: « Andiamo dove ci
mena la stoltezza degli uomini poco esperti, perché intenderanno, che a me non
è mancato né l'animo né il consiglio. » Di poi il dì seguente dopo queste cose,
lasciato una parte delle genti alle munizioni del campo, tutto il resto dello
esercito messo in battaglia, andò a trovare i nimici, con fermo proposito di
combattere.
Messer Giovanni Aguto , vedendo le
genti de’ Fiorentini che lo venivano a trovare, tenne i suoi dentro agli
alloggiamenti, disegnando che in quel mezzo i nemici si straccherebbero pel
cammino e pel caldo. E pertanto mandò fuori solamente alcuni saccomanni e
scorridori a tenere con loro scaramuccia. Lui in quel mezzo, rinfrescate le
genti e ordinatele in squadra, quando gli parve tempo, le trasse fuori: ed
essendo superiore di numero, e trovando colle genti fresche i nimici affannati,
facilmente li vinse. Fu preso in quella zuffa il capitano de' Fiorentini con
grande numero de' suoi; molti ancora ne furono morti: li altri rotti, senz'
ordine e senza capitano, come gli accadde il bisogno, si fuggirono.
I nimici, il dì seguente, andarono per
combattere le munizioni del campo: e trovandole guardate con gran diligenza, deliberarono
entrare in quel di Firenze, stimando questo esser più facil modo a levare l'
assedio. E pertanto , lasciato il campo nostro a San Miniato, corsero insino
alle mura di Firenze, facendo d'industria maggior romore che l’ordinario. Ma la
città stette ferma nel proposito, e per alcuno terrore non si rimosse dallo
assedio: anzi più tosto rinnovate le genti, strinsero con maggiore sforzo
quegli di dentro. Accadde poco dipoi, che San
Miniato s' ebbe per trattato mediante l’opera d'un Luparello, uomo d'
infima condizione, il quale di notte tempo messe dentro le genti per luoghi
occulti e strettissimi. Il perché le forze degli avversarj furono superate: e
quelli che erano stati autori della rebellione furono condotti a Firenze, e
quasi pel concorso della moltitudine oppressati, e in ultimo condannati a morte.
Non molto dopo l’avuta di San Miniato, le genti d'arme di messer
Bernabò, le quali sotto specie d'ajuto s’erano fermea Lucca, trattarono d'
occupare quella città al vicario di Carlo imperadore: il quale, sentendo la
fraude e la pratica che si teneva, s’afforzò con altre genti, e licenziò quelle
di messer Bernabò, mostrando sotto onesto colore non avere più bisogno dell'
opera loro.
L.
Bruni, Istoria fiorentina di Leonardo
Aretino tradotta in volgare da Donato Acciajuoli, Felice Le Monnier,
Firenze, 1861, pp. 443-446.
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