domenica 6 febbraio 2011

PER UNA NUOVA LETTURA ICONOGRAFICA DEL SANTUARIO DEL SANTISSIMO CROCIFISSO DI SAN MINIATO (prima parte)



Tutto ciò che ha a che fare col SS Crocifisso (detto “di Castelvecchio”) a San Miniato ha un’aura speciale. Dalla leggenda del suo ritrovamento alla volontà di costruire la sala consiliare del “Palazzo del Popolo” alla fine del ‘200 sopra all’Oratorio che lo custodiva (oggi detto “Oratorio del Loretino”). Dalle compagnie dei “Bianchi” che lo brandivano nelle processioni, all’antica Compagnia del SS Crocifisso che ancora oggi esiste (1). Anche l’interno urbano entro cui si colloca il Santuario possiede questo “carisma”.
Diremo subito che della chiesa vera e propria e del simulacro ligneo in esso contenuto, ce ne occuperemo in un apposito intervento. Nel presente faremo un riassunto delle vicende che portarono all’edificazione dell’attuale complesso (chiesa + scalinata) e che, secondo la tradizione ebbero inizio nel 1631. Approfondiremo poi quanto è stato detto in testi e pubblicazioni relativamente alla sua sistemazione urbanistica e ai suoi possibili significati iconografici. A tal fine vale la pena ricordare che la Città di San Miniato aveva ottenuto la sede della Diocesi soltanto pochi anni prima (2), nel 1622, e s’imponeva un rinnovamento degli edifici di culto non più idonei per il ruolo sia cittadino che extraterritoriale che erano chiamati a svolgere.

Il Santuario del SS Crocifisso di Castelvecchio
Foto di Francesco Fiumalbi

La popolazione sanminiatese si era rivolta con devozione e speranza al “prodigioso” simulacro durante i difficili anni, dal 1628 al 1631, segnati dal flagello della peste. Proprio al 1631 risale infatti anche il famoso “voto” da cui sarebbe scaturita la costruzione del nuovo Santuario, quale ringraziamento e rinnovata devozione alla sacra immagine di Gesù Crocifisso, grazie al quale la popolazione sarebbe stata risparmiata dall’ennesima epidemia.
La costruzione iniziò ben 74 anni dopo, nel 1705, grazie al Vescovo Poggi che ruppe gli indugi sullo scioglimento del “voto”. Il nuovo Santuario fu progettato dall’architetto e ingegnere fiorentino Antonio Ferri, che ne curò anche la direzione dei lavori. All’interno operò il pittore fiorentino Antonio Domenico Bramberini (3). La nuova chiesa fu inaugurata il 26 luglio 1718 e consacrata da Mons. Cattani il 3 maggio 1729. Della vicenda della costruzione, oltre che nei documenti relativi all’Opera del SS. Crocifisso, conservati presso l’Archivio della Diocesi di San Miniato,  se ne parla nelle Memorie della Sacra Immagine e dell’Oratorio del Santissimo Crocifisso detto del Castel-vecchio, redatte dall’ “Operaio” e “Festaiolo” Bernardo Morali, nel 1755, e pubblicate nel Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 45 del 1976, all’interno di un intervento curato da Anna Matteoli.

Innanzitutto il luogo deputato ad accogliere il nuovo Santuario era lo sperone diruto dove sorgeva l’ostello visitato dai pellegrini-angeli consegnatari del simulacro (4). Quindi tutto secondo la tradizione sanminiatese.
Il terreno su cui sarebbe dovuto sorgere inizialmente l’edificio era un orto adiacente al palazzo dei Priori; questa ipotesi iniziale venne meno allorché l’architetto Poggi suggerì il sito attuale per conferire alla costruzione maggiori “magnificenza” e “decoro” (5). La scelta cadde quindi su una porzione di pendio che fu acquisita dalla famiglia Donati-Mercati, proprietaria a partire dal XVI secolo del “colle” della Rocca, comperato da Mons. Michele Mercati, e che lo aveva trasformato in un orto-giardino botanico (6).

