sabato 13 novembre 2010

LA NECROPOLI DELLA CAPRA

di Francesco Fiumalbi

In uno splendido sabato mattina, ci ritroviamo alla base, presso Moriolo. Siamo in quattro: Luciano Marrucci, Francesco Fisoni, Leonardo Serrini e Francesco Fiumalbi. Con tono quasi canzonatorio, commentiamo l’abbigliamento sopra le righe di Luciano che si difende: andiamo all’avventura!
Armati di comode scarpe, di macchina fotografica e di tanta allegria saliamo a bordo del potente fuoristrada di Leonardo. Un rapido controllo alla cartina: pronti, si parte!
Destinazione: “top secret”.

Una strada della campagna sanminiatese

Il sole è quasi alto e lo stradone scorre veloce sotto di noi. Lasciamo la via maestra e ci inoltriamo per una strada che comincia, dolce, a salire. L’asfalto ci abbandona e un buon sentiero si apre davanti; ben presto la jeep si rivelerà fondamentale. Svoltiamo in un sentiero secondario e subito ci accoglie una profonda buca che ci fa sobbalzare. Procediamo lentamente, anche se le quattro ruote motrici facilitano l’andatura: un’auto normale si sarebbe impuntata, esattamente come un vecchio mulo che non ne vuol sapere di muoversi. Finalmente arriviamo ad uno slargo: meglio parcheggiare.

Continuiamo a piedi, aiutati da un paio di bastoni che ci siamo portati dietro. La temperatura è ideale. Nessun suono meccanico, solo i nostri passi e qualche folata di vento che, di tanto in tanto, smuove la vegetazione circostante. Siamo invasi da antichi odori, e da qualche insetto di troppo. Armati col nostro desiderio di avventura, procediamo. La strada inizia a scendere e dopo una svolta la vallata si apre ai nostri occhi. Sulla sinistra si comincia ad intravedere una vecchia casa “di contadino” parzialmente nascosta dagli alberi.

Paesaggio collinare sanminiatese

Ci accoglie il proprietario di casa: un uomo sulla cinquantina, non molto alto, ma dal fisico robusto. Abbandona il lavoro che stava facendo e ci presentiamo. Conosce già il motivo della nostra visita e, senza perdersi in inutili convenevoli, ci fa strada attraverso un piccolo sentiero. Ben presto arriviamo ad una piaggia assolata. Cominciamo a guardarci attorno. Pian piano i nostri sguardi si concentrano su alcuni affioramenti pietrosi. Si tratta di rocce sedimentarie, decisamente sabbiose, di color giallo, quasi ocra. Hanno una particolarità: paiono squadrate. Prendiamo in mano alcuni piccoli frammenti: sono molto friabili. Ne cade uno a terra rompendosi lungo una precisa linea di frattura che non avevamo notato. Cominciano ad manifestarsi le prime domande: è opera dell’uomo? Oppure  vi ha lavorato madre natura?

Il bello deve ancora avvenire. Poco distante, ecco spuntare dal terreno almeno tre grossi massi. Sono decisamente diversi. La roccia è assai più dura, di colore bruno e sembrano disposti in modo casuale. Si avvicina a noi una capra e la cosa ci diverte. Siamo qui grazie ad una sua “nonna” che, nottetempo, aveva scelto quale giaciglio una cavità fra i grandi blocchi di pietra. Questa sua predilezione aveva fatto sorgere alcuni dubbi al suo padrone, condivise all’epoca con Luciano Marrucci. Il tempo era passato e la cosa era andata “in cavalleria”. I due vecchi amici, negli anni, non si erano affatto dimenticati della cosa e così, in questa splendida mattina attendono il parere dei più giovani.
Con Leonardo e Francesco ci guardiamo perplessi. Possibile?

Una roccia squadrata che affiora

Iniziamo a saggiare le rocce con tatto, quasi ad accarezzarle. Anche queste sembrano squadrate, seppur in modo più grossolano. Sono disposte a “U”: due quasi parallele, l’altra sopra e di traverso. Ci sediamo sulle stesse, iniziamo ad avanzare ipotesi. Luciano Marrucci, con tono solenne, espone la sua teoria in merito: potrebbe trattarsi di una tomba, vedete, questo è l’ingresso! Questi macigni, più grandi e diversi rispetto alle altre pietre, non possono essere qui per caso. Forse si tratta di una sepoltura, probabilmente risalente all’epoca etrusca, la cui copertura è crollata lasciando cadere al suo interno molti detriti.
Il padrone è più cauto: forse questi massi sono frutto di una frana, sono talmente grandi che trasportarli fin qui sarebbe stato molto arduo! Forse la cavità che formano poteva essere usate come cantina o deposito fresco.
Discutiamo.

Le tre grandi rocce

Luciano si sofferma sulle pietre, mentre il resto della compagnia si avventura fra l’erba. Sopraggiunge il maschio della capra: un affascinante animale che pare provenire da un mondo lontano. A differenza della femmina, non si lascia avvicinare. Proseguiamo poco più a valle e Francesco Fisoni si lascia coinvolgere da una coppia di asini. Divertito si fa ritrarre con loro.

La capra e le rocce

Facciamo ritorno all’abitazione, dove ci attende il rifornimento d’acqua e di succo d’uva. Luciano espone nuovamente la sua teoria; sembra quasi un profeta biblico: poco preso sul serio. In realtà Francesco, Leonardo ed io dobbiamo ancora sedimentare quanto abbiamo visto per la prima volta. Dall’abitazione sbuca la moglie del padrone mostrandoci un piccolo frammento di un vaso. Si tratta di una parte dell’imboccatura. A prima vista pare costituito da un arcaico impasto argilloso. Contiene frammenti grigiastri che ricordano la pomice, usata spesso come materiale di alleggerimento dell’amalgama. Luciano decide di fermarsi a conversare con la donna, mentre noi proseguiamo in un piccolo tour attorno alla casa. Saliamo un poco e ci ritroviamo per il malandato sentiero da cui siamo arrivati. Ad un certo punto il padrone si ferma e ci mostra alcuni frammenti di embrici incastonati nella terra di un ciglione. Poi ci fa notare alcuni laterizi disposti lungo la sede stradale. Ben distinto, appare il basamento di un vecchio muro, dello spessore di circa trenta centimetri. Accanto alcuni mattoni disposti per coltello. Possibile che vi fosse un muro proprio sulla sede stradale e col tempo sia crollato?

La fondazione di un muro crollato?

Si è fatto tardi e ritorniamo all’abitazione assaliti dai dubbi. Salutiamo il padrone di casa e lo ringraziamo per la bella accoglienza che ci ha riservato. Raggiungiamo il fuoristrada e facciamo ritorno alla base.

Sicuramente l’intero territorio del Comune di San Miniato è stato abitato stabilmente fin dall’antichità, prova ne sono molteplici ritrovamenti sparsi qua e là. Possibile che quei tre massi siano ciò che resta di una vecchia sepoltura etrusca? Per quale motivo se ne sarebbe persa la memoria? Eppure è lì, ben visibile.
Non siamo in grado di pronunciare risposte, soltanto domande. Ci lasciamo col proposito di interpellare un geologo, per capire se la forma delle pietre è compatibile col lavoro dell’uomo o se sia frutto dell’erosione, e un buon archeologo. Fra molti interrogativi, iniziano ufficialmente le ricerche.


(continua…)

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