a cura di Francesco
Fiumalbi
INTRODUZIONE
Il 21 luglio 1921,
presso Sarzana – all’epoca in Provincia di Genova, poiché la Provincia di La Spezia venne istituita nel 1923 – si verificano
dei gravissimi scontri armati tra squadre d’azione fasciste, Carabinieri Reali
ed elementi della Guardia
Regia, che vanno sotto il nome de “I fatti di Sarzana”. L’episodio, per la sua gravità, ebbe una vasta eco
sulla stampa nazionale. Nella città ligure, infatti, si erano concentrate
squadre provenienti da tutta la Toscana, fra cui anche un gruppo da San
Miniato, capeggiato da Giulio Giani. Tra l’altro a Sarzana rimase gravemente
ferito il sanminiatese Guido Baglioni. Al rientro il fascio sanminiatese
pubblicò un resoconto sulle colonne del periodico sanminiatese «La Vedetta», il cui testo è proposto più
avanti.
Municipio di
Sarzana
Immagine
tratta da Wikipedia
Commons
IL CONTESTO
NAZIONALE
Fino agli inizi del
1921 la Liguria non aveva ancora conosciuto la brutalità fascista, che veniva
giustificata come reazione alle violenze dei socialisti. La stagione di
violenza e squadrismo, definita dalla storiografia come una vera e propria
“Guerra Civile”, fu inaugurata con i fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna il 20 novembre 1920 e poi
proseguita con quelli di Ferrara il 20 dicembre successivo [in
proposito si veda F. Fabbri, Le origini della guerra civile, UTET,
Torino, 2009]. La situazione cambiò a partire dalla nascita del Partito Comunista dalla
scissione di Livorno del 21 gennaio 1921 e dal successivo congresso regionale dei fasci, che si tenne
a Genova il 6 marzo 1921. Da quel momento iniziarono a sorgere sezioni locali
in tutta la regione. Nel maggio 1921 si svolsero le seconde elezioni del primo
dopoguerra, con il
PNF che aveva aderito ai “Blocchi Nazionali” di Giovanni Giolitti ed era riuscito ad eleggere 30 deputati guidati da
Benito Mussolini. Nei mesi che precedettero e in quelli che seguirono la
consultazione elettorale avvenne una vera e propria escalation di violenze, a partire
dalle regioni della pianura padana, per poi estendersi alla Liguria e al Centro
Italia.
Foto di
Francesco Fiumalbi
LA SITUAZIONE A SAN
MINIATO
A San Miniato e nel
Valdarno Inferiore, dopo i Fatti di Empoli del 1 marzo 1921, imperversavano ormai le azioni fasciste.
Il fascio sanminiatese si costituì il 5 marzo, per iniziativa di Taddei, Renato
Salvadori, Sabatino Novi, Bruno Bencini [G.
A. Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista 1919-1922, vol. III, 1921,
Vallecchi, Firenze, 1929, p. 158]. Le Amministrazioni Comunali furono sciolte (Empoli,
Fucecchio, Santa Croce, Montopoli) o costrette alle dimissioni (San Miniato, 21
aprile 1921) e quindi commissariate.
Tra i fascisti
sanminiatesi della prima ora spiccò la figura di Giulio Giani, che partecipò ai fatti di Sarzana.
Nato a San Miniato nel 1900, di professione medico, reduce della Prima Guerra
Mondiale, morì in Tunisia nel 1943. Subito dopo la Grande Guerra si distinse a
San Miniato per la sua adesione ai Fasci di Combattimento e in breve fu eletto
Segretario Politico del PNF. Suo, ad esempio, è il resoconto della
mobilitazione sanminiatese nei giorni della cosiddetta “Marcia su Roma” apparso
sul periodico sanminiatese «La Voce Fascista». In proposito si veda il post 30 OTTOBRE 1922 A SAN MINIATO: QUANDO
MUSSOLINI ANDO’ AL GOVERNO. L’altro sanminiatese, che rimase ferito a Sarzana, si chiamava Guido
Baglioni [1894-1963], abitante San Miniato e di professione ciabattino. All’epoca
dei fatti aveva 28 anni. Pur essendo fra i primi sanminiatesi che aderirono al
fascismo, durante il ventennio non ricoprì ruoli direttivi e non mostrò
atteggiamenti oltranzisti, tanto che, a differenza di altri, nel Secondo Dopoguerra
non subì particolari conseguenze [R. Boldrini, Dizionario Biografico dei
Sanminiatesi (secoli X-XX), Comune di San Miniato, Pacini Editore, Pisa,
2001, p. 26].