Il Santuario del SS Crocifisso di Castelvecchio
Foto di Francesco Fiumalbi

Come nota anche la Cristiani Testi (7), un edificio del genere, con pianta a “croce greca” non poteva inserirsi nell’allineamento della strada medioevale, oggi via Vittime del Duomo. La soluzione adottata fu quella di arretrare l’edificio rispetto alla sede stradale. Questo provocava la difficoltà del salto di quota, di circa 10 metri, che fu risolto attraverso l’inserimento della scalinata. In questo modo si venne a rompere lo schema medioevale, si costruì un vuoto, colmato dalla formazione della quinta urbana costituita dalla scala e dal Santuario, replicando schemi e modelli prospettici propri della tradizione urbanistica rinascimentale e rivisitati in chiave barocca. La Cristiani Testi argomenta il suo intervento dilungandosi molto sugli aspetti “cinestetici”, in particolare sul movimento orizzontale determinato dalla strada e quello verticale proposto dalla scalinata; visioni diverse della medesima “scena”: di scorcio, frontale, nuovamente di scorcio e poi da molto in basso e piano piano verso l’alto (8).
Questo interno urbano è stato trattato dal progettista come una quinta teatrale. Lo stesso Antonio Ferri, in un carteggio col Vescovo Poggi, per definire il complesso del Santuario utilizza la parola “macchina”, termine mutuato dal linguaggio tecnico proprio di uno scenografo. Il Ferri, d’altra parte aveva maturato esperienze di allestimento teatrale, in particolar modo nella villa di Pratolino per conto della famiglia di “costruttori di teatri” Galli-Bibiena (9).

La sistemazione originaria del raccordo altimetrico fra l’edificio e la strada non era esattamente quella odierna. Importanti lavori furono eseguiti durante l’ ‘800 e ce ne fa una sintesi il Simoncini (10):
“La grandiosa scalinata che, unica in principio, si biforca in due rampe su di un primo piano per accedere ad una più alta spianata sulla quale si aprono la porta principale del Santuario e le due laterali, fu ideata e costruita dal Ferri. Questa magnifica scalinata che richiama quella romana di Trinità dei Monti, si alza sul livello stradale di ben 10 metri, è tutta in pietra serena, con i bozzati che sostengono le rampe laterali e la terrazza centrale in travertino. Un’artistica ringhiera in ferro accompagna le rampe e chiude il balcone. Bozzato e ringhiera furono inaugurati nel 1867 e in quella occasione furono collocati, nella nicchia, il “Cristo Risorto”, opera berniniana di un frate francescano che l’aveva scolpita nel 1723 (collocata fino a quel momento sull’altare maggiore della chiesa di San Francesco, ndr) e, all’altezza del ripiano centrale, i due angeli del celebre scultore fiorentino Luigi Pampaloni. Furono invece inaugurate nel 1888 le statue degli apostoli Pietro e Paolo che, pur non avendo alcun pregio artistico, contribuiscono ad accrescere il decoro e l’armonia della scalinata e del Tempio”.

Quindi il completamento della sistemazione della scalinata avvenne in due momenti. Il primo, settecentesco, vide la costruzione della rampa, forse con gli attuali “bracci”, come suggerito dalla raffigurazione di San Miniato nella copertina degli Atti del Sinodo, celebrato nel 1707 e che mostra ancora l’edificio nella versione “a pianta ottagonale” (11). Il secondo momento, ottocentesco, vide invece la realizzazione del rivestimento bugnato, il posizionamento della balaustra e il collocamento dell’apparato scultoreo.
Il problema che si pone a questo punto è se i due momenti facciano parte dello stesso progetto iconografico, oppure se questo sia cambiato fra ‘700 e ‘800. Nella citata immagine della copertina degli Atti del Sinodo del 1707, si apprezza la presenza nel disegno di una nicchia, posizionata esattamente dov’è quella odierna e più o meno delle stesse dimensioni. Pare quindi che le operazioni ottocentesche siano soltanto una sorta di re-styling per conferire maggior decoro all’interno urbano offerto dal complesso del Santuario con relativo completamento dell’apparato  iconografico. Insomma, il progetto della sistemazione urbanistica dell’Oratorio doveva essere matura fin dall’inizio, ma fu completato in maniera definitiva soltanto nel 1867, ben 149 anni dopo l’inaugurazione della chiesa.

