“Il
Montalbano inalza la sua vetta maestosa che domina il Valdarno e la pianura
pistojese. Su quella vetta è possibile godere il panorama infinito che
da ogni lato attorno ad esso si distende. DI lassù l'occhio si posa su Firenze
mollemente assisa fra la deliziosa corona dei suoi colli, si spinge fino alle
vette eccelse e nevose dell'Apennino, dopo aver passato sui caseggiati delle
città di Prato e di Pistoja; sull'opposto lato la visuale va fino ai monti di
Volterra ed al lontano Monte Amiata, per giungere, seguendo il corso dell'Arno,
fino al mare, che nei lieti tramonti estivi scintilla come un'aurea lastra,
come una linea di fuoco”. G. Carocci, Il Valdarno. Da Firenze al mare,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche Editore, Bergamo, 1906, p. 59.
Con
queste parole Guido Carocci agli inizi del '900 descrive lo straordinario
panorama offerto dal crinale del Montalbano ed in particolare dalla sua
porzione più meridionale, laddove si erge la sorprendente architettura della
chiesa di San Giusto. La zona era abitata fin da epoche remote, come
testimoniano i vicini resti di un insediamento datato fra il VII e il I secolo
a.C, oggi organizzati nell'Area archeologica e naturalistica di
Pietramarina.
Foto di Francesco Fiumalbi
LA
CHIESA DI SAN GIUSTO
San
Giusto al Montalbano, o San Giusto al Pinone, o San Giustone, è un edificio
religioso di origine medievale situato nel Comune di Carmignano (PO),
all'intersezione fra la direttrice di crinale del Montalbano e le viabilità che
scendono a Vitolini, Castra e Carmignano.
Non
sono noti i termini della sua fondazione e spesso lo troviamo qualificato come
“abbazia”, che alcune tradizioni vorrebbero addirittura di origine francese ed
in particolare cistercense. Tuttavia non vi sono documenti che dimostrino tale
asserzione. Anzi si tratta evidentemente di una speculazione storiografica, dal
momento che per via documentaria non sembra possibile soddisfare le seguenti
domande: come è possibile che in un luogo tanto ameno sia stata costruita una
chiesa di tali proporzioni, un edificio di tale grandezza e dotato di un
transetto triabsidato di ampiezza monumentale? E che dire poi della cripta,
così suggestiva e così simile all'abbazia di San Baronto? Chi l'ha costruita?
Quando? Addirittura, negli anni ’50 e ’60 del ‘900 uno storico dell’architettura
del calibro di Mario Salmi, si chiedeva quali fossero le ragioni di ordine storico che potrebbero
spiegarci perché nel San Giusto sul Monte Albano sovrabbondino motivi propri
del romanico di oltralpe (01). A
tal proposito Salmi osservava che le sue
tre absidi ed il transetto, alti su di una cripta in parte modificata, si uniscono
ad un braccio longitudinale scandito da semipilastri e coperto da volte a
botte, secondo una struttura diffusa in chiese francesi (02). Cercheremo di rispondere più
avanti, ma possiamo anticipare che l’errore sta nel guardare un edificio come
un oggetto finito, immodificato e immodificabile dalla sua costruzione, e non
come il risultato di una plurisecolare stratificazione di interventi, che ne
hanno alterato in parte o in tutto i caratteri formali.
Foto di Francesco Fiumalbi
L’ARCHITETTURA DELLA
CHIESA
La
chiesa, rivolta versus solem orientem,
si presenta come un edificio ad unica navata, innestata su un ampio transetto
triabsidato, rialzato di circa due metri, che costituisce il presbiterio. Al di
sotto è presente una cripta, con dimensione e forma pari a quella del
transetto. Nel presbiterio sono presenti tre altari, corrispondenti alle tre
esedre absidali. L’apparente unità organica della costruzione, tuttavia, non
deve trarre in inganno: si tratta di un edificio che nel corso dei secoli ha
subito innumerevoli interventi, passando da periodi di decadenza ad operazioni
di ripristino e ricostruzione, influenzate dalle sensibilità dell’epoca. Ad
esempio probabilmente la chiesa primigenia era costituita dalla sola aula
liturgica (XI secolo?), mentre in epoca successiva fu ampliata del transetto
(XIII secolo?).