In ogni caso, si può
affermare che a partire dalla primavera del 1921 la sezione sanminiatese dei fasci di combattimento poteva muoversi e agire indisturbata, partecipando ad “azioni” e violenze
sia in ambito locale che nel resto della Toscana ed oltre, frenata solamente
dall’operato moderato del Commissario Prefettizio Attilio Masiani.
in un'immagine dell'epoca (anni '20-'30 del '900)
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22
aprile 1942 n. 633
LA SITUAZIONE A
SARZANA
I Fatti di Sarzana avvennero al
culmine di una serie di violenze e scontri. Il 17 luglio 1921 nella vicina
città di Carrara era stata organizzata una spedizione punitiva da parte dei
fascisti locali, i quali si recarono in località Monzone, dove trovarono
Comunisti, Anarchici e Repubblicani pronti a fronteggiarli. Il conflitto tra le
opposte fazioni aveva determinato la morte di due uomini e il ferimento di
altre sette persone. Nel medesimo giorno, la spedizione raggiunse Santo Stefano
Magra, dove rimase uccisa un’altra persona. Durante il ritorno a Carrara, altre
violenze determinarono la morte di un fascista e di un operaio. A questi fatti
seguirono rappresaglie comuniste, fra cui un attentato dinamitardo al direttore
dell’impresa Walder a Monzone, oltre all’intervento dell’Autorità di Pubblica
Sicurezza che dispose l’arresto di numerosi squadristi, fra cui Renato
Ricci, capo dei fascisti di Carrara,
rientrato dopo la fine dell’esperienza
fiumana con D’Annunzio. I fascisti
consideravano Sarzana il covo dei comunisti e degli elementi sovversivi,
potendo contare sull’amministrazione socialista guidata dal Sindaco Pietro Arnaldo Terzi. Per questo le camicie nere iniziarono a
meditare una spedizione nella città, coinvolgendo le sezioni di tutta la
Toscana, allo scopo di liberare Ricci e gli altri squadristi che si trovavano
detenuti presso il carcere ricavato all’interno della Fortezza di Firmafede [«Corriere della Sera», Anno XLVI, n. 174 del
22 luglio 1921, pp. 1-2].
Immagine tratta da G. A. Chiurco, Storia
della Rivoluzione Fascista 1919-1922,
vol. IV, 1922, Vallecchi, Firenze, 1929,
p. 379.
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633
Utilizzo ai sensi dell'art. 70 c. 1-bis della Legge 22 aprile 1942 n. 633
I FATTI DI SARZANA
Nella notte fra il 20 e il 21 luglio
1921, circa 600 fascisti provenienti dalla Toscana, si erano radunati presso la
piazza della Stazione ferroviaria di Sarzana, guidati da Amerigo
Dumini, tristemente noto per le violenze e i
crimini di cui si rese protagonista, fra cui il sequestro e l’uccisione di Giacomo
Matteotti nel 1924 [G. Borgognone, Come
nasce una dittatura. L’Italia del delitto Matteotti, Ed. Laterza,
Roma-Bari, 2012]. Nonostante il blocco delle vie d’accesso alla città, operato
dalle forze dell’ordine, gli squadristi avevano avuto gioco facile costeggiando
la linea ferroviaria. Molti erano armati di fucili e bombe a mano. La marcia
durò fino alle prime ore, poi all’alba, radunati presso la stazione, i fascisti
cominciarono a disporsi in centurie, ovvero in formazioni da combattimento. Prontamente
vennero formati cordoni di sicurezza da parte dei Carabinieri, guidati dal
Capitano Guido Jurgens,
e da elementi della Guardia Regia. Tuttavia, i fascisti provocarono le forze
dispiegate dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, attraverso una serie di
violenze e provocazioni. La forza pubblica fu costretta a ricorrere all’uso
delle armi, uccidendo diversi squadristi. A quel punto, nel parapiglia
generale, i fascisti furono caricati a forza sui treni in partenza e in
transito, e quindi furono allontanati dalla città. A complicare ulteriormente
il quadro fu l’intervento di alcuni elementi comunisti – i quali si erano a
loro volta organizzati in formazioni di combattimento – che cercarono di
accanirsi sugli squadristi che si stavano allontanando dopo la malaparata, in
una vera e propria “caccia” al fascista. Complessivamente persero la vita 14
fascisti e un militare, mentre decine furono le persone rimaste ferite.
[«Corriere della Sera», Anno XLVI, n. 174 del 22 luglio 1921, pp. 1-2; G. A.
Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista 1919-1922, vol. III, 1921,
pp. 459-468].