Scalinata del Santuario del Santissimo Crocifisso
Foto di Francesco Fiumalbi

Come è noto tutte le opere d’arte sacra, siano esse pitture, sculture, architetture, musiche, etc, non sono mai frutto del caso. Esiste sempre un significato, un filo conduttore, un richiamo alle Sacre Scritture o ad esperienze ed episodi della tradizione cristiana. Non è un caso che a partire dal Concilio di Trento il rigore si fece sempre più serrato e alle opere fu riconosciuta la sempre maggiore importanza narrativa e comunicativa. Anche il Santuario del Santissimo Crocifisso dovrebbe avere una sua precisa iconografia; di questa ce ne parla Antonio Vensi (12):
“L’architetto Ferri presentò a Monsignor Poggi due disegni, una rotonda e una croce; ma il vescovo scelse il secondo disegno, acciocché l’Oratorio rassomigliasse a quello che dopo la vittoria di Costantino torreggiò sulle vette del monte Calvario. L’Oratorio è adunque foggiato sull’emblema della redenzione con bracci equilateri (…)”.

Anche Maria Adriana Giusti afferma che la storiografia locale ha attribuito alla forma del Santuario non solo il valore iconografico di reliquia ma anche e soprattutto di memoria del luogo della crocifissione di Cristo, con evidente riferimento alla tipologia del Sacro Sepolcro, richiamando le forme del martyrium della cultura bizantina, identificato con la forma della croce (13).

Come molti di voi si saranno certamente accorti le parole del Vensi sono completamente sbagliate. La Basilica del Santo Sepolcro costruita per volere di Costantino sul sito del Monte Calvario non era affatto con “bracci equilateri”. Per la precisione si trattava di tre corpi: la “Basilica”, un “Atrio” colonnato situato sopra il Sacro Sepolcro e la famosa “Rotonda”. Nessun cenno ad una pianta a “croce greca”. Tra l’altro la parte più “copiata” del complesso della Basilica del Santo Sepolcro è proprio la “Rotonda” che fece probabilmente da modello al Battistero di Pisa. (per approfondire il tema della Basilica del Sacro Sepolcro vedi Wikipedia)
Insomma il Santuario del Santissimo Crocifisso di Castelvecchio non è nemmeno lontanamente parente della Basilica del Sacro Sepolcro di Gerusalemme. Probabilmente il disegno originario, la “rotonda”, si ispirava effettivamente all’edificio costantiniano, ma non la versione scelta dal Vescovo Poggi. E se è vero che i martyrium bizantini, chiamati in causa dalla Giusti, erano effettivamente a “croce greca” è perché derivano, non dalla Basilica del Santo Sepolcro, ma dalla costantiniana Chiesa dei Santi Apostoli, detta Apostoleion (vedi Wikipedia), costruita a Costantinopoli, l’odierna Istambul, e concepita inizialmente come il mausoleo imperiale. La chiesa considerata più verosimigliante all’Apostoleion è il San Marco di Venezia. Insomma, l’impostazione planimetrica può anche essere similare al santuario sanminiatese, ma non il suo sviluppo verticale che nella ricostruzione della basilica costantiniana attraverso lo studio del modello veneziano, sarebbe stata costituita da ben 5 cupole, con un nartece che separava la chiesa vera e propria dall’esterno, raccordato da una sorta di recinto sacro. Queste ipotesi ci convincono fino ad un certo punto.