La
facciata si presenta con forme severe. L’unica traccia di decorazione è
limitata alla bicromia dell’arco che sovrasta il portale di ingresso e dai
conci che costituiscono la bifora nella porzione superiore. L’unico elemento
lapideo lavorato sembra essere posizionato all’apice della facciata e presenta
un incavo circolare che lascia pensare ad un inserto in marmo o in ceramica
decorata (un bacino ceramico?). La porzione tergale è caratterizzata dai corpi
cilindrici delle tre absidi, la cui solida staticità è determinata dall’uso di
bozze di grandi dimensioni. Ogni abside presenta due finestre: una sul
presbiterio, l’altra per illuminare la cripta sottostante, alla quale è
possibile accedere da un’apertura esterna ricavata al di sotto della porzione
meridionale del transetto. A giudicare dalla presenza di una cornice sul fronte
laterale destro, parrebbe che alla chiesa fosse addossato un edificio minore,
probabilmente con funzione di canonica o sacrestia.
Schema compositivo di Francesco
Fiumalbi
Internamente
la chiesa appare molto stretta: la dimensione longitudinale prevale nettamente
su quella trasversale secondo un rapporto di circa 1:2, amplificata dalla
notevole altezza dell’ambiente. Lo spazio dell’aula è suddiviso in 4 campate,
scandite dalla presenza di tre lesene a tutt’altezza e di altrettanti archi
robusti che sostengono la copertura a capanna, realizzata con struttura lignea.
La campata prossima al presbiterio presenta una volta a botte.
Le
pareti sono completamente spoglie e non vi sono tracce di intonaco o di
decorazioni: sia all’interno che all’esterno, il paramento murario è costituito
da elementi lapidei. Nella porzione basamentaria le pietre presentano una
dimensione considerevole, una squadratura uniforme, una relativamente precisa
disposizione a filaretto, con scarso utilizzo di malta alle giunzioni. In
elevato l’uniformità materica e dimensionale progressivamente viene meno, con
l’inserto di laterizi, bozze non squadrate, sistemazione a filaretto imprecisa
e poco rispettata, utilizzo più massiccio di malta. Tale situazione dipende
senz’altro dal numero e dalla qualità degli interventi che si sono susseguiti
nel corso degli ultimi tre secoli, volti a ripristinare quegli apparecchi
murari che per varie ragioni sono venuti meno, in particolare sul fronte
meridionale dell’edificio.
SUGGESTIONI STILISTICHE FRANCESI
Abbiamo detto che molti studiosi, a partire da Mario Salmi, hanno proposto suggestioni stilistiche che richiamano modelli "francesi". In realtà, appurato il fatto che il transetto è un elemento aggiunto in un secondo momento (XIII secolo?) rispetto alla chiesa primigenia (XI secolo?), tutte queste considerazioni appaiono ormai superate e prive di ogni fondamento. Senza considerare che chiese dotate di transetti "importanti" non mancano in Toscana. Pensiamo alla Pieve di Santa Maria a Chianni presso Gambassi, addirittura dotata di cinque absidi. Quello che porta fuori strada è la dimensione del transetto che risulta "sproporzionato" rispetto all'aula. Probabilmente quando venne realizzato c'era l'idea di ampliare anche l'aula, magari rendendola a 3 navate. E ciò spiegherebbe la demolizione della porzione meridionale della chiesa per la realizzazione della navata laterale, poi non andata a buon fine e ricomposta grossolanamente. L'altro elemento giudicato "francese" da Salmi è la volta a botte. A quel che ne sappiamo questo elemento di copertura potrebbe essere stato realizzato in un'epoca anche molto più tarda, magari fra il XVII e il XVIII secolo quando la chiesa era sotto il patronato mediceo. In ogni caso vale la pena sottolineare la vicinanza formale - cioè delle forme - con l'abbazia benedettina di Farneta (Cortona, AR). Tuttavia di esempi ne possiamo trovare moltissimi, sia a conferma che a contraddizione del fatto che quella di San Giusto fosse un abbazia. L'unica strada percorribile è quella documentaria e fino ad oggi nessun documento attesta la presenza di una comunità monastica in questa chiesa. Dunque c'è poco da fare.
In ogni caso, vale la pena ripetere che si tratta di un errore guardare ad un edificio come un oggetto finito, immodificato e immodificabile dalla sua costruzione, e non come il risultato di una plurisecolare stratificazione di interventi, che ne hanno alterato in parte o in tutto i caratteri formali.
