mercoledì 18 maggio 2016

COSTRUIRE LO SVILUPPO – CONVEGNO A SAN MINIATO – 21 MAGGIO 2016

Sabato 21 maggio 2016, presso la Sala Consiliare del Comune di San Miniato, si terrà un convegno dal titolo Costruire lo sviluppo. La crescita di città e campagna tra espansione urbana e nuove fondazioni (XII-XIII secolo). L'iniziativa è organizzata dal Prof. Federico Cantini, docente di archeologia medievale del Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere dell'Università degli Studi di Pisa, in collaborazione con il Comune di San miniato.


Di seguito il programma:

9,30-10,00
Saluti delle autorità
Vittorio Gabbanini, Sindaco del Comune di San Miniato
Chiara Rossi, Vicesindaco e Assessore alla Cultura del Comune di San Miniato

Federico Cantini, Introduzione al convegno

10,00-10,30
G. Ciampoltrini, Lucca fra XII e XIII secolo: lo sguardo dell’archeologo

10,30-11,00
M. Baldassarri, Da villa a civitas: la proiezione urbana di Pisa nell'area di Chinzica tra XII e XIII secolo

11,00-11,30
S. Leporatti, Lo sviluppo urbano di Pistoia fra XII e XIII secolo. Interventi nel tessuto edilizio della civitas nova

11,30-11,45
Pausa

11,45-12,15
F. Cantini, B. Fatighenti, A. Meo, S. Buonincontri, G. Gallerini, F. Benedetti, I. Carli, Il borgo di San Genesio tra distruzioni e ricostruzioni: l’evidenza archeologica

12,15-12,45
A. Alberti, Le terre nuove lucchesi e pisane del Valdarno inferiore. Insediamenti e dinamiche del popolamento tra XIII e XIV secolo

12,45-13,15
G. Vannini, C. Marcotulli, E. Pruno, F. Cheli, L. Somigli, Prato: dalla curtis al castellum imperatoris. Nuovi contesti stratigrafici per lo studio delle trasformazioni di una “quasi città” medievale fra XII e XIII secolo

13,15-14,30
Pausa pranzo

14,30-15,00
G. Bianchi, I nuovi paesaggi “urbani” del contado pisano in Maremma (secc. XIII e XIV)

15,00-15,30
F. Giovannini, P. Orecchioni, Dalla torre al castello: Montecchio Vesponi, formazione e sviluppo di un insediamento fortificato in Val di Chiana

15,30-16,00
R. Belcari, Celebrare lo sviluppo. Aspetti materiali e storia delle mentalità nelle scritture esposte

16,00-16,30
M. Frati, La tecnologia del laterizio nella Toscana romanica: dalla sperimentazione alla diffusione

16,30-16,45
Pausa

16,45
Tavola rotonda

Presiedono: A. Augenti (Università di Bologna), S.M. Collavini (Università di Pisa), M.E. Cortese (Università Uninettuno)

La locandina del convegno 

APSM-ISVP-016 L'EDICOLA MARIANA A ROFFIA IN VIA ERTI

APSM-ISVP-016
L'EDICOLA MARIANA A ROFFIA IN VIA ERTI

SCHEDA SINTETICA
Oggetto: Edicola mariana
Luogo: San Miniato, fraz. Roffia, via Erti
Tipologia: Edicola
Tipologia immagine: Statuetta in ceramica
Soggetto: Madonna di Lourdes
Altri soggetti: NO
Autore: Sconosciuto
Epigrafe: NO
Indulgenza: NO
Periodo: seconda metà del XIX secolo
Riferimenti:
Id: APSM-ISVP-016

Lungo via Erti – la strada che da via Tosco Romagnola Est conduce a Roffia – si trova un'edicola mariana, inserita nella recinzione di un'abitazione. Il muretto in laterizio traforato che segna il confine della proprietà dalla strada è un elemento moderno. L'edicola è certamente precedente: per dimensioni e tipologia, sembra appartenere gli ultimi decenni dell'800.

L'edicola mariana in via Erti a Roffia
Foto di Francesco Fiumalbi

Il piccolo manufatto è costituito da un corpo parallelepipedo, suddiviso a metà da una cornice. La porzione inferiore costituisce il basamento, mentre nella parte superiore si apre la nicchia, di forma arcuata, contenente l'immagine mariana. Il tutto è sormontato da un piccolo tetto a padiglione ribassato, leggermente sporgente in gronda, alla cui sommità è collocata una croce in ferro. La costruzione è interamente intonacata, salvo il ricorso che segna la gronda del tetto.

L'edicola mariana in via Erti a Roffia
Foto di Francesco Fiumalbi

L'immagine mariana è costituita da una statuetta in ceramica bianca, delle dimensioni di 40-50 cm, di produzione in serie. Da un punto di vista iconografico rappresenta la riproduzione della venerata immagine della "Madonna di Lourdes". Dalle tracce di colore presenti nella nicchia, l'interno doveva essere dipinto in azzurro. L'apertura è chiusa da un cancellino metallico con rete a maglia fine.

L'edicola mariana in via Erti a Roffia
Foto di Francesco Fiumalbi

lunedì 16 maggio 2016

IN PILLOLE [041] IL BIBLIOTECARIO SANMINIATESE UN PO' IGNORANTELLO – 1919

a cura di Francesco Fiumalbi
In questo post è proposto un curioso episodio avvenuto nella Biblioteca Comunale di San Miniato nell’aprile 1919. L’allora bibliotecario si dimostrò non molto preparato: ignorante su un’opera di Gabriele D'Annunzio, attribuì poi al Petrarca un soggetto appartenente invece alla Divina Commedia di Dante Alighieri.

