Indice
del post:
INTRODUZIONE
LO
SFOLLAMENTO
L’ARRIVO
DEL FRONTE
IL
SECONDO SFOLLAMENTO
LA
STRAGE DI VALICANDOLI
LE
VITTIME
LA
LETTERA DI NELLO MORI
LA
TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
SULLA
MORTE DI ADELINDO SCARSELLI
INTRODUZIONE
In
questo post proponiamo il testo di una lettera molto interessante,
messa gentilmente a disposizione dalla sig.ra Marilena Frittelli a
cui va il nostro più sincero ringraziamento. Si tratta di una
missiva inviata da suo nonno Nello Mori alla figlia Clorinda (madre
di Marilena) che si trovava a Torino.
Nello
Mori abitava ad Isola con la moglie Ida e la figlia minore Nella,
detta Nellina. Clorinda invece si era sposata e si era trasferita nel
capoluogo piemontese. Per lunghi mesi, forse più di un anno, non
ebbero modo di comunicare fra loro. Nell’estate del 1944 la guerra
passò dal territorio sanminiatese, lasciandosi dietro una drammatica
scia di morte e distruzione. Poi il lungo inverno, con il fronte
bloccato sulla Linea
Gotica.
Infine la primavera del 1945: l’avanzata Alleata, la ritirata
tedesca e la Liberazione dell’Italia Settentrionale. A tre
settimane dalla fine delle ostilità, alla famiglia Mori si
materializzò un’occasione d’oro: il padre del sacerdote della
vicina Marcignana si sarebbe recato proprio a Torino. All’uomo
venne dato un foglietto piegato, scritto alla meglio. Non c’era la
carta per fare la “bella” e non c’era tempo per prestare
attenzione alla grammatica e alla punteggiatura: Nello non era
abituato a scrivere lettere, ma fece del suo meglio per comunicare
alla figlia che erano salvi, che stavano bene e che, passata la
guerra, bramavano di avere notizie del resto della famiglia. Tuttavia
il testo rappresenta anche una testimonianza diretta di ciò che
avvenne ad Isola nell’estate del 1944: la condizione del paese e
delle abitazioni dopo il passaggio del fronte, ma anche la drammatica
sorte che toccò ad alcune persone.
LO
SFOLLAMENTO
Alla
metà di luglio 1944 gli Alleati erano in Valdelsa e fra il
Volterrano e l’Alta Valdera. La 14° Armata tedesca quindi venne
disposta sulla linea dell’Arno col compito di resistere quanto più
tempo possibile in modo da organizzare la Linea Gotica sugli
Appennini. Questa iniziativa andò a incidere profondamente sulla
vita degli abitanti nel territorio sanminiatese e, più in generale,
in tutto il Valdarno Inferiore. Inizialmente l’ordine era di
sgomberare una fascia di 5 km a sud dell’Arno, poi ridotta
all’evacuazione di tutta la popolazione residente fra l’Arno e la
ferrovia. Per questo motivo, il 16 luglio la famiglia Mori si spostò
a La Covina, nei pressi de La Scala, dove abitavano alcuni parenti,
ma ben presto dovettero lasciare anche quella sistemazione.
L’ARRIVO
DEL FRONTE
I
reparti tedeschi, prima di attestarsi sull’Arno, prepararono due
linee minori con lo scopo di rallentare ulteriormente l’avanzata
Alleata: una era rappresentata dalla ferrovia, l’altra dal crinale
della collina sanminiatese. Quest’ultima posizione, organizzata fra
il centro urbano di San Miniato e l’abitato di Calenzano, doveva
impedire il ricongiungimento delle truppe Alleate che avanzavano in
Valdelsa e quelle che provenivano dal Volterrano e dall’Alta
Valdera. Il rischio, per i tedeschi, era quello di subire uno
sfondamento e di perdere la linea dell’Arno. Tuttavia, sia per
l’organizzazione tedesca che per le scelte e le divergenze in seno
ai comandi Alleati, la difesa sul fiume rallentò l’avanzata di
oltre un mese.
con gittata di oltre 11 km in dotazione all'esercito statunitense
durante la Seconda Guerra Mondiale sul teatro europeo
La
linea del crinale sanminiatese fu abbandonata il 23 luglio 1944, solo
dopo la cosiddetta “Battaglia
di Calenzano”.