Il 22 luglio 1921 i principali
quotidiani nazionali davano spazio all’Ordine del Giorno diramato da Cesare De
Vecchi – futuro quadrumviro – al termine della riunione dei rappresentanti del
Consiglio Nazionale dei Fasci di Combattimento: Il Consiglio Nazionale dei
Fasci di combattimento, dinanzi al selvaggio eccidio dei fascisti a Sarzana,
manda un commosso saluto alle vittime e ai feriti, e, mentre reclama la punizione
immediata dei colpevoli, ritiene responsabile il Governo per le direttive
recentemente impartite alle autorità di P. S.. In conseguenza di ciò, i
fascisti deliberarono l’immediata interruzione delle trattative per la
pacificazione con i Socialisti, di cui si era fatto intermediario e garante il
Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi. Dopo la presa di potere del fascismo,
all’interno del Municipio di Sarzana fu eretto un apposito “sacrario” per la
commemorazione dei “martiri” sarzanesi della rivoluzione fascista, poi demolito
nel 1945.
Con la notizia del grave episodio di
Sarzana
IL RESOCONTO DEL FASCIO SANMINIATESE:
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Il racconto de “I
fatti di Sarzana” da parte del fascio sanminiatese dimostra la grande
organizzazione del movimento dei Fasci di Combattimento che diventerà Partito
Nazionale Fascista il 9 novembre 1921. Un’organizzazione che, evidentemente,
non si reggeva solamente sulle forze dei singoli aderenti, ma anche su
finanziamenti di maggiorenti dell’industria e dell’agricoltura. D’altra parte,
come potevano i giovani sanminiatesi, come Giulio Giani e Guido Baglioni,
trovarsi alle 2 di notte sulla spiaggia di Marina di Carrara, a circa 100 km
dalla propria abitazione? E non solo, oltre a numerosi squadristi fiorentini,
sono documentate camicie nere provenienti da Empoli, Fucecchio, Santa Croce e
Santa Maria a Monte. E’ chiaro che disponessero di mezzi non comuni per i
singoli, come i veicoli a motore per il trasporto delle persone, carburante,
generi alimentari, oltre ad armi bianche, moschetti, etc.
Drammaticamente interessante,
poi, notare come una formazione politica, potesse liberamente esprimere il
proprio punto di vista e muovere accuse contro la forza pubblica, benché avesse
partecipato ad un’azione sovversiva contro l’Autorità di Pubblica Sicurezza, al
fine di ottenere la liberazione degli squadristi di Carrara che erano stati
arrestati per i gravi episodi dei giorni precedenti. Ciò dimostra il clima di
assoluta impotenza dello Stato di fronte al dilagare della violenza. In alcuni
casi, all’impotenza si accostò anche la connivenza di molti uomini dello Stato
(non tutti!), fra cui prefetti, uomini politici e forze di pubblica sicurezza.
Insomma il resoconto,
oltre a rappresentare una testimonianza storica dei Fatti di Sarzana – sebbene
si tratti di un racconto di parte – dimostra come i fascisti si sentissero
autorizzati e legittimati a compiere violenze, dato il clima di assoluta
impunità, tanto che l’arco temporale che va dal “Biennio Rosso” (1919-20) alla
marcia su Roma (1922) viene indicato dalla storiografia come il periodo della “Guerra
Civile” [F. Fabbri, Le origini della guerra civile. L’Italia dalla Grande
Guerra al fascismo, 1918-1921, Utet, Torino, 2009, pp. 404-611].
Foto di
Francesco Fiumalbi
Di seguito la
trascrizione del testo del fascio sanminiatese, estratto da «La Vedetta», anno III, n. 30 del 31 luglio
1921, pp. 2-3.
ECHI DEI FATTI DI
SARZANA
Riceviamo e,
pregati, pubblichiamo quanto segue
Fascio
Samminiatese di Combattimento
Comunicato del
Direttorio
sull’eccidio di
Sarzana
S. Miniato, 22-7-921
Mercoledì notte,
una colonna Fascista, mossasi da Marina di Carrara alle ore 1,30 circa,
costeggiando dapprima il mare, indi marciando attraverso sentieri campestri, ed
in ultimo ai lati della ferrovia, giungeva alle 5 del mattino in prossimità di
Sarzana.
Obiettivo e
movente, una dimostrazione di Italianità e di forza nella città che ci aveva
provocato nei modi ormai noti, negli ultimi giorni.
I Fascisti
Samminiatese in numero di 6, aggregati alle squadre degli altri Fasci del
Circondario, erano col grosso della colonna, ed avevano alle spalle la
retroguardia dei fasci Pisani.
Giunti a Sarzana
senza incidenti di sorta, nonostante fosse noto che era preparata un’imboscata
nei pressi di Luni, ove si diceva essere un mulino presidiato da 150 arditi del
popolo tutti armati di moschetto, uscirono i fascisti parte dalla porta della
stazione, parte scavalcati i cancelli del passaggio a livello, dal lato
sinistro della stazione stessa.
Particolare degno
di nota: durante la marcia sebbene non si fosse osservata traccia di arditi del
popolo, ogni casolare mostrava i lumi accesi nel suo interno.