La sede attuale della Biblioteca del Comune di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

Il fattarello trovò spazio sulle colonne del quindicinale sanminiatese «La Rocca», Anno I, n. 3 del 13 aprile 1919. Di seguito il testo:

IN BIBLIOTECARIO
(AUTENTICA)
Approfittai che il “baccano” degli innumerevoli ragazzi cessasse per avvicinarmi al bibliotecario e chiedergli la “Francesca da Rimini” di Gabriele d'Annunzio.
Il bibliotecario spalancò gli occhi, indi con un sorriso di compatimento mi disse: «Scusi, vorrà dire la Francesca da Rimini di F. Petrarca? ...».
«No, proprio la Francesca del D'Annunzio» risposi trasecolando.
Nuova prolungata meditabonda sorpresa.
Poi siccome a vedere tanta «distrazione» non potei fare a meno di atteggiare la bocca ad un sorriso, il buon bibliotecario, quasi stizzito, quasi offeso, accennandomi il mucchio di fogli di carta bollata che aveva dinanzi, mi disse «Mi faccia il piacere signore, ho un monte da fare e non posso perder tempo a trovare un libro che non esiste...... La “Francesca da Rimini” di Gabriele D'Annunzio? ….....ma …...sarà …...ma non l'ho mai sentita dire......».
Me ne andai, pensando con ilarità alla smorfia di sorpresa, che farebbe il buon bibliotecario samminiatese, se uno, puta caso, gli chiedesse la “Divina Commedia” di Dante Alighieri!
IL GIROVAGO

La Francesca da Rimini è un'opera drammatica scritta da Gabriele D'Annunzio e musicata da Riccardo Zandonai, rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel 1914. Il soggetto è tratto dal V Canto dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Francesca da Rimini / tragedia in quattro atti
di Gabriele D'Annunzio per la Musica di Riccardo Zandonai
G. Ricordi, Milano, 1914, frontespizio

La Biblioteca Comunale di San Miniato rappresenta un piccolo scrigno in cui sono contenuti migliaia e migliaia di libri. Un servizio prezioso per l'intera comunità: è frequentata quotidianamente da decine di persone e nel corso dell'anno promuove molte iniziative interessanti. Anche il personale è sempre gentile e disponibile.
Oggigiorno il mestiere del bibliotecario ha ricevuto un grande aiuto dall'avvento dell'informatica. Basta un click e sul monitor appare il libro richiesto, la sua schedatura sintetica e la posizione sugli scaffali. Se non è presente, è possibile richiederlo presso un'altra biblioteca della rete, oppure può essere avanzata la proposta di acquisto. Tutto questo in pochi secondi.

In passato non era così. Il bibliotecario aveva apposite schede, registri, in cui erano riportate la collocazione, l'edizione ed altre informazioni utili. Se il libro non c'era, l'interessato doveva iniziare un “pellegrinaggio” presso altre biblioteche, sperando che fosse presente in quelle più grandi e meglio fornite.

Spesso quello del bibliotecario era un lavoro fatto di memoria ed erudizione. Doveva conoscere i libri, saper consigliare, conoscere l'edizione da comprare, sapersi destreggiare fra autori, titoli e case editrici. Anche oggi sono richieste competenze specialistiche, non a caso per operare in biblioteca occorre aver conseguito una laurea. In passato, tuttavia, l'aspetto della conoscenza poteva fare molta più differenza rispetto ad oggi. Conoscenza che, evidentemente, non era proprio il maggior pregio del nostro povero bibliotecario.

sabato 14 maggio 2016

IN PILLOLE [040] LOTTA CONTRO LE MOSCHE – MEDAGLIA DI BRONZO AL COMUNE DI SAN MINIATO NEL 1938

a cura di Francesco Fiumalbi

LA MEDAGLIA DI BRONZO CONCESSA AL COMUNE PER LA LOTTA CONTRO LE MOSCHE
La Commissione Provinciale per la lotta contro le mosche, dopo aver valutato gli elementi di giudizio per l'attribuzione dei premi stabiliti dall'Amministrazione Provinciale, col bando di concorso in data 28 Gennaio 1938, a favore dei Comuni riconosciuti più meritevoli, è venuta nella determinazione di assegnare al nostro Comune la medaglia di bronzo.
Estratto da «La Domenica», anno III, n. 2, 8 gennaio 1939, p. 3.

Il contenuto di questo piccolo trafiletto di giornale sanminiatese, ad una prima occhiata, potrebbe strappare un piccolo sorriso. Tuttavia l'argomento è davvero molto serio.
Negli anni '20 e '30 del '900, in Italia furono introdotti importanti interventi nel campo della salute pubblica. Come ogni altra cosa del tempo, anche questo campo non sfuggì alla propaganda mediatica e sensazionalista dell'allora regime fascista. Pensiamo, ad esempio, alle grandi bonifiche e alla lotta contro le zanzare e la malaria.