Nei giorni precedenti l’aviazione Alleata aveva intensificato le
incursioni aeree sulla zona, mentre l’artiglieria statunitense,
disposta fra la Valdichiecina e la Valdegola, cercava di colpire le
postazioni germaniche. In quei giorni i cannoni americani spararono
centinaia e centinaia di proiettili: erano per lo più ordigni da
105mm di diametro, che non avevano una grande potenza distruttiva, ma
erano terribilmente efficaci. Infatti, esplodendo, l’involucro si
disintegrava in migliaia di piccole schegge che si diffondevano in
tutte le direzioni ad altissima velocità. Chi si fosse trovato nei
pressi dello scoppio, anche in aperta campagna, correva il rischio di
essere ferito mortalmente da una o più schegge. Furono proiettili di
questo tipo a procurare la morte di moltissime persone: allo stato
attuale degli studi, su
246 vittime civili sanminiatesi
durante il passaggio del fronte, almeno
74 morirono a causa di cannoneggiamenti Alleati.
Era una guerra
“quantitativa”: non potendo essere precisi, gli Alleati sparavano
una gran quantità di colpi con la quasi certezza che almeno qualcuno
sarebbe andato a segno. Non c’era alcuna preoccupazione per i
cosiddetti “effetti collaterali”. La volontà di sconfiggere i
tedeschi e vincere la guerra superava qualsiasi prezzo da pagare. E
chi ci rimise più di tutti, alla fine, furono i civili inermi.
IL
SECONDO SFOLLAMENTO: A VALICANDOLI
A
La Covina la famiglia Mori rimase solamente tre giorni, dal 16 al 19
luglio, dal momento che gli Alleati avevano intensificato le
incursioni aeree e i cannoneggiamenti, mentre i tedeschi iniziavano a
organizzare la linea difensiva. Quindi si spostarono più a sud,
nella zona collinare ad est di San Miniato, trovando rifugio in
località Valicandoli. La
sistemazione poteva sembrare intelligente: le incursioni aeree
cercavano di colpire obiettivi strategici, come le strade e i ponti,
mentre l’artiglieria sparava da sud verso nord cercando di colpire
le posizioni tedesche. Dunque la piccola rientranza di Valicandoli,
coperta a sud dal crinale della collina e priva di qualsiasi
obiettivo strategico, si presentava come il luogo ideale per trovare
riparo dalle cannonate e dalle bombe. Inoltre nella zona c’erano
molti campi e non mancavano i boschi, così gli uomini potevano
facilmente nascondersi dai rastrellamenti tedeschi che avevano
bisogno di manodopera per sistemare la linea difensiva.
Base
Ortofoto 2016 – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione
di Francesco Fiumalbi
LA
STRAGE DI VALICANDOLI
Il
20 luglio 1944, il giorno successivo dell’arrivo a Valicandoli,
avvenne la tragedia. Molto probabilmente l’artiglieria statunitense
cercava di colpire e interrompere la strada fra San Miniato e
Calenzano. Considerando che i cannoni erano posizionati a diversi
chilometri di distanza e sparavano alla cieca – l’osservatorio
era a Bucciano e i cannoni a La Casaccia – bastavano pochi
centesimi di grado zenitale o azimutale per andare fuori bersaglio.
Ancora una volta la tattica era quella di compensare l’imprecisione
dei tiri d’artiglieria con la quantità dei proiettili sparati.
Uno
di questi proiettili andò “lungo”, ovvero oltrepassò il crinale
della collina su cui si snoda la strada, e andò ad esplodere a
valle, proprio dove si erano sistemati gli sfollati. Fu una strage.
Base
cartografica CTR – Geoscopio Regione Toscana
Ricostruzione
di Francesco Fiumalbi
LE
VITTIME
A
Valicandoli rimasero uccise sei persone:
Bianchi
Giovanni:
Ragazzino di 13 anni, figlio di Renato ed Elvira Beninsegni, nella
lettera è indicato come Giovannino
d’Elvina.
Cei
Elena:
Donna
di 31 anni, figlia di Egisto e Maria Sforzi, coniugata con Pietro
Ciofi, nella lettera indicata come Elena
di’ Ciofi
Mori
Natalina:
Donna
di 45 anni, figlia di Cesare e Maria Mori, coniugata con Guglielmo
Nacci, nella lettera indicata come Natalina
di Memo.
Rossi
Lina:
Ragazza di 20 anni, figlia di Enrico e Adelia Dani, nella
lettera indicata come Linuccia
d’Enrico
Scarselli
Adelindo:
Ragazzo di 19 anni, figlio di Ferdinando ed Amelia Scali, nella
lettera indicato come Lindo
di Nandino, morto
all’ospedale allestito dalla Croce Rossa presso la Fattoria di
Sassolo, vicino Bucciano il 27 luglio.