Foto di Francesco Fiumalbi
SUGGESTIONI STILISTICHE FRANCESI
Abbiamo detto che molti studiosi, a partire da Mario Salmi, hanno proposto suggestioni stilistiche che richiamano modelli "francesi". In realtà, appurato il fatto che il transetto è un elemento aggiunto in un secondo momento (XIII secolo?) rispetto alla chiesa primigenia (XI secolo?), tutte queste considerazioni appaiono ormai superate e prive di ogni fondamento. Senza considerare che chiese dotate di transetti "importanti" non mancano in Toscana. Pensiamo alla Pieve di Santa Maria a Chianni presso Gambassi, addirittura dotata di cinque absidi. Quello che porta fuori strada è la dimensione del transetto che risulta "sproporzionato" rispetto all'aula. Probabilmente quando venne realizzato c'era l'idea di ampliare anche l'aula, magari rendendola a 3 navate. E ciò spiegherebbe la demolizione della porzione meridionale della chiesa per la realizzazione della navata laterale, poi non andata a buon fine e ricomposta grossolanamente. L'altro elemento giudicato "francese" da Salmi è la volta a botte. A quel che ne sappiamo questo elemento di copertura potrebbe essere stato realizzato in un'epoca anche molto più tarda, magari fra il XVII e il XVIII secolo quando la chiesa era sotto il patronato mediceo. In ogni caso vale la pena sottolineare la vicinanza formale - cioè delle forme - con l'abbazia benedettina di Farneta (Cortona, AR). Tuttavia di esempi ne possiamo trovare moltissimi, sia a conferma che a contraddizione del fatto che quella di San Giusto fosse un abbazia. L'unica strada percorribile è quella documentaria e fino ad oggi nessun documento attesta la presenza di una comunità monastica in questa chiesa. Dunque c'è poco da fare.
In ogni caso, vale la pena ripetere che si tratta di un errore guardare ad un edificio come un oggetto finito, immodificato e immodificabile dalla sua costruzione, e non come il risultato di una plurisecolare stratificazione di interventi, che ne hanno alterato in parte o in tutto i caratteri formali.
Particolare del fronte principale
Foto di Francesco Fiumalbi
Foto di Francesco Fiumalbi
LA TORRE CAMPANARIA
Il
campanile di San Giusto si presenta come un edificio a torre staticamente
autonomo rispetto alla chiesa: la sua struttura a pianta quadrangolare,
infatti, non è direttamente collegata ai setti portanti dell’aula liturgica o
del transetto. Il paramento murario è costituito da elementi lapidei disposti
in maniera meno accurata rispetto a quelli della chiesa e questo ulteriore
dettaglio potrebbe far pensare che la torre presenti un’epoca di costruzione
diversa. Le aperture della cella campanaria sono state completamente occluse
per cui la costruzione si presenta come un solido completamente chiuso. Ha
perso l’originaria copertura a padiglione e probabilmente ha subito uno
scapitozzamento per ovviare ai dissesti della porzione superiore.
Foto di Francesco Fiumalbi
LA
PRIMA ATTESTAZIONE DOCUMENTARIA
Partiamo
dai dati oggettivi. La prima attestazione documentaria della chiesa è contenuta
nell'elenco della Decima del 1286 dove è indicata come Canonica S.
Iusti de Monte Albano, suffraganea della Pieve di Santa Maria a Bacchereto,
con una imposizione di 7 lire e 14 soldi. A partire dalla metà dell'XI secolo,
per impulso di vari pontefici, la Chiesa iniziò una profonda e complessa
stagione di cambiamento che prende il nome di Riforma Gregoriana, anche se sarebbe più corretto
indicarla genericamente come “Riforma dell'XI secolo” in cui furono affrontate
varie questioni fra cui il celibato del clero e la simonia, ovvero il mercato e
la contrattazione delle cariche ecclesiastiche, pratica che all'epoca era assai
diffusa. In questo contesto, l'istituzione delle cosiddette “canoniche” deve
essere considerata come l'espediente per favorire l'elevazione spirituale e
morale del clero secolare, cioè di quegli ecclesiastici che non si riconoscevano
negli ordini monastici. La vita comunitaria si configurava, così, come una vera
e propria forma di controllo reciproco. E proprio questo tipo di
regolamentazione, seppur molto diversa rispetto alla “regola” degli ordini
monastici, costituiva appunto il “canone”, da cui trasse origine il termine di
“canonica”. Dunque, nessun monastero e nessuna abbazia.