Un intervento parallelo, forse meno conosciuto, fu invece improntato contro le mosche, ritenute la causa principale della diffusione del colera. A tale scopo il Ministero dell'Interno, attraverso la Direzione Generale della Sanità Pubblica, aveva diffuso un piccolo opuscolo contenente le Istruzioni per impedire la moltiplicazione e la disseminazione delle mosche e relative disposizioni legislative e regolamentari [Stabilimento Tipografico San Bernardino, Siena, 1938]. Tale pubblicazione, costituì un piccolo vademecum sulle caratteristiche della diffusione della mosca, sui sistemi e le trappole anti-mosca, nonché su veri e propri impianti da realizzare nelle stalle per renderle a prova di insetto.

Contemporaneamente, il Ministero assegnò un “monte premi”, su base provinciale, da elargire a quei comuni che si fossero particolarmente distinti nella lotta contro le mosche. I municipi si impegnarono attraverso campagne informative (manifesti, giornali, opuscoli) o con sussidi per l'acquisto di strumenti utili. In questa “battaglia” il Comune di San Miniato ottenne ottimi risultati, ricevendo la Medaglia di Bronzo nella Provincia di Pisa. 

Bisogna considerare che in ogni podere c'erano la stalla, la concimaia e i campi venivano concimati proprio con le deiezioni animali e con altri elementi di scarto. Per cui si potevano verificare situazioni e condizioni non proprio salubri.




[VIDEO] IMPERO E TOSCANA IN ETA' SVEVA – GIORNATA DI STUDIO – SAN MINIATO 13 MAGGIO 2016

a cura di Alessio Guardini e Francesco Fiumalbi

Il 13 maggio 2016 si è tenuta la Giornata di Studio “Impero e Toscana in Età Sveva (1239-1250)”, organizzata dalla Fondazione Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato, presso la sala consiliare del Municipio di San Miniato.
Di seguito i due video della giornata, suddivisi secondo le due sessioni: mattutina e pomeridiana. Nel programma sottostante, per ciascun intervento è disponibile il link che permette di accedere al video al momento esatto del loro inizio.

Un momento della Giornata di Studio
Toscana e Impero in Età Sveva
San Miniato, 13 maggio 2016


Toscana e Impero in Età Sveva – Giornata di Studio – Prima Parte
Fondazione Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo
Video di Alessio Guardini

Sessione mattutina - ore 10.00

Dopo i saluti Laura Baldini (Fond. Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo), di Vittorio Gabbanini (Sindaco di San Miniato), Prof. Giovan Battista Mattii (Fondazione CRSM), Avv. Riccardo Bastianelli (Fond. Istituto Dramma Popolare) e l'introduzione del Prof. Andrea Zorzi (Presidente del Comitato Scientifico del Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo), hanno avuto inizio gli interventi dei vari relatori.

Mauro Ronzani (Università di Pisa)
Marca di Tuscia e Impero da Ottone I a Corrado III [00:15:50] VAI ALL'INTERVENTO

Maria Elena Cortese (Università Telematica Internazionale Uninettuno)
Federico Barbarossa e la Toscana [00:54:00] VAI ALL'INTERVENTO

Alessio Fiore (Università di Torino)
La Toscana tra Enrico VI e Ottone IV [01:29:30] VAI ALL'INTERVENTO ↗

Alma Poloni (Università di Pisa)
Federico II e la Toscana [01:59:15] VAI ALL'INTERVENTO


Toscana e Impero in Età Sveva – Giornata di Studio – Seconda Parte
Fondazione Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo
Video di Alessio Guardini

Sessione pomeridiana - ore 14.30

Francesco Salvestrini (Università di Firenze)
Il ruolo di San Miniato fra storia e mito [00:00:40] VAI ALL'INTERVENTO

Enrico Faini (Università di Firenze)
Contra imperatorem Fredericum arma summentes” Sull’uso politico della storia attorno al 1200 [00:28:30] VAI ALL'INTERVENTO

Simone Collavini (Università di Pisa)
Controllo del territorio, giustizia e fisco [00:58:20] VAI ALL'INTERVENTO

Michele Pellegrini (Università di Siena)
L’Impero e le Chiese (sedi vescovili, monasteri, canoniche) [01:41:50] VAI ALL'INTERVENTO

Ore 17.00 - Conclusioni

Paolo Cammarosano (Università di Trieste) [02:56:30] VAI ALL'INTERVENTO
Jean-Claude Maire Vigueur (Università di Roma Tre) [03:20:15] VAI ALL'INTERVENTO
Le prospettive di ricerca


venerdì 13 maggio 2016

DOMENICA POMERIGGIO ANCHE IN GIRO PER CAMPOSANTI - RACCONTO DI GIANCARLO PERTICI

di Giancarlo Pertici



Domenica pomeriggio, anche in giro per camposanti.

Sono segni inconfondibili, quasi immutabili, di una liturgia consolidata dal tempo e dalle abitudini, a rendere simili, se non uguali, quei pomeriggi, quando si tratta di un giorno di festa come lo è la domenica, riconoscibili nei saluti, nei sorrisi, dalle scarpe appena risuolate, dal vestito della festa che tutti indossano, iniziando dal piccino in carrozzina fino al vecchio del ricovero, dal contadino all'impiegato del Comune, dalla massaia ai ragazzotti che sciamano all'improvviso da ogni uscio, liberi da impegni di scuola, dopo che in mattinata hanno assolto quelli della 'dottrina', con indosso il vestito della festa, talvolta, ma non sempre, pantaloni lunghi, scarpe buone ai piedi e calzini bianchi. È domenica.

Pomeriggi che principiano sempre presto, appena desinato, anche se nessuno mostra particolare frenesia o fretta nell'uscire di casa per farsi la propria domenica, ben diversa dai lunghissimi giorni di lavoro, anche se sempre o quasi uguale.

