domenica 17 luglio 2011

TOPONOMASTICA… PONTAEGOLESE (prima parte)


di Francesco Fiumalbi



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Come abbiamo ricordato anche nel post TOPONOMASTICA… PINOCCHINA la toponomastica è l’insieme dei nomi attribuiti alle entità geografiche ed il loro studio socio-linguistico (1).
Possiamo affermare che la toponomastica è un qualcosa di caratterizzante, un qualcosa che riesce a dare un significato oltre al valore strettamente fisico. I nomi dei luoghi sono una sorta di “indicatori” geografici, ovvero ci forniscono una serie di indicazioni che non sarebbero ricavabili altrimenti, anche perché, spesso, fanno riferimento a situazioni o a circostanze appartenenti a contesti storico-culturali del passato, che noi non abbiamo conosciuto.
Proponiamo questa interpretazione. Il territorio è costituito da tre parti: struttura, identità e significato. Tutte queste cose sono dipendenti reciprocamente. I toponimi associano significati alla struttura, andando a costituire l'identità propria di un territorio.


Il centro abitato di Ponte a Egola, come indica anche il suo nome, è posizionato a cavallo del torrente Egola. Il nome Egola, conosciuto in passato anche con i nomi di Ebula ed Evola, deve la sua origine, probabilmente, ad un nome proprio di persona etrusco: Helvula (2), così come anche altri idronimi di fiumi o torrenti vicini, quali Era ed Elsa (3).

La pescaia lungo il Torrente Egola
Foto di Francesco Fiumalbi

E’ stato un particolare attraversamento del Torrente Egola, unitamente allo sviluppo pedecollinare di insediamenti produttivi, a dare origine all’attuale Ponte a Egola. Anche se non conosciamo l’epoca della prima costruzione, il “ponte” ha rappresentato, per diversi secoli, uno snodo viario molto importante, nei pressi del quale si congiungevano sei percorsi stradali: tre da est e quattro da ovest.

L'attuale ponte sul Torrente Egola
Foto di Francesco Fiumalbi

Il tracciato più importante era la strada “pisana”, ricordata anche negli Statuti del Comune di San Miniato (4), datati 1337, che da Firenze conduceva al mare, (oggi via Tosco-Romagnola Est, via Corrado Pannocchia, via Armando Diaz, via Costa) dovrebbe essere stata tracciata attorno al XIII secolo, quando il tratto dell’antica via Quinctia romana, che correva parallela al corso dell’Arno (5), fu “deviato” su un percorso pedecollinare e di crinale, sia per motivi militari che di manutenzione (strada a “piedi asciutti”). Era una strada, larga 14 braccia dal confinibus Montis Topoli usque ad ponticellum rivi de Ubacula in burgo Sancte Iocunde (dal confine col Comune di Montopoli fino al ponte sul fiume Bacoli, oggi rio San Bartolomeo presso il borgo di Santa Gioconda, oggi Badia Santa Gonda) e la cui manutenzione, nel tratto pontaegolese, era di competenza della comunità di Cigoli dal rio Scoccholini fino al ponte e di Stibbio dal ponte fino alla comunità di Comugnori, Montalto e San Romano (presumibilmente fino a “cima di costa”) (6).
Provieniendo da Firenze, prima di giungere al ponte, si raccordavano alla strada pisana la via che conduceva a Cigoli, passando per l’insediamento di Molino d’Egola, e la via di rezzaia, che deve il suo nome alla presenza di un tabernacolo, scomparso agli inizi del XX secolo (7), dedicato a “S. Lezzaia” o “Santa Rezzaia” (di quale figura potrebbe trattarsi?!) come mostra anche la cartografia del “Catasto Leopoldino”. Quest’ultima strada andava in direzione nord e si raccordava alla via per Santa Croce (che andava dalla Badia di Santa Gonda fino all’attraversamento dell’Arno presso San Donato) più o meno all’altezza dell’attuale impianto sportivo di Casa Bonello.

