di Francesco Fiumalbi
“E’ veramente giusto chiamare Beata te, tu che sei pura…..
….noi invochiamo la Madre di Dio”
Così recita la preghiera, scritta in cirillico russo ecclesiale, sull’orlo dorato del manto della Vergine nell’Icona di Madre di Dio della Tenerezza, collocata all’interno della Chiesa della Trasfigurazione a San Miniato Basso. Questa icona è l’ultima opera arrivata, in ordine di tempo, in un territorio già ricco di testimonianze di valore assoluto. Proviene da molto lontano, precisamente da San Pietroburgo, ed è stata “scritta” da Alexandr Stal’nov.
L’icona non è un dipinto, come la nostra tradizione artistica e religiosa farebbe supporre. L’icona è la “Scrittura” che si fa immagine, che si manifesta, attraverso la quale comunicare a tutti un messaggio ben preciso e non solo. Il profondo significato narrativo di produzioni come questa è da ricercarsi nella natura programmatica della Chiesa Cristiana Ortodossa. La necessità di tramandare la “retta dottrina” (Ortodossia), senza lasciare spazio a diverse opinioni ed interpretazioni, sancisce di fatto una cristallizzazione dei modelli, che non devono assolutamente comunicare messaggi fuorvianti e di dubbia esegesi. Per essere precisi, l’Icona rende presente la persona rappresentata. I Padri della Chiesa affermavano che “Quanto la Scrittura rivela, l’Icona la manifesta” con forme, simboli e colori ben precisi. Per i Cristiani Greco-Ortodossi l’icona è un sacramentale, ovvero un luogo dove poter incontrare intimamente Dio, rappresenta quindi un aiuto, una visione concreta per risalire con l’anima in preghiera verso Dio. E’ una finestra verso il cielo, verso l’infinito, uno sguardo sull’invisibile, sull’eternità . L’icona non è “firmata”, perché non discende dalla maestria dell’autore, il quale si fa intermediario presso Dio, vero e unico promotore del messaggio da manifestare.
L’icona presenta dimensioni pari a cm 170x100 ed è stata realizzata secondo le regole tradizionali di fabbricazione: a mano, con materiali reperibili direttamente dalla natura. Su una tavola di legno di tiglio stagionato ben levigato, con zeppe di quercia per conferirle maggiore solidità, è stato sovrapposto uno strato di gesso e colla di animale, sul quale poi è stata eseguita la doratura in oro 24 carati. Le aureole sono anch’esse in oro, di colore bianco, su fondo di gesso realizzato a pennello. Quindi la pittura per strati successivi di colore, le velature, realizzati con materie prime naturali come terre e minerali macinati, resi polvere, e impastati con tuorlo d’uovo. Anche le vesti del Bambino e della Madonna sono in oro. Le varie fasi della realizzazione sono intervallate da momenti di preghiera e meditazione, manifestando il profondo rispetto per le persone rappresentate e chiedendo l’aiuto divino per il compimento autentico dell’opera.
Come si diceva, tutte le icone si rifanno a precisi canoni determinati nella tradizione della Chiesa antica, ancora indivisa. Anche questa icona della “Madre di Dio della Tenerezza” ha un proprio modello di riferimento, anzi ne ha due: il primo è la “БОЖИЕЙ МАТЕРИ из Jachromskaja” ovvero “Madre di Dio della Tenerezza Jachroma”. La storia di questo prototipo è controversa quanto affascinante. Secondo la tradizione due pellegrini, un anziano malato e un ragazzo di nome Cosma (divenuto poi San Cosma, morto nel 1492), stanchi del loro viaggio fecero sosta presso una sorgente, sulle rive del fiume Jachroma, a circa 40 km dalla città di Vladimir. Mentre l’anziano stava riposando, Cosma fu abbagliato da una luce e udì le seguenti parole: “Accogli e considera le parole della vita, mostra un comportamento gradito a Dio e tendi la legge dei giusti per godere poi i beni eterni” (non a caso il nome Cosma, di cui una variante è Cosimo, significa letteralmente ordinato, moderato e, in senso figurato, disciplinato, decoroso). Attratto dalla luce, egli vi si avvicinò. Essa proveniva da un’icona raffigurante la Madre di Dio. Il giovane la porse al compagno che, toccandola, guarì miracolosamente. Cosma portò l’icona al monastero delle Grotte di Kiev, dove venne ammesso come monaco. Dopo anni di ascesi e di preghiera, mosso dallo Spirito, lasciò il monastero per tornare nel Nord, sulle rive dello Jachroma presso Vladimir.
Dal punto di vista del soggetto, detto modello iconografico raffigura la “Madre di Dio”, ovvero la Madonna con in braccio Gesù, così come indicato dalle lettere greche MP OV (Madre di Dio) e IC XC (Gesù Cristo). Il particolare dello scrivere il nome dei soggetti è un aspetto tipico delle icone. Il motivo è da ricercarsi, ancora una volta, nel non lasciare spazio all’interpretazione, specie in presenza di santi, che non tutti possono riconoscere immediatamente. Questa “Madre di Dio” ha la particolarità di rappresentare la Vergine che accarezza il Bambino, il quale a sua volta comprime la propria guancia contro quella della Madre e, con fare quasi giocoso, le afferra il mento, mentre con l'altra mano tiene il rotolo delle Scritture. Prende il nome quindi di “Madre di Dio della Tenerezza”. Il secondo modello di riferimento è quindi “Il Bambino giocoso”, per la posizione di Gesù con testa alzata, mano sul mento della madre e le gambe incrociate. Mentre la posizione di Madre è statica, quella del Bambino è dinamica.