All'appalto del Giorgi i primi arrivi e le prime soste, di quei contadini dei paraggi, da sotto Pancole e di quelli nei dintorni de 'I Cappuccini' a fare scorta sopratutto di sigari e di tabacco da pipa. Beppe l'arrotino tra i primi a prender posto per una partita a carte, scopa o briscola, per un gotto di vino. Nella bottega di fronte, Pietro ha già imbandito i soliti tavoli. Musolino che ha saltato la sbornia della mattina, è sempre o quasi così quando è festa, scozza le carte speranzoso che qualcuno gli faccia vincere quegli spiccioli o i mezzini necessari alla sua bisogna; bisogna che Livia, la moglie, teme sempre.

Da Olimpia solo vecchietti del ricovero, messi a lucido dalle suore, cravatta compresa, in su l'uscio, a sedere sulla panca a guardare chi passa, e dall'altra parte della strada Livia insieme a Iole e alla Centolire a fare il paio, chiacchierando di tutto quello che riguarda chiunque passi, mentre si dondolano sulle seggiole reclinate ed appoggiate al muro di casa, a salutare a destra e a manca, ampi gesti del capo a sottolineare un...- " Buona sera Vestro... Saluti Vergella... signor Fabbrizzi... i miei rispetti e saluti alla signora.. " - etc

In Piazza de' Polli, se è primavera, il Bulleri ha già piazzato qualche tavolo davanti all'uscio del Bar, lasciando appena il passo per chi entra per un caffè. È un brusio indistinto che si ode anche in lontananza a suggerire, dal tono e dal timbro della voce, chi ci sia già in piazza e di cosa stia discutendo, politica o sport.

Al Circolino dello Scioa è un continuo aprire e chiudere di quella porta a molla, che col suo movimento cigolante, annuncia ogni nuovo arrivo dal 'Poggio', da piazza de' Polli o da piazza dell'Ospedale. Non solo carte, ma anche campetto di bocce sul retro e la radio sintonizzata sul 'calcio minuto per minuto' per i risultati in diretta delle partite della domenica.

In Santo Stefano la porta della canonica resta, come al solito, spalancata come ogni pomeriggio, anche se è domenica, per quei bambini, sopratutto maschietti, lasciati liberi di scorrazzare a piacimento e che, attratti dal calcio balilla, dal ping-pong o dal biliardo con le stecche, sono disposti a sorbirsi il vespro della sera, rosario compreso, sotto le ali di mons. Cosimo Balducci.

In Piazza del Seminario, la quiete assoluta di inizio pomeriggio viene interrotta dall'improvviso sciamare dei seminaristi, a gruppi. Tonaca e cotta di ordinanza, in fila indiana, sembrano volare, in perfetto silenzio, su per quell'ampia scalinata che porta sul prato e in 'Duomo' per il vespro della domenica. Gruppi che dopo un'ora circa rifanno il percorso all'inverso, rompendo la consegna del silenzio, tra grida e risa per una discesa libera, verso una passeggiata ad inondare le diverse vie del centro cittadino.

Appena passata quella piazza, in quei primi anni '50, siamo nel centro vitale della San Miniato festaiola, con più alternative, sopratutto se è già primavera, iniziando dalla piazzetta del Fondo con il Bar Sport dedito allo struscio e alla siesta all'ombra di ombrelloni e tavolini piazzati a bordo strada, per quanti preferiscono una bibita fresca, salutare chi passa e sentirsi ricambiato.
Al circolo della Misericordia sono sopratutto tavoli da gioco il pezzo forte che attira irresistibilmente nonno Nuti, che fa rientro a casa solo all'ora di cena o giù di lì. Ferruccio dispensiere attento anche a tener il conto di vincite più o meno in natura che passano di mano a fine serata, da nonno a nipote.

Sotto i Chiostri è dalla mattina che Cionce, piazzato il suo banchetto, vende di tutto, dalle caramelle, alle liquirizie, alle paste, ai duri di menta, tra gassose e aranciate, pronto ad entrare, cassetta a tracolla, nel sottostante Cinema Italia alla fine di ogni tempo. Cinema popolato sopratutto di bambini; i film di indiani o di avventure. E nell'attesa, tra i grandi, chi a sorseggiare un caffè al Bar Centrale dal Lilly, chi quello del Corri. Dal Cecconi si sta in piedi, per un "espresso" che si rispetti e per commentare, mano a mano, le notizie sportive di 'Tutto il calcio minuto per minuto', mentre, proprio sul finire di quegli anni, fervono importanti lavori a rinnovare il Bar Cantini per la gestione Desideri e... in piazza del Popolo, puntualmente, l'ultimo manipolo di tifosi del San Miniato calcio prende la via diretto al 'Santa Maria al Fortino'.