Foto di Francesco Fiumalbi
IL
DOMINIO SIGNORILE DEL VESCOVO DI PISTOIA
A
questo punto occorre fare un passo indietro. Nel fondo Diplomatico
dell'Archivio di Stato di Firenze è conservato un atto del 20 settembre 1138 (XII Kal. Octobris) rogato nella
chiesa di San Bartolomeo di Tizzana nell'odierno Comune di Quarrata (03). I protagonisti di questo
documento sono il Vescovo di Pistoia Atto o Attone e una donna di nome Mingarda, vedova
di Pietro di Ranieri da Vignole, la quale, con la licenza di Lotteringo suo mundualdo,
pro redenmptione anime mee peccatorum, donò ad Attoni gratia Dei
pistoriensi episcopi il castello et curte de Tizana et burgo de castello
et curte et burgo de Bacareto. Fra i testimoni compaiono vari sacerdoti fra
cui presbiter Ildibrandri de Bacareto. E' in questi anni, infatti, che
va consolidandosi una sorta di dominio signorile da parte dell'episcopio
pistoiese nella porzione meridionale del Montalbano. Il defunto marito di
Mingarda, Pietro di Ranieri, apparteneva al gruppo familiare dei filii
Rodulfi, che avevano maturato e sviluppato una signoria proprio fra Tizzana
e Bacchereto e che appartenevano alla schiatta dei fideles del Vescovado
pistoiese (04). Vale la pena ricordare che la zona di Bacchereto e
dunque di San Giusto, era una sorta di “cuneo” fra i territori controllanti dai
Conti Guidi (Vinci, Cerreto, Vitolini), dai Conti Alberti (Capraia) e dallo
stesso episcopio pistoiese (Lamporecchio, Artimino).
Foto di Francesco Fiumalbi
L'AFFERMAZIONE
EPISCOPALE SULLA ZONA
La
Pieve di Bacchereto non compare nel privilegio di Ottone III del 997 al Vescovo
di Pistoia Antonino (05) e nemmeno in quello di Federico I “Barbarossa”
del 1155 al Vescovo Tracia (06). Nessuna menzione neppure nella Bolla di
Innocenzo II del 1134 (07). In realtà compare una “corte” e una
“pieve” di San Giusto, ma si tratta della Pieve di San Giusto a Piazzanese, oggi
nel Comune di Prato. In
effetti fino a quel momento la chiesa di Bacchereto (San Bartolomeo) faceva
parte del pievanato di Seano. Solo successivamente la chiesa di Bacchereto
(Santa Maria) costituirà una nuova unità pievanale con giurisdizione anche
sulla zona di crinale del Montalbano e dunque anche sulla chiesa di San Giusto.
Quando può essere avvenuta l'istituzione di questo nuovo pievanato? Con ogni
probabilità proprio a partire dalla donazione di Mingarda vedova di Pietro di
Ranieri al Vescovo Atto del 1138, citata in precedenza.
LA
FONDAZIONE E LA DATAZIONE PROBLEMATICA
Esisteva
la chiesa di San Giusto nel 1138? Checché se ne dica, è impossibile da provare.
In varie pubblicazioni, la datazione proposta per la costruzione della chiesa
(attribuita ai secoli XI-XII) è genericamente provata attraverso i caratteri
architettonici dell'edificio. Tuttavia non si può fare riferimento né ai
materiali da costruzione, dal momento che la pietra abbonda in tutta la zona e
si continuerà per secoli a costruire con blocchi lapidei, secondo criteri e
metodi che possono collocarsi fra l'XI e il XIV secolo. Come detto in
precedenza, dalle forme architettoniche, parrebbe esistere una chiesa
primigenia (probabilmente esistente al 1138) che poi fu ampliata del transetto
in un secondo momento (XIII secolo?). Quello che colpisce è la totale assenza
di apparati decorativi, sia scultorei che pittorici, senza considerare le
profonde alterazioni dovuti ai restauri novecenteschi che hanno portato alla
sostituzione dei capitelli e al reintegro di quelli non esistenti. E ciò non
aiuta. Per quello che possiamo ricavare dall’edificio, siamo in presenza di un
edificio di origine medievale, alterato e rimaneggiato da vari interventi
durante i secoli, che potrebbe essere stato realizzato in un arco temporale
relativamente ampio, che va dall’XI secolo al 1286, anno della prima attestazione
documentaria certa. Escluderei che la chiesa possa essere assegnata ad un’epoca
anteriore all’anno 1000, anche se non si può scartare la possibilità che vi
fosse una preesistenza. Considerando poi la dimensione monumentale
dell’edificio non mi stupirebbe se l’iniziativa della costruzione fosse stata
del Vescovo di Pistoia, probabilmente l’unico a disporre dei mezzi e delle
sostanze, per realizzare un presidio a controllo dell’importante snodo stradale
e in prossimità di un limes multiplo
fra i territori controllati dai Guidi e dagli Alberti. D’altra parte, dall’XI
secolo i presuli pistoiesi raggiunsero una forma di dominio temporale
paragonabile a quella del “conte”, pur senza averne il titolo e i cui fideles costituiranno una sorta di consilium episcopale – documentato dalla
metà dell’XI secolo – da cui poi trasse origine l’istituzione comunale
all’inizio del XII secolo con l’elezione dei primi consoli civici (08).