Scarselli
Annina:
Donna di 40 anni d’età, figlia di Ottaviano ed Ester Zingoni,
coniugata con Giuseppe Salvadori, nella lettera non è indicata.
per
gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli
LA
LETTERA DI NELLO MORI
[1]
Isola 20-5-45 Carissimi
tutti,
Dopo
tanto tempo di so[f]frire
il Buon Dio ci[h]a ridato il mezzo di poter riscrivere. Ti inviamo
questa lettera per mezzo del padre del Priore di Marcignana, che
anche lui [h]a
una figlia maritata a Torino e che viene costà a trovarla. Questo
uomo, tanto cortese, ci ha avvisato che veniva costà e
se ci si aveva una lettera
da mandare ce la portava volentieri
[e] noi abbiamo
approfittato dell’occasione. Se vu avessi occasione di vederlo,
farli tanta festa perché è un bravo uomo.
Dunque,
ora ti vogli[o] parlare
un poco di nostro passato anno. A questi giorni eravamo soggetti a
quei famosi bombardamenti: tutti i giorni, 4 e 5 volte a[l]
giorno [l’aviazione
Alleata tentava di colpire] ponte
di ferro [sulla
ferrovia], ponte alla
Motta e ferrovia. E
si durò tanto che, credete, era un inferno addirittura!
Poi
da il 1 luglio a[l]
16 luglio – che gli Alleati erano vicini a liberarci che erano
verso Volterra che venivano – i vigliacchi tedeschi prendevano
tutti gli uomini per farli lavorare sulla ferrovia rotta mentre
bombardavano, ma noi tutti [ci
siamo dati] fuggiaschi,
[costretti] a
scappare per canneti e per campi di granturco a giorni interi e le
donne, di nascosto, ci portavano da mangiare.
Poi
il 16 luglio venne l’ordine di sfollare da l’Arno alla ferrovia:
non ci poteva sta[re]
nessuno perché era “zona
di operazione”. E la domenica mattina, 16 luglio, si dovette
abbandonare la casa portando via 4 o 5 carrettate della roba che ci
premeva di più. Che
Questo lavoro toccò a mamma e [a]
Nellina, perché gli
uomini i tedeschi li prendevano, e si partì tutti per La Covina
(presso La Scala, n.d.r.)
da zia Maria. Lì ci si stiede 3 giorni e poi incominciò a venire le
cannonate americane. E una sera arrivò una 10 (decina)
di autoblinde tedesche e s’impadronirono della casa e di tutto e
noi il 19 si ripartì per Valicandoli. Noi e tutti: zio Alfredo colla
sua famiglia eravamo fra tutti 2(carta
strappata, probabilmente formavano un gruppo di circa 20 persone,
n.d.r.).
[2]
Valicandoli sarebbe
dove sta i[l]
Bacoli sotto i Cappuccini di S. Miniato. Tutti [gli
abitanti] dell’Isola
scapparono: chi per la Valdevola, chi a Calenzano, chi a S. Miniato.
Tutti si dovette andare via. Ma noi si indovinò poco bene in codesto
Valicandoli: si partì il 19 luglio dalla Covina co’ il carretto
carico di tutto il necessario per coprirsi e per fare da mangiare e
co’ Marmugio sopra e que’ 4 bambini sotto le cannonate che oramai
gli americani erano a Palaia che venivano. Appena arrivai si diede a
fare rifugi sotto terra per libersi dalle cannonate, ma il giorno
dopo, giorno 20 luglio, ce ne morirono 6 alla prima cannonata. Tutti
di Lisera, che sarebbero: Natalina di Memo, la sarta Elena di’
Ciofi, Linuccia d’Enrico, Giovannino di Elvina, Lindo di Nandino e
Rossana di Ciofi senza un braccio. E costì ci abbiamo passato 50
giorni, sempre a dormire vestiti sotto terra, se si volle salvare la
pelle. Gli Americani arrivarono a S. Miniato il 23 luglio, ma i
tedeschi fecero resistenza sull’Arno e per questo gli Americani ci
stiedero fermi fino a[l]
1 settembre e i tedescacci
stiedero tanto tanto fermi all’Isola che ebbero tempo di farci
tanto male. Noi tutti salvi, come pure la famiglia di zio: si rientrò
a Isola il 2 settembre e si trovò l’Isola irriconoscibile.