È in questa particolare aria di festa per i grandi, che i più piccoli vengono spesso destinati ad altre mete, lontani dai giochi soliti, dai soliti amici, per riti e liturgie spesso neppure date a d'intendere. Ad un "perchè?", la risposta è spesso "è così e basta" e si parte per il Camposanto, ogni domenica o quasi. Quasi, perché ci sono anniversari e ricorrenze anche infrasettimanali per le quali è irrinunciabile la visita al camposanto, una vera e propria trasferta a portarsi via un intero pomeriggio. Giancarlino non è il solo, ma uno dei tanti, che con un mazzetto di fiori, spesso recuperato nell'orto di nonna o di casa Vannini, esce di casa ad inizio pomeriggio, l'altra mano tesa e compresa in quella di mamma per un percorso a tappe fatto di tante soste, non tutte in linea, a salutare, a chiacchierare, a soffermarsi da nonna Livia per le solite comande: - "candele, preghiere, lumini..." - Iniziando dalla rampicata fino nella 'soffitta' di Gallina dove nonno Lillo e zia Norma sono tornati di casa poco dopo la guerra. Rampicata che sembra legata a quel ventino col quale nonno Lillo intende ripagare nuora e nipote della visita della domenica, sorseggiando insieme un caffè alla napoletana.

In piazza de' Polli, appena inizia la salita per Santo Stefano, su quel terrazzino a sbalzo, le sorelle Giampieri, a godere del fresco o del sole di inizio pomeriggio - dipende dalla stagione - non lasciano passare nessuno senza aver prima scambiato due chiacchiere. Quando arriva Eda col bimbo per mano - loro un po' parenti acquistati, alla lontana, almeno un tempo, finché Cesare, cugino di Eda, non fu buttato fuori di casa dopo l'ennesima sbronza - Iolanda, per un periodo cugina acquistata appunto, chiede notizie di 'quasi zie', di 'quasi cognate', che quando passano neppure saluta. Ma tra Eda e Iolanda c'è oramai una sorta di amicizia e di complicità, tutte alla lontana, che si conclude, dopo l'ultimo saluto - "accendimi un lumino in cappella" - con - "l'arrivederci" - di Iolanda che allunga due spiccioli, ad Eda che non disdegna mai. Ne resta sempre per un lumino anche per la tomba di Gino.

Davanti alle scuole l'incontro con Elvezia, breve, con fermata rimandata sulla via del ritorno attorno ad una tazza di caffè, lassù all'ultimo piano della scuola, in quelle due stanze, dove Elvezia vive da bidella. Pare impossibile che si conoscano tutti, ma è così, ad ogni portone, aperto o con la chiave infilata, ad ogni finestra spalancata, basta un cenno, una domanda anche appena accennata, un gesto e ci si ferma. Per Giancarlino, in quella posizione innaturale, mano nella mano a mamma, momenti che sembrano interminabili, mentre ondeggia ad ogni parola, ad ogni battuta mimata a gesti. Fortunatamente quando si arriva in Piazzetta del Fondo e si attraversa tutto il centro fino dai Carabinieri, in Piazza Grifoni, la mamma passa a capo chino, sopratutto dopo aver dato uno sguardo all'orologio di piazza San Domenico che non mente; segna e segnala che si è fatto tardi. Un saluto alla Tocchina appena prende per la discesa; si conoscono da anni. Una reverenza a mons. Vezzi che a quell'ora esce di canonica per unirsi agli altri del Capitolo della Cattedrale per il vespro. Solo se incrocia la Naccherina, infermiera con nonna Livia nello stesso reparto dell'ospedale, si sofferma e, per non risultare scortese, accetta anche un caffè, accompagnato quasi sempre o quasi da una caramella o da un cioccolatino per il bimbo, che coglie l'occasione per tirare un attimo il fiato seduto sugli scalini di casa, lì a due passi dal Santa Chiara, il conservatorio.

Quando si arriva a Santa Maria a Fortino, sopratutto se c'è la partita di calcio, mamma tiene la destra iniziando già da appena passata la 'Valdarno' che in quegli anni sta portando la luce in casa a tutti. Sguardo fisso a terra rasentando quel cantiere, il nuovo Liceo in costruzione, l'unico incontro gradito, quello di zio Rodolfo, il fratello di mamma.

Di lì a un tiro di voce, a bordo strada, sulla sinistra, quasi di fronte alla Via che porta al Biagionato del Pinocchio, la casa di Zia Rosa, sorella di nonno Lillo. Fermata inevitabile ogni domenica in quella casa che dall'aspetto visibile pare a un solo piano. Tre scalini a scendere in una cucina che prende luce quasi esclusivamente dalla porta a vetri di ingresso e dal riverbero del camino che occupa tutta la parete di fondo, sempre acceso in inverno. Casa che si apre nel retro sulla valle: ben due i piani sotto il livello stradale, al primo le camere e al secondo le stalle con le mucche da latte. C'è sempre un dolcetto, un goccio di vin santo o di verdea, dipende dalla stagione. Fermata non sempre breve, con Rosa a chiedere le ultime nuove di famiglia e di paese, e per commissioni e scambi di saluto, qualche candela da accendere in cappella e lumini per i suoi morti. Da quando ha passato gli ottanta, raramente si muove da quella cucina, solo qualche volta al mercato, e per la domenica dopo i morti, alla 'Festa del Camposanto'.

Il Camposanto lì a due passi tutto in discesa, con i suoi due filari di cipressi, severi dall'aspetto, rifugio sopratutto di passerotti e merli. La domenica iniziando dal primo pomeriggio è particolarmente animato. Poche le note di colore. Il colore che predomina è il bianco e il nero. Solo le voci dei bambini rendono viva l'atmosfera, anche se con molte limitazioni - "non gridate", "non passate di là", "non correte", "non sedetevi sulle tombe, alzatevi di lì!", "non pesticciate..."- A quell'ora Giancarlino non è l'unico bambino in giro per il camposanto. La voglia di rincorrersi, di nascondersi, di mettersi a giocare, magari a filetto e basta, con tutti quei sassolini bianchi o grigi a disposizione... è tanta veramente, la voglia... per di più ingessati nel vestitito della domenica dentro i sandali di cuoio o di sugatto, di quelli spuntati della Balducci.