Come detto l’edificio è a “pianta centrale” della forma cosiddetta a “croce greca” con cupola emisferica. I riferimenti cristiani verso la costruzione di chiese con questo impianto planimetrico sono molteplici. Non staremo ad elencarli tutti e, ci scuserete per le imprecisioni, desideriamo puntare l’accento sul fatto che le chiese siffatte, generalmente, enfatizzano il collegamento fra Terra e Cielo. La “croce greca” della pianta si inserisce in un quadrato, simbolo terreno, che costituisce la matrice. E’ costituita da quattro braccia, i quattro elementi terreni, le quattro virtù dell’uomo, i quattro punti cardinali. Il centro della pianta è anche il centro della cupola, che invece è emisferica e richiama al mondo Celeste, alla centralità di Cristo nel Cosmo e della Fede rispetto ai punti cardinali (14). Insomma un “ponte” fra terra e cielo, una sorta di “scala” per salire verso Dio.

Il Santuario del Santissimo Crocifisso di San Miniato
Foto di Francesco Fiumalbi

La stessa Giusti afferma che “…il legame prospettico fra la città e il suo tempio – centro visivo della composizione –“ si pone “in chiave simbolica, come 'Via Crucis', percorso processionale volto a commemorare l’itinerario che conduce Cristo alla Croce, fino al momento culminante del suo sacrificio e quindi della sua Resurrezione; in chiave evangelica, la traduzione della 'via regia' alla quale possono accedere 'i salvati" e che collega 'la città degli uomini' con l’agostiniana 'città di Dio' (…).” (15).

Difficilmente si può spiegare il collocamento della statua del Cristo Risorto nella nicchia ai piedi della scarpata se la chiesa si fa simbolo della Morte e Resurrezione di Cristo. Soprattutto come può la scalinata porsi come “Via Crucis” dove il momento culminante, l’aggiunta quindicesima stazione, la Resurrezione, è collocata all’inizio e non al termine? Insomma se da una parte è vero che la scalinata rimanda a certi cerimoniali legati al SS Crocifisso, connotati da percorsi processionali è altrettanto vero che si sarebbe di fronte ad un articolazione narrativa incongruente. Detta in parole povere, quante volte risorge Cristo nella Via Crucis?

Cristo Risorto
Scalinata del Santuario del SS Crocifisso
Foto di Francesco Fiumalbi

Qualcuno, in effetti, potrebbe sindacare affermando che il Cristo Risorto  vi sia stato collocato praticamente un secolo e mezzo più tardi e che quindi l’impostazione originaria sia congruente. Tuttavia la stessa Giusti poco dopo afferma (16):
L’itinerario segnato dalla verticale sulla quale si allineano, in successione ascendente, le statue degli angeli e dei quattro evangelisti, la porta del tempio, il tiburio e la lanterna, scandisce i luoghi commemorando la cesura tra le due civitas. La fruizione unitaria del percorso (…) segue una direttrice liturgica la quale, preannunciata all’esterno attraverso l’emblematica ascesa, culmina all’altare dove si custodisce la sacra immagine”.
Nella nota 26, collegata al sopracitato testo, la Giusti asserisce che le statue (degli evangelisti all’interno, ndr) sono state collocate soltanto nel 1845, ma la sistemazione di nicchie all’interno e di appositi spazi all’esterno fanno supporre che il progetto, così minuziosamente definito, comprendesse l’architettura con il suo corredo statuario. Poi come sappiamo le statue degli angeli e del Cristo Risorto furono collocate qualche anno più tardi, nel 1867. Quindi, delle due, l’una.

