sabato 26 maggio 2012

CASTRO SANCTI JOHANNIS IN VALDEGOLA

di Francesco Fiumalbi

Poco sopra l’antica Pieve di San Giovanni a Corazzano, lungo via della Pieve, si trova la villa-fattoria di proprietà della famiglia Pancanti. Il luogo, detto “San Giovanni”, è a dir poco suggestivo: immersi fra gli olivi, da qui si può scorgere uno dei più suggestivi panorami di tutta la Valdegola.

Panorama della Valdegola dalla villa-fattoria Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

La Valdegola, da epoca antichissima, costituiva un corridoio privilegiato per giungere a Volterra dal Medio Valdarno Inferiore. Per i numeri dell’epoca, contrariamente alla situazione odierna, la vallata era molto abitata e frequentata, anche perché più facilmente bonificabile rispetto a quella principale dell’Arno. Proprio per questo, a circa metà della Valdegola, era stata fondata una pieve molto importante: Ecclesia plebis beate S. Marie et S. Johan Bapt, dipendente dalla Diocesi di Lucca. La chiesa esiste ancora oggi, seppur ricostruita fra l’XII e il XIII secolo, e si trova nei pressi di Corazzano, antica località denominata nel 790, Quarantiana, dove i vescovi di Lucca avevano una curtis (1). E’ estremamente complesso ricostruire le vicende che portarono la sovrapposizione dell’organizzazione amministrativa laica ed ecclesiastica tardoantica alla precedenti circoscrizioni agricole romane, costituite dai pagus. Di fatto, è quello che avvenne. Un documento estremamente interessante, datato 983 e conservato presso l’Archivio Arcivescovile della Diocesi di Lucca, ci fornisce la notizia che la Pieve di S. Maria e S. Giovanni, comprese tutte le sue pertinenze, furono date con la formula del livello dal vescovo di Lucca Teudigrimo a Willelmo et Wido del fu Willelmo, Signori di Saminiato (2). In tale documento vengono riportate le località dove sussistevano i beni da allivellare.

Villa Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

Fra i toponimi segnati nella pergamena figura quello di “Cappitrone” (3), nome che ancora oggi, modificato in Capitroni, indica due poderi nei pressi della Villa Pancanti: uno a nord, afferente alla Villa-Fattoria di Collebrunacchi e l’altro, a sud, pertinente proprio alla fattoria di proprietà Pancanti. Non si fa menzione dell’attuale toponimo “San Giovanni”, relativo al poggio ove sussiste la villa. L’ipotesi più plausibile è che l’attuale poggio, oggi denominato “San Giovanni” all’epoca non fosse abitato e quindi non menzionato; potrebbe essere stato insediato proprio da quei Signori di Saminiato di cui conosciamo ancora molto poco (4).
Abbiamo visto anche nel post relativo al villaggio di Fabbrica, come l’insediamento pedecollinare nei pressi dell’attuale Molino d’Egola, attorno all’anno 1000, si sia spostato per motivi politico-militari in cima alla collina di Cigoli. Potrebbe essere avvenuto lo stesso processo con l’ipotetico abitato di fondovalle di Quarantiana che viene abbandonato a favore del nuovo, e più difendibile, Castro Sancti Johannis.
Con ogni probabilità si trattava di un insediamento di tipo agricolo, vale a dire una curtis (forse la stessa documentata nel 790), dotato di un recinto, o comunque di una struttura volta a circuire, a chiudere l’abitato e per questo denominato castro (5), come risulta dai documenti che proponiamo più avanti.