Attesa mai breve, tra una chiacchiera e l'altra, da una tomba all'altra, solo qualche malestro attira l'attenzione di mamme o nonne, per questi piccoli, per un viaggio di ritorno che Giancarlino, come tanti altri, fanno in tutta leggerezza. Oramai il più è fatto, pare essere il suo pensiero, passando oltre, senza fermasi a casa di zia Rosa. E da lì, senza altre soste, fino al circolo della Misericordia, dove è sempre in programma una sosta obbligata. Per Giancarlino, il ritorno alla normalità, alla quotidianità, quella garantita da nonno Nuti, evitando un supplemento di sosta da Elvezia, per oltre 30 scalini fin quasi verso l'ora di cena.

Con nonno Nuti, altra musica iniziando con un cavalluccio e qualche cioccolatino in attesa della fine della partita in corso. Limiti nessuno. Guai ad uscire in istrada. Poi il ritorno a casa sull'onda dell'ultimo racconto di Tonino che nonno Nuti tiene sempre in serbo, non ne resta mai senza.


"Chi hai visto? che hai fatto? L'hai incontrato il tale? Hai acceso la candela a nonna Nunziatina?.." queste domande e altre ancora, quelle del babbo al piccolo Giancarlino che di regola ascolta muto, non sapendo cosa rispondere, specialmente se esordisce, il babbo, con una delle solite domande di cui Giancarlino non comprende bene il senso. "L'hai vista la tomba del generale tale? la lapide?... l'epigrafe?...." quasi sempre queste le domande fatte, senza attendere risposta, ma con le quali il babbo sembra voler entrare nell'atmosfera giusta per declamare, ogni domenica, alla stessa ora, prima di sedersi a tavola per cena, quella lapide che assieme ad altre, sotto il loggiatino del Cappuccini, ha fatto parte della sua infanzia e che ricorda la morte di un giovane soldato nella grande guerra. Il babbo la ripete sempre a mente integralmente, anche nel corso degli anni successivi, quando il piccolo Giancarlino si è fatto grande, oramai padre e Manlio nonno e in pensione da anni "Qui giace Cosimo Pini...". Epigrafe di cui Giancarlino, fattosi grande, non ricorda più altro, se non le prime quattro parole per una lapide che, assieme alle altre, è scomparsa, rimossa da quel loggiato dei Cappuccini, ora Centro Congressi della banca di San Miniato.





San Miniato, vista panoramica da est
Foto di Francesco Fiumalbi

COME LIBELLULE - RACCONTO DI GIANCARLO PERTICI


Non è mai un silenzio assoluto. È un silenzio diverso. Quello che precede quella calma apparente, quella calma piatta che improvvisa irrompe sulla polverosa piazza di paese, in piena estate ad inizio pomeriggio, e che la rende indefinibile, come se il paese fosse disabitato: un paese fantasma. Calma che pare annunciata già dalle mandate con le quali Nello serra il portone del mulino, dopo aver fermato le macine, prima di gridare - 'Butta la pasta' - a Marina che, affacciata alla finestra di cucina, ogni giorno a quell'ora di mezzo, è in attesa di un segnale. Segnale che ha effetto 'domino', come se l'orologio di paese - che non c'è - si mettesse a battere l'ora convenuta; segnale per la bottegaia di piazza, che rimette le imposte e serra la bottega di commestibili, aperta dalle 7 di mattina. Segnale per la 'Venta', che cava dal forno l'ultima infornata di pane insieme alle teglie di patate e al pane riscaldato del giorno avanti.

A ruota, anche per l'autofficina del Leoni, che è anche autonoleggio e pare non chiudere mai.. ma appena passato il 'tocco', spente tutte le luci, riposte chiavi e cacciaviti anche se a portone aperto, mentre scocca l'ora del pranzo e della pennichella ...il Leoni sale in casa. Stesse identiche mosse la parrucchiera d'angolo che chiude a due mandate la porta del negozio, anche se non c'è nulla da sottrarre, forse un po' di shampoo. Se qualche bicicletta si annuncia, sua la scia di polvere sollevata sulla via e sulla piazza, è per il ritorno a pranzo del manovale, degli uomini ad opra nelle vigne del Masi, e quanti tornano con l'ultima corriera che fa tappa all'incrocio per 'le Mura'. È sempre così sul finire degli anni '50 quando sulle strade polverose, sopratutto di campagna, transitano solo vecchie corriere, qualche autocarro o qualche motociclo. Poche le autovetture.

Poi silenzio assoluto, che tutti sembrano rispettare iniziando dai piccioni che di solito stazionano davanti al mulino in attesa delle puliture e degli avanzi, e che a quell'ora si rifugiano nella soffitta del mugnaio e sopra il forno. Le nane di Marina fanno ritorno dal loro giro, lungo e dentro l'Egola. Partite alle prime luci dell'alba, sono state avvistate anche a tuffarsi nell'ultima pescaia, dopo il ponticino in ferro e fin verso la Sughera, e a rastrellare fino all'ultimo granello rimasto nei campi ai lati, oramai mietuti del grano e dell'orzo. Anche i passerotti e le rondini sembrano osservare le consegne. In quell'ora di mezzo solo le mosche volano indisturbate nel loro sozzo rito quotidiano ad indicare dove è passato l'ultimo carro di buoi, lasciandone fresche tracce. Solo un ronzio, appena percettibile tra il frinire delle cicale, che talvolta si perde nel silenzio. È un frinire così intenso e costante che pare quasi di non sentirlo. Anzi! Non lo senti. È questa l'ora di mezzo in estate, quando anche la via che sale verso la Sughera resta deserta, e la polvere che staziona sempre a mezz'aria scompare all'improvviso come nebbia al sole estivo, deposto sui rovi e sulle more ai lati l'ultimo velo.