Ponte a Egola, via di Rezzaia 2
Foto di Francesco Fiumalbi

Passato il ponte, in direzione Pisa, alla strada pisana si raccordava, dalla metà del ‘300 come oggi, la Strata qua itur Castrum Francum (la strada per andare a Castelfranco, oggi via Gramci e via Giuncheto) (8). Il tracciato si concludeva ai confini col Comune di Castelfranco, a cui si giungeva attraverso un ponte, costructum de lateribus, que est canne centumquinque (costruito in laterizio, per una lunghezza di 105 canne) e che per 78 canne doveva essere manutenuto dalla comunità di Leporaja (9). La strada è detta, ancora oggi, “via di Giuncheto” poiché conduce ad una vasta area, denominata appunto Giuncheto, che si trovava in prossimità dell’Arno. Giuncheto è un cosiddetto “fitonimo”, vale a dire un nome di un luogo legato alla presenza di una particolare specie vegetale. Non è da escludere, infatti, che la zona così chiamata fosse ricca di “giunchi”, vegetali che si sviluppano in zone prevalentemente umide o paludose. Nella mappa del “Catasto Leopoldino”, troviamo anche il toponimo “Colmate di Giuncheto”, che si trovava grosso modo fra l’Arno e l’attuale zona industriale di Giuncheto, e che richiama inevitabilmente ad un’operazione di bonifica avvenuta per “colmata”. Nella cartografia IGM di fine ‘800 si rintraccia anche il toponimo di “Canneto”.

Ponte a Egola, via di Giuncheto
Foto di Francesco Fiumalbi

Al ponte giungeva anche una strada proveniente dalla valdegola e che doveva essere mantenuta fino al pontem seu flumen Ebule dalle comunità di Bucciano e Grumolum (quest’ultima località non è stata identificata) (10). Si tratta della strada che, nelle mappe del Catasto Generale della Toscana (meglio noto come “Catasto Leopoldino”), seguiva un percorso pedecollinare per poi biforcarsi (più o meno all’altezza dell’attuale rotonda fra via Primo Maggio, via Curtatone e Montanara e via Antonio Labriola) e condurre da una parte verso il Marianellato e dall’altra verso il ponte. Il tracciato in direzione del ponte oggi è scomparso anche se, idealmente, proseguiva verso Santa Croce nell’attuale via Oberdan. Il suddetto bivio si trovava nei pressi del cosiddetto “Podere Monsone”, nelle vicinanze del quale scorreva un fiumiciattolo di cui rimane memoria nell’attuale via Rio Monsone. Non sappiamo da cosa derivi questo nome, tuttavia, vista la posizione al centro del “canalone” geomorfologico, costituito dalla bassa Valdegola, poteva trattarsi di una zona particolarmente esposta ai venti.
L’altra biforcazione della strada, seguendo un percorso pedecollinare che si raccordava con la strada pisana (l’attuale via Costa), conduceva al “Marianellato”. Si trattava di un nucleo abitato sviluppatosi attorno alle attività produttive della famiglia Marianelli (agricoltura, produzione di laterizi e, infine, concia della pelle) (11) situate fra “Poggio alla Lodola” e “Poggio ai Frati”, all’imbocco di quella piccola vallata solcata dal Rio Monsone e che garantiva un afflusso di acqua sufficiente per le varie lavorazioni. I nomi attribuiti ai rilievi collinari fanno riferimento a due diverse situazioni. Da una parte potrebbe essere segnalata la presenza di allodole, molto diffuse anche in Toscana, mentre il “Poggio ai Frati” potrebbe indicare la presenza di un luogo gestito da una comunità monacale. Non significa che qui ci fosse necessariamente un convento, come è stato più volte supposto, bensì è lecito ipotizzare un riferimento anche alla sola proprietà terriera, magari pervenuta attraverso un lascito. 

Ponte a Egola - Stibbio, via Poggio ai Frati
Foto di Francesco Fiumalbi

Lungo l’attuale via Poggio ai Frati (che da via Primo Maggio si raccorda a via Stibbio presso il casolare denominato “Podere La Quercia”) vi erano, infatti, numerosi possedimenti della Parrocchia di Cigoli, registrati nell’inventario del 1686 (12). Dal 1335 la “cura” di Cigoli era affidata ai frati umiliati di regola benedettina, dipendenti dal convento di Ognissanti di Firenze (13), e qui rimasero fino al 1571 quando l’ordine fu soppresso (14). Il Santuario di Cigoli, nel corso dei secoli, aveva beneficiato di numerosi lasciti sia come ex-voto che per opere di espiazione. Nei pressi di Poggio ai Frati, nelle mappe del “Catasto Leopoldino” troviamo anche il curioso toponimo “La Contessa”, forse riferito alla condizione nobiliare della proprietaria di alcuni terreni, oppure alla sua personalità.

Nella seconda troveremo tanti altri toponimi interessanti...

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