IL
PRIMO GIORNO DI SCUOLA - Eravamo fortunati e ‘un si sapeva
– Non
lo macchiare! Stai attento! Non ti sporcare! Non sederti per terra!
Non litigare! – Le raccomandazioni non finivano mai, alcune neppure
le sentivo né le capivo. Già da alcuni giorni era tutto un parlare
di scuola. Le prove del grembiule che la mamma, mi aveva cucito
apposta. Poi dal Dainelli a prendere i fiocchi. – Due per avere il
cambio – e il Dainelli a tagliarne due, prendendo la misura col
metro disegnato sopra il ripiano del bancone. L’astuccio di legno
per le penne e i pennini dal Giorgi. – I pennini da prima, due a
campana, e due a foglia. Così ha detto il maestro. – Mi ritrovo
così con la cartella piena: due libri, uno di grammatica e uno di
lettura. Due quaderni uno a righe e una a quadretti. L’astuccio con
le penne e pennini, e una scatola di matite colorate a 6 colori, e
due carte assorbenti. Comincia proprio così il 1° d’ottobre a
scuola. Grembiule nero, come quello dell’asilo delle monache. Quasi
uguale, diciamo; in più il fiocco che la mamma mi rifà ogni
mattina, dopo averlo lavato e stirato.
Per la strada altri bambini e bambine, quasi in festa, in cammino. I più piccoli mano nella mano a mamma diretti a scuola. Da Nello e dal Peroni, anche fuori in attesa, a prendere un “semelle” fresco per merenda, o un pezzo di schiacciata con olio e sale. Anche in piazza dei Polli altri bambini, cartella in mano. Per qualcuno la merenda è pane del giorno avanti: a volte con olio, a volte è zucchero e vino, a volte marmellata. Raramente affettato.
A l'ingresso, davanti al portone, in attesa c’è Elvezia. Amica di mamma, ci fermiamo da lei ogni domenica nel nostro consueto giro fino al camposanto. Sorpresa! Elvezia è lì, nella sua vestaglia nera a fare la bidella, in compagnia di Orfeo un vecchio, due “mustacchi” che non riescono a celare quel sorriso stampato sul viso. Indaffarato, su e giù per quelle scale a portare legna. Una stufa in ogni classe, un po' strana, rossa. – Non la toccate, brucia – dice il maestro mentre sottolinea è di terracotta. E Orfeo, il bidello, appena entrato in classe, me lo ritrovo lì. Sta facendo il giro dei banchi con una grossa ampolla di ferro in mano, a riempire i calamai d’inchiostro
Quel primo giorno… e deve essere stato proprio il primo, quello di cui ricordo… è Paolo il compagno di banco. Banco in prima fila, dove mi accompagna il maestro, Carlo il suo nome, con fare gentile, mentre mi mostra dove tenere la cartella e dov'è il calamaio. Lo sguardo intimorito di fronte a questo nuovo compagno; alto, forse il doppio di me. Lo ricordo in quel gesto, braccia sulle mie spalle, in segno di saluto, mentre sorride. Non ho mai capito cosa avesse da sorridere. Io sarei stato ben più volentieri a casa, o fuori o dalle monache di San Paolo...
– Silenzio! Tutti a sedere. Mani sul banco. – È l’ordine del maestro. Me la ricordo ancora quella prima “a” scritta sulla lavagna e quella parola che ero chiamato a leggere per la prima volta: Asino. – Preparate la penna. Metteteci il pennino a foglia. Aprite il quaderno a righe! Ora fate attenzione! Dovete inzuppare la penna nel calamaio, ma solo un po’. Il pennino deve restare mezzo di fuori e non deve traboccare. – È il maestro stesso che passa tra i banchi e ci fa vedere il modo giusto di inzuppare la penna, anche se io oramai sono esperto di aste dalle suore di San Paolo. – Mi raccomando, assieme al quaderno tenete anche una carta assorbente a portata di mano... *Farabullini!! – è quasi un urlo quello del maestro rivolto arrabbiato ad un bambino che dietro di me, nel cantone chiacchiera e ride, né quaderno né penna davanti. – Fuori di classe! – e lo prende per un orecchio e l’accompagna alla porta, già pronta Elvezia che oramai ben conosce il Farabullini.
È
ripetente. Di lui mi è rimasto vivo il ricordo con particolare
simpatia, per alcune sue estemporanee sortite. Sfide impossibili alle
quali i maestri sembrano impotenti. Le sue merende non si possono
scordare: la schiacciata con carta assorbente, e il panino alla
mosca. Non è una minaccia, non è una pantomima perché lui se le
mangia, in atto di sfida, queste merende “impossibili”. Non ho
idea del suo percorso al termine della scuola. In certo qual modo
invidio la sua capacità di contestare tutto e tutti. Io invece resto
sulla difensiva. Vorrei essere altrove e non in quella specie di
prigione. Presto imparo ad evadere ogni volta che voglio, facendo
ricorso alla fantasia. Funziona!
A mezzogiorno, come una fatina arriva Elvezia, non per riportarmi a casa; è l’ora della refezione! Tutti in fila su per le scale fino a l’ultimo piano, è la soffitta dove c’è il refettorio: è tutto apparecchiato! Si mangia. Piatto, bicchiere e forchetta di alluminio. Mamma in cartella mi ci ha messo un bavaglio. È lì che imparo a conoscere le cuoche e le altre donne che ci portano la pastasciutta: Mara, Loredana, Liliana e altre delle quali, a distanza d’anni, anche l’immagine risulta sbiadita. Ma proprio lì ci incontriamo tutti, anche con le classi delle femmine. C’è tutta la classe della maestra Rossi e quella della maestra Carboncini. Ben riconosco Antonietta, Rosaria, e Anna che è quasi la mia fidanzata. Poi tanti altri che vengono da “di là”, amici di Paolo che di cognome fa Giani. Tre tavoloni lunghi da parete a parete, tovaglie di incerato, e noi sulle panche con davanti tante brocche colme d’acqua. Acqua della fonte, perché a scuola ci sono anche le cannelle, nei bagni, dove ci sono tanti sciacquoni e tante “turche”. È un po’ come la buca a casa con il vantaggio che sulla turca, non c’è da arrampicarsi, basta accucciarsi.
Tutto
sommato solo le uniche cose belle che riesco a vedere in questo
andare a scuola: la Refezione, e soprattutto la pastasciutta che c’è
quasi tutti i giorni invece della minestra in brodo, e lo Sciacquone
nel bagno, anche se devo scappare alla svelta per non bagnarmi i
piedi. Quando infine suona la campanella, lo capisci dalla confusione
improvvisa che è finita la scuola. Il primo giorno fuori ad
aspettarmi c’è mamma in compagnia di zia Adriana. Si torna a casa.
Una controllata ai fiocchi, ai bottoni e alla cartella, sembra non
mancare nulla. Posso andarmene in piazza a giocare con gli altri. Ma
nei giorni successivi imparo due cose. La strada per ritornare a
casa... “subito” e che devo tener ben “di conto” della
cartella e del grembiule. Al primo fiocco perso, sono sculaccioni e
in casa a fare la lezione. È iniziata la scuola, ed è finita la
pacchia.
*
Farabullini: cognome di fantasia in sostituzione di quello vero, per
rispettarne la privacy.
Un momento della "refezione" scolastica
Foto collezione Giancarlo Pertici
Un momento della "refezione" scolastica
Foto collezione Giancarlo Pertici
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