È l'ora di mezzo che in estate annuncia il pranzo e il successivo momento della siesta, per tutti o quasi. Per noi bambini che in estate, in quegli anni '50, ci ritroviamo su quella piazza, è il momento buono per 'altro'. Partiamo. Per dove, non sempre lo sappiamo. Certamente all'aria aperta, tra sole ed ombre, a vivere il nostro pomeriggio in piena libertà verso nuove scoperte, diverse ogni giorno... per un gruppo, il nostro, piuttosto misto. Tutti maschietti, o quasi, dai 7 fino ai 12 anni a ritrovarsi alla pescaia dietro il mulino. Io, che, ospite fisso di zia Rosanna in estate, esco di casa insieme a Renato; stesse scale, io al primo piano, lui al secondo. Cesare e Pietrino dall'altro lato della piazza. Il figliolo di Umbertina, di cui non ricordo né il nome e neppure il soprannome, ha sempre idee nuove e strane ogni giorno. E anche quel giorno annuncia la sua idea su per l'Egola, alla caccia di pesche. Quelle di pasta bianca, che lui solo conosce. Sa dove sono, le ha già assaggiate: sono mature.

E in quell'ora, dentro Egola, lì seduti, dietro il mulino, sul bordo di quella pescaia, i piedi immersi fino alle caviglie, all'ombra del noce di Nello, facciamo la conta di chi arriva e di chi manca. Aspettiamo il via che coincide quasi sempre col rumore delle macine riavviate da Nello, mentre qualche mamma, dalla piazza si affaccia a turno per accertarsi di dove siamo e cosa stiamo combinando. Qualcuno arriva attrezzato di lenza e amo. Qualcun altro ha preso in prestito, senza farsene avvedere, il bilancino, di cui suo nonno è particolarmente geloso. Sandali in mano, a piedi nudi, in perfetto silenzio, abbandoniamo la postazione d'attesa e iniziamo a risalire quel tratto che è tutto ombreggiato, prima dell'ansa esposta a pieno sole. Una leggera brezza inizia ad intrufolarsi in quell'immobile pomeriggio e in quel silenzio surreale. E il frinire delle cicale pare ondeggiare avanti e indietro, come un eco mal riuscito. Le more e i rovi, dai colori immacolati, neppure sfiorati dalle polveri che ricoprono ogni cosa a bordo strada; quei roghi che pendono dalle rive fin quasi a toccare, in alcuni punti, il letto e l'acqua cheta, non paiano neppure accorgersi di quella brezza leggera, anche se ne fremono, mentre questa si insinua tra foglia e foglia, con fare gentile. Brezza leggera che fa ondeggiare quella che sembra una colonia di libellule, che a quell'ora riposa, tra sole ed ombra, qualcuna a mezz'aria, altre come nell'atto di abbeverarsi nell'acqua che in quel punto è perfettamente stagnante, tiepida sotto i nostri piedi.

E noi, in perfetto silenzio, rasentando la sponda a monte libera da rovi e da arbusti, per non rompere quel clima magico che sembra tenere insieme, legata per fili invisibili, quella colonia silenziosa, ma anche a passo svelto, strusciando i piedi, evitando qualsiasi rumore, passiamo oltre, fino ai margini della segheria. In lontananza il 'flop' di un tuffo, seguito da altri 'flop' a segnare il nostro avvicinamento a quella pozza sempre al sole, regno indiscusso di ranocchi e girini, che rompono quel silenzio nel loro gioco ripetuto all'infinito; un po' lo stesso gioco che nella grande pescaia a monte, i più grandi, quelli che sanno nuotare, fanno sotto gli occhi meravigliati di noi più piccoli. E sguardi nascosti, gli unici, spettatori ogni giorno della stessa scena, svelano la loro discreta e distratta presenza che si nota solo a momenti, quando i rovi e le fronde mosse dalla leggera brezza, lasciano intravedere sopratutto merli in cova.

Li riconosci dal becco giallo e dai voli in libertà da e verso la siepe nel loro rituale in cerca di cibo, abbondante in estate. E intanto cerchiamo di far perdere le nostre traccie, mentre a stormi una miriade di pesciolini cambia sponda, fuggendo al nostro passaggio per rifugiarsi sotto i rovi che sfiorano o si immergono sotto l'altra sponda. Lo facciamo lasciando l'illusione, a chi si è affacciato dietro al mulino per l'ultima volta, che nostra intenzione è starcene lì, quieti quieti con i piedi a mollo, a non far nulla, sopratutto a non fare malestri. Operazione che riesce quasi sempre. A volte si conclude con la defezione di chi, in retroguardia, viene raggiunto da un ordine perentorio che non ammette repliche. È quasi sempre una mamma o un nonno che s'avvede all'ultimo momento del cambio di programma del gruppo e corre ai ripari, e che sbotta - "Torna subito a casa!" -

Qualche moccioso, spesso a seguire il fratello più grande, vorrebbe unirsi al gruppo, e con successo anche, fintanto che restiamo fermi nei dintorni di casa. Ma appena ci muoviamo, siamo noi più grandicelli, a lasciare indietro quelli troppo piccoli, quelli che non possono arrampicarsi su per le pareti della pescaia, o risalire sulle sponde piene di rovi per giungere così ai piedi del pesco in estate e del noce o del fico a settembre. Li lasciamo, spesso a 'frignare' seduti sugli scalini del forno, anche se rischiano di richiamare l'attenzione di qualche mamma.