La chiesa di San Giusto sul Montalbano
– Carmignano (PO)
Particolare della ghiera bicroma che sovrasta il portale
Particolare della ghiera bicroma che sovrasta il portale
Foto di Francesco Fiumalbi
ALTRE
NOTIZIE DEI SECOLI SUCCESSIVI
Nel
1376 il Vescovo di Pistoia Giovanni Vivenzi visitò la chiesa di San Giusto. Ad
accoglierlo il rettore Tegghia di Tegghia, il quale riferì al presule circa lo
stato decadente dell’edificio, in cui non era presente un luogo sicuro dove
custodire l’Eucaristia e gli olii santi. Anche l’apparato di suppellettili,
arredi e paramenti sacri risultava modesto ed erano costituiti da un calice in
argento con smalti all’altezza del nodo, un crocifisso antico, una pianeta di seta
rossa, un camice con stola e amitto, oltre a quattro tovaglie (09). Da tale descrizione si può
ipotizzare ragionevolmente che la “canonica” – intesa come comunità di
sacerdoti secolari – avesse cessato di esistere.
Un
secolo e mezzo più tardi, nel 1535 la chiesa viene nuovamente visitata e nel
repertorio viene indicata come Santo
Iusto de Poggiolo. Nel 1582 la chiesa viene indicata come “oratorio”, sotto
la “cura” del Granduca. Infatti proprio a partire dal XV secolo i Medici
avevano provveduto a costituire una vasta tenuta sulle pendici sud-occidentali
del Montalbano, da Artimino a San Baronto, organizzata come una grande riserva
di caccia, chiamata “Barco
Reale Mediceo”. Dunque non deve stupire l’attenzione e l’interesse
dei granduchi toscani per l’area e la chiesa di San Giusto. In ogni caso
l’edificio sembra mostrasse gravi segni di degrado, se non proprio di
abbandono. Il visitatore impose il restauro complessivo del fabbricato, nonché
l’allontanamento degli oggetti non pertinenti alle funzioni liturgiche, in modo
da evitare l’aggravarsi della situazione e consentire la sua regolare
officiatura (10). Si tratta della
prima visita dopo il Concilio di Trento e da questo momento si osserva una maggiore
attenzione per la cura e le condizioni di manutenzione e di uso dell’edificio
religioso.
Foto di Francesco Fiumalbi
Alla
fine del XVI secolo sono databili le prime testimonianze iconografiche della
chiesa di San Giusto, contenute nelle Piante
di Popoli e Strade redatte dai Capitani di Parte Guelfa. In particolare,
l’edificio compare sia nel Popolo di
Mezzana che nel Popolo di Bacchereto.
Si tratta di un disegno schematico, il cui intento non era quello di descrivere
puntualmente i caratteri architettonici degli edifici bensì di indicarne la
posizione e di fissare i punti di riferimento nelle aree rappresentate. La
chiesa è raffigurata in maniera praticamente simbolica: si riconosce il tetto a
capanna e il campanile a torre (11).
Il
patronato mediceo sulla chiesa determinò, nel medesimo periodo, accorpamento al
monastero fiorentino di Santa Maria Assunta detto di “Montedomini”,
probabilmente per sostenere lo sforzo economico della comunità religiosa
costretta a trasferirsi all’interno delle mura di Firenze in conseguenza dell’assedio di Firenze del 1529,
attraverso l’utilizzo delle rendite e dei frutti su cui poteva contare la chiesa
di San Giusto. Era questo il motivo dell’accorpamento e non il contrario, come
sostenuto in altre pubblicazioni, ovvero affinché il Monastero di Montedomini
si preoccupasse del mantenimento della fabbrica di San Giusto (12).
La
successiva visita pastorale del 1603 offre una descrizione più accurata
dell’edificio, dotato di un altare maggiore sul quale venivano officiate
sporadicamente le funzioni da parte di un presbitero retribuito direttamente
dal Granduca. Erano altresì presenti due altari secondari, in condizioni
fatiscenti e non utilizzati. La chiesa che rimaneva pressoché chiusa, aveva un
pavimento in lastre di pietra e presentava una copertura voltata nella zona
presbiteriale, mentre l’aula aveva un tetto a capanna in cattive condizioni (13).