Se il progetto originario prevedeva un diverso apparato scultoreo, quello che è stato ridefinito nell’ ‘800 appare una forzatura iconografica. Viceversa, è molto più probabile, come abbiamo detto precedentemente, che fin dall’inizio si avesse ben chiara l’idea iconografica da attribuire alla chiesa, alla quinta urbana e all’orchestrazione statuaria. Come abbiamo visto, le interpretazioni formulate fino a questo momento non ci sembrano del tutto convincenti. Lo sono per parti, ma una volta riunite assieme costituiscono un qualcosa di disorganico. E allora, quale significato potrebbe avere il complesso del Santuario del SS. Crocifisso?

Nella seconda parte di questo intervento tratteremo, invece, una nostra ipotesi iconografica che è stata suggerita da Don Luciano Marrucci e che risulta essere congruente con la sistemazione urbanistica e con l’apparato scultoreo.









NOTE BIBLIOGRAFICHE
(1) Simoncini Vasco, Il Crocifisso di Castelvecchio nella storia e nella vita di San Miniato, Edizioni del Cerro, Pisa, 1992, cap. I-III.
(2) Simoncini Vasco, San Miniato e la sua Diocesi, CRSM, Edizioni del Cerro, Pisa, 1989, pagg. 21-33.
(3) Simoncini, Il Crocifisso…, cap. V-VIII.
(4) Lotti Dilvo, San Miniato. Vita di un’antica città, SAGEP, Genova, 1980, pag. 118.
(5) Giusti Maria Adriana, La chiesa del SS. Crocifisso di San Miniato, in Giusti – Matteoni (a cura di), La chiesa del SS. Crocifisso a San Miniato. Restauro e storia., CRSM, Allemandi, Torino, 1991, pag. 29.
(6) Esposito e Vitolo, Michele Mercati, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti, n. 26, 1950, pag. 32 e segg.
(7) Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco, Bertolli, Firenze, 1967, pagg. 134-137.
(8) Ibidem.
(9) Giusti, Op. Cit., pag. 34.
(10) Simoncini, Op. Cit., pag. 71.
(11) Marcori Emilia, Per una storia settecentesca di Castelvecchio: documenti e immagini del Palazzo dei Vicari e dei Ministri, in Morelli Paolo (a cura di), San Miniato nel Settecento. Economia, Società, Arte, CRSM, Pacini Editore, Pisa, 2003, pag. 179.
(12) Vensi Antonio, Materiali raccolti per formare il tomo I e II dei documenti per la storia di San Miniato da Antonio Vensi l'anno 1874, Accademia degli Euteleti, pag. 567, in Cristiani Testi Maria Laura, San Miniato al Tedesco, Marchi & Bertolli, Firenze, 1967, pag. 134.
(13) Giusti, Op. Cit., pag. 30.
(14) Giusti, Op. Cit., pag. 32.
(15) Giusti, Op. Cit., pag. 33.
(16) Ibidem.


2 commenti:

  1. Ho letto quanto riportato sopra,però non so se è tutto o solo la prima parte perchè eventualmente le altre due non le so trovare. Di questa il mio giudizio spassionato e sintetico è questo: gli autori ( da Ferri a Poggi, ecc )nel realizzare il santuario e la scala d'accesso davvero avevano in mente quelle simbologie che così suggestivamente ci leggete? Una sera di qualche tempo mi parlasti che la scenografia e l'ubicazione del santuario avevano rapporto con il giudizio universale io nella mia ignoranza ci vedo solo una bellissima intuizione di Ferri di rendere il tempio come fondale di una scenografia appagante ed al tempo stesso soluzione tecnica per far star su la chiesa, insomma un muro di sostegno artistico.
    Che mi dici: sono cazzate le mie?
    Beppe

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  2. Beppe, tutto quello che ha a che fare con la religione, e in particolare con la Chiesa Cattolica, è intriso di simboli. Più o meno evidenti. A volte ci sta di non coglierli perchè non siamo preparati, altre volte capita di vedere anche quello che non c'è. E' per questo che si parla di "ipotesi suggestiva".
    E questa è solo la prima parte. Guarda in cima al post o in fondo. Troverai "Interventi correlati".

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