Cartorafia odierna
Disegno di Francesco Fiumalbi

Il 983 è uno degli anni centrali del governo di Ugo, Marchese della Tuscia dall’anno 969 al 1001, detto “Il Grande” per la sua vicinanza e notevole influenza sugli imperatori della dinastia sassone: Ottone I, Ottone II e Ottone III. Durante il trentennio del governo marchionale di Ugo, si verificò una vera e propria esplosione delle forze signorili, sia di natura ecclesiastica che laica. Continuò con una accelerazione nuova quella frammentazione delle terre, dei proventi e delle funzioni pubbliche avviata quasi due secoli prima da Carlo Magno (6). In questo contesto si inserisce probabilmente la strategia politica lucchese, nell’assegnare terre, benefici e funzioni pubbliche nella zona del sanminiatese ad una serie di famiglie locali, forse di origine lucchese, nel tentativo di contrastare i Cadolingi (che occupavano la val di Nievole e si spingevano fino a Fucecchio) (7) e i Gherardeschi (che forti dell’appoggio volterrano si spingevano fino alle vicine Barbialla, Collegalli e Scopeto) (8). Si venne a creare una sorta di clientela episcopale.
Furono Wido e Willelmo, o forse i loro discendenti, coloro che probabilmente costruirono, per difendere magazzini agricoli e/o per controllare la viabilità della Valdegola, quello che nel XIV secolo sarà denominato Castro Sancti Johannis. Il contratto che li vede coinvolti è un vero e proprio atto di infeudamento, seppur in piccolo, in quanto Willelmi et Wido gg. vel de nostris hered. sint permanent potestatem suprascriptam medietatem de suprascriptis casis seo rebus tam domnicatis ec.. di una porzione territoriale molto consistente e che riproporremo in un apposito post.

Villa Pancanti e la Pieve di San Giovanni a Corazzano
Foto di Francesco Fiumalbi

L’attuale villa sorge su quella piccola altura dove, con ogni probabilità, si trovava quel Castro Sancti Johannis de Gello, rammentato da Giovanni di Lemmo da Comugnori. Gli abitanti di questo piccolo centro fortificato, insieme a quelli di Barbialla e Mellicciano, tesero un agguato agli uomini di Collebrunacchi nel 1314 (9). Il nome del Castro è rimasto, infatti, nella toponomastica del luogo: “San Giovanni”, che è segnalato anche da Antonio Vensi come uno dei castelli sanminiatesi prima della dominazione fiorentina (10).
Il Castro Sancti Johannis è menzionato anche negli Statuti della comunità sanminiatese del 1337. Gli abitanti del castello costituivano, infatti, una societas (11), ovvero un’unità amministrativa locale che habeat de dicta cerna pro parte eam contingente nomine armatos vitingi, quorum quator eum balistis sint et alii XVI cum pavesibus, muniti etiam aliis armis necessariis prout decet (12). Doveva, cioè, fornire almeno quattro uomini dotati di balistis (verosimilmente una balestra o qualcosa di simile) e altri sedici dotati di pavesibus (lo scudo “pavese”) e di altre armi che si sarebbero rese necessarie. Un piccolo contingente, costituito da venti uomini armati, che in caso di guerra sarebbe andato a costituire l’esercito sanminiatese. Non ci dobbiamo stupire per l’esiguità, in quanto 20 uomini erano più che sufficienti per difendere un piccolo castelletto, che poteva presentarsi come un edificio recintato con una palizzata in legno (si veda anche il post CASTRUM MORIORI). Non avrebbe certamente retto l’assedio di un vero esercito, ma avrebbe potuto resistere facilmente a piccole scorribande nemiche. Da questo numero, possiamo fare anche una stima molto approssimativa delle persone che abitavano il Castro Sancti Johannis o che vi gravitavano attorno: circa 200 persone.