La chiesa di San Giusto sul Montalbano
– Carmignano (PO)
Particolare dell'elemento decorato in facciata,
probabilmente l'alloggio di un intarsio marmoreo o un bacino ceramico
Particolare dell'elemento decorato in facciata,
probabilmente l'alloggio di un intarsio marmoreo o un bacino ceramico
Foto di Francesco Fiumalbi
Lo
stato di degrado dell’edificio, specialmente della porzione dell’aula, non
sembra arrestarsi. Probabilmente la pietra traslucida (fengite?) utilizzata per
chiudere la finestra in facciata doveva essere malridotta o comunque non
asserviva più alla sua funzione. Infatti durante una nuova visita del 1652
venne imposta l’installazione di una rete, evidentemente affinché i volatili
non penetrassero all’interno dell’edificio (14).
A pochi anni di distanza, durante la visita del 1674, viene indicata la
presenza di un dipinto “dignitoso”, probabilmente una pala, collocato
sull’altar maggiore. Purtroppo negli atti non è specificato né il soggetto né
l’autore della pittura (15).
Durante
il XVIII secolo la situazione pare essere più stabile: L’officiatura della
chiesa veniva svolta regolarmente, nel 1725 a cura del sacerdote della chiesa
di Verghereto (16) mentre nel 1737
era presente un religioso eremita che abitava presso la chiesa stessa (17). Tuttavia probabilmente durante il
periodo napoleonico, la chiesa – formalmente era un oratorio semplice sotto la
giurisdizione della Pieve di Bacchereto – venne soppressa, come risulta dagli
atti della visita del 1811. Privato di ogni cura e manutenzione, le condizioni
del fabbricato peggiorarono notevolmente. Si registrarono i crolli di parte
della copertura e di una porzione del setto murario che delimitava l’aula
liturgica sul lato meridionale (18).
E’ in questo passaggio, dopo la soppressione, che probabilmente l’edificio
venne venduto a privati.
Immagine tratta da G. Carocci, Il
Valdarno. Da Firenze al mare,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche
Editore, Bergamo, 1906, p. 58.
I RESTAURI OTTOCENTESCHI
Antonio
Ricci nel volume Memorie Storiche del
Castello e Comune di Carmignano, alla fine del’800 annotò una serie di
interventi promossi dal neonato Stato Italiano al fine di consolidare e
conservare quanto rimasto dell’antico e monumentale edificio. Tra l’altro
propone una datazione del fabbricato genericamente al XIII secolo che appare
attendibile e corretta. Inoltre ci informa circa il proprietario dell’epoca e
la sua donazione al demanio statale. Queste le sue parole:
La Chiesa ed il Campanile
di San Giusto, a Montalbano, edifizi monumentali del secolo XIII, erano ridotti
a tale rovina che il Regio Ministero della Istruzione, considerando come
avrebbe potuto conservarli sia pure allo stato di rudere, commise all’ufficio
Regionale la esecuzione dei lavori necessari a consolidarne le parti
superstiti. Compiutisi tali lavori necessari, il signor Tino Cinotti,
proprietario di quegli edifizi, con animo liberale, cedeva ogni suo diritto
allo Stato, ed il Ministero ne prendeva possesso per mezzo dell’ufficio
Regionale. La loro custodia è già stata affidata, per disposizioni
ministeriali, al Comune di Carmignano. (19)
Purtroppo,
allo stato attuale degli studi, non è possibile risalire all’entità degli
interventi promossi dal Ministero nella seconda metà dell’800. Molto
probabilmente, trattandosi di “consolidamenti”, furono approntate operazioni di
cuci-scuci alla porzione basamentaria, oltre alla sostituzione e ricomposizione
di porzioni ammalorate di muratura.
Immagine tratta da G. Carocci, Il
Valdarno. Da Firenze al mare,
Istituto Italiano d'Arti Grafiche
Editore, Bergamo, 1906, p. 58.
IL RESTAURO DI
SANPAOLESI NEGLI ANNI ’40 DEL ‘900
Piero Sanpaolesi,
allora giovane funzionario della Soprintendenza ai Monumenti di Firenze, a
cavallo tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40 del XX secolo, si
trovò ad operare in vari cantieri fra le province di Firenze, Pistoia ed Arezzo.
In questi anni fu chiamato ad occuparsi anche della chiesa di San Giusto sul
Montalbano. In particolare il Preventivo
di Spesa, datato 20 novembre 1940, prevedeva tutta una serie di interventi
volti non solo a consolidare l’edificio ma a ristabilirne l’unità
architettonica, secondo un modus operandi
che nei decenni successivi, probabilmente, sarebbe stato ritenuto impensabile
dallo stesso Sanpaolesi. Diciamo che in questo caso, è da considerarsi una mera
sfumatura linguistica la differenza fra la ricostituzione dell’unità
architettonica e la ricostruzione “in stile”. Un approccio, pur fatto con tutte
le migliori intenzioni, che oggi non sarebbe possibile.
