DBDSM - DIZIONARIO BIOGRAFICO DIGITALE DI SAN MINIATO
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PONZANELLI NELLO
Nello Ponzanelli di Abner e Olga Conforti (Norcia, 13 marzo 1886 - Osp. da campo, 11 dicembre 1915), originario dell'Umbria, in Toscana fu Applicato Divisione Movimento e Traffico delle Regie Ferrovie presso il distaccamento di Firenze. Sposato con Giulia Sazzuoli, abitò a San Miniato capoluogo, nella Parrocchia dei SS. Stefano e Michele. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale come Capitano in servizio attivo nel 92° Reggimento Fanteria denominato anche "Brigata Basilicata". Morì per ferite riportate in combattimento nell'Ospedaletto da campo n. 58.
Il suo nome è indicato nell'epigrafe commemorativa che fu collocata il 2 ottobre 1921 all'interno della chiesa dei SS. Stefano e Michele di San Miniato. In proposito: L'EPIGRAFE DEI CADUTI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE NELLA CHIESA DEI SS. STEFANO E MICHELE A SAN MINIATO - 1921
Il suo nome è indicato nell'epigrafe commemorativa che fu collocata il 2 ottobre 1921 all'interno della chiesa dei SS. Stefano e Michele di San Miniato. In proposito: L'EPIGRAFE DEI CADUTI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE NELLA CHIESA DEI SS. STEFANO E MICHELE A SAN MINIATO - 1921
Fu decorato con Medaglia d'Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
Con tenacia e coraggio mirabili, alla testa della propria compagnia, si slanciava più volte nello stesso giorno ed il successivo all'assalto di un ben munito fortilizio nemico, valorosamente combattendo, finché cadde colpito a morte.
Monte Sief, 28-29 ottobre 1915
Della sua agonia si trova memoria nella pubblicazione Lettere e testimonianze dei Ferrovieri Caduti per la Patria,
Firenze, 1921, pp. 72-74, la cui trascrizione è proposta di seguito:
[72]
PONZANELLI Rag. Nello, Applicato della Divisione Movimento,
Capitano 92° Fanteria
Carattere
serio e riflessivo, ha lasciato la moglie e i due piccoli
perfettamente cosciente delle difficoltà, delle angoscie, dei rischi
ai quali andava ad esporsi. Ha accettalo la guerra come una dura
necessità che non chiede grandi parole, ma grandi sacrifici.
Il
25 Maggio 15 oltrepassa, esultante, il confine cadorino.
«State
tranquilli, vi raccomando. Noi è da ieri sera che si beve al grido :
Viva l’Italia».
E
lo ricambia la famiglia che scrive:
«Anelo
sempre di sentire le nostre vittorie e adesso che sei costà chissà
cosa farei per essere al tuo fianco e sterminar tutti cotesti infami
austriaci, causa di tanti affanni in tante desolate famiglie ».
[73]
Ma è sfortunato nella posizione: gli tocca quel terribile
Col di Lana che, nel 15, si è insanguinato di tanto sangue italiano.
Quando ci arrivano dei volontari dilettanti scatta:
«Certa
gente crede di venire alla guerra come a fare una girata. Si
infiammano in qualche caffè, fanno il bel gesto di offrire spontanea
la loro vita, e quando poi si trovano di fronte alla dura realtà si
accorgono di essersi illusi e allora o soffrono di cuore o hanno
l'asma, o la bronchite e così via. Di questi sacrifici ci
s’infischia. Ci vuol della gente che abbia poche parole, ma fegato
molto».
«Lui,
colle poche parole e col fegato molto, si acquista presto
l'autorevolezza e la stima: il 19 Settembre è promosso Capitano. La
promozione gli ha fatto grandissimo piacere, ma la considera come un
accrescimento di doveri.
«Comandare
in guerra circa 300 soldati non è cosa lieve, ma cercherò di
disimpegnare nel miglior modo possibile il mio nuovo compito. Almeno
questo è quanto mi propongo. Iddio mi aiuterà».
Sempre
calmo, padrone di sé, quantunque sensibilissimo come indicano i
tratti fini del viso che è mesto, quasi segnato dal destino, aveva
scritto in un appunto, davanti alla morte:
Dalle
trincee del mio plotone a Casera Colrondo: 16 Giugno '15 (ore 10). «
Per il caso dovessi morire tengo a che la mia cara famiglia sappia
quanto segue: non temo affatto la morte.
Mi
auguro di evitarla ora per rivedere la mia adorata famiglia e non
dare a questa il colpo mortale che la mia morte porterebbe».
Invece,
il 29 Ottobre, durante un assalto, è ferito a morte da pallottola
micidiale che, forato il petto, ha leso il midollo spinale.
«Quando
fui colpito mi sentii come tagliato per metà», racconta lui stesso
al medico, con la sua lucida precisione. E infatti, la lesione
midollare ha causato la paralisi degli arti inferiori e della
vescica.
Così
finisce la sua vita di combattente. Ma comincia quella di eroe.
[74]
È nel suo letto d’ ospedale, nella terribile condizione del
paralitico, che da un giorno all’altro può morire, ma si può
anche salvare. I suoi tempestano di domande ansiose per più di un
mese. Scrivendo la verità, potrebbe rivederli, aver la compagnia del
suo sangue nello squallore dello spedale. Ma non vuole che la
famiglia partecipi al martirio delle alternative; ha deciso di
soffrir solo. Scrive che la ferita è a una gamba: cosa leggera;
nelle rare franchigie che le forze gli lasciano vergare, parla di
tornar a educare i figlioli, di miglioramenti sicuri.
«Il
valoroso e carissimo Nello bisogna avvicinarlo per apprendere a
stimarlo e ad amarlo Ha sempre un sorriso per chi gli si avvicina e
non ha mai mosso un lamento. Consulti si succedono a consulti »,
informa il dottore.
E
il Cappellano: «Sopportò il male terribile con fortezza e
rassegnazione esemplare. Eppure sapeva che il suo male non
perdonava».
Proibiva
perfino all’attendente di far conoscere a casa le sue vere
condizioni. Invano lo interpellò la famiglia; quando, a un tratto,
venne l’annunzio di morte imminente, nessuno di casa fu più a
tempo ad accorrere. Rimase a vegliarlo soltanto l’attendente
fedele. Ma anche a quegli occhi semplici l’uomo si trasfigurò
nell’eroe :
«Mi
stringeva la mano, mi guardava. Mai un momento di impazienza; sicché
io lo considero come un vero eroe della Patria».
Per
il suo contegno in combattimento aveva meritato la medaglia d’argento
al valor militare.
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