Mentre ci incamminiamo proprio diretti a quel campo che si apre ai piedi della segheria, giusto alla fine di quella specie di laguna, enclave preferita di libellule di ogni tipo e colore, che ci lasciamo alle spalle, immobili a mezz'aria, per nulla turbate dal nostro rispettoso passaggio. Passaggio in apnea, in punta di piedi, il nostro, lo sguardo rivolto alla meta che appena si intravede oltre la curva, oltre la segheria, e che riflette la luce del sole sulla sua superficie: la prima grande pescaia. È quasi sempre, ma non sempre, la nostra meta. Dipende da chi si ferma per primo, tra i più grandi, infrangendo la consegna del silenzio, oramai a distanza di sicurezza. Quasi un boato costellato di risate, dal risciaquìo dei tuffi a ripetizione, che si consuma nel giro di pochi minuti fino a quando ci disperdiamo, ma a distanza di uno sguardo, in tanti piccoli gruppetti, comunque a portata di voce.

I più grandi al centro della pescaia, dove non si tocca. Qualcuno si inerpica per i ciglioni e raggiunge il pesco o il fico di turno, tutto dipende dalla stagione, a fare incetta del necessario per l'ora di merenda. Scalzi e semi ignudi, facciamo il giro delle pozze alla ricerca dei pesciolini rimasti prigionieri. Chi getta la lenza, chi invece tenta la sorte col bilancino. Una scaglia di mattone basta a ridisegnare sopra uno scoglio liscio lo schema del 'filetto': pochi sassi e si gioca a turno. Ore che sfuggono veloci al nostro controllo. Senza riferimenti veri, nessuno con l'orologio, andiamo avanti a sensazioni, prevalentemente epidermiche quando il sole va a nascondersi oltre la siepe. Come nel Paradiso Terrestre è in quel momento che ci accorgiamo di essere nudi, o quasi nudi. I pochi vestiti sopra un masso. I primi brividi di freddo, difficile asciugarsi all'ombra. La brezza, sempre la stessa, ora non è più tiepida, ma pizzica la pelle. I polpastrelli delle mani e dei piedi avvizziti. È l'aria che è cambiata, ridisegnata da nuove creature e dai loro voli radenti, quando, le ombre allungate, riprendiamo il cammino in quel corridoio tra il cielo e il corso del rio.

Nessuna traccia delle libellule dell'ora di mezzo, ora il cielo è solcato da decine e decine di rondini a fare la spola, da un ciglione all'altro, scansando miracolosamente ognuno di noi, qualunque mossa facciamo. Sono loro che col loro garrito stanno tentando di avvisarci dell'ora tarda. È un po' che le sentiamo ed ogni volta rimandiamo la partenza, fino all'ultimo. Partenza in disordine sparso, chi prende a destra, chi a sinistra, chi risale fino alla strada maestra, per fare ritorno su quella piazza in mille rivoli, possibilmente arrivando contro sole, quel poco che ne è rimasto, quasi a suggerire altri passatempi, altri luoghi, lontano da pericoli.

La piazza è particolarmente animata in quell'ora che sta per annunciare l'ora di cena. In bottega per il quartino di vino, per la boccetta dell'olio e per qualche etto di pasta. L'autofficina, ora che i più sono tornati dal lavoro, fa da rimessaggio anche per motori e motocarri. Il forno, qualche volta, ma non sempre, è in funzione ad ospitare teglie colme di patate, qualche arrosto sopratutto di nane, di cui è popolato l'Egola. Frenesia particolare sottolineata dalla radio che a quell'ora diffonde le ultime notizie e le ultime canzoni, sopratutto dell'ultimo Festival della Canzone Italiana di Sanremo.

Qualche strillo, il chiaro segnale di qualche sculaccione andato a segno, seguito da un pianto dirotto, a fare la spia che non tutto è andato liscio. Dai capelli e dai panni fradici è facile capire dove siamo stati tutto il pomeriggio. Ma 'nonna Marina' con me non fa mai una piega. Non mi domanda neppure dove sono stato. Non gli mentirei. Sa che di regola non faccio malestri. Mi accoglie sempre con un sorriso. - "Aiutami ad apparecchiare, che tra poco torna zia e zio. Ma prima vai al mulino da Nello, ti deve mandare in giro per commissioni. Ma fai alla svelta. Stasera per cena... pastasciutta e nana".- "E collo di papero" - faccio io di rimando, a completare e sottolineare una specie di filastrocca che declamiamo a turno ogni qualvolta, una delle nane di Marina viene sacrificata, col olive ...sull'altare... ovvero nel forno della Venta.




Foto dell'estate del 58 nell'autofficina di piazza
trasformata per l'occasione in salone per il Pranzo di Nozze
tra Brucci Alberto, detto Barnaghino e Rosanna Gennai.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...