Estratto dal Catasto Generale Toscano,
Comunità di Carmignano
Sezione E, Ginestre, foglio 7. Immagine tratta dal progetto CASTORE
Regione Toscana – Per gentile
disponibilità
Gli
interventi si concentrarono sul consolidamento strutturale dell’edificio e sul
ripristino del tetto: costruzione delle 4 lesene con basamenti e capitelli in
pietra, corrispondenti ai due arconi di nuova realizzazione per il sostegno del
nuovo tetto con struttura in legno poggiata su cordoli di cemento armato (!);
restauro dell’unica volta a crociera esistente nell’ultima campata della chiesa
e di cui era prevista la realizzazione di una nuova cornice d’imposta; nuove
finte volte “a rete”, cioè realizzate con una rete metallica che ne conferiva
la forma e ne costituiva l’anima portante; interventi di cuci-scuci nella zona
presbiteriale e riprese saltuarie, a piccole partite, nei muri perimetrali
all’aula liturgica; consolidamento della torre campanaria, con la ripresa della
muratura a filaretto e demolizione delle murature sui quattro lati per la ricostituzione
della cella campanaria, dotata di un nuovo solaio realizzato in cemento armato
(!); demolizione e ricostruzione del tetto a padiglione del campanile; nuova
scaletta in legno per l’accesso ai piani alti della torre.
Ortofoto anno 2011 – SITA Geoscopio –
Regione Toscana
Per gentile disponibilità
Tuttavia
le operazioni di restauro riguardarono anche gli elementi stilistici, i
materiali di finitura e l’apparato liturgico: lavatura e pulitura di tutto il
pietrame delle murature in elevazione; demolizione del vecchio pavimento in
cotto dell’aula, da sostituire con uno nuovo in quadrotti, sempre di laterizio,
ma realizzato sopra un nuovo vespaio dello spessore di 30 cm; sostituzione
completa del pavimento in pietra del presbiterio e inserimento di nuovi scalini
in lastre; realizzazione di nuovo pavimento della cripta con elementi di pietra
disposti alla rinfusa; realizzazione di un’intercapedine perimetrale con
funzione di scannafosso, utile a preservare l’edificio dall’umidità e
controllare lo stato manutentivo a livello delle fondazioni; il rifacimento
degli stipiti in pietra della porta di ingresso, sostituendo gli elementi
esistenti, e realizzazione della porta d’ingresso in legno di castagno;
ricostruzione della lunetta sopra la portale d’accesso; ripristino della bifora
della facciata principale, con l’impiego di colonnine a doppia mensola e la
realizzazione della nuova vetrata a trafila di piombo; restauro delle finestre
absidali, compresa la sostituzione delle cornici di pietra sagomata e la
realizzazione dei nuovi infissi in legno e lastre di alabastro; costruzione di
tre nuovi altari in pietra, costituiti da basamento e mense; ripristino della
porta della cripta con sostituzione degli elementi lapidei; sostituzione dei
quattro pilastri con capitelli in pietra a sostegno della volta della cripta,
anch’essa da restaurare e consolidare; costruzione del nuovo altare nella
cripta, costituito da basamento e mensa; ricostruzione delle quattro bifore
della cella campanaria in pietra sagomata (20).
Dal
confronto con l’architettura, è possibile osservare come alcuni degli
interventi programmati non siano stati effettivamente realizzati, come le due
finte volte con struttura a rete e la sistemazione della pavimentazione della
cripta, ma anche la ricomposizione della cella campanaria e della copertura
della torre.
Foto di Francesco Fiumalbi
NOTE E RIFERIMENTI:
(01)
M. Salmi, Prolusione, in Il Romanico Pistoiese nei suoi rapporti con
l’arte romanica dell’Occidente. Atti del I Convegno Internazionale di Studi
Medioevali di Storia e d’Arte, Pistoia – Montecatini, 27 settembre – 3 ottobre
1964, Ente Provinciale per il Turismo, Pistoia, 1965, p. 15.
(02)
M. Salmi, Chiese romaniche della
campagna toscana, Federazione Casse di Risparmio della Toscana, Electa
Editrice, Milano, 1958, p. 14.
(03) Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico,
Pistoia, Vescovado, 1138 settembre 20 Consultabile on-line.
(04)
In proposito G.