Sebbene il titolo ponga in secondo piano il Bambino a favore della Madre, in realtà questa icona è più cristologica (che parla di Cristo) che mariana. Il piccolo Gesù appare con una fisionomia adulta, Egli infatti è il Signore, colui che insegna con “autorità”: nella mano destra stringe un rotolo, la Scrittura, perché Egli è il Figlio di Dio fatto uomo, figlio di Maria, la Parola di Dio fatta carne. La Madonna ha una veste con orlo e frangia dorati, denotandone la propria regalità. Sull’abito vi sono poi tre stelle: una è collocata in fronte, una sulla spalla sinistra, mentre la terza non è visibile perché celata dal corpo di Gesù. Questa simbologia sta ad indicare la verginità di Maria prima, durante e dopo il parto. A differenza di molte raffigurazioni “occidentali”, la Madonna non mostra i capelli, nemmeno una ciocca. Questi sono avvolti entro un copricapo color verde-bluastro, come la tradizione ebraica prescriveva alle donne sposate.
L’icona presenta vari livelli di lettura. Il primo, indicato anche dal titolo, è l’atmosfera di tenerezza che si viene a creare nel rapporto dolce, umano, fra la Madonna e Gesù. Come già sottolineato il Bambino ha la fisionomia di adulto, perché è il Signore che insegna e anche perché consapevole del futuro sacrificio. Anche per questo lo sguardo della Vergine è triste, preoccupato: gli occhi puntano esattamente chi vi si trova dinnanzi, quasi a indicare la necessità del sacrificio del Figlio per tutti, anche per colui che le sta davanti. Interessante è il rapporto “fisico” che si viene ad instaurare fra le due figure: la Madre sorregge con la mano sinistra il Bambino, mentre con la destra l’avvicina a sé. E’ evidente il richiamo all’Eucarestia, il corpo e il sangue di Cristo sacrificato per l’uomo. Il gesto è infatti molto simile a quello compiuto dal sacerdote durante la “consacrazione” all’interno della celebrazione eucaristica, ed è altrettanto simile al gesto che il fedele compie una volta ricevuta l’ostia consacrata: la prende con la mano sinistra, se la porta alla bocca con la destra. Maria è immagine, quindi, anche della Chiesa che accoglie Cristo fra le proprie braccia, da lui ne trae significato, proprio come una madre col proprio figlio. Anche Gesù abbraccia la Madre, se ne prende cura: il contatto, l’amore, è reciproco. Quindi l’icona della “Madre di Dio della Tenerezza” si configura come momento contemplativo dell’ideale abbraccio fra Dio e l’umanità. In questo senso un particolare interessante sono i piedi del Bambino: quello sinistro è rivolto verso l’osservatore, mentre l’altro è allungato. Questo dettaglio è un’allusione all’Eden: Cristo è colui che schiaccia la testa al diavolo fatto serpente e salva l’uomo, il Creatore soccorre la propria creatura, ma col sacrificio della sua vita. Le due figure hanno un’aureola realizzata in oro bianco. Mentre quella della Madonna presenta una decorazione di tipo floreale, evidente simbolo di vita, quella di Cristo contiene anch’essa un motivo floreale, ma inserito fra due lettere greche, Omega e Omicron, che insieme alla lettera Ni (celata dalle figure), corrispondono alla rivelazione di Dio a Mosè “Io sono Colui che sono”.
I soggetti sono inquadrati entro una cornice, la cui presenza non è forte, ma si fa comunque avvertire. Non vi è discontinuità materica, bensì un piccolo rilievo dei bordi. L’icona si configura quindi come una finestra, rivolta verso l’infinito, l’immenso, sottilmente ricavata da una semplice tavola di tiglio. L’oro dello sfondo si fa quindi segno della Trasfigurazione, elimina l’ambientazione, ma anche il tempo. Il riflesso dell’oro è luce increata che emerge spontanea dall’icona e copiosa si riversa sul fedele che la contempla.
Dopo aver analizzato l’icona dai punti di vista storico, tecnico e teologico, è doveroso riproporre la domanda con cui si apre il presente articolo. Per quale motivo, in una chiesa costruita nel Terzo Millennio, in Italia, è stata collocata un’icona di questo tipo? Di quale messaggio vuole farsi interprete?
E’ evidente il richiamo alle origini della Chiesa, alle sue radici. Le icone erano presenti, quali segno narrativo fino al XIII secolo, anche nella Chiesa “Romana”. Da un punto di vista programmatico l’icona lancia un monito ben preciso: proprio per la sua forza narrativa, esegetica, rinnova ai fedeli la necessità di non scadere in una religione personale, in un credo fatto su misura. Richiamare, quindi, quei valori dogmatici, non negoziabili, propri del Cristianesimo. Rafforzare il valore comunitario, continuamente da stimolare, anche attraverso l’incontro con l’icona, con le persone ivi rappresentate. E’ solo attraverso il continuo confronto comunitario che il credente non si lascia trasportare da personalismi di sorta.
L’approfondimento teologico della Chiesa Cattolica, riguardo la figura della Madonna, ravvede l’inscindibilità della figura mariana da quella di Cristo, ed ecco quindi che l’icona, collocata all’interno di un’apposita cappella, non avrebbe potuto rappresentare la sola Vergine.
Infine, proprio per le sue peculiarità, l’icona si pone anche come “ponte” ecumenico con i Cristiani Ortodossi presenti nel territorio samminiatese, il cui numero si è molto accresciuto negli ultimi anni.
Si ringrazia Don Luciano Niccolai, parroco di San Miniato Basso per la collaborazione
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