Villa Pancanti
Foto di Francesco Fiumalbi

Alla fine del XVI secolo, all’interno delle Piante di Popoli e Strade redatte dai Capitani di Parte Guelfa, troviamo una costruzione che potrebbe trattarsi proprio dell’attuale villa-fattoria (13). L’edificio è disegnato alla maniera di una casa padronale con un ampio corpo di fabbrica, una torre o colombaia e un altro annesso agricolo, anche se, contrariamente a quanto avviene in altre carte, non si ha alcun riferimento riguardo alla proprietà. La posizione dell’edificio disegnato è del tutto simile all’odierna costruzione, ovvero lungo la strada che dalla Pieve di Corazzano conduce a Gello. Invece, in un disegno coevo conservato all’Archivio di Stato di Firenze lo stesso edificio è contrassegnato dalla proprietà Buonaparte (14). Sul prospetto contenente anche lo stemma della nobile famiglia sanminiatese, un graffito riporta una data: MCCCCLXXIII. Si tratta probabilmente dell’anno in cui i Buonaparte edificarono l’edificio o ne ristrutturarono uno preesistente. La proprietà dei Buonaparte nel XV secolo è plausibile in quanto tale famiglia, insediatasi a San Miniato già nel XIII secolo, si dispose molto vicina alla Repubblica di Firenze e ai vicari insediatisi all’ombra della Rocca dopo la conquista fiorentina avvenuta nel 1370 (15).
Nel 1693 la villa, che era locus consuete habitationis dictorum dominorum (16), fu dotata anche di un oratorio, noviter extructus, che Jacopo Vanni, inviato dal Vescovo Cortigiani, fu incaricato di ispezionare, controllando che tutto fosse in ordine prima della benedizione inaugurale. Lo stesso Vanni riferisce che la piccola chiesa era fornita degli arredi, pavimentata, imbiancata e isolata rispetto all’abitazione (17).

Stemma Buonaparte
Villa-fattoria Pancanti, Corazzano
Foto di Francesco Fiumalbi

Nella denuncia delle Decime Granducali del 1714, abbiamo notizia della casa padronale che era posseduta da Niccolò Buonaparte Franchini, cioè del ramo di Pier Antonio Buonaparte (18).
La situazione del complesso architettonico al 1820 risultava praticamente identica a come è oggi (probabilmente già dalla fine del ‘600): l’articolazione planimetrica era costituita da due corpi di fabbrica paralleli, di cui quello a mezzogiorno con la casa del fattore e quello a settentrione l’abitazione padronale con l’oratorio a fare da appendice (19). 
Negli anni ’40 dell’800, Luigi Pancanti, allora fattore a San Vivaldo, acquistò dalla famiglia Rospigliosi, che era subentrata ai Buonaparte, l’attuale proprietà. E’ in questo periodo che il complesso architettonico subisce una profonda ristrutturazione, come ricorda la data 1845 scolpita su una porta del corpo meridionale.
I due edifici furono uniti, andando a formare un’unica casa padronale, dotata di una facciata monumentale sul lato occidentale della vecchia casa del fattore. Tale variazione della planimetria, a formare una “U”, è documentata al 1860 (20).
Dalla carta del Catasto Leopoldino, oltre al complesso architettonico costituente la casa padronale, emerge, significativa, una strada perfettamente retta in direzione sud-occidentale, che segue il crinale del rilievo collinare. Tale sistemazione ricorda quella di un’antica ragnaia, poi trasformata in giardino, mantenutosi fino alla seconda metà del ‘900.

Si ringrazia la famiglia Pancanti per la cortesia e la disponibilità nella stesura di questo post.