Sentite: il palazzo di Cantini raso al suolo, mezzo quello di
Torinda, la casa di Neri, quella di Barbieri, fino a quella di
Venturino tutto raso a suolo. Quella di Elvina e di Mario, compreso
fino alla macelleria e fino da il “Fava”
(Eugenio Scarselli, n.d.r.) tutto
giù al suolo e più che fa effetto tutto il Molino e i capannoni
rasi al suolo. Tutto per capriccio di quei vigliacchi tedeschi che
vollero minare ogni cosa. Poi sull’Arno, compreso i[l]
palazzo dei ferrovieri fino in cima, tutto raso al suolo. Credete,
che Isola è
[3]
irriconoscibile. Poi
c’è la casa dello Scarselli per la via di Roffia e quella di’
Mancini contadino di Egisto tutto giù, come pure il palazzo di
Egisto e tutto Surarno (la
zona prossima all’Arno, vicino Bocca d’Elsa, n.d.r.) tutto
giù. Anche la casa di zio Tofano è mezza buttata giù dalle
cannonate. Ma questo non sarebbe niente di fronte che pochi giorni fa
è morto Francesco di malattia e Marina è malata all’ospedale.
Anche noi abbiamo subito dei danni alla Covina: i tedeschi ci presero
la bicicletta di Nellina e poi si rivò a casa e si trovò la casa
colpita da una cannonata. La tua camera era andata giù, compreso il
tetto, ma non estate in pensiero, che abbiamo bell’e rimediato
tutto. La bicicletta l’abbiamo rifatta nuova, sennò Nellina non
poteva andare a lavorare e l’abbiamo pagata Lire ventiseimila e la
casa l’abbiamo riaccomodata per bene e ci si è speso lire
ventimila. Qua la roba ci è tanto cara che non vu ve ne potete fare
un’idea. Dunque state contenti e non estate in pensiero di noi che
stiamo bene. Ma speriamo che questa mia lettera vi trovi anche voi
sani e salvi. Bisogna ringraziare Dio che credete, siamo salvi, ché
in questo piccolo paese si passa i 30 morti [a]
causa [del]la
guerra.
Quei
tedescacci distrussero tutta la ferrovia, metro per metro, tutti i
ponti della ferrovia e tutti i ponti delle strade: sull’Elsa non
c’è più un ponte e sull’Arno non c’è più un ponte. Tutti
minati. Noi struggiamo dalla voglia di rivedervi e vi prego, appena
potete, venite subito da noi, ché abbiamo tanto voglia di rivedervi
colla mia piccola Mari (la
nipotina Marilena Frittelli) che
abbiamo pregato tanto il Dio che vi salvi tutti e tre. Cara Mari,
quando si rientrò abbiamo trovati tutte le porte aperte, ma la tua
bicicletta si trovò in mezzo di camera sana e salva, dunque presto
ti aspetto a rimontarci. Vi avrei da dire tante cose, ma si ragionerà
a voce. Baci da mamma e Nellina. Baci da me vostro padre Nello.
per
gentile disponibilità della signora Marilena Frittelli
LA
TESTIMONIANZA DI ROSSANA ROSSI
Oltre
al testo di Nello Mori, proponiamo anche un’altra testimonianza
che, sebbene raccolta a distanza di molti decenni, è molto preziosa.
Nel 2014, per il 70° anniversario della Liberazione, Alessio
Guardini e Piero Nacci hanno curato un video-documentario sul
passaggio da Isola della Seconda Guerra Mondiale, dal titolo: “Luglio
1944-Luglio 2014. Settant’anni fa l’orrore: nessuno dimentichi!”.
In quell’occasione fu intervistata la sig.ra Rossana Rossi che a
Valicandoli rimase gravemente ferita, mutilata del braccio sinistro.
Di seguito le sue parole:
Era
una mattina, il 20 luglio, verso le 9. Era una bella mattinata di
sole in pieno luglio. La mia mamma disse: «Ascolta, Rossana, guarda
quanti bei fichi ci sono su quel fico. Se ci monti, buttamene un po’
giù, (che)
si
mangiano».
Io
montai su questo fico e ad un certo punto sentii un qualcosa addosso
che non so descrivere: sembrava che potessi lamentarmi, ma la voce
non mi veniva. Almeno credo. E questo me lo dimostrò mio fratello:
«Che è successo? Mamma mia!» E vide i morti e più gli fece
effetto il povero Giovannino (colpito
alla testa) che
aveva una parte del cervello che glielo aveva portato via.
E
cercava mia mamma: «Mamma, mamma!». Mia mamma non gli rispondeva,
era a terra, anche lei ferita: una scheggia le entrò qui (davanti
al petto) e
le uscì di dietro. Per fortuna non toccò il cuore ed è
sopravvissuta.