Francesconi, Districtus Civitatis Pistorii. Strutture e trasformazioni del
potere in un contado toscano (secoli XI-XIV), Società Pistoiese di Storia
Patria, Pistoia, 2007, pp. 14-15.
(05) Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico,
Pistoia, Vescovado, 997 febbraio 25 Consultabile on-line; ed. T. von Sickel, Ottonis II et
III Diplomata, Diplamatum Regum et Imperatorum Germaniae, Tomo II,
Monumenta Germaniae Historica, Hannover, 1893, n. 284, pp. 709-710.
(06)
Archivio di Stato di
Firenze, Diplomatico, Pistoia, Vescovado, 1155 luglio 4 Consultabile on-line; ed. H. Appelt, Friderici I
Diplomata inde ab a. MCLII usque ad a. MCLVIII, Diplamatum Regum et
Imperatorum Germaniae, Tomo X, parte I, Monumenta Germaniae Historica,
Hannover, 1975, n. 109, pp. 184-185.
(07)
Archivio di Stato di
Firenze, Diplomatico, Pistoia, Vescovado, 1134 dicembre 21 Consultabile on-line; ed. parz. J. P. Migne, Innocenti
II Pontificis Romani. Epistolae et Privilegia, in Patrologia Latina, vol.
n. 179, doc. n. CXLIX, coll.
192-193.
(08)
N. Rauty, Poteri civili del Vescovo
di Pistoia fino all’età comunale, in Vescovo
e città nell’Alto Medioevo: quadri generali e realtà toscane, a cura di G.
Francesconi, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Pistoia 16-17 Maggio
1998, Centro Italiano di Studi di Storia e d’Arte, Pistoia, 2001, pp. 35-50:
48-49.
(09)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
2, c.102v; cfr. C. Cerretelli, Note
storiche. San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G.
Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano
e Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(10)
Archivio Capitolare Vescovile di Pistoia, I B 1/10, f. 3 n.c.; Archivio
Diocesi di Pistoia, Documenti, 18;
cfr. C. Cerretelli, Note storiche. San
Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G. Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano e Poggio a Caiano,
Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(11)
Archivio di Stato di Firenze, Capitani
di parte Guelfa, Piante di Popoli e Strade, Tomo n. 121, parte II, cc. 548 Popolo di Mezzana, 554 Popolo di Bacchereto.
(12)
C. Cerretelli, Note storiche. San
Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G. Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano e Poggio a Caiano,
Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(13)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
20, c. 33; cfr. C. Cerretelli, Note
storiche. San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G.
Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano
e Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(14)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
23, c. 345; cfr. C. Cerretelli, Note
storiche. San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G.
Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano
e Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194n.
(15)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
24, c. 33; cfr. C. Cerretelli, Note
storiche. San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G.
Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano
e Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194n.
(16)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
36; cfr. C. Cerretelli, Note storiche.
San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G. Trenti
Antonelli, Le chiese di Carmignano e
Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(17)
Archivio Capitolare Vescovile di Pistoia, Varie (documenti non inventariati), n. 8, 9; cfr. N. Rauty, Annuario diocesano del 1986, Pistoia,
1986, p. 66; C. Cerretelli, Note storiche. San Giusto in Montalbano,
in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G. Trenti Antonelli, Le chiese di Carmignano e Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore,
Prato, 1994, p. 194.
(18)
Archivio Diocesi di Pistoia, Documenti,
55; cfr. C. Cerretelli, Note storiche.
San Giusto in Montalbano, in C. Cerretelli, M. Ciatti, M. G. Trenti
Antonelli, Le chiese di Carmignano e
Poggio a Caiano, Claudio Martini Editore, Prato, 1994, p. 194.
(19)
A. Ricci, Memorie Storiche del
Castello e Comune di Carmignano, Stefano Belli Editore Libraio, Prato,
1895, p. 5.
(20)
Archivio Centrale dello Stato di Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle
Antichità e Belle Arti, Divisione II (1934-1940), busta n. 218, fasc. 6, Monumenti Firenze, XXIX, Relazione sui lavori in corso per il
restauro di S. Giusto sul Monte Albano; XIX, Preventivo di spesa pei lavori da eseguirsi in restauro della Chiesa di
S. Giusto sul Monte Albano (detta San Giuntone) aggiornata secondo i nuovi
prezzi in vigore alla data odierna; cfr. A. Spinosa, Piero Sanpaolesi. Contributi alla cultura del restauro del Novecento,
Alinea Editrice, Firenze, 2011, p. 55n.
Vorrei sapere di chi fu la proprietà della chiesa di S. Giusto immediatamente prima di Tito Cinotti. Costui comprò l' immobile o lo ereditò?
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