Le due colonne
ricongiuntesi sul piazzale della Stazione mentre senza sospetto stavano
ordinatamente inquadrandosi, una raffica di fuoco a volontà che si protrasse
per oltre tre minuti fece indietreggiare i fascisti: contemporaneamente tutte
le sirene di Sarzana chiamavano a raccolta i comunisti armati.
I fascisti in parte
si rifugiarono nel fabbricato della stazione, in parte, osservato che il ponte
che sta sopra la ferrovia rimaneva quasi come in angolo morto e quindi immune
dalla spietata fucileria dei carabinieri e delle guardie regie, attraversò il
ponte stesse e si dette alla campagna.
Fra questi ultimi
il fascista Baglioni Guido, il fascista Ten. Giani Giulio che comandava la
squadra Samminiatese inviata, il Segretario Politico del Fascio di Fucecchio
Ten. Marradi, il Segretario Politico del Fascio di Pietrasanta Ten. Papini, il
Segretario del Fascio di Marina di Carrata e molti altri giovani dei Fasci di
S. Maria a Monte e S. Croce.
Circondati dagli
arditi del popolo e mitragliati da guardie regie, visto inutile ogni tentativo
di ulteriore resistenza, quasi ultimi dovettero la loro salvezza all’essersi in
tempo arresi ai militi della Guardia Regia schierati lungo una strada e
comandati da un Sottotenente di quell’arma.
Ciò non impedì che
il fascista Baglioni Guido ricevesse tre ferite d’arma da fuoco, due da mano
comunista, una da moschetto di regia guardia alla faccia ed alla regione
scapolare sinistra, per fortuna tutte di lieve entità.
Biasimevolissimo fu
il contegno della Regia Guardia verso i prigionieri che vennero in principio
trattati malamente, e disarmati tenuti esposti all’ira dei comunisti, che
chiesero anche il permesso al tenente suddetto di «scaricare una diecina di fucilate su questi
schifosi».
Particolare degno di nota: più volte
squadre di arditi del popolo dettero informazioni e ricevettero ordini da
militi e dal tenente della Regia Guardia.
All’ultima frase anzi, che sopra
riportiamo, il tenente si limitò a dire che ai fascisti ci avrebbe pensato lui,
e pregò solamente gli arditi del popolo di allontanarsi.
Senonché alcuni ex ufficiali fra i
fascisti prigionieri, avendo udito che ad un fascista compagno di prigionia
obiettante perché come si disarmavano i fascisti non si disarmassero gli arditi
del popolo, era stato risposto che i comunisti erano in pieno diritto di
difesa, mostrate le tessere del R. Esercito fecero osservare la loro meraviglia
ed il loro risentimento per quanto accadeva, e rammentando alcuni capitoli del
regolamento sul servizio di Pubblica Sicurezza, ottennero di esser condotti in
luogo più sicuro.
Il fascista Baglioni fu dalle Guardie
Regie scortato all’ospedale di Sarzana.
Il Comandante della squadra
Sanminiatese e gli altri fascisti prigionieri inquadrati fra Guardie Regie
stavano per esser condotti alle carceri Sarzanesi, ma sulla piazza della
stazione il pronto accorrere di Dumini e Banchelli e degli altri fascisti colà
rifugiatisi ne ottenne l’immediato rilascio.
Due ore dopo circa, sul treno che
passa alle 9 ½ da Sarzana, proveniente da Spezia e diretto a Pisa, previo
permesso dei comandanti la spedizione i fascisti sanminiatesi meno il Baglioni,
dopo lotta a rivolverate da Sarzana fino ad Avenza sostenuta contro Arditi del
popolo armati di fucile e di moschetto e scaglionati lungo la ferrovia,
giungevano a S. Miniato alle ore 1 di giovedì ultimo decorso.
Particolare degno di nota: un fascista
prima di imbarcarsi aveva domandato ad un capitano della Guardia Regia se la
linea era sicura: fu risposto che sì e che era anche inutile mandare pattuglie
in perlustrazione. Perché allora il fuoco cominciò al I casello?
Il Fascio Sanminiatese di
Combattimento per bocca dei superstiti smentisce formalmente che primi a
sparare sieno stati i fascisti; ogni fascista prima della partenza aveva
fermamente dichiarato ai capi che non avrebbe sparato sulla forza a costo della
morte e la morte riconfermò infatti i generosi.
LA COMMISSIONE ESECUTIVA
Il Fascista Baglioni Guido
che riportò tre ferite nei luttuosi
fatti di Sarzana, trovasi ora degente nei nostri RR. Spedali, amorevolmente
assistito, come non lo era, a quanto si dice, nello Spedale di Sarzana.
Ci è
grato augurargli sollecita e completa guarigione.
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