NOTE BIBLIOGRAFICHE:
(1) Barsocchini, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte II, pag. 135, in Morelli Paolo, Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in A.A. V.V., Le Colline di San Miniato (Pisa), La natura e la storia, Supplemento n. 1 al vol. 14 dei Quaderni del Museo di Storia Naturale di Livorno, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Provincia di Pisa, Tipografia Bongi, San Miniato, 1997, pag. 87.
(2) Barsocchini Domenico, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte III, documenti: MDLXVIII (Arch. Arciv. Luc. ++ C.68) pagg. 453-454.
In proposito si veda anche Barsocchini Domenico, Memorie e Documenti per servire alla Istoria del Ducato di Lucca, Francesco Bertini Tipografo Ducale, Lucca, 1841, tomo V, parte I, pagg. 148-149.
(3) Ibidem.
(4) Non sembrano essere gli stessi Domini di San Miniato, in proposito si veda Salvestrini Francesco, Il nido dell’aquila. San Miniato al Tedesco dai vicari dell’Impero al vicariato fiorentino del Valdarno Inferiore (secc. XI-XIV), in Malvolti Alberto e Giuliano Pinto (a cura di), Il Valdarno Inferiore terra di confine nel Medioevo (Secoli XI-XV), Atti del convegno di studi 30 settembre – 2 ottobre 2005, Leo S. Olschki, Firenze, 2009, pagg. 236-238.
(5) Wickham Chris, Documenti scritti e archeologia per una storia dell’incastellamento: l’esempio della Toscana, in Francovich Riccardo e Milanese Marco (a cura di), Lo scavo archeologico di Montarrenti e i problemi dell’incastellamento medievale. Esperienze a confronto., Atti del Colloquio Internazionale Siena 8-9 dicembre 1988, Edizioni all’Insegna del Giglio, Firenze, 1990, pag. 88-89.
(6) Nobili Mario, Le famiglie marchionali della Tuscia, in AA.VV., I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Atti del 1° Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze 2 dicembre 1978, Pacini Editore, Pisa, 1981, pag. 99.
(7) Salvestrini, Il nido dell’aquila…, pag. 236, e anche Salvestrini Francesco, San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Cantini Federico e Salvestrini Francesco (a cura di), Vico Wallari – San Genesio. Ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del Medio Valdarno Inferiore fra alto e pieno Medioevo, Centro Studi sulla civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato, Firenze University Press, Firenze, 2010, pagg. 46-47.
(8) Ceccarelli Lemut Maria Luisa, I conti Gherardeschi, in AA.VV., I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale, Atti del 1° Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Firenze 2 dicembre 1978, Pacini Editore, Pisa, 1981, pagg. 165-190, in particolare si veda la carta allegata, con le località controllate dalla famiglia.
(9) Mazzoni Vieri, Ser Giovanni di Lemmo Armaleoni da Comugnori, Diario (1299-1319), Olschki Editore, Firenze, 2008, c. 37v, pag. 49.
(10) Archivio dell’Accademia degli Euteleti, Antonio Vensi, Materiali raccolti, Castelli che appartenevano a San Miniato nel tempo della sua libertà, 91, pag. 389.
(11) Salvestrini Francesco (a cura di), Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, ETS, Pisa, 1994, pag. 336.
(12) Salvestrini, Statuti…, pag. 339.
(13) Pansini (a cura di), Piante di Popoli e Strade, Archivio di Stato di Firenze, Olschky, 1989, volume II, C663.
(14) Archivio di Stato di Firenze, Capitani di Parte Guelfa, Piante di Popoli e Strade, 118, c. 357 in Romanelli Rita, Villa Buonaparte, Pancanti, in Giusti Maria Adriana (a cura di), Le Ville del Valdarno, Ecofor, Edifir Edizioni, Firenze, 1996, pagg. 68-69.
(15) Boldrini Roberto, La famiglia Buonaparte a San Miniato, in Biron Francesco e D’Aniello Antonia (a cura di), Buonaparte o Bonaparte? Napoleone e gli antenati toscani di San Miniato, Sistema Museale San Miniato, Titivillus Edizioni, Corazzano, 2003, pagg. 44-46.
(16) Archivio Vescovile Diocesi di San Miniato, Atti Beneficiali, P, fasc. 24, in Romanelli, Op. Cit.
(17) Ibidem.
(18) Archivio di Stato di Firenze, Decime Granducali, 5783, c. 1041 r., in Romanelli, Op. Cit.
(19) Archivio di Stato di Pisa, Catasto Leopoldino, sezione “O” di San Miniato, n. 59, arroto 75, anno 1860, in Romanelli, Op. Cit.
(20) Archivio di Stato di Pisa, Catasto Leopoldino, sezione “O” di San Miniato, n. 59, in Romanelli, Op. Cit.

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