E
io vedevo mio fratello che mi cercava: «Rossana, dove sei?» E
piangeva disperato. Poi arrivò sotto il fico e sentì delle gocce:
«che fa piove?». Ero ancora sul fico che non potevo chiamare. E
allora lui sentì queste gocce, si toccò (e
vide che era sangue),
alzo lo sguardo: «Oddio! Dov’è mia sorella!». E così andai
all’ospedale, il 20 luglio.
L’ospedale
si riempì in un baleno. C’era anche Lina (Rossi),
sorella del Maso, che morì, mi sembra, la notte o il giorno dopo.
Adelindo
(Scarselli)
fu portato all’ospedale anche lui. Il 22 luglio poi, successe il
fatto del Duomo, arrivarono moltissime persone. Ci tolsero tutti
dalla corsia e ci portarono giù negli scantinati con le brandine. E
poi vennero gli americani e, o bene o male, ci portarono via, perché
i medicinali nell’ospedale erano finiti. Io avevo già un principio
d’infezione e dei mosconi che mi ronzavano intorno. Ci portarono a
Volterra. Io stetti lì e ritornai ad ottobre. E in casa mia non
seppero mai dov’ero.
Mia
mamma
(nei mesi successivi)
ritornò all’ospedale per un problema (sempre
legato alla scheggia) e
nel mentre arriva un’infermiera che dice: «Ma che gente c’è nel
mondo? C’è una povera bambina a Volterra che piange. Chiama mamma,
ma non ha visto nessuno. Io pagherei a sapere di chi è figliola!».
Mia mamma che camminava già, a sentire quel (discorso)
lì...
boom in terra! Gli prese un “infarto” (svenne).
E l’infermiera fu brontolata: «Guarda che lei cerca la sua
figliola, non sa dov’è!». Questa qui poverina si sentì (d’aver
fatto) male,
ma ormai l’aveva detto. Allora (mia
mamma) gli
disse a mio fratello, quando arrivò da lei: «Guarda, vedrai hanno
trovato Rossana! Probabilmente è a Volterra nel tal ospedale».
Mio
fratello, non c’era verso, prese la bicicletta e venne a Volterra e
mi trovò.
SULLA
MORTE DI ADELINDO SCARSELLI
Nella
medesima intervista, Rossana Rossi riferì anche della morte di
Adelindo Scarselli, di cui fu testimone:
Sapete
dove è morto Scarselli Adelindo? È morto per la strada mentre gli
Americani ci portavano a Volterra. Questo ragazzo, guarda che mi
commuovo ancora, perché io avevo 10 anni e mezzo, quindi ero già
grande, mi faceva: «Oh Rossana, muoio, diglielo a mio babbo che sono
morto a Bucciano!».
Infatti
Adelindo Scarselli morì all’Ospedale da campo della Croce Rossa,
allestito alla Fattoria di Sassolo presso Bucciano. A tal proposito è
significativa la testimonianza diaristica dell’allora parroco di
Bucciano, pubblicata in G.
Busdraghi, Estate
di guerra a Bucciano. Diario del parroco Giuseppe Busdraghi
giugno-settembre 1944,
a cura di G. Lastraioli, C. Biscarini, L. Niccolai, F. Mandorlini, FM
Edizioni, San Miniato, 1996, pp. 39-40:
Giovedì
27 luglio
[…]
Sono stato dai Lorenzelli dove sono stato chiamato per un ferito di
San Miniato portato con altri a Sassolo. Con dispiacere non ho fatto
in tempo. Mi aveva chiesto lui, quindi spero che il Signore gli abbia
usato misericordia. Domani verrà sepolto qui. […]
Venerdì
28 luglio […]
Sabato
29 luglio […]
Alle
due sono venuti quelli della Croce Rossa americana per il trasporto
del morto. A Sassolo ho avuto una triste sorpresa. Quel morto non è
uno sfollato di Livorno, ma un giovane dell’Isola. Lì ci trovo la
sua sorella, che lo aveva cercato tutta la mattina. Mi ha fatto tanta
pena quella figliola. Con un camion il defunto (in avanzata
decomposizione) è stato portato alla chiesa e di qui al cimitero.
Che pena fanno questi trasporti in guerra. Dopo aver fatto
rinfrescare la ragazza in canonica, l’ho accompagnata con degli
americani a casa sua, alla Scala. […]
Foto
di Francesco Fiumalbi
Nessun commento:
Posta un commento